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1.4.1. Anche in questo caso, il Collegio è persuaso della esattezza della soluzione prescelta dal T.a.r., in quanto:
a) è incontestato che il P.r.g. del Comune di Barletta del 1971 prevedesse che su una striscia di terreno in origine di pertinenza della odierna parte appellante dovesse sorgere una strada;
b) è parimenti incontestabile che il 5 marzo 1985 la Signora St. cedette al comune detta striscia di terreno con atto di cessione n. 64115 del 5 marzo 1985, regolarmente trascritto nella Conservatoria dei Registri Immobiliari di Trani in data 7 maggio 1985, e che con la delibera del Consiglio Comunale di Barletta n. 152 del 29 giugno 1987 detta cessione venne accettata (la delibera aveva ad oggetto “Accettazione cessione suolo da parte della sig/ra St. An. ved. Pe.”);
c) proprio la previsione relativa all’utilizzo cui era preordinata detta striscia di terreno, avvalora l’intuizione del T.a.r. secondo la quale, (in disparte la indicazione esplicita contenuta nella citata delibera del Consiglio Comunale di Barletta n. 152 del 29 giugno 1987di ciò che ci si accinge ad esporre) v’era un legame sinallagmatico tra il progetto presentato dalla sig. ra St. An., vedova Pa., in qualità di proprietaria di un suolo ubicato nel Comune di Barletta in contrada (omissis) della superficie di mq. 17652 per la recinzione dei predetti suoli (approvato dalla locale Commissione edilizia in data 19 dicembre 1984) e la cessione gratuita al Comune di Barletta della minore superficie di mq. 2194, staccata dalla precedente superficie, “per la formazione della Nuova Strada di Piano Regolatore Generale”;
d) sia la espressa indicazione contenuta nell’atto di cessione, che la delibera consiliare, che infine, l’atto di trascrizione congiurano nel ritenere pienamente provata tale circostanza.
1.4.2. Fermandosi per un attimo a soppesare le conseguenze di quanto si è sino a questo momento evidenziato, tutte le censure di parte appellante volte ad avversare la conclusione secondo cui il comune fosse divenuto proprietario dell’area sono inaccoglibili, in quanto:
a) nessuna sentenza del giudice civile ha mai posto nel nulla detto atto di cessione;
b) la tesi secondo cui esso sarebbe stato invalido in quanto non sarebbe stata necessaria la concessione per procedere alla recinzione dell’area, è apoditticamente affermata, e non è neppure esatta in quanto collide con la consolidata giurisprudenza secondo la quale (tra le tante Consiglio di Stato, sez. V, 26 ottobre 1998, n. 1537 “la concessione edilizia non è necessaria per modeste recinzioni di fondi rustici senza opere murarie, e cioè per la mera recinzione con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la recinzione rientra solo tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “jus excludendi alios”; occorre, invece, la concessione, quando la recinzione è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica.”);
c) in disparte il nomen iuris impresso al titolo abilitativo, non v’è contezza della tipologia di recinzione realizzata a quel tempo, ed in ogni caso, ed a tutto concedere, tale tesi non potrebbe in alcun modo giovare all’appellante: l’atecnico richiamo al concetto di “nullità” è errato: semmai, dovrebbe dirsi, a tutto concedere, che la parte sarebbe incorsa in un errore essenziale in ordine alla doverosità della cessione dell’area, in quanto finalizzata ad ottenere la concessione per la realizzazione della recinzione: vi sarebbe quindi un negozio viziato da errore (in tesi essenziale, ai sensi del disposto di cui all’art. 1429, n. 3 c.c.): ma tale vizio del consenso non è mai stato fatto valere nei termini di legge attraverso un’azione volta alla annullabilità della pattuizione, e la stessa è ormai improponibile;
c) per altro verso, ad abundantiam l’appellante non ha contestato né smentito la deduzione secondo cui la “recinzione” realizzata consisteva in un muro, per cui la concessione edilizia si appalesava necessaria, ed il diverso nomen attribuito al provvedimento abilitativo rilasciato alla odierna appellante non rileva affatto;
d) tale tipologia di negozio era perfettamente consentita dalla antevigente legislazione -e lo è tuttora- come riconosciuto dalla giurisprudenza ordinaria di legittimità (si veda Cassazione civile, sez. I, 20 luglio 1988 n. 4715 sulla quale di seguito ci si soffermerà più approfonditamente);
e) per completezza si rileva altresì che è certamente irricevibile l’impugnazione “diretta” della citata delibera consiliare n. 152 del 29 giugno 1987, per le considerazioni a più riprese affermate dalla giurisprudenza amministrativa (si veda, di recente, Consiglio di Stato, sez. IV 8 settembre 2016 n. 3825, considerando 2.3.).
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