Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 9 settembre 2014, n. 4549

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6342 del 2007, proposto da:

Comune di Costa di Rovigo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi.Gi. e Pa.Pa., con domicilio eletto presso il primo in Roma;

contro

Ti.Co., rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Ma. e An.Ma., con domicilio eletto presso presso quest’ultimo, in Roma;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA: SEZIONE II n. 01522/2007, resa tra le parti, concernente concessione edilizia per costruzione di un fabbricato;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2014 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Gi. e Lu. su delega dell’avvocato An.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con ricorso al TAR del Veneto, il sig. Ti.Co., proprietario di azienda agricola composta da alcuni terreni situati in vari Comuni della provincia di Rovigo (e nel cerchio individuato dall’art. 2 della l.reg. Veneto n. 24/1985) domandava l’annullamento:

a)- del provvedimento comunale 25.7.2005 n. 32 del Comune di Costa di Rovigo, recante l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia n. 23 del 10.7.2002, rilasciata al predetto ricorrente ed avente ad oggetto “Costruzione di un fabbricato ad uso abitazione e ricovero attrezzi agricoli”;

b)- del provvedimento 25.5.2005 n. 8384 con il quale è stata rigettata l’istanza di concessione in sanatoria per opere realizzate in difformità dalla C.E. n. 23/2002;

Con ricorso per motivi aggiunti, l’interessato censurava altresì il provvedimento comunale 7.3.2007 n. 4 di demolizione delle opere realizzate in forza della predetta concessione edilizia.

In punto di fatto, detti provvedimenti venivano emessi dal Comune odierno appellante a fronte di un’istanza di edificazione che evidenziava come l’azienda fosse priva di civile abitazione. La concessione era rilasciata ma, alcuni anni dopo, in sede di esame di istanza di sanatoria di opere realizzate in difformità dal progetto originariamente assentito, emergeva la titolarità nell’ambito della stessa azienda agricola di altro fabbricato residenziale; in ragione di ciò, il Comune riteneva mendace la omessa segnalazione di detto edificio, procedendo all’annullamento d’ufficio della concessione originaria ed alla emissione di un ordine di demolizione delle opere nel frattempo realizzate. Entrambi i provvedimenti erano quindi oggetto del predetto ricorso.

1.2.- Con la sentenza epigrafata il Tribunale adìto accoglieva il gravame osservando che:

-“la mendacità della dichiarazione di inesistenza di fabbricati insistenti sul fondo rustico resa dall’odierno ricorrente in occasione della presentazione della domanda di concessione edilizia – che potrà essere sanzionata nella sede opportuna – non può comportare l’automatico annullamento del titolo abilitativo rilasciato, dovendosi prima valutare, ai sensi dell’art. 3, I comma, punto 1 della LR n. 24/85, l’effettiva corrispondenza della costruzione esistente alle esigenze abitative e lavorative dell’imprenditore agricolo”;

-” nel caso di specie il Comune, nel dare atto dell’esistenza sul fondo rustico di un immobile ad uso abitativo e di un magazzino annesso (peraltro locati a terzi), ha omesso di valutarne la funzionalità ai fini della conduzione del fondo e delle esigenze residenziali dell’odierno ricorrente”;

– “peraltro, il Comune ha omesso di considerare che l’incompatibilità della compresenza di due immobili abitativi appartenenti allo stesso nucleo familiare insistenti sul medesimo fondo rustico può essere eliminata condizionando la permanenza del nuovo edificio alla demolizione di quello preesistente”;

– “la mancata formazione di un unico aggregato abitativo con l’edificio esistente non costituisce causa ostativa al rilascio del titolo concessorio se venga dimostrata la necessità del nuovo edificio nel sito prescelto ed eventualmente demolito quello esistente”. Conseguentemente il TAR annullava i provvedimenti impugnati.

2.- Di qui l’appello proposto dal Comune di Costa di Rovigo innanzi a questo Consesso, sostenuto da vari profili di censura, quali il travisamento dei fatti, l’illogicità della motivazione e la violazione del principio di corrispondenza. Il gravame è meritevole di accoglimento.

2.1.- Il punto centrale della controversia verte sulla ragione per la quale il Comune ha emesso i provvedimenti gravati, risiedente nella mendacità, da parte della domanda edilizia dell’interessato, sulla esistenza nell’azienda agricola di fabbricato abitativo già prima dell’originaria domanda di concessione. Tale situazione, ai sensi dell’art. 3, comma 1, punti 1 della l.r. veneto n.24/85, integrando una preclusione del rilascio di ulteriore concessione edilizia, è stata valutata dal Comune come motivo di annullamento della concessione già rilasciata. Contro tale determinazione il TAR ha ritenuto di accogliere il motivo che lamentava la omessa valutazione, da compiersi (ai sensi dell’art. 3, I comma, punto 1 della legge citata) prima dell’annullamento del titolo abilitativo rilasciato, dell’effettiva corrispondenza della costruzione esistente alle esigenze abitative e lavorative dell’imprenditore agricolo. Contro questa motivazione, l’appellante, nell’ultima parte delle censure svolte, argomenta che illegittimamente il primo giudice avrebbe contestato al Comune la mancata valutazione di detto elemento, non considerando che questa non poteva essere effettuata proprio in ragione della carenza di ogni riferimento all’edificio preesistente. Il motivo è condivisibile, ed ha valenza assorbente. L’amministrazione ha il potere-dovere di valutare tutti gli elementi richiesti dalla legge ai fini del legittimo rilascio della concessione edilizia, ma del tutto evidentemente essa non è posta in condizione di farlo se taluno di questi viene occultato in forza del comportamento mendace del richiedente. La “ratio” di questa interpretazione costituisce in realtà un principio generale dell’ordinamento edilizio, se si osserva ad esempio che in materia di condono edilizio, l’art. 31 della legge n. 47/1985 preclude la formazione del silenzio-assenso (per inutile decorso di 24 mesi dall’istanza) in caso di dichiarazione mendace. Il principio testè delineato vale sia in sede di valutazione dei presupposti per il rilascio del titolo edilizio (legittimando un provvedimento negativo sulla domanda edificatoria) che di quelli necessari per l’annullamento d’ufficio della concessione già rilasciata e che non poteva esserlo ove l’elemento ostativo non fosse stato occultato dal richiedente. Nella fattispecie, in altri termini, il ricorrente ha precluso all’amministrazione proprio l’adempimento del quale il TAR ha osservato la carenza, vale a dire la verifica dell’esistenza di se gli immobili adeguati alle esigenze dell’imprenditore agricolo istante, come indicato dalla citata norma di legge.

2.2.- Infine, all’orientamento sin qui esposto non ostano le obiezioni mosse dall’appellato (memoria 20.2.2008) che sostengono l’irrilevanza di altre costruzioni abitative insistenti su altro e distante fondo agricolo del richiedente; ed invero ai fini in controversia appare decisiva la definizione di azienda agricola recata dall’art. 2 della legge reg.Veneto n.24/1985, e che comprende tutti i fondi situati nel cerchio ideale del diametro di ml. 4000 da quello interessato dalla costruzione.

3.- L’accoglimento dell’appello e la conseguente riforma della sentenza che comportano l’esame degli altri motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal TAR.

3.1.- I primi due motivi del ricorso principale, rivolto contro l’annullamento d’ufficio della concessione, risultano infondati poiché si basano sulla sostenuta irrilevanza di altre costruzioni abitative insistenti su altri e distanti fondi agricoli di proprietà del richiedente; sul tema (ripreso anche dalla terza censura) il Collegio si è infatti già espresso al precedente punto 2.2.

3.2.- La terza doglianza sostiene la carenza dei presupposti per l’annullamento d’ufficio, costituiti dalla presenza di un vizio di legittimità, che nella specie non si riscontrerebbe, e dall’interesse pubblico, in particolare tenendo conto che l’abitazione assentita risultava da tempo ultimata e che l’annullamento deve essere particolarmente motivato sotto detto profilo quanto più è il tempo che lo separa dalla concessione che ne oggetto. Anche questi profili non possono trovare accoglimento. La sussistenza del vizio riscontrato dal Comune emerge da quanto osservato con riferimento alla presenza di altri edifici abitativi.

In ordine alla motivazione sul pubblico interesse va rilevato che l’arco di tempo da prendere in considerazione nella fattispecie non corrisponde a quello compreso tra la concessione originaria ed il suo annullamento, nei casi in cui il potere di autotutela può essere esercitato dall’Amministrazione solo dal momento della conoscenza degli elementi che in origine le sono stati nascosti e che se noti avrebbero precluso il rilascio della concessione. Poiché nel caso in esame tale conoscenza si è prodotta solo a seguito della presentazione dell’istanza di costruzione in sanatoria (28.1.2005), il provvedimento di annullamento del 25.7.2005 risulta assolutamente tempestivo.

3.2- Anche i motivi aggiunti, rivolti contro l’ordinanza di demolizione, sono infondati.

a)- Secondo il primo, la demolizione risulterebbe illegittima per la mancata applicazione dell’art. 38 del DPR n.380/2001, il quale,in conseguenza dell’annullamento del titolo edilizio, prevede di verificare preventivamente la possibilità di una rimozione dei vizi delle procedure. La norma non pare applicabile al caso in questione, poiché il vizio emerso non sembra rivestire natura procedurale e quindi essere suscettibile di rimozione.

b)- Infondato è anche il secondo motivo, che evidenziava a carico della demolizione (censurata coi motivi aggiunti in esame) la necessità di attendere la pronunzia del giudice adito col ricorso principale, contro l’annullamento d’ufficio; ed invero il gravame contro quest’ultimo non costituisce per l’amministrazione alcuna forma di impedimento ad emanare la conseguente ordinanza di demolizione.

c)- Infine si contesta la misura dell’area di sedime da acquisirsi in caso di inosservanza dell’ordine di demolizione, stabilita dal provvedimento in una misura più che doppia della superficie dell’edificio. Tuttavia l’art. 31 del citato decreto (riprendendo l’art. 7, comma 3, della legge n. 47/1985) indica il limite di estensione della superficie acquisibile in dieci volte la superficie costruita; pertanto l’entità della acquisizione si pone ampiamente nel limite di legge.

4.- Conclusivamente l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza gravata e reiezione del ricorso di primo grado.

4.1.- Restano assorbiti ulteriori motivi ed eccezioni, che il Collegio non ritiene rilevanti ai fini della presente decisione.

5. Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello proposto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellato al pagamento, in favore del Comune appellante, delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida complessivamente in Euro tremila (3.000) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Diego Sabatino – Consigliere

Raffaele Potenza – Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Depositata in Segreteria il 09 settembre 2014.

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