Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 5 settembre 2016, n. 3805

Con riferimento alla legittimazione attiva di singole associazioni o comitati, la giurisprudenza, pur riconosciuta la legittimazione processuale “speciale” alle sole associazioni riconosciute ex art. 310 d.lgs. n. 152/2006 e art. 139 d.lgs. n. 206/2005, ha tuttavia riconosciuto la legittimazione attiva anche a “comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti” su un territorio circoscritto, oppure di “sodalizi che, pur se articolati, o non possiedono strutture locali, o s’incentrino in forma non occasionale su dati settori di mercato o per argomenti o esigenze consumistiche stabili, e via di seguito”, purchè “perseguano nel loro oggetto statutario ed in modo non occasionale obiettivi di tutela” delle predette esigenze. In questo secondo caso, “ciò che sostanzia la posizione di chi – associazione o singolo individuo – agisce in giudizio per la tutela del bene ambiente, è la titolarità di un interesse collettivo (in questo caso come “interesse di tutti” gli aderenti, e dunque come mera somma di interessi legittimi) ovvero un singolo interesse legittimo. Ed il criterio della “vicinitas”, talora utilizzato per “individuare la differenziazione delle posizioni azionate e radicare la legittimazione dei singoli per la tutela del bene ambiente” , risulta rispondente non già alla definizione della legittimazione attiva (che deriva da una posizione sostanziale in altro modo individuata), quanto più propriamente dell’interesse ad agire. (Amb. Dir.)

 

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 5 settembre 2016, n. 3805

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4134 del 2015, proposto dai signori
Al. La., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Lo. Vi. e Al. La., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi.e Lu., domiciliato ex art. 25 Cpa presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, p.za (…);
Fe. Be., non costituito in giudizio;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Al. La. e Gi. La., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Ca. e An. Ri., con domicilio eletto presso lo studio Pl. in Roma, via (…);
Circolo Legambiente Ve. in Fa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Di. Pa. e Do. Sc., con domicilio eletto presso il primo in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede staccata di Salerno, Sezione I, n. 1994 del 21 novembre 2014, resa tra le parti, concernente annullamento in via di autotutela del silenzio-assenso formatosi su istanza di permesso di costruire.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti gli atti di intervento ad opponendum proposti dal Circolo Legambiente Ve. in Fa. e dai signori Al. e Gi. La.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Vi., Lu., Ca., Ri. e Mo. Ac. (su delega dell’avvocato Di. Pa.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’appello in esame, i signori Al., Ma., Vi. La., e la signora Fi. Er. impugnano la sentenza 21 novembre 2014 n. 1994, con la quale il TAR per la Campania, sezione staccata di Salerno, ha respinto il loro ricorso proposto avverso il provvedimento del responsabile del settore programmazione e governo del territorio del Comune di (omissis) n. 78984/2013, recante annullamento in via di autotutela del silenzio-assenso formatosi sull’istanza di permesso di costruire presentata il 12 agosto 2011.
1.1. La controversia verte, nella sostanza, intorno alla possibilità per i ricorrenti di realizzare, su un terreno di loro proprietà ricadente in zona B2 del Comune di (omissis), un complesso residenziale e commerciale, usufruendo altresì del premio volumetrico di cui all’art. 5 d.l. n. 70/2011, conv. in l. n. 106/2011 (c.d. piano casa).
1.2. Un primo diniego dell’amministrazione (provvedimento n. 17/2012) veniva annullato dal medesimo TAR che, con sentenza n. 1825/2013, affermava che il rigetto dell’istanza era intervenuto oltre il termine perentorio stabilito dalla legge e dunque in presenza di silenzio-assenso ormai formatosi, potendosi invece in tal caso attivare “un procedimento di secondo grado, teso all’annullamento del titolo abilitativo tacito, ormai formatosi circa la suddetta istanza”.
Di li a poco, il Comune di (omissis) ha emanato il provvedimento di autotutela oggetto del presente giudizio.
1.3. La sentenza – dichiarato inammissibile l’intervento ad opponendum proposto da Fe. Be. “in qualità di cittadino nativo di (omissis) ed ivi residente” (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno) – ha affermato, in particolare che:
– “la ratio dell’istituto del silenzio significativo si trova nella mera semplificazione dell’iter per l’ottenimento di ciò cui il privato ambisce, suscitando da parte sua l’assunzione di responsabilità in ordine alla dichiarazione di legittima spettanza, non potendosi ammettere che attraverso l’inerzia della P.A. si pervenga al consolidamento di posizioni soggettive non conformi al modello normativo”;
– da ciò consegue che “la mancanza dei presupposti per l’ottenimento del bene della vita anelato certamente di per sé sorregge l’interesse pubblico all’intervento postumo dell’amministrazione” e, più in particolare, “l’esigenza di impedire una edificazione non conforme ai parametri urbanistico – edilizi vigenti, è da ritenersi in re ipsa”;
– nel caso di specie, vi è stato un brevissimo lasso di tempo (circa tre mesi intercorrenti tra il deposito della sentenza n. 1825/2013 ed il provvedimento del Comune), tale da non consentire nemmeno l’avvio dei lavori, e che sicuramente rende legittima l’azione di autotutela;
– nel merito, come esposto dal Comune di (omissis), “l’area di intervento è per la maggior parte destinata a strade e parcheggi, ove vige un vincolo conformativo di inedificabilità assoluta, e che solo una parte residuale ricade in zona B/2, residenziale attuale da ristrutturare”.
1.4. Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello, in parte quale riproposizione di motivi che si sostiene essere stati disattesi dal giudice di I grado (questi ultimi sub lett. c) e successive):
a) error in iudicando; violazione artt. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 3 Cpa; difetto di motivazione; violazione artt. 97 e 111 Cost.; ciò in quanto la sentenza “si è limitata a trascrivere e condividere il contenuto del provvedimento impugnato senza spiegare in alcun modo le ragioni di tale condivisione, ma aderendo acriticamente alla tesi del Comune, come esplicitata nel provvedimento impugnato”, laddove “il raggiunto convincimento del giudice sarebbe dovuto piuttosto risultare da un esame logico e coerente della prospettazione della parte ricorrente”;
b) error in iudicando; difetto di motivazione; violazione artt. 112 e 277 c.p.c.; in quanto “la formazione del titolo abilitativo per silentium è stata acclarata, nella specie, con sentenza del TAR”, di modo che “l’eliminazione del titolo formatosi per volontà dell’ordinamento e accertato con riconoscimento giurisdizionale, poteva allora dirsi possibile solo ove, in tal modo, si fosse inteso presidiare una previsione di inedificabilità assoluta dell’area, ovvero un interesse pubblico inequivocabilmente più forte, interesse che non può farsi coincidere tout court con una supposta violazione urbanistico – edilizia, peraltro nemmeno analiticamente dimostrata dal Comune e fideisticamente rinvenuta dal TAR”;
c) violazione art. 20 DPR n. 380/2001, in relazione all’art. 21-nonies l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza assoluta dei presupposti; abnormità; straripamento; sviamento; violazione del giusto procedimento; contraddittorietà; violazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e all’art. 1 l. n. 241/1990; ciò in quanto “allorquando il termine per provvedere sia decorso, affinché l’amministrazione possa porre nel nulla l’atto di assenso tacito, non è sufficiente che manchino le condizioni per il rilascio dell’atto richiesto dal privato; occorrono gli ulteriori presupposti che sono necessari per l’esercizio dei poteri di annullamento, sub specie di una speciale e stingente individuazione dell’interesse pubblico concreto sotteso alla rimozione”;
d) violazione art. 20 DPR n. 380/2001, in relazione all’art. 21-nonies l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza assoluta dei presupposti; abnormità; straripamento; sviamento; violazione del giusto procedimento, contraddittorietà; violazione artt. 24 e 111 Cost.; ciò in quanto, essendo il provvedimento di annullamento intervenuto dopo la pronuncia del TAR., “ne deriva che l’amministrazione, a fronte dell’accertamento in via giurisdizionale della insussistenza di ostacoli sostanziali (id est: difformità urbanistica) alla formazione del silenzio, non può ora disporre l’annullamento senza incorrere in una macroscopica elusione di giudicato”;
e) violazione art. 97 Cost.; violazione art. 20 DPR n. 380/2001 e art. 5 d.l. n. 70/2011, in relazione all’art. 21-nonies l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza assoluta dei presupposti; abnormità; straripamento; sviamento; violazione del giusto procedimento; non essendovi stata “effettiva comparazione degli interessi dei soggetti coinvolti”;
f) violazione artt. 10 e 20 DPR n. 380/2001, in relazione all’art. 21-nonies l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza assoluta dei presupposti; abnormità; straripamento; sviamento; violazione del giusto procedimento; violazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e all’art. 1 l. n. 241/1990; ciò in quanto “l’annullamento fonda, da un lato, su una motivazione generica e apodittica, individuandosi – in maniera “epigrafica” – il contrasto dell’intervento realizzando con gli strumenti di piano; dall’altro su argomentazioni espresse in termini addirittura ipotetici e perplessi”;
g) violazione art. 20 DPR n. 380/2001, in relazione all’art. 21-nonies l. n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza assoluta dei presupposti; abnormità; straripamento; sviamento; violazione del giusto procedimento; violazione art. 2 l. n. 1187/1968 e art. 3 DPR n. 327/2001; poiché “il lotto è inequivocabilmente zonizzato come edificabile dal vigente PRG ricadendo l’opera in zona omogenea B2 del PRG, secondo la tavola 9, con la previsione di un indice di fabbricabilità fondiaria pari a 5mc/mq”, laddove il progetto “prevedeva la realizzazione di complesso residenziale con l’applicazione di un indice di appena 3 mc/mq, oltre all’incremento volumetrico premiale del 20%”, previsto dalla l. n. 106/2011, senza che sia necessaria la previa individuazione delle aree bisognose di riqualificazione”.
1.5. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
1.6. Hanno proposto intervento ad opponendum Al. La. e Gi. La., – in qualità di proprietario il secondo ed usufruttuario il primo di “fabbricati e terreni frontisti, in linea retta o diagonale, del terreno dove si intenderebbe realizzare l’intervento edilizio in contestazione” – i quali hanno concluso richiedendo il rigetto dell’appello.
Avverso tale intervento, gli appellanti, con atto del 10 luglio 2015, hanno proposto eccezione di inammissibilità, poiché “irritualmente esperito, stante il grado e lo stato del giudizio, ma soprattutto perché introduce argomenti e motivi di doglianza estranei al corredo motivazionale dell’atto gravato”.
1.7. Ulteriore intervento ad opponendum è stato proposto dal Circolo di Legambiente denominato “Ve. in fa.”, che ha anch’esso concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Anche avverso tale intervento, gli appellanti, con atto del 14 dicembre 2015, hanno proposto eccezione di inammissibilità, poiché il Circolo di Legambiente denominato Ve. in fa. “non è l’associazione Legambiente”: esso si compone solo di sette membri, non ha alcun radicamento territoriale e “lo statuto restituisce plasticamente l’estraneità degli scopi perseguiti con la questione dedotta in giudizio”.
1.8. Con ordinanza 10 giugno 2015 n. 2549, questa Sezione ha disposto incombenti istruttori, ai quali ha dato riscontro il Comune di (omissis) con nota del 22 giugno 2015 ed atti a questa allegati.
1.9. Successivamente, con ordinanza 15 luglio 2015 n. 3139, questa Sezione ha rigettato l’istanza cautelare, di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.
1.10. Dopo il deposito di ulteriori memorie e repliche, all’udienza di trattazione del 28 aprile 2016 la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. Il Collegio deve innanzi tutto esaminare, essendone evidente la priorità logico-giuridica, le eccezioni di inammissibilità degli interventi ad opponendum sollevate dagli appellanti.
Tali eccezioni riguardano sia l’intervento di Al. e Gi. La., sia l’intervento del Circolo “Ve. in fa.”.
Ambedue le eccezioni sono infondate e devono essere, pertanto, respinte.
2.1. Quanto alla prima (rivolta, come si è detto, avverso l’intervento di Al. e Gi. La.), occorre osservare, con riferimento al sottolineato “stato e grado del giudizio” in cui tale intervento è stato dispiegato, che l’art. 97 Cpa ammette espressamente l’intervento nel giudizio di impugnazione di chi vi abbia interesse. In ordine al “contenuto” delle argomentazioni proposte al giudice con l’atto di intervento, laddove le stesse si presentino – come sostenuto dagli appellanti – estranee “al contenuto motivazionale dell’atto gravato”, ciò potrà comportarne una valutazione di irrilevanza e/o infondatezza e, dunque, la loro non considerazione da parte del giudice ai fini della decisione, ma non la conseguente declaratoria di inammissibilità dell’atto di intervento che le contiene, poiché questa pronuncia è invece legata al difetto di condizioni dell’azione o di presupposti processuali.
Nella specie è assodato che i signori Al. e Gi. La. sono frontisti e dunque pienamente legittimati a contestare l’atto di appello che mira a ottenere la possibilità di edificare nelle aree di interesse.
2.2. Quanto alla eccezione di inammissibilità rivolta avverso l’intervento del Circolo “Ve. in fa.”, il Collegio ricorda che la giurisprudenza amministrativa si è anche di recente occupata delle condizioni di ammissibilità dell’intervento nel giudizio amministrativo (Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2015 n. 1 e 2 novembre 2015 n. 9; sez. III, 4 febbraio 2016 n. 442).
In particolare, si è ribadito che la valutazione della legittimazione dell’intervento nel giudizio di appello va compiuta avendo riguardo alla posizione che avrebbe assunto la parte rispetto alla lite in primo grado.
Si è ulteriormente precisato:
– che “la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione”, nel senso che “la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non nella mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati” (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9/2015 cit; sez. IV, 16 novembre 2011 n. 6050);
– che “l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati” cioè che “non siano configurabili conflitti interni all’associazione… che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio” (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 9/2015 cit.; tuttavia, per ulteriori precisazioni, sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5451, con la quale, approfondito il concetto di “interesse collettivo” e tenutolo distinto da quello di “interesse superindividuale”, si è anche affermato che “l’ente, godendo di una titolarità sua propria di posizione giuridica soggettiva, gode ex se di legittimazione ad agire e può anche rappresentarsi il caso che la sua azione, volta alla tutela dell’interesse collettivo della categoria, possa porsi in contraddizione/contrasto, con l’interesse del singolo componente della collettività”).
Con riferimento alla legittimazione attiva di singole associazioni o comitati, la giurisprudenza, pur riconosciuta la legittimazione processuale “speciale” alle sole associazioni riconosciute ex art. 310 d.lgs. n. 152/2006 e art. 139 d.lgs. n. 206/2005 (Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2011 n. 3662), ha tuttavia riconosciuto la legittimazione attiva anche a “comitati spontanei che si costituiscono al precipuo scopo di proteggere l’ambiente, la salute e/o la qualità della vita delle popolazioni residenti” su un territorio circoscritto, oppure di “sodalizi che, pur se articolati, o non possiedono strutture locali, o s’incentrino in forma non occasionale su dati settori di mercato o per argomenti o esigenze consumistiche stabili, e via di seguito”, purchè “perseguano nel loro oggetto statutario ed in modo non occasionale obiettivi di tutela” delle predette esigenze (Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010 n. 6554 e 23 maggio 2011 n. 3107; sez. III, 8 agosto 2012 n. 4532).
In questo secondo caso, si è osservato (Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36) che “ciò che sostanzia la posizione di chi – associazione o singolo individuo – agisce in giudizio per la tutela del bene ambiente, è la titolarità di un interesse collettivo (in questo caso come “interesse di tutti” gli aderenti, e dunque come mera somma di interessi legittimi) ovvero un singolo interesse legittimo. Ed il criterio della “vicinitas”, talora utilizzato per “individuare la differenziazione delle posizioni azionate e radicare la legittimazione dei singoli per la tutela del bene ambiente” (così Cons. Stato, sez. VI, n. 6554/2010), risulta rispondente non già alla definizione della legittimazione attiva (che deriva da una posizione sostanziale in altro modo individuata), quanto più propriamente dell’interesse ad agire”
Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, consegue la sussistenza, in capo al Circolo “Ve. in fa.” della legittimazione e dell’interesse ad intervenire ad opponendum nel presente giudizio. E ciò sia in ragione delle finalità di tutela ambientale perseguite dall’associazione, come desumibili dal suo Statuto, sia per la sua radicata presenza nel territorio del Comune di (omissis) (e proprio nel cento urbano; in senso conforme, con riferimento alla sussistenza della legittimazione del Circolo “Ve. in fa.”, Cons. Stato., sez. IV, 23 giugno 2015 n. 3162), sia infine – quanto all’interesse ad agire – per la sicura rilevanza ambientale (per consistenza ed ubicazione) di un intervento edilizio quale quello che si intende realizzare ed oggetto della presente controversia.
3. Il Collegio, al fine di definire compiutamente il thema decidendumvel probandum, deve esaminare l’ammissibilità del deposito, effettuato dagli appellanti in data 25 febbraio 2016, del verbale della riunione intersettoriale conclusiva – servizio pianificazione del territorio del Comune di (omissis) 10 gennaio 2009 prot. n. 7042, in ordine al quale vi è anche eccezione di inammissibilità, proposta dall’interventore Circolo “Ve. in fa.”, con memoria difensiva depositata il 24 marzo 2016.
3.1. L’eccezione è fondata alla stregua dei principi elaborati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., in particolare e da ultimo, le approfondite argomentazioni sviluppate da Sezione IV, n. 3509 del 2016, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), Cpa), in forza dei quali il deposito del documento innanzi citato deve essere dichiarato inammissibile, trattandosi di atto che era senza dubbio conoscibile fin dal giudizio di I grado, attraverso i normali rimedi offerti dall’ordinamento.
3.2. Nella medesima ottica e per completezza il Collegio evidenzia che non possono essere esaminati i motivi di doglianza nuovi rispetto al thema decidendum di primo grado, introdotti nelle memorie difensive in appello, perché violativi del divieto dei nova sancito dall’art. 104 c.p.a. e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. V, n. 5868 del 2015).
4. Tanto precisato in ordine alle questioni “in rito” relative al presente appello, i ricorrenti, per il tramite dei motivi di impugnazione proposti, sottopongono all’esame del Collegio una pluralità di questioni che, poste in coerente ordine logico-giuridico, possono essere così riassunte:
– in primo luogo, viene censurata la stessa possibilità di ricorrere all’esercizio del potere di annullamento in autotutela, a fronte di un silenzio – assenso già formatosi, laddove non si sia in presenza di un “interesse pubblico inequivocabilmente più forte” non coincidente con una “supposta violazione urbanistico-edilizia” (così il secondo motivo di appello, sub lett. b) dell’esposizione in fatto), non essendo sufficiente il solo fatto che “manchino le condizioni per il rilascio dell’atto richiesto dal privato” (terzo motivo di appello, sub lett. c);
– in secondo luogo, si prospetta una violazione/elusione di giudicato, poiché “a fronte dell’accertamento in via giurisdizionale della insussistenza di ostacoli sostanziali (id est: difformità urbanistica) alla formazione del silenzio”, l’amministrazione “non può ora disporre l’annullamento senza incorrere in una macroscopica elusione di giudicato”, e tanto si è realizzato essendo il provvedimento di annullamento successivo alla sentenza del TAR (quarto motivo, sub d);
– in terzo luogo, si censura, in sostanza, la sentenza per difetto di motivazione e/o per avere pedissequamente seguito la rappresentazione del Comune di (omissis), senza esame ed elaborazione propria (primo e sesto motivo di appello, sub lett. a) e f);
– in quarto luogo, ed entrando nel “merito” dell’esercizio del potere di annullamento, si censura sia il difetto di una “effettiva comparazione degli interessi dei soggetti coinvolti” (quinto motivo di appello, sub lett. e), sia l’insussistenza delle violazioni urbanistico – edilizie rappresentate dall’amministrazione (settimo motivo, sub lett. g).
4.1. Come si è già avuto modo di esporre, con riferimento all’esercizio del potere di annullamento su un provvedimento implicito di assenso, dunque formatosi per silentium, la sentenza impugnata ha avuto modo di affermare:
– per un verso, che “la ratio dell’istituto del silenzio significativo si trova nella mera semplificazione dell’iter per l’ottenimento di ciò cui il privato ambisce, suscitando da parte sua l’assunzione di responsabilità in ordine alla dichiarazione di legittima spettanza, non potendosi ammettere che attraverso l’inerzia della P.A. si pervenga al consolidamento di posizioni soggettive non conformi al modello normativo”; da ciò consegue che “la mancanza dei presupposti per l’ottenimento del bene della vita anelato certamente di per sé sorregge l’interesse pubblico all’intervento postumo dell’amministrazione” e, più in particolare, “l’esigenza di impedire una edificazione non conforme ai parametri urbanistico – edilizi vigenti” configura l’interesse pubblico tutelato mediante l’autotutela;
– per altro verso che, nel caso di specie, vi è stato un brevissimo lasso di tempo (circa tre mesi intercorrenti tra il deposito della sentenza n. 1825/2013 ed il provvedimento del Comune), tale da non consentire nemmeno l’avvio dei lavori, il che sicuramente rende legittima l’azione di autotutela.
In sostanza, il primo giudice ha inteso affermare che, perché possa esservi formazione legittima del silenzio – assenso, e dunque un legittimo provvedimento implicito di assenso, non è sufficiente il mero decorso del termine previsto, essendo invece necessario che sussistano i “presupposti per l’ottenimento del bene della vita anelato”, di modo che il difetto di tali presupposti rende illegittimo il provvedimento implicito e sorregge una delle condizioni per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio.
Quanto alla seconda di tali condizioni (ex art. 21-novies l. n. 241/1990), il primo giudice ha individuato nella “esigenza di impedire una edificazione non conforme ai parametri urbanistico – edilizi”, la ragione di interesse pubblico legittimante l’annullamento, non essendovi peraltro (in difetto anche solo di un avvio di edificazione) alcun “consolidamento” di una (eventualmente ipotizzabile) posizione giuridica del privato da considerare e comparare con l’interesse pubblico.
4.2. La sentenza, per la parte ora esposta e riferita ai presupposti di formazione del silenzio – assenso e, di conseguenza, ai presupposti per l’esercizio del potere di annullamento sul provvedimento implicito di assenso così formatosi, è del tutto condivisibile e, pertanto, non possono trovare accoglimento quei motivi di appello (sub lett. b), c) e d) dell’esposizione in fatto) avverso tale parte rivolti.
Come è noto, l’istituto del silenzio – assenso è previsto, in via generale, dall’art. 20 l. 7 agosto 1990 n. 241, in base al quale, fuori dai casi di cui all’art. 19 della medesima legge e di quelli specificamente indicati dal successivo comma 4, “nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’art. 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego”, ovvero non procede all’indizione di una conferenza di servizi (comma 1).
Nei casi di formazione del silenzio – assenso, tuttavia, “l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies” (comma 3).
Con particolare riguardo al settore edilizio, l’art. 20, comma 8, DPR 6 giugno 2001 n. 380, prevede che, fuori dei casi in cui sussistono vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio – assenso”.
Tale applicabilità dell’istituto al settore non appare, peraltro, in contrasto con i principi generali, secondo i quali esso sarebbe applicabile solo ai casi di attività vincolata (in tal senso, Corte Costituzionale, 5 maggio 1994 n. 169; 27 luglio 1995 n. 408), dovendosi appunto ritenere “provvedimento vincolato” il permesso di costruire, in quanto conseguente alla mera verifica di conformità urbanistico – edilizia del progetto presentato con le disposizioni primarie e secondarie e con quanto previsto dagli atti di pianificazione.
Per un verso, dunque, l’istituto del silenzio assenso, pur con i limiti esposti, è applicabile al settore dell’edilizia, essendo ipotizzabile la formazione di un permesso di costruire formato “per silentium”; per altro verso, la Pubblica Amministrazione ben può, una volta formatosi in tal modo detto provvedimento, intervenire in via di autotutela, laddove non sussistano le condizioni per il rilascio/conseguimento di tale provvedimento.
Se, infatti, il decorso del tempo senza che l’amministrazione abbia provveduto rende possibile l’esistenza di un provvedimento implicito di accoglimento dell’istanza presentata dal privato, nondimeno perché tale provvedimento sia legittimo occorre che sussistano tutte le condizioni, normativamente previste, per la sua emanazione, non potendosi ipotizzare che, per silenzio, possa ottenersi ciò che non sarebbe altrimenti possibile mediante l’esercizio espresso del potere da parte dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2012 n. 1364; 20 marzo 2007 n. 1339; 27 giugno 2006 n. 4114).
Diversamente opinando, si determinerebbe una situazione di sostanziale disparità tra ipotesi sostanzialmente identiche, dipendente solo dal sollecito (o meno) esercizio del potere amministrativo e – dove non fosse ipotizzabile l’intervento in via di autotutela dell’amministrazione – si verrebbe a configurare una “disapplicazione” di norme per mero (e casuale) decorso del tempo.
D’altra parte. è proprio per questa ragione che si rende possibile l’applicazione del silenzio assenso solo ai casi di attività vincolata della P.A., poiché in questi casi l’effettivo possesso dei requisiti previsti dalla legge rende possibile l’avvio dell’attività sottoposta ad autorizzazione, e rende altresì possibile ogni successivo accertamento ed esercizio di poteri di autotutela o inibitori.
Al contrario, nel caso di poteri discrezionali, la valutazione e la conseguente scelta della misura concreta da adottare per il perseguimento dell’interesse pubblico (per la tutela del quale il potere è stato conferito), non verrebbero ad essere effettuate da alcuno, determinandosi sia che in luogo dell’Autorità decida, in pratica, il tempo (e il caso), sia, soprattutto, una sostanziale decadenza dall’esercizio di potestà pubbliche.
La necessità del possesso dei requisiti di volta in volta prescritti – perché possa parlarsi di legittimo provvedimento implicito di assenso – risulta dalla stessa legge n. 241/1990 (nel testo ratione temporis vigente), laddove (art. 21,co. 1) essa richiede che, nei casi previsti dai precedenti artt. 19 e 20, l’interessato debba “dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti”.
E la sussistenza delle condizioni e presupposti deve riguardare l’integralità della domanda, e dunque il complessivo contenuto del provvedimento richiesto, non potendosi ipotizzare formazioni “parziali” del silenzio – assenso, atteso il chiaro disposto del citato art. 21.
Quanto sinora esposto comporta che, in difetto di condizioni e presupposti, il provvedimento implicito di assenso è illegittimo e, sullo stesso, l’amministrazione può esercitare i poteri di autotutela, e segnatamente il potere di annullamento, alle ordinarie condizioni previste dall’art. 21-novies l. n. 241/1990, espressamente richiamato.
4.3. Non può trovare, dunque, accoglimento quanto prospettato dagli appellanti, secondo i quali occorrerebbe – perché possa agirsi in autotutela dopo la formazione del silenzio – assenso – un “interesse pubblico inequivocabilmente più forte”, non essendo sufficiente il solo fatto che “manchino le condizioni per il rilascio dell’atto richiesto dal privato”.
Come si è detto, i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento sono, anche in questo caso, quelli previsti in via generale dall’art. 21-novies l. n. 241/1990.
E, sul punto, la sentenza appellata – in disparte quanto si dirà in ordine alla illegittimità “nel merito” del provvedimento implicito – ha ragionevolmente e condivisibilmente sostenuto (alla stregua dei consolidati principi che governano il potere di autotutela in materia edilizia, cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, n. 2908 del 2016; Sez. IV, n. 2885 del 2016; Sez. V, 2060 del 2014, Sez. IV, n. 8291 del 2010), che la necessità di tutelare l’interesse pubblico alla legittima utilizzazione del territorio sotto il profilo urbanistico – edilizio (per di più in presenza di situazioni non consolidatesi dei privati) costituisca valida ragione di interesse pubblico per l’esercizio del potere di annullamento (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2013 n. 3749).
Né può ipotizzarsi (come sostenuto dagli appellanti) che, una volta accertata la formazione del silenzio – assenso (in questo caso, da parte della sentenza n. 1825/2013 del TAR Campania, sezione di Salerno), ciò comporterebbe anche un “accertamento in via giurisdizionale della insussistenza di ostacoli sostanziali (id est: difformità urbanistica) alla formazione del silenzio”, di modo che, intervenendosi in autotutela, si avrebbe una “elusione di giudicato”.
In sede di mera verifica del (solo) superamento del termine previsto per provvedere, la sentenza accerta unicamente la formazione del provvedimento implicito di assenso, nella presunzione iuris tantum della presenza dei presupposti richiesti (ed è quanto avvenuto nel caso di specie), ma non accerta anche la legittimità di questo, posto che tale accertamento consegue solo all’esame di specifici motivi di ricorso afferenti alla legittimità del provvedimento implicito con riferimento al “merito” dello stesso.
Per le ragioni esposte, i motivi di appello di cui alle lettere b), c), d) ed e) dell’esposizione in fatto sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.
4.4. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di appello (sub lett. a), f) e g) dell’esposizione in fatto), con conseguente conferma, con le integrazioni di motivazione di seguito esposte, della sentenza impugnata.
Mentre con i primi due motivi di appello citati gli appellanti lamentano un difetto di motivazione della sentenza, ovvero una sua mancanza di autonoma valutazione rispetto a quanto rappresentato dall’amministrazione, con il terzo motivo (sub g), prospettano l’erroneità delle determinazioni del Comune di (omissis) in ordine alla “non conformità urbanistica del progettato intervento”, posto che:
– il lotto considerato “è inequivocabilmente zonizzato come edificabile dal PRG ricadendo l’opera in zona omogenea B2 del PRG, secondo la Tavola 9, con la previsione di un indice di fabbricabilità fondiaria pari a 5 mc/mq” (pag. 14 app.);
– risulta applicabile l’art. 5 d.l. n. 70/2011, conv. in l. n. 106/2011, ed il “premio volumetrico” da questo previsto, in quanto “dal momento dell’adozione del PRG la zona omogenea B2 veniva considerata bisognosa di ristrutturazione”; peraltro “la legge n. 106/2011 (è) rivolta a favorire lo sviluppo e la ripresa economica, sicché la subordinazione della sua attuazione alla preventiva azione di programmazione – sub specie della previa individuazione delle aree bisognose di riqualificazione – da parte degli enti locali equivarrebbe a decretarne l’inefficacia, né – al di fuori delle ipotesi contemplate dal comma 10 dell’art. 5 della ridetta legge – è possibile escludere l’ingresso delle misure incentivanti ivi previste” (pag. 16 app.).
A seguito di istruttoria disposta da questa Sezione con ordinanza n. 2549/2015, il Comune di (omissis), con relazione 18 giugno 2015 n. 42753 (corredata da certificato di destinazione urbanistica n. 66 del 15 giugno 2015 facente fede fino a querela di falso), ha attestato:
a) che “il lotto su cui è ubicato l’intervento in progetto, nella tavola 9 del PRG “individuazione delle zone omogenee”, ricade in zona classificata B2 centrale”;
b) che “nella tavola 6ter del PRG “zonizzazione e rete viaria”, le particelle sopra richiamate ricadenti nella zona B2 – attuale da ristrutturare”, risultano destinate in grandissima parte a “strada di progetto e parcheggi pubblici” e “zona di uso pubblico a verde semplice”. Solo in maniera residuale ricadono in zona B2 – residenziale attuale da ristrutturare”.
Il Comune di (omissis) ritiene, inoltre, che, nel caso di specie, si è in presenza di standard urbanistici e di vincoli conformativi, di modo che l’intervento edilizio progettato “non è conforme alla normativa urbanistica vigente in quanto è stato previsto su di un’area che, nel vigente piano regolatore generale è destinata per la maggiore consistenza (quasi totalmente) a standard ed in regime di vincoli conformativi, pertanto inammissibile dal punto di vista urbanistico ed edilizio”.
Avverso tali affermazioni, hanno controdedotto, in particolare, gli appellanti, depositando anche una “consulenza di parte” datata 17 giugno 2015.
Occorre innanzi tutto ricordare che oggetto della istanza volta ad ottenere il permesso di costruire (e sulla quale si è formato il silenzio – assenso), era la realizzazione di un complesso residenziale e commerciale, con fruizione del premio volumetrico di cui all’art. 5 d.l. n. 70/2011, conv. in l. n. 106/2011.
Quanto a tale ultimo aspetto, occorre osservare che il comma 9 dell’art. 5 d.l. n. 70/2011 cit., prevede che le Regioni, entro sessanta giorni dalla data di conversione del decreto, adottino leggi al fine di “incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente, nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare”, prevedendosi tra l’altro (lett. a) “il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale”.
Il successivo comma 14 prevede inoltre che, decorsi 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, le disposizioni del comma 9 (fatto salvo quanto previsto dal comma 10 e dal secondo periodo del comma 11), sono immediatamente applicabili alle Regioni a statuto ordinario che non hanno provveduto all’approvazione delle specifiche leggi regionali, e la volumetria aggiuntiva da riconoscere quale misura premiale “è realizzata in misura non superiore complessivamente al 20 per cento del volume dell’edificio se destinato ad uso residenziale, o al 10 per cento della superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso. Tali volumetrie aggiuntive devono essere calcolate “sulle distinte tipologie edificabili e pertinenziali esistenti” ed asseverate da tecnico abilitato.
Dalla lettura dell’art. 5 d. l. n. 70/2011 appare evidente come la volumetria premiale presupponga interventi che afferiscono ad un patrimonio edificato già esistente, sia pure con differenti destinazioni, nel quadro di interventi di razionalizzazione e riqualificazione degli immobili e delle aree dove gli stessi sono ubicati (comma 9), tanto è vero che la stessa premialità in misura non superiore al 20 o al 10 per cento, a seconda delle tipologie di immobili, deve essere calcolata “sulle distinte tipologie edificabili e pertinenziali esistenti”.
In definitiva, la volumetria premiale non può riguardare nuovi interventi edilizi, ma deve riguardare interventi afferenti ad immobili esistenti, e volti alla loro razionalizzazione e/o riqualificazione.
Tanto precisato, appare evidente come, nel caso di specie, non ricorrano i presupposti per assentire la volumetria aggiuntiva, posto che l’intervento oggetto della istanza di permesso di costruire (su cui si è formato il silenzio assenso), è un intervento da realizzarsi ex novo.
Orbene, poiché il silenzio – assenso non può che formarsi se non sulla “totalità” di quanto risulta oggetto della istanza inoltrata dal privato, appare evidente come la non riconoscibilità della volumetria aggiuntiva, di cui all’art. 5 d.l. n. 70/2011, già rende illegittimo il provvedimento di assenso formatosi per silentium, posto che esso riguarda un intervento dalla configurazione e complessiva volumetria non assentibile.
Tanto è già sufficiente, pertanto, a legittimare l’intervento in via di autotutela disposto dall’amministrazione, e dunque l’annullamento del provvedimento implicito di assenso.
Occorre altresì aggiungere:
– per un verso, che effettivamente (come affermato dal Comune di (omissis) con la relazione del 18 giugno 2015), nel caso di specie si è, per la gran parte, in presenza di standard urbanistici e di vincoli conformativi, attesa la destinazione impressa al suolo dei ricorrenti (Cons. Stato, sez. IV, 1 ottobre 2007 n. 5059, secondo la quale “le destinazioni a parco urbano, a parcheggio e a viabilità non comportano automaticamente l’ablazione dei suoli”, e dunque non costituiscono vincoli espropriativi o a contenuto espropriativo);
– per altro verso, che in ogni caso la decadenza dei vincoli espropriativi non comporta ex se la “riespansione” di precedenti destinazioni di zona, potendo l’amministrazione procedere, a determinate condizioni, a reiterazione del vincolo (Corte Cost., 20 maggio 1999 n. 179 e 18 dicembre 2001 n. 411), e comunque sussistendo solo l’obbligo a suo carico di reintegrare la disciplina urbanistica, dopo la decadenza del vincolo (Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2011 n. 4304; 13 ottobre 2010 n. 7493; 14 febbraio 2005 n. 432).
Per le ragioni sin qui esposte, anche gli ulteriori motivi di appello proposti (sub lett. a), f) e g) dell’esposizione in fatto), devono essere respinti.
5. Dal rigetto dell’appello consegue la conferma della sentenza impugnata, con le integrazioni di motivazione innanzi esposte.
6. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55, e dell’art. 26 c.p.a.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Landi Al. ed altri, come in epigrafe indicato (n. 4134/2015 r.g.):
a) dichiara inammissibile il deposito dei documenti indicati in motivazione;
b) rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata, con le integrazioni esposte in motivazione;
c) condanna gli appellanti, in solido, al pagamento delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000/00 (quattromila/00), in favore di ciascuna delle tre parti costituite (Comune di (omissis), Circolo Legambiente Ve. in Fa., e – in solido tra loro – Al. e Gi. La.), oltre accessori come per legge,
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Raffaele Greco – Consigliere
Silvestro Ma. Russo – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia – Consigliere

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