La convenzione intercorsa tra le parti, pur sostituendo l’adozione di un provvedimento amministrativo, non assume carattere eminentemente civilistico, essendo riconducibile all’alveo applicativo dell’art. 11, l. n. 241 del 1990

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 12 luglio 2018, n. 4251.

La massima estrapolata:

La convenzione intercorsa tra le parti, pur sostituendo l’adozione di un provvedimento amministrativo, non assume carattere eminentemente civilistico, essendo riconducibile all’alveo applicativo dell’art. 11, l. n. 241 del 1990 quale accordo amministrativo accessivo ad un titolo edilizio. Ricondotte le convenzioni urbanistiche nell’alveo dell’art. 11 citato, le controversie relative alla loro esecuzione soggiacciono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attualmente confermata dagli artt. 7, 133, comma 1, lett. a), n. 2, e 133, comma 1, lett. d), c.p.a..

Sentenza 12 luglio 2018, n. 4251

Data udienza 24 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7969 del 2011, proposto dal Fallimento Ma. Co. s.r.l., in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. D’An., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Na. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Co. Me. e Ga. Pa., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale (….);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Liguria, Sezione I, n. 745 dell’11 febbraio 2011, resa inter partes, concernente scioglimento di vincolo per la stipula di convenzione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 maggio 2018 il consigliere Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, gli avvocati Na., su delega di An. D’An., e Ga. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto davanti al T.a.r. per la Liguria, Sezione I, dopo pronuncia declinatoria della propria giurisdizione da parte del Tribunale di Genova inizialmente adito, il Fallimento Ma. Co. s.r.l. (in prosieguo il Fallimento) ha chiesto – previo accertamento dell’intervenuto scioglimento del vincolo sorto in capo alla stessa in forza della convenzione stipulata in data 11 dicembre 2000 con il Comune di (omissis) e la conseguente liberazione dall’obbligo di trasferire a favore di detto Ente le aree di cui all’art. 7 bis della convenzione – “di condannare il Comune di (omissis) a liberare le aree di proprietà della Ma. Co. Srl occupate dall’Amministrazione ed a provvedere alla riconsegna delle medesime a favore del Fallimento”.
2. Con tale gravame, il Fallimento ha precisato che:
a) con la menzionata convenzione si impegnava a realizzare, nell’area di proprietà, plurimi “boxes ad uso posteggio automobilistico privato nel dislivello del piano interrato e con accesso dal fronte di Via (omissis)” nonché a realizzare, sulla superficie sovrastante, opere e strutture destinate a renderne possibile l’utilizzazione pubblica e ad effettuarne il trasferimento gratuito in favore del Comune di (omissis) a copertura del contributo per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria;
b) l’art. 9 della convenzione disponeva espressamente la facoltà del Comune “di intervenire sostituendosi nell’esecuzione e rivalendosi per i danni sulla cauzione di cui al successivo punto 11”, consistente in una polizza fideiussoria di Lire 111.258.537 effettivamente prestata;
c) per l’esecuzione dei lavori di realizzazione dei box veniva rilasciata a favore della società la concessione edilizia n. 5632 del 19 dicembre 2000, con la successiva realizzazione delle opere e cessione a terzi;
d) non venivano invece realizzate le opere e le strutture di cui all’art. 3 della convenzione, e, conseguentemente, non veniva attuata la promessa cessione gratuita dell’area a favore del Comune;
e) quest’ultimo non attivava però i rimedi disposti in suo favore dai menzionati artt. 9 e 11 della convenzione;
f) dichiarato il 16 marzo 2006 il fallimento della società e nominato il curatore della procedura, il Comune rivolgeva, in data 2 maggio e 15 giugno 2006, formale richiesta di esatto adempimento degli obblighi derivanti dalla citata convenzione;
g) il Comune quindi occupava senza titolo detta area adibendola a parcheggio pubblico.
3. Costituitasi l’Amministrazione, il Tribunale, con la sentenza in epigrafe (n. 745 dell’11 febbraio 2011), ha respinto il ricorso e compensato le spese di lite, rilevando quanto segue:
– “il curatore della procedura ha esercitato il diritto previsto dall’art. 72 l. fall., chiedendo per conseguenza di non adempiere all’obbligazione che la società non aveva onorato con la prestazione dedotta in convenzione”;
– “L’amministrazione comunale ha ritenuto di non accettare la manifestazione di volontà della controparte, e ha mantenuto l’occupazione dell’area di cui non ha ottenuto la convenuta cessione in proprietà, esercitando con ciò una potestà di autotutela inquadrabile nella previsione dell’art. 823 comma 2 cc.”:
– “l’amministrazione comunale mostra di considerare infungibile la possibilità di poter disporre dell’area da destinare a sosta di vetture nel sito indicato, e non pare tollerare che la procedura disponga altrimenti del bene, in modo da sovvertire la funzione di disegno del territorio che aveva a suo tempo indotto alla stipulazione della convenzione”;
– “la curatela rivendica una potestà che discende da una ben individuata previsione normativa, a cui il comune di (omissis) oppone l’esercizio di una pubblica potestà che trova fondamento nella previsione degli artt. 823 cc e 11, comma 4 della legge 7.8.1990, n. 241”;
– “la volontà manifestata dalla p.a. di considerare indefettibile la destinazione pubblica dell’area per cui è lite prevale sulla potestà che l’art. 72 l. fall attribuisce al curatore”.
4. Avverso tale pronuncia, la società ha interposto appello, ritualmente notificato il 26 settembre 2011, articolando undici motivi di gravame (pagine 30 – 58) nei termini di seguito sintetizzati:
I) controparte “ha inammissibilmente mutato nel corso del giudizio la causa petendi della domanda di rigetto del ricorso del Comune, inizialmente fondata sulla – sola – pretesa inapplicabilità alla fattispecie del disposto dell’art. 72 L.F.”;
II) la sentenza sarebbe nulla per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato se la statuizione del giudice fosse da intendere come implicito riconoscimento dell’acquisto del diritto in capo all’Amministrazione comunale, siccome accertamento mai richiesto da parte resistente;
III-IV) tale accertamento sarebbe comunque non assistito da adeguata motivazione, oltre che contraddittorio, avendo lo stesso Tribunale preso atto che la convenzione, alla stregua di un contratto preliminare, ha generato soltanto l’obbligazione di trasferire, mai eseguita, cosicché l’effetto reale in favore del Comune non si è mai prodotto;
V) nemmeno il Comune ha allegato l’esercizio di una potestà pubblica incorrendo ancora una volta il Tribunale nel vizio di extrapetizione o ultrapetizione;
VI) l’art. 823 comma 2 codice civile è inapplicabile sia perché il Comune non ha acquisito la proprietà o il possesso del bene – tant’è che la consegna anticipata, ove mai avvenuta, avrebbe l’effetto di trasferire la detenzione dell’area – sia perché è intervenuta la dichiarazione del Curatore di sciogliersi dal vincolo;
VII-VIII) non pertinente è il richiamo operato dal Tribunale all’art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990 non essendosi il Comune mai sciolto dalla convenzione o chiesto alcun accertamento in tal senso;
IX) l’art. 72 della legge fallimentare è suscettibile di applicazione alle convenzioni urbanistiche;
X) è erronea la sentenza laddove ritiene applicabile l’art. 12 delle preleggi, con la conseguente applicazione di “altri metodi argomentativi”;
XI) non si attaglia alla vicenda la, pur immotivatamente richiamata dal Tribunale, diversa disciplina in tema di edilizia residenziale pubblica.
5. In data 28 novembre 2011 si è costituito il Comune di (omissis) al fine di eccepire l’inammissibilità del gravame per omessa articolazione dei singoli motivi e chiedere comunque la sua reiezione per infondatezza.
6. In vista della trattazione nel merito del gravame le parti hanno svolto difese scritte.
7. L’appello, discusso alla pubblica udienza del 24 maggio 2018, non merita accoglimento.
8. L’infondatezza dell’appello, per le ragioni di seguito esposte, rende superflua la disamina dell’eccezione di inammissibilità dello stesso sollevata dalla parte appellata.
9. Inammissibile è il primo motivo, col quale si lamenta che il Comune avrebbe mutato la prospettazione delle proprie ragioni innanzi al T.a.r. rispetto alle difese assunte davanti al Giudice civile opponendo l’intervenuto acquisto delle aree oggetto dell’obbligo di trasferimento. Invero, come eccepito dalla parte appellata, l’oggetto delle critiche sollevate con l’atto di appello può riguardare soltanto la pronuncia del Giudice di primo grado e non anche le difese di controparte; né risulta, come ammette lo stesso appellante con il motivo sub II), che il Comune abbia rivolto al Tribunale una domanda in via incidentale, in quanto tale ampliativa del thema decidendum, ai fini dell’accertamento della proprietà dell’area, essendosi limitato a controdedurre all’iniziativa di controparte chiedendone il rigetto.
10. Prima di esaminare gli ulteriori motivi di appello, occorre rimarcare che l’oggetto del presente giudizio, così come scolpito dalla domanda rivolta dal ricorrente di primo grado al Tribunale e riproposta in questa sede, consiste nell’accertamento dei presupposti applicativi dell’istituto di cui all’art. 72 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), a mente del quale “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto”.
10.1. Di questo mostra consapevolezza lo stesso appellante, che, nel contesto del decimo motivo, ricorre alla seguente affermazione: “La norma di legge sulla cui scorta doveva essere decisa la controversia era l’art. 72 L.F.” (cfr. pagina 55 dell’appello).
10.2. In altre parole, il Fallimento Marcolini, con il ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Liguria, chiedeva la restituzione delle aree in questione invocando proprio l’applicazione della norma de qua di guisa che non compete al Collegio accertare la proprietà del bene, questione sulla quale l’appellante ha lungamente articolato le proprie deduzioni (II-VIII, X). Ne consegue che la soluzione della questione agitata nella presente controversia non involge l’individuazione del soggetto proprietario dell’area, bensì riflette il quesito se il curatore, come preteso dal ricorrente di primo grado, possa sottrarsi ai vincoli derivanti dall’atto paritetico stipulato con il Comune attraverso la unilaterale manifestazione di volontà dismissoria ex art. 72 della legge fallimentare. I motivi anzidetti sono quindi da respingere in quanto non in grado di scardinare il percorso logico-argomentativo seguito del Collegio di prime cure nel dirimere la questione sottesa al ricorso e che attiene alla disamina dei presupposti applicativi dell’art. 72.
11. Va quindi esaminato il nono motivo d’appello, col quale il Fallimento ritiene tale norma suscettibile di applicabile al caso controverso.
Al riguardo, occorre innanzitutto rilevare che la convenzione intercorsa tra le parti, pur sostituendo l’adozione di un provvedimento amministrativo, non assume carattere eminentemente civilistico essendo riconducibile all’alveo applicativo dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 quale accordo amministrativo accessivo ad un titolo edilizio. In tal senso ha avuto modo di esprimersi questo Consiglio precisandosi che, ricondotte le convenzioni urbanistiche nell’alveo dell’art. 11 citato, le controversie relative alla loro esecuzione soggiacciono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attualmente confermata dagli art. 7, 133, comma 1, lett. a) n. 2, e 133, comma 1, lett. d) c.p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 02 febbraio 2012, n. 616). E’ ben noto che la fattispecie scolpita dall’art. 11 è di difficile inquadramento presentando profili che depongono ora per la natura civilistica ora per quella pubblicistica. Sulla questione, non scevra da accenti problematici lungi dall’addivenire ad una soluzione univocamente recepita, si è espresso questo Consiglio, optando decisamente per la natura di diritto pubblico dell’accordo sulla base del fatto che essa ha ad oggetto l’esercizio consensuale della potestà pubblica (contratto ad oggetto pubblico) (di recente, Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2018, n. 1119). Già da tale preliminare qualificazione della natura giuridica della fattispecie discende l’esclusione della controversia dall’alveo applicativo della norma, in quanto, discorrendo expressis verbis di “contratti”, richiama lo schema generale dell’art. 1321 del codice civile il quale, per le ragioni anzidette, non si attaglia alle convenzioni urbanistiche per la loro intrinseca natura pubblicistica.
11.1. Ma anche il dato testuale assume non trascurabile rilievo. Secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 11 citato, si applicano all’accordo, salva diversa previsione, “i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”. Ne consegue che la convenzione urbanistica oggetto di controversia soggiace all’applicazione dell’art. 1372 c.c., il cui comma 1 sancisce il principio in base al quale il contratto ha forza di legge tra le parti (pacta sunt servanda). Rispetto a tale brocardo l’art. 72 della legge fallimentare, assume invero carattere derogatorio, attribuendo al curatore il potere di liberare il fallimento da eventuali vincoli contrattuali in atto, attraverso lo scioglimento del contratto. Nell’ipotesi in cui il curatore decida di esercitare il diritto potestativo di cui all’art. 72 cit., l’altro contraente rimarrebbe impossibilitato dal pretendere la prestazione originariamente prevista dal regolamento contrattuale, potendo unicamente fare istanza di insinuazione al passivo. La ratioderogatoria della norma è indubbiamente quella di non penalizzare oltremodo gli interessi del ceto creditorio dal possibile vulnus derivante dalla necessità del curatore fallimentare di far fronte agli impegni contrattuali assunti dal fallito precedentemente alla dichiarazione di fallimento. Tuttavia, tali esigenze non possono essere enfatizzate fino al punto da riconoscere al curatore il potere di sciogliersi da una convenzione precedentemente stipulata dalla società fallita ai sensi dell’art. 11 L. 241/1990. Verrebbe infatti attribuita una posizione poziore agli interessi della massa creditoria rispetto a quelli sottesi all’esecuzione di una prestazione dettata dall’interesse pubblico, come tale ascrivibile alla più ampia collettività degli amministrati. La concreta possibilità di realizzazione dell’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è istituzionalmente portatrice, verrebbe infatti pregiudicata dalle scelte del curatore fallimentare ancorché mosso da esigenze individualistiche, così palesandosi una precisa gerarchia di valori priva di fondamento normativo siccome innescata dall’interferenza tra due norme (l’art. 72 della legge fallimentare e l’art. 11 della legge n. 241 del 1990) aventi una ben diversa collocazione topografica e temporale. Il Tribunale ha invero correttamente rilevato che la destinazione a parcheggio pubblico affissa all’area in contestazione riflette un interesse non suscettibile di ricevere soddisfazione attraverso una prestazione in denaro quindi “per equivalente” in quanto verrebbe irrimediabilmente alterato il disegno urbanistico dell’ente territoriale cristallizzato nella stessa disciplina urbanistica in applicazione della quale il titolo edilizio veniva emesso.
11.2. Ma milita in favore dell’esclusione della vicenda in esame dal perimetro applicativo della norma invocata dall’appellante anche lo stesso dato testuale che connota il richiamato art. 11 estendendo questo agli accordi amministrativi l’applicazione dei soli principi codicistici in materia di obbligazioni e contratti. Ne consegue infatti che, essendo il potere di scioglimento del contratto attribuito al curatore fallimentare da una legge speciale, questa non è suscettibile di applicazione al caso di specie. Sul punto si registra un preciso orientamento giurisprudenziale di prime cure (T.a.r. per la Puglia – Bari, sez. I, 4 giugno 2013, n. 899), meritevole di condivisione, secondo cui “Dal chiaro tenore letterale del comma 2 dell’art. 11, l. n. 241 del 1990 si può ricavare un principio di rigorosa tassatività delle regole privatistiche applicabili agli accordi ex art. 11, l. n. 241 del 1990 (e cioè unicamente quelle richiamate dal menzionato comma 2: ossia i principi in materia di obbligazioni e contratti di cui al libro IV del codice civile, peraltro con il duplice limite della compatibilità e dell’inesistenza di una disciplina speciale difforme). Il citato comma 2, inoltre, non richiama direttamente le disposizioni del Libro IV del c.c., ma unicamente i principi. Ne consegue che la disciplina privatistica contenuta in leggi speciali (ivi compresa la legge fallimentare, in particolare l’art. 72, r.d. n. 267 del 1942) non è applicabile agli accordi in esame”.
11.3. Non è dato quindi ravvisare nel caso di specie spiragli applicativi in favore della norma di cui all’art. 72 della legge fallimentare, con conseguente infondatezza del motivo in esame, tanto più che il titolo edilizio veniva rilasciato alla società anche al fine di conseguire la edificazione di un’area ex novo, di fatto poi realizzata, da far ricadere in proprietà pubblica. La vicenda di causa è quindi connotata dalla evidente emersione di un profilo di interesse pubblico che non può essere sacrificato per far fronte ad esigenze connesse al concorso tra creditori, da ritenere recessive in assenza di precise ed inequivoche opzioni normative
11.4. Non va peraltro trascurato che l’art. 1 comma 1 bis della legge n. 241 del 1990, nell’auspicare il ricorso a forme bilaterali di esercizio della pubblica funzione, contiene l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” che consente di operare una reductio ad unitatem di tutte quelle ipotesi normativamente contemplate dall’ordinamento che si oppongono alla disciplina interprivata in quanto sottendono l’esigenza di salvaguardare l’interesse pubblico affidato alle scelte dell’Amministrazione.
12. Con l’undecimo (ed ultimo) motivo d’appello l’appellante critica il passaggio argomentativo contenuto in sentenza con il quale si ipotizza il caso in cui si facesse questione “di un rilevante immobile realizzato per edilizia residenziale pubblica”, contestando la genericità del riferimento ad una disciplina comunque non applicabile alla presente controversia nemmeno in sede analogica.
Il motivo risulta inammissibile perché investe un’affermazione puramente ipotetica eccedente la necessità logico – giuridica della decisione. Secondo questo Consiglio, infatti, “È inammissibile l’appello rivolto non contro il contenuto decisorio della sentenza impugnata, bensì nei riguardi degli eventuali obiter dicta del giudice di prime cure, che, per loro natura, non valutano il merito della controversia e non possono vincolare le parti nella definizione del loro rapporto” (cfr. Cons. Stato sez. V, 6 marzo 2001 n. 1253).
13. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
14. Le oscillazioni giurisprudenziali sulla questione agitata costituiscono eccezionale motivo che giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (R.G. 7969/2011), lo respinge.
Spese del presente giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Carlo Schilardi – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *