L’istituto della cooptazione previsto dall’art. 92, comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 10 settembre 2018, n. 5287.

La massima estrapolata:

L’istituto della cooptazione previsto dall’art. 92, comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 è stato oggetto di ampia elaborazione da parte della giurisprudenza amministrativa: costituisce una forma di cooperazione nell’esecuzione dell’appalto che consente ad imprese di piccole dimensioni di poter operare nel mercato delle commesse pubbliche pur in mancanza del possesso dei requisiti economico – finanziari e tecnico – professionali di norma richiesti per la partecipazione come concorrente alle procedure di evidenza pubblica.

Sentenza 10 settembre 2018, n. 5287

Data udienza 19 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1081 del 2014, proposto da
Sc. Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Or. Ag., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ad. To. in Roma, via (…);
contro
Consorzio di Bonifica “Ve.”, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Br., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Im. Co. s.p.a, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Cr. Le., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
Co. s.r.l., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Salerno, Sez. I, 7 febbraio 2014 n. 2517, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio di Bonifica “Ve.” e di Im. Co. s.p.a;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Or. Ag., An. Bo. su delega di Br., Ma. Cr. Le.i;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con bando pubblicato il 20 febbraio 2012 il Consorzio di bonifica “Ve.” indiceva una procedura di gara aperta per l’affidamento dei lavori di “ammodernamento impianti irrigui del Ve.: ammodernamento, adeguamento strutturale e completamento tecnologico degli impianti di accumulo, adduzione e distribuzione già esistenti, ivi compresi gli impianti di energia alternativa – I stralcio” rientranti nelle categorie OG6 come categoria prevalente e OG3 e OG11 come categorie scorporabili, per un importo complessivo di Euro 3.594.302,02 da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
1.1. Ai fini che qui interessano va precisato che il disciplinare di gara ammetteva il ricorso all’istituto della cooptazione (punto 13 a pag. 2); specificava, inoltre, che le imprese concorrenti, in forma singola o associata, avrebbero dovuto necessariamente compilare i moduli predisposti dalla stazione appaltante, da sottoscrivere a pena di esclusione, per presentare la loro domanda di partecipazione.
2. Il Consorzio appaltante ammetteva alla procedura di gara, tra le altre, anche la costituenda A.t.i. tra Im. Co. s.p.a., con la qualifica di capogruppo mandataria e Co. s.r.l. con quella di cooptata.
3. All’esito delle operazioni di gara la predetta A.t.i. Im. Co. s.p.a. risultava prima graduata con il punteggio di 91,585 e la Sc. Co. s.r.l., seconda, con il punteggio di 88,841. L’aggiudicazione provvisoria a favore dell’A.t.i. Im. Co. s.p.a. era, dunque, disposta con provvedimento del 20 giugno 2012.
4. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, Sc. Co. s.r.l. impugnava il provvedimento di ammissione dell’A.t.i. Im. Co. s.p.a. nonché l’aggiudicazione provvisoria disposta a suo favore.
Il ricorso era articolato in due motivi: con il primo motivo la ricorrente sosteneva la violazione del disciplinare di gara per essere la società Co. s.r.l., nella sua qualità di cooptata, priva dell’attestazione SOA richiesta per la realizzazione dei lavori oggetto del bando; con il secondo motivo l’illegittimità dell’ammissione era argomentata dalla mancanza dell’iscrizione della Im. Co. s.p.a. alla Cassa edile sebbene i lavori rientrassero pacificamente nella materia edile e la capogruppo, per l’art. 92, comma 2, d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207, fosse tenuta ad eseguire una quota di lavori appartenenti alla categoria prevalente OG6.
4.1. Si costituiva in giudizio il Consorzio di bonifica Ve. e Im. Co. s.p.a.; quest’ultima proponeva ricorso incidentale diretto a contestare l’ammissione alla procedura della Scerimino costruzioni s.r.l.
4.2. Il giudizio di primo grado era concluso dalla sentenza, sezione I, 20 dicembre 2013, n. 2517, di reiezione del ricorso principale e del ricorso incidentale. Le spese di lite erano compensate tra le parti in causa.
5. Propone appello la Sc. Co. s.r.l.; si è costituito in giudizio il Consorzio di bonifica Ve. e la Im. Co. s.p.a. che ha proposto altresì appello incidentale. La Sc. Co. s.r.l. ha proposto memoria di replica. All’udienza pubblica del 19 luglio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello Sc. Co. s.r.l. censura la sentenza per “Violazione art. 3 c.p.a. (in relazione ai principi giurisprudenziali in tema di cooptazione)”; assume l’appellante che il giudice di primo grado avrebbe risolto le questioni giuridiche poste dai motivi di ricorso, attraverso un iter argomentativo che viene definito “prolisso, farraginoso, con estrapolazione di frasi da giurisprudenza inconferente al caso di specie” in violazione dell’art. 3 Cod. proc. amm., che impone al giudice e alle parti di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”.
1.1. Il motivo è infondato.
L’art. 3, comma 2, Cod. proc. amm., (Dovere di motivazione e sinteticità degli atti) rivolge un monito alle parti e al giudice – di redigere gli atti del giudizio in maniera chiara e sintetica – senza fissare alcuna sanzione per il caso in cui non venga in concreto rispettato; per le parti la violazione del dovere di sinteticità – cui ha dato contenuto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato 22 dicembre 2016, n. 167 (Disciplina dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo), come modificato dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato 16 ottobre 2017 – non genera la conseguenza, a carico della parte che lo abbia superato, dell’inammissibilità dell’intero atto, ma solo il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190), per il giudice la redazione di una sentenza eccessivamente prolissa o poco comprensibile rileva al più in sede di valutazione professionale, non costituisce, certo, motivo di nullità della stessa.
Nel caso di specie, peraltro, la sentenza impugnata, come risulterà chiaro dall’esposizione che segue, ha affrontato in maniera puntuale le questioni giuridiche poste dai motivi del ricorso principale e di quello incidentale, spendendosi in ragionamenti pienamente conferenti e svolti nello spazio richiesto dalla loro complessità .
2. Con il secondo motivo di appello Sc. Co. s.r.l. contesta la sentenza per “Error in iudicando, difetto di motivazione, arbitrarietà “, per aver ritenuto che la deliberazione del Presidente del Consorzio n. 1 del 7 gennaio 2013 – di modifica della denominazione dell’impresa aggiudicataria quale riportata nel precedente provvedimento di aggiudicazione della Deputazione amministrativa n. 83 del 26 ottobre 2012 in “A.t.i. Im. Co. s.p.a. (capogruppo mandataria) Co. s.r.l. (Impresa cooptata)” – costituisse mera rettifica di un errore materiale e non, invece, una nuova aggiudicazione “a cui non corrisponde un soggetto che ha partecipato alla gara”.
2.1. La censura si comprende con la tesi della Sc. Co. s.r.l., riproposta nei motivi di appello di seguito esaminati, per la quale Co. s.r.l. non era qualificabile come impresa cooptata cosicché un’associazione temporanea di imprese con capogruppo Im. Co. s.p.a. e Co. s.r.l. cooptata non ha partecipato alla procedura di gara e, per questo, non poteva risultare aggiudicataria.
E’ opportuno, pertanto, rimandare l’esame del secondo motivo di appello alla risoluzione della questione principale posta dall’odierna appellante.
3. Di essa si occupano i motivi dal terzo al quinto, che possono essere congiuntamente esaminati.
Per la loro migliore comprensione è opportuno partire dalle censure esposte nei motivi del ricorso introduttivo del giudizio.
3.1. La ricorrente ha sostenuto che Co. s.r.l. non ha partecipato alla procedura di gara come impresa cooptata dalla Im. Co. s.p.a., ma come concorrente, senza essere in possesso dei requisiti richiesti a tal fine dal disciplinare di gara.
Rilevano a detta della ricorrente una serie di comportamenti della Co. s.r.l. incompatibili con la volontà di assumere la veste di cooptata quali: l’aver sottoscritto l’offerta unitamente alla Im. Co. s.p.a., l’aver prestato le garanzie richieste dal disciplinare di gara ed, infine, l’aver sottoscritto la domanda di partecipazione.
In ogni caso, poi, ha precisato la ricorrente, l’operatore economico andava escluso per non aver esattamente indicato la forma di associazione con la quale intendeva partecipare alla procedura in violazione dell’art. 13 del disciplinare di gara per il quale i partecipanti erano tenuti a “specificare il modello (orizzontale, verticale o misto) e se vi siano imprese cooptate ai sensi dell’art. 92 del d.P.R. n. 207/2010”.
3.2. La sentenza impugnata ha respinto la tesi della ricorrente per aver le imprese espresso chiaramente la volontà di concorrere all’appalto mediante il modello associativo della cooptazione, ex art. 95, comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207.
E’ vero, continua la sentenza, che Co. s.r.l. ha sottoscritto, in uno con la capogruppo Im. Co. s.p.a., la domanda di partecipazione, l’offerta economica e gli elaborati tecnici, nonché l’atto di garanzia e la dichiarazione di subappalto, ma è giusto ritenere che ciò sia avvenuto per rispetto dell’art. 15 del disciplinare di gara che prevedeva a pena di esclusione la sottoscrizione da parte di tutte le imprese dei moduli allegati al disciplinare di gara componenti la domanda di partecipazione, come sostenuto dalla difesa della stazione appaltante, o, comunque, a fini meramente cautelativi dinanzi a indicazioni normative non sempre chiare, come sostenuto dalla difesa della controinteressata.
D’altra parte, rimarca la sentenza, in tutti gli atti della procedura Co. s.r.l. ha sempre dichiarato di agire quale cooptata di costituenda A.t.i., senza favorire alcuna ambiguità in ordine al titolo e alle modalità di partecipazione alla procedura.
3.3. Le argomentazioni spese dal giudice di primo grado sono variamente contestate dall’appellante: a) il rispetto della prescrizione imposta dall’art. 15 del disciplinare di gara quale giustificazione dei comportamenti della Co. s.r.l., e segnatamente, della sottoscrizione degli atti della procedura unitamente alla Im. Co. s.p.a., non è rilevante poiché la prescrizione si riferiva al concorrente, cioè ad Im. Co. s.p.a., non alla cooptata, ed anzi, attraverso la sottoscrizione della domanda di partecipazione, dell’offerta e della garanzia Co. s.r.l. ha assunto la veste sostanziale di concorrente dando vita ad una forma di partecipazione associata, in mancanza dei requisiti di qualificazione e partecipazione previsti per i raggruppamenti; b) in ogni caso il giudice non ha rilevato la mancanza di chiara specificazione del modello di partecipazione alla procedura di gara come richiesto dall’art. 13 del disciplinare (censure espresse nel terzo motivo di appello “Error in iudicando, difetto di motivazione, contraddittorietà palese. Violazione e falsa applicazione del disciplinare di gara” e nel quinto motivo di appello “Difetto di motivazione, violazione del disciplinare di gara”); c) la giurisprudenza richiamata dal giudice di primo grado risulta inconferente poiché riferita ad un diverso caso nel quale la capogruppo non possedeva il requisito di qualificazione richiesto dal bando che le veniva, invece, apportato dalla cooptata.
4. I motivi di appello sono infondati e vanno respinti.
4.1. La Sc. Co. s.r.l. contesta alla sentenza impugnata di non aver considerato che, in violazione della previsione dell’art. 13 del disciplinare di gara, non v’era stata da parte della Im. Co. s.p.a. specifica indicazione del modello associativo prescelto per la partecipazione alla procedura.
In effetti, l’art. 13 del disciplinare di gara imponeva di ai concorrenti di “specificare il modello (orizzontale, verticale o misto) e se vi siano imprese cooptate ai sensi dell’art. 92 del D.P.R. 207/2010”; è necessario, pertanto, l’esame della documentazione di gara per accertare il rispetto dell’obbligo dichiarativo del modello associativo prescelto come, d’altra parte, ribadito dalla giurisprudenza amministrativa che, in più occasioni, precisato il carattere eccezionale e derogatorio dell’istituto della cooptazione, ha chiarito che gli operatori economici che intendono avvalersene devono presentare una dichiarazione espressa ed univoca, per evitare un uso improprio con finalità elusive della disciplina inderogabile in tema di qualificazione e di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344).
4.2. Esaminata la documentazione in atti, ritiene il Collegio, come il giudice di primo grado, che Im. Co. s.p.a. abbia assolto all’obbligo imposto dall’art. 13 del disciplinare di gara con dichiarazione espressa ed univoca dell’intenzione di partecipare alla procedura nella forma dell’associazione di imprese con impresa cooptata.
Rileva, in tal senso, l’indicazione contenuta nella “domanda di partecipazione e dichiarazione di impegno in caso di raggruppamento temporaneo di imprese non ancora costituito”, le imprese associate, nel dichiarare la loro posizione, si presentano la Im. Co. s.p.a. come “Impresa capogruppo mandataria di costituenda Ati” e la Co. s.r.l., come “cooptata di costituenda A.t.i.”.
Allo stesso modo, nel modello contenente l’offerta economica, le imprese concorrenti si presentano con la medesima qualificazione e, dunque, la Co. s.r.l., ancora una volta, come “cooptata di costituenda A.t.i.”.
La formula denominatoria utilizzata è idonea a rendere la stazione appaltante edotta della scelta di partecipare alla procedura di gara nella forma dell’associazione di imprese composta da una capogruppo e da una impresa cooptata.
Tale modello associativo è, peraltro, pienamente confermato dalla dichiarazione di Co. s.r.l. di impegnarsi all’esecuzione dell’opera nella misura del 20%.
La volontà espressa con le predette dichiarazioni non è equivoca né ambigua e la sottoscrizione degli atti della procedura – la domanda di partecipazione, l’offerta economica, la garanzia provvisoria – unitamente alla capogruppo, non dovuta per la cooptata, non vale a renderla incerta.
In tal senso, del resto, si è recentemente espressa questa quinta sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza 21 giugno 2017, n. 3036 in relazione ad un caso ana, in cui la sottoscrizione da parte della impresa cooptata di tutti gli atti della procedura è stata ritenuta non rilevante a fronte di una chiara manifestazione di volontà di ricorrere alla cooptazione espressa dall’impresa cooptata.
4.3. Per le esposte considerazioni sono irrilevanti i motivi per i quali Co. s.r.l. ha ritenuto necessario sottoscrivere la domanda di partecipazione, l’offerta economica e la garanzia provvisoria, se per adeguarsi alla prescrizione dell’art. 15 del disciplinare come ribadito dalla difesa della stazione appaltante anche nel presente grado del giudizio ovvero per fini meramente cautelativi, poiché, in ogni caso risulta l’univoca dichiarazione di partecipare alla procedura quale impresa cooptata della Im. Co. s.p.a., che vale ad escludere ogni intento di assumere la posizione di concorrente nei confronti della stazione appaltante. Lo dimostra, peraltro, il fatto che, anche nella sottoscrizione degli atti della procedura, Co. s.r.l. ha dichiarato di agire quale “cooptata di costituenda ATI”.
4.4. Così risolta la questione relativa alla forma associativa con cui Im. Co. s.p.a. e Co. s.r.l. hanno partecipato alla procedura di gara, può sciogliersi la riserva in precedenza assunta sul secondo motivo di appello.
Il motivo è infondato poiché, alla luce delle considerazioni svolte, ha partecipato alla procedura un’associazione temporanea in cui Im. Co. s.p.a. rivestiva la posizione di capogruppo e Co. s.r.l. quello di impresa cooptata; ben ha ritenuto allora il giudice di primo grado che la modifica, con deliberazione del Presidente del Consorzio n. 1 del 7 gennaio 2013, della denominazione dell’impresa aggiudicataria quale riportata nel precedente provvedimento di aggiudicazione della Deputazione amministrativa n. 83 del 26 ottobre 2012 in “A.t.i. Im. Co. s.p.a. (capogruppo mandataria) Co. s.r.l. (Impresa cooptata)” costituisse la mera rettifica di un errore materiale e non l’illegittima aggiudicazione ad un concorrente che non ha preso parte alla procedura di gara.
5. Con il sesto motivo di appello, riprese argomentazioni contenute nel quinto motivo, Sc. Co. s.r.l. contesta la sentenza impugnata per “Difetto di motivazione, violazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 163/2006, violazione dell’art. 92 del d.P.R. n. 207/2010”: il giudice avrebbe erroneamente respinto il motivo di ricorso volto a denunciare la violazione dell’art. 92 d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 che impone, in caso di partecipazione alla procedura in forma di raggruppamenti temporanei di imprese, il possesso dei requisiti di qualificazione economico – finanziari e tecnico – organizzativi in capo alla mandataria nella misura minima del 40 per cento e per la restante percentuale cumulativamente in capo alle mandanti ciascuna nella misura minima del 10 per cento, sebbene dalla documentazione versata in atti era certo che Co. s.r.l. fosse in possesso di attestato SOA per la categoria OG6, classifica 1 (Euro 258.228,00), inferiore, dunque, al 10% del valore dei lavori posti a gara.
5.1. La sentenza impugnata, in effetti, ha respinto il motivo di ricorso con motivazione che va opportunamente ricostruita.
In primo luogo, il giudice di primo grado ha dichiarato di condividere l’indicazione contenuta in un passaggio della sentenza 13 giugno 2016, n. 3310 di questo Consiglio di Stato ove è detto che l’impresa cooptata non deve possedere i requisiti di una mandante all’interno di un raggruppamento temporaneo di imprese considerata la diversità dei due modelli associativi; da ciò il passaggio successivo: la Co. s.r.l. non era tenuta a dimostrare il possesso di particolari categorie di qualificazione per le opere indicate nella lex specialis poiché poteva associarsi con tale modalità anche se in possesso di requisiti di qualificazione per categorie di lavori e per importi diversi da quelli richiesti dal bando, senza considerare che essa ha dichiarato di volere eseguire i lavori nei limiti dell’importo esattamente corrispondente alla qualificazione SOA posseduta. Aggiunge, infine, il giudice che, a tutto voler concedere, l’associazione concorrente non potrebbe comunque essere esclusa dalla procedura in quanto la mandataria Im. Co. s.p.a. era in possesso del 100 per cento dei requisiti per l’esecuzione dei lavori previsti dal bando.
5.2. La decisione del giudice di primo grado va condivisa sia pure con le precisazioni che seguono.
L’istituto della cooptazione previsto dall’art. 92, comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 è stato oggetto di ampia elaborazione da parte della giurisprudenza amministrativa: costituisce una forma di cooperazione nell’esecuzione dell’appalto che consente ad imprese di piccole dimensioni di poter operare nel mercato delle commesse pubbliche pur in mancanza del possesso dei requisiti economico – finanziari e tecnico – professionali di norma richiesti per la partecipazione come concorrente alle procedure di evidenza pubblica.
Si spiega, così, il limite posto dall’art. 92, comma 5, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 per il quale il concorrente può cooptare altra impresa nel limite dell’esecuzione del 20 per cento e sempre che le qualificazioni possedute siano almeno pari all’importo complessivo dei lavori che la cooptata si è impegnata a realizzare.
La disposizione pone una regola speciale rispetto alla disciplina della ripartizione dei requisiti di partecipazione nell’ambito dei raggruppamenti temporanei di impresa dall’art. 92, comma 2, d.P.R. 207 cit., che si giustifica con le particolari caratteristiche dell’istituto della cooptazione.
Il Collegio, pertanto, intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale per il quale l’associazione in cooptazione costituisce un particolare modello di collaborazione nell’esecuzione dell’appalto, la cui disciplina è quella dei raggruppamenti temporanei di impresa, salvo specifiche previsioni strettamente correlate alle caratteristiche dell’istituto che si atteggiano, pertanto, a regole speciali, come quella dell’art. 95, comma 5, d.P.R. n. 207 sui requisiti di partecipazione.
5.3. Per le considerazioni svolte la censura svolta dall’appellante non merita condivisione per essersi Co. s.r.l. impegnata a eseguire i lavori oggetto dell’appalto “entro il 20% dell’importo complessivo dei lavori e non oltre la propria qualificazione SOA (OG6)”; l’impegno va letto come ottemperanza al limite imposto dall’art. 95, comma 5 cit., ma al tempo stesso limitazione della propria attività nei limiti dei requisiti di partecipazione effettivamente posseduti.
6. Con il settimo motivo di appello Sc. Co. s.r.l. censura la sentenza per “Error in iudicando – violazione del giusto procedimento” per aver il giudice di primo grado respinto il motivo di ricorso rivolto a contestare l’ammissione della controinteressata benché entrambe le imprese associate non fossero iscritte alla Cassa edile al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara.
6.1. La sentenza impugnata ha escluso che l’iscrizione degli operatori economici alla Cassa edile sia requisito di partecipazione imposto a pena di esclusione: non è previsto dal disciplinare di gara che si limita a richiedere l’allegazione del D.U.R.C. – documento unico di regolarità contributiva o la dichiarazione sostitutiva dell’impresa attestante la propria regolarità contributiva, né è imposto dall’interpretazione fornita dalla giurisprudenza amministrativa, che ha distinto tra regolarità contributiva richiesta al partecipante alla gara e regolarità contributiva richiesta all’aggiudicatario alla stipula del contratto (è richiamata l’Adunanza plenaria, 4 maggio 2012, n. 8); la conclusione del ragionamento del giudice di primo grado è che dall’art. 118, comma 6, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 si trae che la trasmissione alla stazione appaltante dell’iscrizione alla Cassa edile è adempimento richiesto al soggetto con il quale è stato stipulato il contratto e non al partecipante.
Infine, aggiunge la sentenza, la diversa ricostruzione, di richiedere la dimostrazione dell’iscrizione alla Cassa edile, sarebbe eccessivamente formalistica visto che l’interesse pubblico alla regolarità contributiva delle imprese si manifesta in forma cogente al momento della attualizzazione delle prestazioni dedotte in contratto.
7. Il motivo è infondato e va respinto sia pure per ragioni diverse da quelle esposte dal giudice di primo grado.
7.1. L’art. 38 (Requisiti di ordine generale), comma 1, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ratione temporis applicabile alla procedura in esame, stabilisce: “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti…i) che hanno commesso gravi violazioni, definitivamente accertare alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti” e al comma 2 che “Ai fini del comma 1, lett. i), si intendono gravi le violazioni ostative la rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’art. 2, comma 2, del d.l. 25 settembre 2002, n. 210 convertito, con modificazioni, dalla l. 22 novembre 2002, n. 266”.
La disposizione riconnette il possesso del requisito della regolarità contributiva al dato oggettivo del rilascio di D.U.R.C. regolare in coerenza con il decreto ministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015 (Semplificazione in materia di documento unico di regolarità contributiva DURC) che all’art. 2 (Verifica di regolarità contributiva), comma 1, precisa: “I soggetti di cui all’art. 1 possono verificare in tempo reale, con le modalità di cui all’art. 6, la regolarità contributiva nei confronti dell’INPS, dell’INAIL e, per le imprese classificate o classificabili ai fini previdenziali nel settore industria o artigianato per le attività dell’edilizia, nonché ai soli fini DURC, per le imprese che applicano il relativo contratto collettivo nazionale sottoscritto dalle organizzazioni per ciascuna parte, comparativamente più rappresentative, dalle Casse Edili.”.
E’, dunque, specificato che anche le Casse edili sono tenute ad attestare la regolarità contributiva dell’impresa, a condizione, però, che l’impresa verificata applichi il relativo contratto collettivo nazionale.
7.2. Contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, l’operatore economico concorrente – e non solamente l’affidatario del contratto – è tenuto a dimostrare la regolarità contributiva presso le Casse edili, ma a condizione di applicare ai propri dipendenti il contratto collettivo nazionale degli edili. In questo senso anche la circolare Ministero del lavoro e delle previdenza sociale 30 gennaio 2008 n. 5 (art. 2).
Tale conclusione è pienamente comprensibile poiché se v’è applicazione del relativo contratto di lavoro collettivo il datore di lavoro è tenuto a versare i contributi previdenziali anche alle Casse edili, viceversa, tale obbligo non sussiste, e non potrebbe richiedersi una verifica di regolarità contributiva presso un ente previdenziale al quale nessun contributo il datore è tenuto a versare.
In questa ricostruzione l’art. 118, comma 6, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 trova migliore spiegazione; è imposto il rispetto dei contratti collettivi nazionali relativi al settore nel quale si eseguono le prestazioni (“L’affidatario è tenuto ad osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazione”), onde, se il contratto di appalto prevede l’esecuzione di prestazioni edilizie, l’affidatario, quale che fosse il contratto collettivo in precedenza applicato ai lavoratori, è, comunque, tenuto ad applicare il contratto nazionale collettivo per i dipendenti delle imprese edili, con conseguente necessaria iscrizione alla Cassa edile.
Da ciò l’ulteriore previsione per la quale “L’affidatario e, per il suo tramite, i subappaltatori, trasmettono alla stazione appaltante prima dell’inizio dei lavori la documentazione di avvenuta denunzia agli enti previdenziali, inclusa la Cassa edile, assicurativi e infortunistici, nonchè copia del piano di cui al comma 7”.
7.3. In ragione delle considerazioni esposte il motivo di appello va respinto poiché la Im. Co. s.p.a. ha dichiarato di aver applicato ai propri lavoratori del contratto collettivo nazionale metalmeccanico e di non essere, pertanto, tenuta a versare contributi previdenziali alla Cassa edile.
Non avendo la Sc. Co. s.r.l. specificatamente contestato l’allegazione, non può neppure contestare la mancata iscrizione alla Cassa edile, né l’assenza di dichiarazione di regolarità contributiva da questa rilasciata.
8. Si passa all’esame dell’appello incidentale proposto dalla Im. Co. s.p.a.; sono, infatti, inammissibili, poiché esposte per la prima volta in appello e con memoria di replica, le ulteriori censure rivolte dalla Sc. Co. s.r.l. all’attività della stazione appaltante, peraltro relativa alla fase di esecuzione dei lavori.
9. Con il primo motivo di appello la Im. Co. s.p.a. si duole che la sentenza impugnata abbia respinto il primo e l’ultimo motivo di ricorso incidentale con il quale era censurata l’ammissione della Sc. Co. s.r.l. alla procedura di gara per aver allegato il certificato di qualità relativo ai soli lavori di categoria OG3 e non anche per quelli di categoria OG6, anch’essi oggetto del contratto di appalto.
9.1. Nel motivo di appello è contestato al giudice di primo grado di aver respinto il motivo di ricorso mediante richiamo al contratto di avvalimento sottoscritto dalla Sc. Co. s.r.l. con la Te. s.r.l. in quanto idoneo a supplire alla carenza del certificato di qualità . Senonchè, aggiunge nel presente grado di giudizio l’appellante incidentale, la Sc. Co. s.r.l. aveva acquisito, mediante avvalimento, la SOA necessaria per partecipare alla procedura e non il certificato di qualità ISO 9000, che costituisce attestazione avente natura e funzione diversa poiché diretto ad attestare la conformità del processo produttivo interno dell’impresa alle norme europee UNI EN ISO 9000.
D’altra parte, continua l’appellante incidentale, il contratto di avvalimento stipulato dalla Sc. Co. con la Te. s.r.l. conteneva un impegno assolutamente generico dell’ausiliaria a “mettere a disposizione” le proprie risorse e, come tale, inidoneo a consentire l’acquisizione dell’intero complesso aziendale ai fini della realizzazione dei lavori.
10. Il motivo di appello è infondato e va respinto.
10.1. E’ discusso, innanzitutto, se l’operatore economico che concorre per l’affidamento di lavori rientranti in una data categoria sia tenuto a dimostrare il possesso del certificato di qualità UNI IS0 9001 anche se, ai fini della qualificazione SOA per detti lavori, faccia ricorso all’avvalimento.
Per la sentenza impugnata il certificato di qualità può essere oggetto di avvalimento (è richiamata in tal senso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, 6 marzo 2013, n. 1368) e, nel caso di specie, assume il giudice, la Te. s.r.l., nel mettere a disposizione della concorrente, “tutte le risorse nessuna esclusa, per tutta la durata dell’appalto” ha ricompreso, in detta ampia dizione, anche il certificato di qualità .
10.2. Il ragionamento del giudice di primo grado va condiviso nel senso che, qualora l’operatore economico concorrente si avvale di altra impresa per acquisire il requisito di qualificazione SOA non posseduto per una data categoria di lavori, il certificato di qualità per quella categoria di lavori deve essere accertato in capo all’ausiliaria e non al concorrente.
E’ imposto dalla stessa natura della certificazione di qualità che, attestando la conformità di una organizzazione aziendale ai parametri europei, si riferisce al versante aziendale dell’impresa piuttosto che a quello personale. In tal senso, allora, richiedere il possesso della certificazione di qualità al concorrente per una categoria di lavori nell’esecuzione dei quali si avvarrà dei mezzi di un’ausiliaria significherebbe attestare un’organizzazione aziendale che, di fatto, non sarà utilizzata per l’esecuzione dell’appalto.
10.3. Ciò precisato, allora, l’esame deve spostarsi sul contratto di avvalimento per verificare se l’ausiliaria abbia effettivamente posto a disposizione dell’impresa concorrente l’organizzazione aziendale cui il certificato di qualità era riferito.
10.4. Per le considerazioni esposte, precisato che non è in contestazione il possesso dell’ausiliaria Te. s.r.l. del certificato UNI EN ISO 9001 – Ed. 2008, va esaminato il contenuto del contratto di avvalimento che l’appellante incidentale definisce generico e, per questo, inidoneo a consentire l’effettiva messa a disposizione dei mezzi.
Invero, l’esame del contratto di avvalimento consente a questo Collegio di ritenerne la piena idoneità a trasferire al concorrente i mezzi per l’esecuzione dell’appalto e, con essi, per le ragioni descritte, anche il certificato di qualità .
Nel contratto, infatti, risultano elencati i mezzi prestati e il numero degli addetti con successiva specificazione dei nominativi, onde esso risponde pienamente alla richiesta specificità dell’avvalimento operativo da parte della giurisprudenza amministrativa.
10.5. Discende dalla disponibilità del certificato di qualità per le ragioni precedentemente esposte la possibilità della concorrente di fornire la garanzia provvisoria in misura ridotta per gli artt. 40, comma 7, e 75, comma 7, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, ingiustamente, dunque, contestata dall’appellante.
11. Con il secondo motivo di appello incidentale la Im. Co. s.p.a. si duole del rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale rivolto a contestare l’ammissione della Sc. Co. s.r.l. per mancata prestazione di cauzione provvisoria da parte della ausiliaria: ripete l’appellante incidentale che se è vero come ritenuto dal giudice di primo grado (e qui confermato) che l’ausiliaria ha prestato anche il certificato di qualità, questa era tenuta a rendere garanzia provvisoria al pari dell’operatore economico concorrente.
12. Il motivo è infondato e va respinto.
L’art. 75 (Garanzie a corredo dell’offerta) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 richiedeva la prestazione di garanzia provvisoria a corredo dell’offerta, specificando, al comma 6, che “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo”; considerato che l’offerta è presentata dall’operatore economico concorrente e che da questi è stipulato il contratto con la stazione appaltante, non v’è spazio, né per la formulazione letterale della disposizione, né per la funzione stessa della garanzia provvisoria, per ritenere che anche l’ausiliaria, sia pure un caso di avvalimento c.d. operativo, come quello concluso dalla Sc. Co. s.r.l., sia tenuta a presentare cauzione provvisoria al pari del concorrente (in tal senso già Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2010, n. 8059 ove l’ulteriore argomento che porta alla conclusione accolta: “Una diversa soluzione non potrebbe argomentarsi nemmeno sul presupposto della responsabilità in solido della impresa ausiliaria (di cui all’art. 49, comma 4, e all’art. 50, comma 3, del codice dei contratti pubblici). L’obbligazione solidale comporta sicuramente la facoltà dell’amministrazione appaltante di pretendere l’adempimento delle prestazioni contrattuali da parte dell’impresa ausiliaria, ma questo non significa che l’impresa ausiliaria debba essere assoggettata ai medesimi oneri procedimentali cui sono sottoposte le imprese partecipanti alla gara (a meno che in tal senso non disponga espressamente la legge, come visto). In tal caso, qualora l’amministrazione intendesse rivolgersi all’impresa ausiliaria per l’adempimento delle prestazioni contrattuali, e si tratti della esecuzione di lavori, dovrà previamente verificare il possesso in capo all’impresa ausiliaria della qualificazione necessaria (posto che, indiscutibilmente, l’art. 40 impone che “i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici devono essere qualificati…”).”).
13. Con il terzo motivo di appello incidentale Im. Co. s.p.a. contesta la sentenza di primo grado per aver respinto il motivo del ricorso incidentale rivolto ad ottenere l’esclusione della Sc. Co. s.r.l. per mancata indicazione, in sede di offerta, del nominativo del soggetto subappaltatore dei lavori per la categoria OG11, per la quale essa risultava priva del richiesto requisito di qualificazione.
13.1. La sentenza, pur accertando che, contrariamente a quanto sostenuto nelle proprie difese, la Sc. Co. s.r.l. non era in possesso del requisito di qualificazione per la categoria di lavori scorporabili OG11, ha, però, escluso che per la mancata indicazione del nominativo la concorrente non potesse essere ammissa alla procedura perchè sufficiente, a tal fine, il possesso del requisito di qualificazione idoneo a garantire la copertura totale nella categoria prevalente, ritenuto condizione indispensabile per garantire pienamente la stazione appaltante, e, d’altra parte, la dichiarazione di volersi avvalere del subappalto, potendo riservarsi il concorrente in sede di esecuzione l’indicazione del nominativo dello stesso.
Avendo la Sc. Co. s.r.l. dimostrato il possesso di requisito di qualificazione per categoria OG6 in misura anche sovrabbondante grazie al contratto di avvalimento stipulato con la Te. s.r.l. e, d’altra parte, dichiarato di volersi avvalere del subappalto in sede di domanda di partecipazione, e tenuto, altresì, conto del fatto che il disciplinare di gara non richiedeva l’indicazione del nominativo del subappaltatore, non v’era ragione di escludere l’operatore economico dalla procedura.
13.2. La decisione del giudice di primo grado va condivisa e il motivo di appello incidentale respinto.
La questione, oggetto di contrastanti decisioni in giurisprudenza, è stata infine risolta dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 2 novembre 2015, n. 9 che, dopo aver precisato che: “Il combinato disposto degli artt. 92, comma 7 e 109, comma 2, d.P.R. cit. e 37, comma 11, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 chiarisce, poi, che il concorrente che non possiede la qualificazione per le opere scorporabili indicate all’art. 107, comma 2 (c.d. opere a qualificazione necessaria) non può eseguire direttamente le relative lavorazioni ma le deve subappaltare a un’impresa provvista della relativa, indispensabile qualificazione”, ha, poi, sul punto di specifico interesse per l’odierna vicenda, concluso: “Dall’esame della vigente normativa di riferimento può, in definitiva, identificarsi il paradigma (riferito all’azione amministrativa, ma anche al giudizio della sua legittimità ) secondo cui l’indicazione del nome del subappaltatore non è obbligatoria all’atto dell’offerta, neanche nei casi in cui, ai fini dell’esecuzione delle lavorazioni relative a categorie scorporabili a qualificazione necessaria, risulta indispensabile il loro subappalto a un’impresa provvista delle relative qualificazioni (nella fattispecie che viene comunemente, e, per certi versi, impropriamente definita come “subappalto necessario”).”.
La Sc. Co. s.r.l. ha dunque correttamente operato e il giudice di primo grado respinto il relativo motivo di ricorso.
14. Con l’ultimo motivo di appello incidentale la Im. Co. s.p.a. lamenta il rigetto del motivo di ricorso incidentale di contestazione dell’ammissione della Sc. Co. s.r.l. in assenza della dichiarazione del possesso dei requisiti generali ex art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 in capo ai responsabili tecnici dell’impresa concorrente e della sua ausiliaria.
Sostiene l’appellante incidentale che il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere dovuta la presentazione delle predette dichiarazioni solo da parte del direttore tecnico (in ragione delle funzioni di carattere tecnico organizzativo allo stesso attribuite), dando seguito a quella giurisprudenza per la quale non è dovuta la dichiarazione per i responsabili tecnici assegnati a specifico e settoriale ambito operativo, considerato, al contrario, che, nel caso di specie, le competenze attribuite loro erano integralmente equiparabili a quelle del direttore tecnico di cui all’art. 26 (Direzione tecnica)d.p.r. 25 gennaio 2000 n. 34 [Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell’articolo 8 della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni].
15. Il motivo di appello è infondato e va respinto.
L’art. 38, comma 1, lett. b) e c) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 imponeva la presentazione della dichiarazione del possesso dei requisiti generali solo al “direttore tecnico” e non richiamava, invece, la diversa figura del “responsabile tecnico”.
La giurisprudenza amministrativa ha in più occasioni confermato che il dato letterale non consente l’estensione ad una diversa figura presente nell’organigramma aziendale pena il divieto della previsione di cause di esclusione non prescritte (Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 2017, n. 601, sez. III 6 febbraio 2015, n. 619, sez. III 6 giugno 2014, n. 2888; sez. III, 10 aprile 2014, n. 1744) ed anche nelle pronunce in cui, al contrario, si è ritenuto necessario che la dichiarazione del possesso dei requisiti generali fosse presentata anche dal responsabile, si è specificato che tanto è necessario se nell’organigramma aziendale è presente la figura del solo responsabile tecnico e non anche quella di direttore tecnico (così Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 2012, n. 2820, Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2013, n. 4328).
15.1. Anche a voler fare applicazione dell’orientamento da ultimo ricordato, più favorevole alle ragioni dell’appellante incidentale, la Sc. Co. s.r.l. non era tenuta a presentare la dichiarazione del possesso dei requisiti generali da parte del responsabile tecnico poiché dotata di direttore tecnico, circostanza non contestata dall’appellante, e, perché, come riferito dalla stessa appellante il responsabile si occupava di uno specifico settore, la realizzazione di impianti di produzione e trasporto di energia elettrica, impianti idrosanitari e di acqua all’interno degli edifici.
16. In conclusione, l’appello principale della Sc. Co. s.r.l. va respinto come pure l’appello incidentale della Im. Co. s.p.a.; la sentenza di primo grado deve essere confermata.
17. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale di Sc. Co. s.r.l. e respinge l’appello incidentale di Im. Co. s.p.a.
Compensa tra tutte le parti in causa le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere, Estensore
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere

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