Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 28 novembre 2016, n. 5010

La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma 1, cod. proc. amm.), perché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l’esercizio dei poteri giurisdizionali.

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 28 novembre 2016, n. 5010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 8954 del 2014, proposto dal COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Al., con domicilio eletto presso l’avv. Cr. De. Va. in Roma, via (…),

contro

il CE. AS. RO. di FA. Pi. & C. S.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Pa., con domicilio eletto presso l’avv. Ro. Ro. in Roma, via (…),

nei confronti di

SO. – SO. SE. E RI. IT. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. per l’Emilia-Romagna, Sezione Prima, n. 433/2014, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ce. As. Ro. di Fa. Pi. & C. S.n. c.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2016, il Consigliere Giuseppe Castiglia;

Uditi gli avvocati An. Al. per il Comune appellante e Gi. Pa. per la parte appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con istanza in data 3 marzo 1995, la società Ce. As. Ro. di Fa. Pi. & C. S.n. c. ha domandato al Comune di (omissis) – ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 – la sanatoria per un abuso edilizio (cambio di destinazione d’uso senza opere) compiuto su un fabbricato sito nel territorio comunale, pagando una somma a titolo di oblazione fissa.

2. Il Comune ha quindi chiesto alla società il conguaglio degli oneri concessori.

3. La società ha impugnato tale richiesta, formulando un ricorso che è stato respinto dal T.A.R. per l’Emilia Romagna, sez. II, con sentenza 14 dicembre 2007, n. 4422, confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza 30 luglio 2012, n. 4310.

4. Nel mancato pagamento della società, in data 27 novembre 2013 la SO. – So. Se. e Ri. It. S.p.a., per conto del Comune di (omissis), le ha ingiunto il pagamento dell’importo di euro 137.166,58, comprensivo di oneri di urbanizzazione, interessi legali, spese di procedimento e di notifica, compenso di riscossione.

5. Con comunicazione del 13 dicembre 2013, la società ha dichiarato al Comune di rinunziare all’istanza di condono, chiedendo lo sgravio delle somme richieste da SO..

6. Con nota n. 722 del 16 gennaio 2014, il Comune ha replicato considerando la rinunzia inefficace, in quanto sopravvenuta al giudicato amministrativo e perché l’istanza di condono avrebbe ormai esaurito i propri effetti, a fronte del “provvedimento amministrativo, ormai assunto, in forma espressa o in forma tacita”, e confermando la perdurante operatività dell’ingiunzione di pagamento.

7. La società ha impugnato i ricordati atti comunali, proponendo un ricorso che il T.A.R. emiliano, sez. I, ha accolto con sentenza in forma semplificata 17 aprile 2014, n. 433, condannando il Comune al pagamento delle spese di giudizio.

8. Il Tribunale regionale ha ritenuto legittima ed efficace la rinunzia all’istanza, non avendo l’Amministrazione provveduto al riguardo e non essendosi formato il silenzio-assenso a norma dell’art. 39, comma 4, della legge n. 724/1994, per mancare il pagamento della somma prevista dal successivo comma 9, come attesterebbe la stessa relazione depositata il 31 marzo 2014 dall’ente locale.

9. Il Comune, non costituito nel giudizio di primo grado, ha interposto appello contro la sentenza, formulando anche una domanda cautelare che la Sezione ha accolto con ordinanza 19 novembre 2014, n. 5329.

10. L’appello si articola in tre motivi:

a) inammissibilità dell’impugnazione avverso l’ingiunzione di pagamento per mancato rispetto dei termini di decadenza e per intervenuta acquiescenza in ordine alla sussistenza del debito, avendo la società appellata dichiarato, in sede di integrazione documentale, di non aver pagato solo a seguito dell’ordinanza cautelare ottenuta all’epoca dalla Sezione (nota del 25 maggio 2011); infondatezza quanto all’eccepita prescrizione e alle spese di ingiunzione, che SO. avrebbe determinato in base alla legge;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge n. 724/1994 in combinato disposto con l’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 20. Il differimento del pagamento degli oneri concessori non avrebbe impedito il formarsi del silenzio-assenso. La trasmissione della documentazione integrativa richiesta per la definizione della pratica e il solo rinvio del pagamento alla definizione del giudizio nel merito, per effetto del richiamato provvedimento cautelare (nota del 25 maggio 2011), varrebbe acquiescenza, con conseguente formazione del silenzio-assenso e inammissibilità della successiva rinunzia;

c) ingiustizia della condanna al pagamento delle spese di lite.

11. Il Ce. As. Ro. si è costituito in giudizio per resistere all’appello sostenendo:

a) l’inammissibilità del primo motivo dell’appello, che non rappresenterebbe una specifica censura avverso la sentenza gravata, e comunque l’infondatezza nel merito;

b) l’inammissibilità del secondo motivo, perché fondato su documentazione non prodotta in primo grado (sebbene il T.A.R. avesse invitato il Comune a depositare una dettagliata relazione con tutti gli atti e i documenti relativi al procedimento di concessione della sanatoria), e comunque l’infondatezza nel merito, dovendosi ritenere corretta la lettura che il primo giudice ha fatto dell’art. 39 della legge n. 724/1994.

La società ha anche chiesto la revoca dell’ordinanza cautelare n. 5329/2014.

12. Con memoria depositata il 13 ottobre 2016, il Comune:

a) replica che l’eccezione di inammissibilità sarebbe questione rilevabile d’ufficio anche in grado di appello e avrebbe carattere assorbente;

b) contesta che l’art. 104 cod. proc. amm. impedisca la produzione di nuovi documenti in appello, specie quando la decisione di primo grado si sia fondata proprio sulla mancanza dei documenti necessari a tal fine, e insiste sull’avvenuta formazione del silenzio-assenso.

13. La società appellata ha replicato con memoria depositata il successivo 28 ottobre.

14. All’udienza pubblica del 17 novembre 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

15. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio, restando ovviamente impregiudicato il punto della loro qualificazione giuridica.

16. Con il primo motivo dell’appello, il Comune deduce anzitutto – in termini per la verità alquanto generici – l’inammissibilità (rectius: l’irricevibilità) del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancato rispetto dei termini di decadenza.

16.1. Il Collegio non ritiene necessario occuparsi della censura di inammissibilità che la parte appellata rivolge a tale motivo, che appare infondato nel merito.

16.2. In punto di diritto, per giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato, la mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma 1, cod. proc. amm.), perché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l’esercizio dei poteri giurisdizionali (cfr. sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2152; sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1657; sez. IV, 28 settembre 2016, n. 4024). L’unica eccezione concerne la giurisdizione, il cui difetto può essere rilevato d’ufficio solo in primo grado (art. 9 cod. proc. amm.).

In definitiva, è indiscutibile che la questione dell’interesse e della legittimazione ad agire sia valutabile d’ufficio in qualunque momento del giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009, n. 4004; sez. IV, 5 marzo 2015, n. 1116; sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4157) e che lo stesso debba dirsi per il punto della tardività della notificazione o del deposito.

16.3. Tuttavia, nella specie, il Collegio non ravvisa la pretesa tardività.

16.4. Nella fattispecie:

a) l’ingiunzione di pagamento della SO. è del 27 novembre 2013;

b) dalla documentazione in atti non si coglie il momento in cui l’atto ha raggiunto la destinataria, che l’ha impugnata assieme alla nota comunale del 16 gennaio 2014,

c) tuttavia, anche assumendo per ipotesi come dies a quo lo stesso 27 novembre (il che è peraltro improbabile), il ricorso di primo grado sarebbe tempestivo, in quanto risulta spedito per la notifica il 27 gennaio 2014. Vero è che questo è il 61° giorno successivo, ma poiché il 26 gennaio cadeva di domenica, a norma dell’art. 155, quarto comma, cod. proc. civ., la scadenza era prorogata di diritto al giorno seguente;

d) ne segue la piena ricevibilità del ricorso introduttivo di primo grado.

16.5. Sempre con il primo motivo dell’appello, il Comune sostiene l’avvenuta formazione dell’acquiescenza della società appellata con implicita accettazione del debito e solo rinvio alla definizione del merito della controversia del pagamento delle somme dovute.

16.6. In realtà, nella nota del Ce. As. Ro. in data 25 maggio 2011, cui il Comune si riferisce, si legge solo l’intento di proseguire il procedimento di sanatoria, trasmettendo l’integrazione documentale richiesta. Appare davvero un salto logico supporre che la frase “per quanto attiene al versamento di euro 121.754,00 si allega la sospensiva del Consiglio di Stato” valga implicito riconoscimento del debito, anche perché l’ordinanza sospensiva della Sezione (29 aprile 2008, n. 2248) accreditava come possibile un esito positivo dell’appello allora proposto dalla società.

16.7. In definitiva, la dichiarazione in discorso è tutt’altro che univoca nel senso della pretesa acquiescenza. Dunque anche questo profilo del primo motivo è infondato e va respinto.

16.8. Le questioni relative alla prescrizione del credito e alla misura delle spese di ingiunzione sono estranee al perimetro del presente giudizio di appello e se ne deve prescindere.

17. Quanto al secondo motivo, il Collegio è dell’avviso di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità della documentazione prodotta dal Comune, perché il motivo è infondato.

17.1. Infatti:

a) l’art. 39, comma 4, della legge n. 724/1994 è inequivoco nel ritenere l’avvenuto pagamento degli oneri concessori elemento costitutivo della fattispecie del silenzio-assenso dell’Amministrazione sulla domanda di sanatoria;

b) il carattere speciale della disposizione esclude l’applicabilità della norma generale dell’art. 20 della legge n. 241/1990;

c) è indiscusso che, nella specie, nessun pagamento sia avvenuto (si veda la relazione istruttoria del Comune in data 27 marzo 2014);

d) la tesi comunale (vi sarebbe stato semplice differimento del pagamento e dunque formazione del silenzio-assenso) non è convincente, perché presuppone una lettura della nota della società in data 25 maggio 2011 a cui il Collegio ha ritenuto di non potere aderire;

e) non è determinante il giudicato amministrativo formatosi sul quantum, rimanendo ancora in discussione l’an debeatur;

f) non avendo il procedimento di sanatoria trovato definizione, la rinunzia dell’interessata era legittima ed efficace (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 2013, n. 871).

18. Circa le spese del primo grado, messe a carico del Comune e compensate nei riguardi della SO., il Collegio non scorge alcun valido rilievo per riformare sul punto la decisione impugnata, (come vorrebbe il terzo motivo dell’appello), anche tenuto conto della condotta omissiva dell’ente locale che ha trascurato di costituirsi in giudizio per difendere nella sede propria le sue ragioni.

19. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello del Comune è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza di primo grado.

20. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).

21. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

22. Considerata la complessità e la novità della controversia, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate far le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco – Presidente FF

Fabio Taormina – Consigliere

Carlo Schilardi – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Nicola D’Angelo – Consigliere

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