Quando l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un provvedimento legittimante e l’amministrazione si sia tardivamente attivata ed abbia tardivamente provveduto all’adozione di un provvedimento di rigetto e/o di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo

Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 23 aprile 2018, n. 2407.

Quando l’edificazione sia avvenuta nella totale assenza di un provvedimento legittimante e l’amministrazione si sia tardivamente attivata ed abbia tardivamente provveduto all’adozione di un provvedimento di rigetto e/o di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può radicare un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.

Sentenza 23 aprile 2018, n. 2407
Data udienza 12 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8772 del 2009, proposto da Gi. La., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Sa. e Ma. Fe. In., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. Sa. in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato De. Da., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. En. Gi. in Roma, v.le (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 01823/2008, resa tra le parti, vincolo cimiteriale, diniego rilascio permesso in sanatoria, ordinanza di demolizione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);

Viste le memorie depositate dalle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti l’avv. An. Gi. su delega di De. Da.

FATTO e DIRITTO

1.La presente controversia ha per oggetto uno degli immobili costruiti abusivamente nel Comune di (omissis), in zona di inedificabilità assoluta per vincolo cimiteriale, per il quale il sig. Gi. La. presentò istanza per ottenere condono edilizio.

1.1. Il preavviso di diniego del 2005 fu motivato con l’esclusione della sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47 del 1985, rispetto ad opere edilizie senza titolo abilitativo costruite in zona già sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta di rispetto cimiteriale, ai sensi dell’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934.

1.2. Tutti i procedimenti avviati con l’avviso di diniego nei confronti dei numerosi proprietari di immobili costruiti nella zona di rispetto cimiteriale, che avevano presentato istanza sulla base dei tre condoni succedutisi nel tempo, furono sospesi, su impulso del Sindaco (nota 9 giugno 2005 al dirigente del settore tecnico del Comune e all’assessore competente), in esito agli interventi nei rispettivi procedimenti da parte dei privati. Questi avevano sostenuto la possibilità di una variante al P.R.G., per il recupero dell’intera zona abusiva, sulla base dell’art. 29 della l. n. 47 del 1985 e della modifica, apportata nel 2002, all’art. 338 cit.

1.3. La Giunta Comunale approvò la delibera n. 7 del 5 gennaio 2006, che concesse ai privati un termine (10 luglio del 2006) per la presentazione della proposta del piano di recupero (d’ora in poi PdR) ai sensi delle suddette norme; il dirigente tecnico provvide ad informarli.

1.4. Nell’imminenza della scadenza del termine, un Comitato denominato “il Recupero” con 46 aderenti, riferì di aver incaricato uno studio tecnico per redazione del PdR, chiese proroga del termine previsto; in alternativa, chiese la predisposizione dello stesso da parte del Comune, con disponibilità ad accollarsi l’onere di redazione. Seguirono vari incontri tra i privati e l’amministrazione.

1.5. Nei mesi successivi del 2006, il dirigente tecnico emanò il diniego di permesso in sanatoria per essere le opere abusive ricadenti in zona di inedificabilità assoluta ai sensi dell’art. 338 cit. e del vigente PRG. Con tale provvedimento, riepilogato l’intero iter del procedimento, si mise in evidenza che al Comune non era pervenuta alcuna proposta di PdR nei termini, ma solo la richiesta di proroga o, in alternativa, la richiesta di accollo della redazione da parte del Comune; richieste cui il Comune non intendeva accedere.

1.6. Nel luglio 2007 fu emanata l’ordinanza di demolizione, per opere abusive eseguite senza titolo abilitativo in zona di inedificabilità assoluta secondo PRG e il cit. art. 338.

2. Il ricorso al T.a.r. è stato proposto avverso il provvedimento di diniego e, con motivi aggiunti, avverso l’ordinanza di demolizione.

2.1. Con motivi, che in via di illegittimità derivata sono riferiti anche all’ordinanza di demolizione, il ricorrente ha dedotto:

a) in riferimento all’art. 2, co 2 l. n. 241 del 1990, l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione nell’avvio con ritardo del procedimento di diniego, a distanza di anni dalla istanza di condono, con conseguente affidamento nel buon esito dello stesso ingenerato negli istanti;

b) l’eccesso di potere, sotto il profilo della contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione, la quale nel dare seguito alle proposte degli istanti in sede di intervento nel procedimento di diniego, ha: – da un lato, ingenerando affidamento nei privati, espresso la volontà di recuperare la zona abusiva costruita nella fascia di rispetto del cimitero, mediante un PdR in variante, ai sensi dell’art. 29 della l. n. 47 del 1985, in collegamento con le modifiche apportate nel 2002, all’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934, oltre che adottato iniziative in zone vicine (parcheggio, albergo, isola ecologica); – dall’altro, indicando un termine per la presentazione della proposta del PdR e ritenendo lo stesso, senza motivazione in violazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 1999, a carattere perentorio, si è così determinata alla emanazione del provvedimento di diniego;

c) violando, peraltro, il principio del contrarius actus, posto che, mentre la volontà di addivenire ad un PdR era stata espressa dalla GC, l’ordine di demolizione, che esprime la volontà dell’amministrazione di considerare il termine perentorio e di non accedere alle richieste di proroga fatte dai privati o, in alternativa, di redigere essa stessa un PdR, è stato emanato dal dirigente della ripartizione tecnica.

3. Il T.a.r. ha rigettato il ricorso sulla base delle argomentazioni essenziali che seguono:

a) secondo la giurisprudenza consolidata il vincolo di non edificabilità della fascia di rispetto, posto dall’art. 338 cit. è un vincolo legale assoluto ed inderogabile, a presidio di numerosi interessi pubblici, anche diversi da quelli propriamente urbanistici; vincolo indipendente dagli strumenti urbanistici vigenti e cogente anche in caso di contrasto con i medesimi;

b) pure costante è la giurisprudenza nel precludere il rilascio della concessione in sanatoria per i manufatti realizzati abusivamente in zona assolutamente inedificabile, senza la necessità di ulteriori accertamenti in ordine alla concreta compatibilità dell’immobile con i valori tutelati dal vincolo;

c) la tesi del ricorrente, secondo la quale la modifica all’art. 338 cit., quale introdotta dall’art. 28, co. 1. l. b) della l. n. 166 del 2002, legittimerebbe, in collegamento con l’art. 29 della l. n. 47 del 1985, la predisposizione di un PdR della zona abusiva nella fascia di rispetto, stante la previsione del vigente comma 5 del suddetto articolo, che attribuisce al Consiglio comunale, per l’attuazione di un intervento urbanistico e previo parere favorevole della ASL, il potere di ridurre la fascia di rispetto mediante l’autorizzazione all’ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici, non è fondata perché:

I) la riduzione della zona di rispetto è un potere discrezionale del Comune;

II) oggetto della controversia sono i provvedimenti di diniego del condono e l’ordinanza di demolizione, e non il PdR, che non riesce a decollare;

III) la realizzazione dell’opera abusiva nell’area sottoposta a vincolo assoluto di inedificabilità è presupposto sufficiente ad imporre la conclusione sfavorevole del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 33 della l. n. 47 del 1985.

d) qualora, come nella specie, venga in rilievo un vincolo assoluto e insanabile previsto dall’art. 33 cit., è esclusa la formazione del silenzio/assenso, il ché porta ad escludere qualunque rilievo all’affidamento;

e) tanto vale anche nei confronti del PdR, abbandonato dall’amministrazione per il decorso del termine previsto senza ulteriore motivazione, perché oggetto della controversia non è il PdR ma il diniego di sanatoria, anche a prescindere dalla mancanza di particolare conferenza del PdR rispetto ad opere abusive in zona di inedificabilità assoluta;

f) per escludere la violazione del principio del contrarius actus vale la considerazione che oggetto del giudizio sono i provvedimenti di diniego e di demolizione; soprattutto, è dirimente la circostanza che per la legittimità degli stessi è sufficiente che le opere abusive ricadono in zona di inedificabilità assoluta; ragione posta a fondamento dal dirigente comunale che li ha emanati.

4. L’appello ripropone le censure di primo grado, anche prospettando profili nuovi come tali inammissibili ai sensi dell’art. 104 c.p.a.

4.1. Critica la decisione per aver desunto l’irrilevanza dell’affidamento dalla non applicabilità del silenzio/assenso quando venga in rilievo un vincolo assoluto e insanabile previsto dall’art. 33 cit., mentre non era stata dedotta la formazione del silenzio/assenso; sostiene l’appellante, con nuova argomentazione, che dopo tanti anni dall’istanza, il diniego e la demolizione non possono fondarsi sul mero ripristino della legalità violata, perché sarebbe necessaria una nuova valutazione degli interessi pubblici in contemperamento con il sacrificio del privato, accompagnata da adeguata motivazione sull’esistenza del rinnovato interesse dell’amministrazione in concreto.

4.2. Deduce, per la prima volta in appello, la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per non essere idoneo l’unico preavviso inviato dopo che nel procedimento ne era stato inserito uno nuovo relativo al PdR.

4.3. Quanto alla contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione, insiste sul carattere non perentorio del termine concesso per la presentazione della proposta di PdR e sulla necessità che la scelta della stessa amministrazione di abbandonarlo avrebbe dovuto essere motivata, essendosi ingenerato affidamento, in ordine al venir meno dell’interesse pubblico.

4.4. In riferimento al contrarius actus, sostiene che la prospettiva assunta dal primo giudice nel ritenere che i provvedimenti gravati sono il diniego e la demolizione e non la decisione di non dar luogo al PdR, finisce con il trascurare che quelli gravati sono la conseguenza della decisione di non realizzare l’intervento di recupero che avrebbe dovuto essere presa dalla stessa Giunta, avendo creato se non diritti, aspettative e affidamento, tanto più che, con del. n. 142 del novembre 2007, il Consiglio Comunale ha di nuovo espresso un indirizzo per il PdR.

5. Preliminarmente deve essere affrontato un profilo dedotto dall’appellante con memoria difensiva.

5.1. L’appellante fa istanza < /> e chiede al Consiglio di < />.

Alla base della richiesta pone tre documenti successivi all’ordinanza di demolizione, il primo già prodotto in primo grado, gli altri due successivi alla sentenza. In particolare, rileva che il Comune:

a) con la delibera del CC n. 142 del 22 novembre 2007, ha espresso l’indirizzo: – di conservare il patrimonio edilizio abusivo esistente impegnandosi a redigere un PdR, con oneri per la redazione e attuazione a carico degli interessati che abbiano presentato domanda per uno dei condoni; – di sospendere i procedimenti sanzionatori; – di adottare i provvedimenti sanzionatori nel caso di non adesione nei termini e nei modi da fissarsi dagli organi preposti;

b) con la delibera della GM n. 389 del 30 novembre 2009, ha approvato lo schema dell’atto d’obbligo;

c) nel febbraio 2009, ha avviato la procedura espropriativa per la costruzione di un nuovo cimitero comunale.

Sostiene l’appellante, che data la volontà espressa con i suddetti atti di conservare il patrimonio edilizio abusivo, e il contrasto di questi atti con i provvedimenti (diniego di condono e ordine di demolizione) gravati, questi ultimi sono espressione di eccesso di potere per contraddittorietà con la sopravvenuta decisione di recuperare gli insediamenti abusivi e di sospendere le demolizioni.

5.2. Il Comune, depositando successiva memoria, si è difeso nel merito, prescindendo completamente dalla richiesta avanzata dall’appellante.

5.3. All’udienza pubblica, in assenza dell’avvocato dell’appellante, l’avvocato del Comune (Gi. su delega di Da.) ha aderito alla richiesta di improcedibilità depositata dall’appellante.

5.4. L’istanza è priva di pregio.

5.4.1. Va in primo luogo rilevata l’ambiguità della richiesta di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse dell’appellante/ricorrente, destinatario di provvedimenti sfavorevoli, poiché non si comprende se la declaratoria di rito sia domandata rispetto all’appello o al ricorso dinanzi al T.a.r.

A parte tale profilo, la richiesta di improcedibilità è argomentata sulla base della pretesa contraddittorietà tra i provvedimenti gravati e le scelte di segno diverso del Comune adottate mediante atti successivi agli stessi: ma tali scelte risultano preesistenti rispetto alla proposizione dell’appello ed è proprio con riferimento ad esse che l’appellante deduce la lesione dell’affidamento.

Ne consegue che l’appellante non può riferirsi al medesimo comportamento del comune prima per contestare la legittimità dei provvedimenti gravati e poi per predicare la propria sopravvenuta mancanza di interesse.

5.4.2. Quanto alla richiesta di dare atto della cessazione della materia del contendere, va rilevato che, allo stato, il PdR è restato una mera possibilità. Infatti, dopo l’indirizzo in tal senso espresso dal Consiglio Comunale, all’approvazione dello schema dell’atto d’obbligo, nel lontano 2009, non ha fatto seguito alcuna adesione da parte dei richiedenti il condono; adesione che non è neanche dedotta come avvenuta dall’appellante; mentre, proprio la sottoscrizione dell’atto d’obbligo è il presupposto assunto dal Comune affinché si avvii la redazione del PdR.

Di conseguenza la pretesa sostanziale del ricorrente non risulta assolutamente soddisfatta e quindi non sussiste il presupposto (cfr. art. 34 comma 5 c.p.a.) per dichiarare cessata la materia del contendere

5.4.3. Del tutto non influente è, poi, l’avvio della procedura espropriativa per costruire un nuovo cimitero, posto che l’area di rispetto cimiteriale di quello esistente è vincolata dalla legge anche per ragioni igienico sanitarie e di rispetto della sacralità.

6. Passando al merito, l’impugnazione, in parte inammissibile, è infondata.

6.1. E’ inammissibile laddove si deduce, per la prima volta in appello, la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, per non essere idoneo l’unico preavviso inviato dopo che nel procedimento ne era stato inserito uno nuovo relativo al PdR.

6.2. Per il resto è infondata, preferendosi, sulla base della ragione più liquida, rigettare nel merito anche laddove sono inserite argomentazioni nuove (cfr. § 4.1.)

7. Ancora preliminarmente, va precisato che: – a) non è controverso il carattere abusivo degli interventi edilizi e la loro realizzazione nella zona di rispetto cimiteriale in epoca successiva al vincolo legale; – b) è irrilevante la diversa epoca di presentazione delle domande di condono rispetto ai singoli richiedenti, i quali hanno proposto istanza sulla base dei tre condoni che si sono succeduti nel tempo; infatti l’art. 33 della l. n. 47 del 1985 è richiamato dall’art. 39, co. 1, della l. n. 724 del 1994 ed è fatto salvo dall’art. 32, co. 27 del d.l. n. 269 del 2003, conv. nella l. n. 326 del 2003.

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