L’impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 11 luglio 2018, n. 4223.

La massima estrapolata:

L’impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, che, ai sensi dell’art. 395, co. 1, n. 3 c.p.c., giustifica la domanda di revocazione della sentenza passata in giudicato, può essere ravvisata solo quando chi promuove la revocazione abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per acquisire tempestivamente il documento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile o per fatto dell’avversario. In questa seconda ipotesi, è necessario fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegarne la mancata collaborazione. E’ necessario, pertanto, che la parte si sia trovata nell’impossibilità, non dovuta a sua colpa, di produrre i documenti nel giudizio di merito, incombendo su chi agisce in revocazione l’onere di dimostrare che, fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza, l’ignoranza dell’esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa, ma da fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore.

Sentenza 11 luglio 2018, n. 4223

Data udienza 10 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 782 del 2015, proposto da Di. Bi. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Le., Lu. Qu., con domicilio eletto presso lo studio Pa. Le. in Roma, via (…);
contro
Condominio di (omissis), Condominio di (omissis), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, nonché Pi. Mo., tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Pa. Za., Ca. Ce. e Ma. St. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Ma. St. Ma. in Roma, via (…);
Va. Be. non costituita in giudizio;
nei confronti
Comune di Milano non costituito in giudizio;
per la revocazione
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. IV – n. 02995/2014, resa tra le parti, concernente permesso di costruire
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Condominio di (omissis) ed altri ;
Viste le memorie;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2018 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Pa. Le., Lu. Qu. e Pa. Za..
FATTO e DIRITTO
1. La controversia concerne un immobile sito in Milano, in un’area compresa tra le vie (omissis), (omissis) e (omissis), confinante con due Condomìni.
1.1. Originariamente, vi era un complesso di più edifici adibito ad asilo, costruito nei primi anni del novecento; complesso edilizio che negli anni è stato oggetto di interventi abusivi e di vari condoni.
1.2. La causa in argomento riguarda uno di questi edifici, originariamente costituito da un piano terreno e da un sottotetto, oggetto di diverse concessioni edilizie in sanatoria: – quella n. 1057 del 2007, relativa alla trasformazione del sottotetto in due unità immobiliari ad uso residenziale; – quelle nn. 490, 433, 429, 431, 420 e 492 del 2008, relative alla trasformazione del volume esistente al piano terra e alla creazione di un nuovo piano, mediante soppalchi, con piccoli appartamenti ad uso residenziale.
1.3. La società Di. Bi. srl (d’ora in poi società) ottenne il permesso n. 114 del 2010 – in variante essenziale di un permesso del 2009, che riguardava solo 3 piani di autorimesse interrate – avente il seguente oggetto: “sostituzione edilizia ai sensi dell’art 3, comma 4, della L.R. 13/09 mediante demolizione di edificio esistente di mq 1095,07 e nuova realizzazione di edificio residenziale per una slp complessiva pari a mq 1423,57, costituito da sette piani fuori terra, di cui un piano terra interamente scorporato dalla slp ai sensi dell’art 10 del vigente R.E. Al piano settimo s.t. è presente un locale sottotetto s.p.p.”.
1.3.1. Sulla base di tale atto abilitativo, si procedette alla demolizione dell’immobile originario e alla costruzione del nuovo edificio con le maggiorazioni di volumetria del 30%, previste dalla l.r., sulla volumetria esistente, quale risultante dai provvedimenti di sanatoria emanati negli anni 2007/2008 per la trasformazione del sottotetto e per il piano ricavato mediante soppalchi al piano terra.
2. I due condomìni confinanti e alcuni condòmini hanno impugnato il permesso del 2010 e i presupposti provvedimenti di condono.
2.1.Il T.a.r. ha rigettato il ricorso, in parte dichiarandolo inammissibile.
3. Questo Consiglio, con sentenza n. 2994 del 2014, ha accolto integralmente l’appello proposto dagli originari ricorrenti e, per l’effetto, il ricorso proposto innanzi al T.a.r.; ha annullato tutti i provvedimenti impugnati.
4. La società ha proposto ricorso per revocazione con quattro motivi, esplicati da memorie, anche di replica.
Si sono costituiti in giudizio i due condomìni e il condòmino Pi. Mo., depositando memorie e chiedendo il rigetto.
5. Con ordinanza n. 3721 del 2017 è stata disposta l’acquisizione del fascicolo d’ufficio dal T.a.r. per la Lombardia.
6. Logicamente preliminare è il terzo profilo del primo motivo di revocazione (art. 395 co. 1, n. 3 c.p.c.
6.1. La società ha depositato alcuni documenti, assunti come decisivi, dei quali è entrata in possesso solo nel 2014, quando le erano stati consegnati dalla società che aveva chiesto il condono, prima proprietaria dell’immobile.
A giustificazione delle ragioni che l’hanno indotta a ricercarli e richiederli solo in ritardo, e quindi a produrli solo in questa sede, deduce che l’esigenza degli stessi è sorta solo dopo, per effetto della sentenza revocanda, che ha annullato tutti gli atti, compresi i permessi in sanatoria; mentre, prima, per resistere in giudizio era stata reputata sufficiente la documentazione allegata alle pratiche di condono, prodotta dal Comune in primo grado. Invece, tali documenti erano stati ritenuti indispensabili dopo la sentenza di annullamento per esercitare la rivalsa verso la società dante causa.
6.2. Il motivo è privo di pregio e non sussistono le condizioni previste dalla norma invocata per l’ammissibilità della revocazione.
6.2.1. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità, l’impossibilità di produrre in giudizio un documento decisivo per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, che, ai sensi dell’art. 395, co. 1, n. 3 c.p.c., giustifica la domanda di revocazione della sentenza passata in giudicato, può essere ravvisata solo quando chi promuove la revocazione abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per acquisire tempestivamente il documento e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile o per fatto dell’avversario. In questa seconda ipotesi, è necessario fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegarne la mancata collaborazione. E’ necessario, pertanto, che la parte si sia trovata nell’impossibilità, non dovuta a sua colpa, di produrre i documenti nel giudizio di merito, incombendo su chi agisce in revocazione l’onere di dimostrare che, fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza, l’ignoranza dell’esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa, ma da fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore (ex multis cfr. Cass civ. sez. 2, n. 885 del 2018; sez. 5, n. 6821 del 2009).
6.2.2.Anche la giurisprudenza di questo Consiglio si è espressa in termini rigorosi, ricollegando l’indisponibilità dei documenti alla concreta impossibilità di produrli tempestivamente in giudizio, rapportando tale impossibilità al fatto che essi erano in precedenza sconosciuti o che era ignoto il luogo in cui si trovavano, sempre che l’impossibilità non fosse addebitabile in alcun modo alla colpa della parte che li ha trovati e li invoca nel giudizio di revocazione (Cons. Stato, sez. III, n. 4602 del 2014 e richiami ivi contenuti).
6.3. Nella specie, la società ricorrente non deduce nulla su eventuali ostacoli per chiedere i documenti prima alla propria dante causa, se non che non ce ne era stato bisogno in presenza delle pratiche di sanatoria.
7. Seguendo un ordine logico di incidenza dei motivi di revocazione sulla sentenza revocanda, va esaminato il secondo. Si invoca la violazione dell’art. 395 co. 1, n. 4 c.p.c., quale errore di fatto che sarebbe stato commesso dal giudice della sentenza revocanda in riferimento alla riconduzione delle domande di condono alla provenienza da un unico centro di interesse ai fini del calcolo della volumetria massima condonabile.
7.1. Il motivo è inammissibile essendo prospettata come errore di fatto una critica che investe le argomentazioni in diritto del giudice e, semmai, la valutazione delle risultanze documentali.
7.2. La sentenza revocanda ha argomentato (da pag. 12 a pag. 17, in parte a pag. 14) tale statuizione, valutando la riconducibilità dell’assetto proprietario ai medesimi soggetti e riconoscendo sussistente l’espediente di denunciare plurime opere, non collegate, due appartamenti nel sottotetto e più piccoli appartamenti ricavati al primo piano fuori terra mediante soppalco, al fine di lucrare ulteriori volumetrie. Inoltre, ha messo in evidenza l’unicità dell’unità immobiliare. Su tali valutazioni ha fondato l’illegittimità di tutti i provvedimenti di sanatoria impugnati nella parte in cui il Comune non aveva considerato l’immobile nel suo complesso.
7.3. Secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio, in generale, l’errore di fatto revocatorio non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita; quando la dedotta erronea percezione dei fatti di causa abbia formato oggetto di decisione nella sentenza revocanda, e, quindi, sia il frutto dell’apprezzamento, della valutazione e dell’interpretazione delle risultanze processuali da parte del Giudice; tutte ipotesi che danno luogo, se mai, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (da ultimo, Cons. Stato sez. III, n. 1567 del 2018; sez. IV n. 35 del 2018).
8. Anche in altri motivi di revocazione e, precisamente, nel terzo e nel quarto, vengono inammissibilmente prospettati come errori di fatto, ex art. 395 co. 1, n. 4 c.p.c., quelli che, semmai, potrebbero essere errori di diritto.
8.1. Con il terzo motivo si deduce la falsa supposizione del superamento del limite del 30% della volumetria originaria, di cui all’art. 2 della l. reg. Lombardia n. 13 del 2009.
Secondo la società ricorrente, la sentenza revocanda avrebbe ritenuto calcolabile ai fini del rispetto del limite del 30% della volumetrie aggiuntiva – al contrario del permesso di costruire del 2010 – la superficie lorda pavimento (SLP) relativa ai volumi posti al piano terra del nuovo edificio, per la mancanza di un impegno alla costituzione di un vincolo pertinenziale. L’errore di fatto consisterebbe nell’avere ritenuto assente il vincolo pertinenziale, che, invece, la società assume esistente in ragione del rapporto funzionale tra edifico principale e opere scomputate al piano terra, prive di autonoma destinazione d’uso (piano terra zona fitness, spogliatoio, ingressi scala ascensore biciclette centrale termica).
Inoltre, la società mette in evidenza parti non chiare e ripetute della sentenza (da pag. 15… “In ogni caso” a pag. 17, … “2009, n. 13”.
8.1.1. Va in primo luogo sgombrato il campo dall’incidenza delle parti della sentenza che la ricorrente assume come non chiare. Se è vero che la sentenza revocanda contiene, nelle parti richiamate, periodi ripetuti nel diverso § 2, è innegabile che in tal modo è ripresa l’argomentazione – secondo cui, ai sensi dell’art. 2 della l.r. n. 13 del 2009, l’ampliamento autorizzato deve tener conto della volumetria originaria e delle superfici residenziali – utilizzata quando, occupandosi degli appartamenti sul piano soppalcato, ha ritenuto l’illegittimità degli stessi per essere provenienti da un unico centro di interesse.
8.1.2. Anche con il terzo motivo si prospetta in realtà un errore di diritto, per non aver il giudice ritenuto l’esistenza di un rapporto funzionale delle aree del piano terra, laddove il giudice ha dato rilievo all’assenza di una atto preventivo di impegno e, comunque, ha interpretato l’art. 2 l. r. n. 13 del 2009, nel senso che le superfici accessorie devono rientrare nel limite massimo dell’aumento della volumetria originaria.
8.2. Con il quarto motivo di revocazione si deduce errore di fatto, consistente nella falsa supposizione del mancato rispetto delle distanze tra edifici ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968.
In particolare, si censura la valutazione del giudice nel senso della individuazione di una nuova costruzione, eccependo che nessuno l’aveva mai dedotta e gli stessi condomìni appellanti avevano solo parlato di ristrutturazione edilizia.
Si lamenta, inoltre, la mancata considerazione delle DIA in variante, presentata nel maggio 2011, sostenendo che, per effetto di questa, rispetto al condominio n. 66, l’edificio sarebbe stato realizzato in totale aderenza per tutto il primo piano. Inoltre, la ricorrente argomenta nel senso della legittimità delle distanze, anche a prescindere dalla variante, come sarebbe confermato dalla perizia del consulente in una causa civile, prodotta con il ricorso per revocazione.
8.2.1. Il giudice della sentenza revocanda ha considerato la DIA in variante, ma l’ha ritenuta irrilevante in presenza di nuova costruzione, per essere il manufatto totalmente nuovo, su un’area di sedime differente, con volumetria e ingombro di sagoma di gran lunga maggiori, con conseguente applicazione della disciplina inderogabile delle distanze. Inoltre, ha espressamente motivato rispetto al Condominio n. 66 (pag. 27), rilevando la violazione della distanza di ml. 10, dato che lo spazio tra edifici vicini era costituito da un cortile comune; rispetto al condominio n. 68, ritenendo che l’intercapedine fittiziamente creata mediante l’apposizione di una copertura tra i due edifici (di cui alla variante) non costituisce una costruzione in aderenza ed è comunque irrilevante perché il nuovo fabbricato comporta, comunque, una vera e propria veduta ex art. 900 c.c. dalle terrazze e dai balconi.
8.2.2. Evidenti sono, nella specie, l’assenza di qualunque erronea lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al loro significato letterale, e, invece, la deduzione di una censura che coinvolge l’attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del convincimento del giudice (da ultimo, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 3055 del 2018).
9. Restano da prendere in esame gli ulteriori due profili, articolati sempre con il primo motivo di revocazione.
9.1. Con il primo profilo del primo motivo si deduce, invocando l’art. 395, co. 1, n. 4 c.p.c., il travisamento in cui sarebbe incorso il giudice della sentenza revocanda per aver confuso i soppalchi (attraverso i quali erano stati realizzati piccoli appartamenti nell’ambito del piano terra, poi condonati) con il sottotetto, dove erano stati realizzati due appartamenti condonati, così pervenendo alla falsa supposizione dell’inesistenza del sottotetto, e non considerando i condoni degli appartamenti soppalcati al piano terra (poi primo piano).
9.1.1. La censura è priva di pregio.
E’ vero che si rinvengono nella sentenza imprecisioni linguistiche ed approssimazioni che potrebbero far sorgere dubbi sulla esatta percezione dello stato di fatto da parte del giudice (per esempio nel § 2.1. dove, nel riportare i motivi di appello, si trattano unitariamente soppalchi riferiti ad un secondo piano e le aperture del sottotetto; dove, a pag. 10, si fa riferimento al “fantomatico terzo piano” per indicare evidentemente il sottotetto con pretesi appartamenti; a pag. 11, dove si fa impropriamente riferimento all’esclusione di un soppalco costituente un terzo piano, pur riferendosi agli appartamenti pretesi nel sottotetto, e indicando impropriamente come soppalco il solaio del piano di sotto, che sarebbe piano di calpestio del piano che sarebbe stato ricavato dal sottotetto; dove per escludere il terzo piano (sottotetto) si fa riferimento al “solaio del vespaio” per indicare il vespaio che rispetto a un sottotetto non trasformato sarebbe lo spazio vuoto rispetto al tetto spiovente, che, come il vespaio, funziona da isolante).
Non è vero, però, che il giudice ha confuso i soppalchi realizzati al piano terra, e la realizzazione di appartamenti medianti soppalchi, con le abitazioni assunte come condonate nel sottotetto.
Il giudice, infatti, si riferisce alla non provata esistenza delle abitazioni condonate nel sottotetto e affronta separatamente gli appartamenti realizzati mediante soppalchi al piano terra.
Dei soppalchi si occupa, presupponendoli esistenti, nella parte in cui considera unitariamente le richieste di condono come riferibili ad unico centro di interesse rispetto all’intero immobile (secondo motivo di revocazione già esaminato). Affrontando tale profilo mette in evidenza che, ai sensi dell’art. 2 l.r. n. 13 del 2009, l’ampliamento autorizzato avrebbe dovuto tener conto della volumetria originaria e non di quella possibile sulla base dei condoni relativi ai soppalchi, perché riconducibili ad un unico centro di interesse.
Invece, quanto al sottotetto – già esaminato in riferimento alla riconducibilità di tutti i condoni ad un unico centro di interesse – il giudice rileva la differenza tra quanto allegato con ricostruzioni in pianta per ottenere il condono, dove emergono sul sottotetto lucernai, e quanto allegato dalla stessa società per dimostrare l’esistenza del sottotetto e dei lucernai (foto 18 e 19 relative al momento della demolizione, memoria marzo 2011; foto dello stato di fatto (8 e 3 vedi doc. riprodotti dalla società in appello) allegate al condono e poi ingrandite dai ricorrenti in primo grado (15-16 17, allegati dai ricorrenti in primo grado). Esaminando tale documentazione, il giudice ha ritenuto non provata l’esistenza del sottotetto abitabile. Ha fatto ricorso, poi, alle foto di Google, antecedenti alla demolizione, a conferma della mancanza di lucernai.
9.2. Con il secondo profilo strettamente collegato al primo profilo dello stesso primo motivo, la società ricorrente sostiene che il giudice avrebbe travisato il contenuto di tali foto, dalle quali, invece, risulterebbe provata l’esistenza del sottotetto abitabile.
9.2.1. Anche questo profilo non ha pregio.
Non ricorre l’errore di fatto ravvisabile in caso di travisamento del contenuto di un atto (nella specie foto), quale evidente divergenza tra il medesimo e la sua rappresentazione da parte del giudice, che si risolverebbe in un abbaglio dei sensi con la percezione di un contenuto diverso da quello assunto, ossia in una errata o omessa percezione del contenuto materiale degli atti di causa (Cons. Stato, sez. IV n. 2001 del 2016; n. 2099 del 2015).
Infatti, come ritenuto dal giudice, dalle foto richiamate non può dirsi emergente l’avvenuta trasformazione del sottotetto originario.
10. In conclusione, il ricorso va rigettato.
11. In ragione della complessità della controversia, sussistono giusti motivi per la integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa integralmente le spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

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