Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 30 marzo 2018, n. 2022. Il termine di impugnazione per gli strumenti urbanistici è ancorato alla data della loro pubblicazione o dalla comunicazione personale, e non alla data in cui il ricorrente ne afferma aver avuto piena conoscenza

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[…]

12.3. Nel caso di specie, la natura di atto a carattere generale a pubblicazione necessaria del provvedimento impugnato (delibera di Consiglio comunale di approvazione di variante al P.R.G.) rende inequivocabile la decorrenza del termine decadenziale dalla data di pubblicazione dello stesso (Cons. Stato, sez. IV, 22 agosto 2013, n. 4245; id., 13 giugno 2013, n. 3272; id., 22 febbraio 2013, n. 1097; id., 28 marzo 2011, n. 1868; id., 12 giugno 2009, n. 3730), restando ferma l’irrilevanza della data in cui il ricorrente ne abbia avuto piena conoscenza. Invero, sono sicuramente atti pianificatori, soggetti a pubblicazione necessaria, quelli recanti l’approvazione di piani regolatori generali o loro varianti (a contenuto generale o di ampie zone e comparti territoriali) (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5158).
12.4. La normativa applicabile sul punto va individuata nell’art. 124 del d.lgs. n. 267/2000 (rubricato “Pubblicazione delle deliberazioni”), alla stregua del quale, secondo la versione applicabile ratione temporis al caso di specie (ossia anteriore alle modifiche recate dall’art. 9, comma 5-bis, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17, dicembre 2012, n. 221), “tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante affissione all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge”.
12.5. Di qui l’esattezza della sentenza sul punto.
Risulta incontroverso, infatti, che la delibera di approvazione della variante 3 novembre 2006, n. 46 veniva pubblicata all’albo comunale in data 10 novembre 2006, restandovi per quindici giorni, quindi fino al 25 novembre 2006. E’ da tale data, conseguenzialmente, che deve essere fatto decorrere il termine per l’impugnazione giurisdizionale.
Non può quindi trovare accoglimento, in quanto del tutto destituita di fondamento, la diversa ricostruzione proposta dall’appellante secondo cui il termine di proposizione del ricorso dovrebbe cominciare a computarsi dalla scadenza dei 15 giorni decorrenti dal diverso momento dell’affissione all’albo pretorio dell’avviso di avvenuta approvazione della variante, ossia il 21 novembre 2006.
Invero, se, in primis, non risulta essere corretto il riferimento per ritenere integrata la pubblicazione, occorre peraltro considerare che per l’avviso di approvazione, a differenza di quanto considerato per la deliberazione di approvazione, non trova applicazione il differimento dell’esecutività di 15 giorni previsto dall’art. 124 TUEL. Conseguentemente, decorrendo in ipotesi il termine decadenziale dal 21 novembre 2006, il ricorso sarebbe ugualmente tardivo, essendo stato notificato in data 3 febbraio 2007.
12.6. E’ inammissibile, perché introduce un nuovo motivo di appello in violazione degli artt. 92, 101 comma 1 e 104 c.p.a., l’ulteriore censura riguardante la tardività del ricorso sollevata dall’appellante solo con memoria depositata l’11 gennaio 2018, secondo cui il termine per impugnare decorrerebbe, ai sensi dell’art. 13 della legge urbanistica regionale lombarda, dalla pubblicazione sul B.U.R.L. (intervenuta in data 20 dicembre 2006).
13. Con specifico riferimento al ricorso in appello di cui al R.G. n. 9876/2010, con un primo motivo si censura la pronuncia impugnata in merito alla valutazione della ricevibilità del ricorso di primo grado, stante l’erroneità della sentenza a causa della erronea qualificazione della domanda e del travisamento dei fatti.
13.1. Come anticipato nella parte in fatto, con separato ricorso (n. 751/2007) venivano infatti impugnate dinanzi al Tar per la Lombardia – Brescia le delibere di Giunta comunale:
a) di presa d’atto del collaudo tecnico finale dell’opera come variata e di approvazione di perizia estimativa e di alienazione del terreno del centro sportivo;
b) di approvazione di perizia suppletiva e modificativa;
c) di adozione della variante semplificata.
Il TAR dichiarava il ricorso irricevibile per tardività in quanto la censura della violazione dell’altezza massima avrebbe dovuto essere fatta valere impugnando i provvedimenti che la avevano originariamente assentita. Il ricorrente avrebbe infatti dovuto agire avverso l’approvazione del progetto con effetti di variante urbanistica con provvedimento del 1° marzo 2004, poi modificato con delibera n. 182 del 22 dicembre 2004, e non avverso i provvedimenti effettivamente impugnati, i quali, peraltro, sono sul punto più favorevoli per il ricorrente, prevedendo un’altezza massima di m. 9,64 rispetto agli iniziali m. 11,04. Peraltro, secondo il primo giudice, il ricorrente era a conoscenza della violazione dell’altezza sin dal 1° marzo 2004 o almeno dal 2005 (data di realizzazione delle opere).
13.2. In senso contrario, l’appellante sostiene che la pronuncia di irricevibilità si fonderebbe su un’erronea individuazione e qualificazione dei presupposti di fatto posti a fondamento della domanda. In particolare, a suo avviso, quest’ultima si concentrerebbe sulla censura dei provvedimenti di sanatoria che assentivano opere diverse da quelle previste dal progetto originario del marzo 2004 e difformi anche dalla normativa urbanistica vigente all’epoca della realizzazione dell’opera.
13.3. Ad avviso del Collegio, il motivo risulta infondato.
13.4. Al riguardo, ripercorrendo brevemente i fatti di causa, occorre ricordare che originariamente il progetto esecutivo veniva approvato con delibera di Giunta comunale n. 21 del 1° marzo 2004 e veniva successivamente integrato con variante in corso d’opera, approvata con delibera di Giunta comunale n. 182 del 22 dicembre 2004. E’ con tali provvedimenti che veniva prevista un’altezza dei campi da tennis coperti pari a m. 11,04, in deroga alla normativa in materia di altezze di cui all’art. 29 delle N.T.A. di P.R.G., ai sensi degli artt. 7 e 14 del d.P.R. n. 380/2001.
Con la successiva deliberazione di Giunta comunale n. 6 del 30 gennaio 2007 di approvazione della “perizia suppletiva, modificativa centro sportivo polivalente natatorio – lotto 2″ veniva invece previsto, così costituendo il relativo titolo abilitativo edilizio delle opere realizzate in variante, l'”abbassamento dell’altezza delle coperture dei campi da tennis da m. 11,04 come previsto dalle tavole allegate al progetto esecutivo (delib. G.M. 21/04) a mt. 9,664”.
13.5. Come correttamente affermato dal primo giudice, pertanto, l’interesse del ricorrente ad agire per il rispetto della normativa in materia di altezze trovava un primo inequivocabile pregiudizio nella citata deliberazione del 1° marzo 2004 ed è da tale momento che deve farsi decorrere il termine per l’impugnativa giudiziale.
Per converso, il provvedimento del 30 gennaio 2007 impugnato, sebbene abbia anch’esso ad oggetto la disciplina dell’altezza massima assentita per l’intervento de quo, consentendo l’ulteriore deroga alla normativa comunale, ha prodotto in realtà un effetto favorevole per il ricorrente in confronto alla preesistente regolazione, riducendo di fatto la possibilità di sviluppo in altezza (da m. 11,04 a m. 9,664).
13.6. D’altro canto, dal raffronto del ricorso di primo grado con l’impugnata sentenza non risulta, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, che il giudice di primo grado sia incorso in un travisamento dei fatti, poiché lo stesso atto difensivo, sebbene abbia ad oggetto le delibere impugnate censurandole sotto vari aspetti per vizi di legittimità, mira proprio a far emergere la dedotta violazione delle altezze massime normativamente consentite, mediante la copertura stabile dei campi da tennis.
13.7. In conclusione, va confermata la statuizione di irricevibilità per tardività del ricorso, in quanto l’interesse al rispetto dell’altezza massima poteva (e doveva) esser fatto valere impugnando il primo atto che ammetteva, in maniera asseritamente illegittima, la deroga e non, al contrario, attivandosi solo agendo avverso un atto adottato successivamente, che addirittura produceva l’effetto di ridurre il lamentato pregiudizio. Una diversa statuizione legittimerebbe, invero, l’elusione del termine decadenziale di impugnazione.
13.8. D’altro canto, a tali fini deve essere altresì considerato, a tutto voler concedere, che il momento di effettiva conoscenza da parte del ricorrente del superamento del limite di altezza deve essere individuato per lo meno dalla lettera che il sig. Ca., tramite l’avv. Ro., inviava in data 13 luglio 2006 al responsabile dell’ufficio tecnico.
13.9. In ragione di quanto considerato, quindi, del tutto correttamente il primo giudice ha dichiarato irricevibile il ricorso R.G. n. 751/2007, siccome tardivamente proposto.
14. Attesa l’infondatezza degli appelli, risultano inammissibili i motivi di ricorso di primo grado riproposti dall’appellante in questa sede.
15. La condanna alle spese del giudizio segue il principio di soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune appellato delle spese del grado di giudizio che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Carlo Schilardi – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore

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