Nel processo amministrativo, la mancata compensazione delle spese processuali, attuando il principio generale per cui le stesse seguono la soccombenza e non investendo profili di legittimità, si traduce in una scelta insindacabile in appello

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 10 settembre 2018, n. 5283.

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo, la mancata compensazione delle spese processuali, attuando il principio generale per cui le stesse seguono la soccombenza e non investendo profili di legittimità, si traduce in una scelta insindacabile in appello e vale in riferimento sia alle statuizioni processuali che a quelle di merito; il giudice di primo grado ha infatti amplissimi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento dei pur eccezionali e tassativi motivi divisati dall’art. 92 c.p.c. per far luogo alla compensazione delle spese, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese di lite la parte risultata vittoriosa o disporre statuizioni abnormi.

Sentenza 10 settembre 2018, n. 5283

Data udienza 31 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5826 del 2013, proposto da
Er. Ro. Gi., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Pa. Fr., ex lege domiciliato presso la Segreteria sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Comune di Milano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ri. Su., Ru. Me., Ir. Ma., An. Ma. Pa., Ra. Iz., con domicilio eletto presso lo studio Ra. Iz. in Roma, Lungotevere (…);
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Cooperativa Pi. (già Ed. V), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ca. Pa., An. Pa., con domicilio eletto presso lo studio Ca. Pa. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Prima n. 294/2013, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Cooperativa Pi. (già Ed. V);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Co., su delega dell’avvocato Fr., Sa., e Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto di appello notificato nei tempi e nelle forme di rito, Er. Ro. Gi., come in atti rappresentato e difeso, esponeva:
a) che era titolare, sin dal 2002, dell’edicola originariamente posizionata nel centro di Piazza (omissis) a Milano, in virtù di regolari titoli abilitativi;
b) che, con nota prot. n. 159 del 17.1.2003, il Comune gli aveva comunicato l’avvenuta aggiudicazione della gara d’appalto per la costruzione di un’autorimessa sotterranea e riqualificazione – in superficie – della interessata porzione di Piazza (omissis) in cui era collocato il chiosco/edicola, affidando i lavori alla Cooperativa Pi. (già Cooperativa Ed. V);
c) che di tale intervento avrebbe dovuto beneficiare anche l’edicola, posto che il progetto originario prevedeva la ricollocazione del chiosco nell’area riqualificata della piazza precisamente nella sua posizione originaria, mentre il successivo atto notarile di Convenzione, stipulato tra Comune e Cooperativa, prevedeva altresì la costruzione di un apposito corpo emergente in muratura a disposizione dell’edicola realizzato precisamente nella posizione originaria occupata dal chiosco;
d) chela Convenzione in questione non risultava essere mai stata impugnata e mai oggetto di specifico procedimento di modifica, annullamento e/o revoca, e doveva, pertanto, ritenersi pienamente operante;
e) che, con nota nota prot. n. 9882/06 del 15.6.2006, al solo fine di realizzare la riqualificazione dell’arredo della piazza (omissis), veniva dato avvio al procedimento finalizzato allo “spostamento temporaneo” del chiosco/edicola da Piazza (omissis) a via (omissis);
f) che, a lavori ultimati, sarebbe dovuta avvenire, nei ridetti termini convenzionali, la sistemazione dell’attività in apposito corpo emergente in muratura, precisamente costruito nella posizione originaria in cui era riposto il chiosco;
g) che, con nota, prot. n. 704184/09 del 23.9.2009, l’Amministrazione comunale aveva comunicato che “a seguito dell’impossibilità di ricollocare l’edicola nella sua posizione originaria con la struttura esistente, come già previsto nel progetto approvato dal Comune e dalle competenti amministrazioni [era] stata realizzata dalla Cooperativa Pi. una struttura in muratura atta a ospitare l’attività di edicola”, per cui si invitava “a prendere accordi con la Concessionaria Cooperativa Pi. per l’assegnazione del locale e modalità di trasferimento”, con la pedissequa precisazione che, in caso di rinunzia al trasferimento dell’attività nella destinata struttura fissa, sarebbe stato avviato il procedimento “volto alla collocazione definitiva dell’attuale chiosco in posizione da verificare”;
h) che con lettera del 17.11.2009, la Cooperativa Pi. aveva quindi offerto la disponibilità di uno dei due locali in muratura che stavano per essere realizzati sulla superficie della Piazza, e precisamente quello costruito sull’area in cui originariamente era posto il chiosco secondo precisa previsione di Convenzione;
i) che con lettera del 19.11.2009, aveva accolto l’offerta della Cooperativa, dichiarando di volere ottenere la cessione del diritto di superficie (subordinata ai tempi di rilascio del mutuo) o in alternativa l’affitto delle opere di muratura che stavano per essere realizzate in Piazza (omissis), per una volumetria pari a 28 mq;
j) che, tuttavia, in aperta contraddizione con tutto quanto in precedenza dichiarato, il Comune, di concerto con la Cooperativa, aveva inopinatamente attuato una silente e surrettizia modifica al progetto, decidendo di eliminare di fatto l’edicola dalla Piazza (omissis);
k) che con nota prot. n. 704184/2009 del 18.2.2010, al termine di una istruttoria condotta in assenza di contraddittorio con l’interessato, il Comune aveva quindi comunicato di aver deciso per una “diversa determinazione in ordine alle strutture in superficie della Piazza”, dando avvio a un intervento definito in termini di restyling e, per l’effetto, annunciando che in detta area “la presenza dell’edicola non sarebbe stata più prevista”;
l) che tale “diversa determinazione” sarebbe scaturita, senza che le relative ragioni emergessero dalla operata interlocuzione, dalle contestazioni sollevate dalla locale Soprintendenza, poi formalizzate da quest’ultima con nota prot. n. 9539 dell’8.7.2010;
m) che, acquisito il parere della Soprintendenza prot. n. 20045 BBNN del 25.1.2011, e preso atto della nota prot. n. 36 del 3.2.2011 della Commissione paesaggistica, il Comune aveva allora deciso di autorizzare la demolizione parziale di 1/3 del fabbricato abusivo realizzato dalla Cooperativa (tra cui la parte di pertinenza dell’edicola), decidendo di preservarne comunque i 2/3 in esclusiva concessione alla Cooperativa, in relazione ai quali tuttavia veniva dato contraddittoriamente atto che si trattava di edificio “evidentemente non conforme”;
n) che solo ex post era stato possibile appurare, grazie ad un formale accesso agli atti, le (tre alternative) soluzioni di modifica/sanatoria in conformità proposte dalla Cooperativa al Comune;
o) che, senza alcun contraddittorio, il Comune e la Cooperativa avevano preferito una delle soluzioni prefigurate, peraltro addossando l’intero sacrificio al solo appellante;
p) che tutto ciò era stato deciso senza alcuna informazione e/o interlocuzione preventiva (tanto che, ove messo al corrente di quanto stava accadendo, l’appellante avrebbe potuto a sua volta manifestare il proprio interesse e difenderlo con tutti gli strumenti ex lege concessigli, fornendo il proprio apporto istruttorio al procedimento, che era stato, di fatto, esclusivamente orientato a seguire il percorso similmente indotto dal Comune e Cooperativa ad esclusivo notevole vantaggio di quest’ultima);
q) che, a distanza di dodici anni, il chiosco edicola si trovava ancora in totale stato di degrado ed in posizione provvisoria e non idonea, in attesa della definizione dei pertinenti contenzioni ancora in atto;
r) che la Giunta Comunale, con propria delibera del 6.5.2011, peraltro mai comunicata, aveva deliberato la definitiva demolizione di 1/3 del manufatto, ovvero della sola parte che avrebbe garantito il ricollocamento in piazza dell’edicola;
s) che solamente con nota del 26.10.2011, richiamando la D.G.C. del 6.5.2011, il Comune di Milano aveva finalmente comunicato che, diversamente da quanto sostenuto nel corso dei tre anni precedenti, lo spostamento del chiosco non doveva più considerarsi a carattere temporaneo, in quanto l’edicola non sarebbe mai più stata ricollocata nella Piazza (omissis);
t) che, per giunta, con la medesima nota, aveva appreso che l’edicola sarebbe stata oggetto di ulteriore spostamento, non voluto, non preventivato e non preventivabile, oltretutto in posizione ignota, con conseguente gravissimo pregiudizio per la propria attività ;
u) che, in ragione di tutto ciò, si era visto costretto ad impugnare tutti gli atti del procedimento dinanzi al TAR Milano, il quale tuttavia, con sentenza n. 294 del 31.1.2013, aveva inopinatamente rigettato il ricorso.
2.- Sulle esposte premesse, impugnata la ridetta statuizione, assumendone la complessiva erroneità ed ingiustizia ed invocandone l’integrale riforma.
Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza de. 31 maggio 2018, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e merita di essere respinto.
La sentenza appellata viene complessivamente censurata, con plurimo ed articolato motivo di gravame, essenzialmente sotto i seguenti profili:
a) avrebbe errato il primo giudice, all’atto di respingere il gravame, di disporre la condanna alle spese in proprio danno, senza vagliare – di là dalla formale soccombenza e nell’esercizio del conferente apprezzamento discrezionale – le ragioni di meritevolezza sottese all’esperimento della sfortunata iniziativa giurisdizionale;
b) che non sarebbe stata idoneamente apprezzata la denunzia di inosservanza del principio del contraddittorio, avendo il primo giudice formato, sul punto, il proprio convincimento sulla considerazione, asseritamente erronea, che il Comune avrebbe deciso di non riposizionare l’edicola nella sua posizione originaria solo dopo le modifiche apportate alla sistemazione superficiale della piazza e, dunque, al momento dell’adozione del provvedimento del 26.10.2011, essendo – all’incontro – evidente che tanto il Comune quanto la Cooperativa erano ben consapevoli di voler optare per tale soluzione da molto tempo prima dell’emanazione del suddetto atto: onde già a far data dal febbraio 2010 (o al più dal luglio dello stesso anno) il Comune avrebbe dovuto instaurare il contraddittorio con l’odierno appellante, comunicandogli, previo avviso di avvio del procedimento, che la Soprintendenza aveva evidenziato il carattere abusivo della struttura in muratura insistente su Piazza (omissis) e che, dunque, in virtù delle valutazioni compiute in accordo con la Cooperativa, si era optato per la demolizione proprio di quella minima porzione di fabbricato che avrebbe dovuto ospitare l’edicola, preservando invece l’integrità della rimanente parte di costruzione abusiva ad esclusivo favore della Cooperativa;
c) che, correlativamente, erroneo era l’apprezzamento del primo giudice in ordine alle effettive modalità, anche temporali, della instaurazione del doveroso contraddittorio procedimentale;
d) che parimenti erronea sarebbe la mancata valorizzazione del dedotto eccesso di potere, relativamente alla contestata decisione di riposizionare l’edicola senza il coinvolgimento e l’apporto collaborativo dell’interessato;
e) che, sotto distinto profilo, la contestata decisione avrebbe potuto essere assunta, nel rispetto del principio del contrarius actus, solo all’esito del ritiro, in autotutela – e sempre che ne sussistessero i relativi presupposti – di tutti gli atti precedenti, nei quali si era sancita la temporaneità del trasferimento dell’edicola al di fuori della Piazza e la reintegrazione della stessa nella sua sede originaria o in altra sede equivalente;
f) che avrebbe errato il primo giudice nel ritenere autorizzata dal principio di autonomia negoziale la modifica in corso d’opera della convenzione intercorsa con l’impresa esecutrice dei lavori, senza tener conto del pregiudizio recato, in quanto terzo, alle proprie ragioni;
g) che erroneamente era stata, infine, disattesa la censura con la quale si era lamentata l’irritualità e l’illegittimità della procedura di selezione del contraente cui affidare i lavori di risistemazione della piazza.
2.- Il complesso delle articolate censure può essere, in realtà ristretto a tre profili critici: a) la denunzia di omessa attivazione del doveroso contraddittorio procedimentale; b) la contestazione della ritualità dell’affidamento del contratto alla Cooperativa controinteressata; c) l’erroneità della attribuzione del carico delle spese in forza della mera soccombenza.
Tutti i profili sono infondati.
2.1.- Sotto il primo profilo, importa preliminarmente rammentare che – alla luce del canone antiformalistico di cui all’art. 21 octies l. n. 241/1990 – la garanzia del contraddittorio procedimentale non deve essere intesa come fine a se stessa, dovendo essere acquisita in termini sostanziali, quale concreta ed effettiva compromissione delle esigenze partecipative dei soggetti coinvolti dall’azione amministrativa.
È noto, infatti, che la regola stabilita dal secondo periodo del 2º comma (in forza della quale “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”) riguarda il caso in cui sia violata una disposizione che contempla il requisito procedimentale della comunicazione di avvio del procedimento e si applica in presenza di attività sia vincolata sia discrezionale (inclusa l’ipotesi di discrezionalità tecnica); in questa ipotesi, perciò, è a carico del privato l’onere di indicare, quanto meno in termini di allegazione processuale, quali elementi conoscitivi avrebbe introdotto nel procedimento, se previamente comunicatogli, onde indirizzare l’amministrazione verso una decisione diversa da quella assunta (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. III, 22 marzo 2017, n. 1310).
In tale prospettiva, non può non conferirsi rilievo alla circostanza che, nel corso del giudizio di primo grado, il Tribunale, dopo aver accolto l’istanza di sospensiva e fissato contestualmente l’udienza per la discussione della controversia nel merito, aveva successivamente rilevato, con ordinanza collegiale n. 2113/12 del 27.07.12, che “in ragione della condotta processuale del ricorrente, manifestata nel corso della discussione in pubblica udienza, […] la controversia non [fosse] matura per la decisione, palesandosi inutile l’emissione di una sentenza che non [potesse] definire la materia del contendere alla luce del fatto che il ricorrente non [aveva] manifestato alcun riscontro alle opzioni prospettate dal Comune a seguito del disposto riesame della vicenda in esecuzione della […] ordinanza cautelare” ed, aveva, per l’effetto, differito la definizione della controversia “onde consentire al ricorrente di esprimere, in pienezza di cognizione, la propria adesione o meno alle soluzioni proposte dall’Amministrazione ovvero individuare, di concerto con la stessa, altra localizzazione compatibile”.
In sostanza, messa in condizioni di esercitare attivamente, in piena cognizione dei termini della vicenda procedimentale, il proprio diritto a controdedurre ed ad esercitare la facoltà di scelta in ordine alle possibili opzioni ricollocative emerse all’esito dalla riscontrata impossibilità di attuare le primigenie determinazioni, la parte vi ha, di fatto, abdicato, legittimando, con ciò, l’acquisizione della corrispondente denunzia come di ordine meramente formale e, come tale, prospetticamente inidonea ad immutare i termini della contestata determinazione amministrativa (cfr. ancora art. 21 octies, comma 2 l. n. 241/1990, dal quale è dato desumere il canone della necessaria e concreta utilità dell’apporto procedimentale, ai fini della rivendicata caducazione delle assunte opzioni decisionali).
2.2.- Quanto alle modalità di selezione della ditta esecutrice dei lavori, va ribadito che nel preambolo della deliberazione di G.C. del 6.5.2011, n. 337381 era testualmente riportato che “con provvedimento del Sindaco in qualità di commissario per l’emergenza traffico n. 11 del 15/02/02 [era] stata avviata la procedura concorsuale per l’individuazione dei soggetti cui assegnare alcune aree pubbliche, tra cui quella di Piazza (omissis), in diritto di superficie ai fini della realizzazione di parcheggi sotterranei per residenti ai sensi della legge n. 122/89; […] concluse le operazioni di gara, con provvedimento del Sindaco n. 159 del 17/01/03 [era] stata individuata quale aggiudicataria provvisoria la cooperativa Ed. V, che [aveva] successivamente modificato la propria denominazione sociale in cooperativa Pi.”.
La circostanza in questione, che il primo giudice ha posto a fondamento della reiezione del gravame, non è stata censurata in appello, onde deve tenersi per ferma, con conseguente reiezione della censura.
2.3.- Quanto al regime delle spese di lite, vale rammentare il consolidato principio per cui, nel processo amministrativo, la mancata compensazione delle spese processuali, attuando il principio generale per cui le stesse seguono la soccombenza e non investendo profili di legittimità, si traduce in una scelta insindacabile in appello e vale in riferimento sia alle statuizioni processuali che a quelle di merito; il giudice di primo grado ha infatti amplissimi poteri discrezionali in ordine al riconoscimento dei pur eccezionali e tassativi motivi divisati dall’art. 92 c.p.c. per far luogo alla compensazione delle spese, con il solo limite, in pratica, che non può condannare alle spese di lite la parte risultata vittoriosa o disporre statuizioni abnormi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 novembre 2015, n. 5400).
3.- Alla luce del complesso delle considerazioni che precedono, l’appello deve ritenersi complessivamente infondato e merita di essere respinto.
Sussistono giustificate ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente FF
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

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