Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 20 ottobre 2017, n. 4850. La disciplina delle distanze dagli allevamenti rispetto agli altri edifici,

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7.1. Violazione di legge (art. 21 l. Tar): improcedibilità del ricorso per omessa notifica al controinteressato.

L’appellante assume che, benché la denuncia di inizio di attività sia stata presentata dal proprio dante causa signor Gi. Do. De., l’atto introduttivo del giudizio non avrebbe dovuto essere notificato, in qualità di controinteressato, a quest’ultimo, bensì alla società Im. He., giacché essa sarebbe la sola a potere vantare un effettivo contrario interesse all’accoglimento del ricorso a motivo della possibilità di realizzare l’intervento edilizio. D’altra parte – precisa l’appellante – i ricorrenti ben avrebbero potuto rendersi conto della qualità di controinteressato della He. dal momento che l’atto di acquisto dell’immobile per atto notaio dott. Va. di Mo. è stato trascritto presso i Registri Immobiliari in data 18.2.2003 (nn. 74712/8634), dunque prima della proposizione dell’impugnazione (il ricorso è stato portato alla notificazione il 2.4.2003).

La doglianza non può trovare accoglimento.

Secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa “Nel processo amministrativo la figura del controinteressato – proiezione processuale della titolarità di interessi sostanziali antagonistici rispetto a quello fatto valere in giudizio dal ricorrente – presuppone il positivo riscontro di due caratteri: un elemento formale, dato dall’indicazione nominativa dell’interessato nel provvedimento o, comunque, dalla chiara, univoca ed agevole identificabilità aliunde dello stesso, ed un elemento sostanziale, rappresentato dalla coagulazione, prodotta in via diretta ed immediata dal provvedimento, di un interesse sostanziale analogo e contrario a quello che informa la posizione del ricorrente, di contro specularmente interessato all’annullamento dell’atto” (ex multis, tra gli ultimi arresti, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 aprile 2017, n. 1701).

Nel caso di specie è rimasto accertato, in via documentale, che la d.i.a. è stata presentata dal signor De.; la stessa, inoltre, non risulta essere stata (o comunque, di ciò non vi è prova agli atti del giudizio) mai volturata in favore della società He.. Ciò induce a ritenere correttamente individuata la persona del controinteressato ai fini della rituale instaurazione del giudizio: sia sul piano formale che su quello sostanziale, infatti, il signor De. risultava essere colui che, intestatario del titolo edilizio, avrebbe potuto trarre concreto ed effettivo vantaggio dalla potenzialità edificatoria dell’immobile.

Né del resto, potrebbe porsi a carico del soggetto ricorrente (già gravato dell’incombenza di verificare eventuali posizioni di controinteresse risultanti dall’atto impugnato) l’ulteriore onere di verificare un (eventuale) trasferimento del diritto di proprietà del bene per il quale era stato richiesto l’intervento edilizio, giacché le modificazioni, dal lato soggettivo, dell’intestazione della proprietà del bene, non valgono ad incidere sul contenuto dell’atto amministrativo, nella species – peraltro – nemmeno oggetto di voltura.

L’onere di cui è gravato il ricorrente, infatti, è da ritenersi delimitato rispetto a ciò che risulta dal tenore letterale e sostanziale dell’atto impugnato, non potendo esigersi dal medesimo il compimento di attività che travalicano il detto perimetro e che importerebbero la consultazione di atti (nella species, quelli trascritti presso i Registri Immobiliari) nemmeno indicati nell’atto impugnato o altrimenti risultanti.

7.2. Inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso per decorrenza del termine di impugnazione.

L’appellante ritiene tardiva l’impugnazione poiché proposta (il 2 aprile 2003) oltre il termine decadenziale di sessanta giorni decorrente (a suo dire) dallo scadere del termine di venti giorni entro il quale, nel vigore della previgente disciplina, l’amministrazione poteva inibire l’inizio dei lavori. Nella ricostruzione prospettata dall’appellante, infatti, la d.i.a. risulta essere stata presentata il giorno 23 dicembre 2002, mentre il termine di venti giorni sarebbe venuto a scadere il 12 gennaio 2003. Inoltre, aggiunge l’appellante, è provato in via documentale che i ricorrenti fossero a conoscenza della presentazione della d.i.a. per avere essi stessi richiesto, in data 11 gennaio 2003, di potere partecipare al procedimento.

Anche l’anzidetto motivo è privo di fondamento.

Va premesso che la controversia origina dalla presentazione di una d.i.a. per la realizzazione di un edificio di civile abitazione.

All’epoca della proposizione del ricorso era invalsa nella giurisprudenza amministrativa, non senza contrasti, la tesi della qualificazione della d.i.a. in termini di atto amministrativo tacito direttamente impugnabile. L’introduzione, ad opera dell’art. 6, comma 1, lettera c) del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, di un comma 6-ter all’art. 19 della legge n. 241/1990, ha determinato il venir meno del dibattito giurisprudenziale e dottrinario in argomento e il definitivo superamento anche delle conclusioni cui era giunta la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 15 del 2011.

Del tutto correttamente, pertanto, nel caso di specie, non è stata fatta questione della diretta impugnabilità della d.i.a., sia nel primo grado del giudizio che nel presente, né ad opera delle parti né del giudice, sicché è a detto quadro normativo e d’interpretazione giurisprudenziale che si deve fare riferimento quanto al profilo concernente l’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il termine per l’impugnazione.

È principio indiscusso nella giurisprudenza amministrativa che l’anzidetto termine decorre dalla notificazione del provvedimento o dalla sua comunicazione individuale e, in ogni caso, dalla piena conoscenza avutane dal ricorrente, quanto almeno alla sua giuridica esistenza, ai suoi elementi essenziali ed all’attitudine lesiva.

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