Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 18 maggio 2016, n. 2013.

L’inciso contenuto nel dispositivo “somma rivalutata” è un tipico lapsus calami, poiché non è dato enucleare un’effettiva contraddittorietà nell’ambito delle statuizioni contenute in sentenza e tra parti della medesima, sebbene una mera inesattezza e svista, ovvero “…una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto”.

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 18 maggio 2016, n. 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6717 del 2015, proposto da:
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. To. Di. Gi., e elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), presso lo studio legale As., per mandato a margine dell’appello;
contro
Fr. Ga., rappresentato e difeso dall’avv. An. Vi., e elettivamente domiciliato in Roma, alla (…), presso Si. Ba., per mandato a margine della memoria di costituzione nel giudizio d’appello;
nei confronti di
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro in carica;
Istituto Scolastico Scuola Media “Ma. Re. Im.” di (omissis), in persona del Dirigente pro-tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
sul ricorso numero di registro generale 10651 del 2015, proposto da:
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. To. Di. Gi., e elettivamente domiciliato in Roma, alla via (…), presso lo studio legale As. per mandato a margine dell’appello;
contro
Fr. Ga., rappresentato e difeso dall’avv. An. Vi., e elettivamente domiciliato in Roma, alla via Via (…), presso Si. Ba., per mandato a margine della memoria di costituzione nel giudizio d’appello;
nei confronti di
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro in carica;
Istituto Scolastico Scuola Media “Ma. Re. Im.” di (omissis), in persona del Dirigente pro-tempore;
rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
quanto al ricorso n. 6717 del 2015:
della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione III, n. 713 del 14 maggio 2015, resa tra le parti, con cui è stato accolto il ricorso in primo grado n. r. 101/2015 proposto per l’ottemperanza della sentenza del T.A.R per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, n. 1331 del 23 settembre 2013, resa tra le parti
quanto al ricorso n. 10651 del 2015:
dell’ordinanza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, n. 1475 del 10 novembre 2015, resa tra le parti, con cui è stata accolta istanza di correzione di errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza del T.A.R per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, n. 1331 del 23 settembre 2013, resa tra le parti
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Fr. Ga., del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e dell’Istituto Scolastico Scuola Media “Ma. Re. Im.” di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2016 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avv. To. Di. Gi.per il Comune di (omissis) appellante e l’avv. Um. Vi., per delega dell’avv. An. Vi. per l’appellato Fr. Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, n. 1331 del 23 settembre 2013, in accoglimento del ricorso in primo grado n. r. 1221/2009, proposto da Fr. Ga., il Comune di (omissis) è stato condannato alla restituzione di suolo, già occupato, unitamente ad altri, per la realizzazione di un edificio scolastico (particella (omissis) a fg. (omissis) di mq. 1984), e al risarcimento del danno per il periodo successivo alla scadenza del termine di efficacia dell’occupazione (ossia dal 9 marzo 1993), liquidato in € 179.835,65.
Nella sentenza, al primo capoverso di pag. 16 si chiariva che tale somma “…trattandosi di debito di valore va rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell’illecito…di perdita di efficacia del decreto di occupazione d’urgenza…oltre gli interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali sugli importi annui della svalutazione dalla relativa maturazione…”.
Nel dispositivo, invece, al punto 2) il Comune veniva condannato a pagare il risarcimento “…con le modalità e nei limiti di cui in motivazione nella misura di € 179.835,65, somma rivalutata”.
La sentenza non è stata impugnata ed è passata in giudicato.
Con atto del 21 luglio 2014 l’interessato ha compulsato il Comune per l’ottemperanza, e con nota del 19 novembre 2014 il Comune ha preannunciato il pagamento della somma di € 179.835,65, nonché del valore venale dell’area (adibita a piazzale della scuola) in relazione all’irreversibile trasformazione e alla dedotta impossibilità di restituzione.
Con ricorso in ottemperanza n. 101/2015 l’interessato ha chiesto dichiararsi la nullità della predetta nota provvedimentale perché emanata in violazione del giudicato nonché chiarimenti in ordine alle modalità di computo di interessi e rivalutazione sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno relativo all’occupazione.
Il Comune di (omissis) non si è costituito.
Con la sentenza n. 713 del 14 maggio 2015 il TAR ha accolto il ricorso, dichiarando la nullità della predetta nota, stante l’obbligo di restituzione dell’area (e salva acquisizione sanante ex art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001) e, quanto al computo di interessi e rivalutazione, evidenziando che esso era indicato nella parte motiva della sentenza ottemperanda, onde la locuzione “somma rivalutata” di cui al dispositivo doveva essere intesa come “somma da rivalutare”, con condanna del Comune al pagamento altresì della somma di € 20,00 per ogni ulteriore ritardo, con decorrenza dalla scadenza del termine assegnato per l’ottemperanza.
Con l’appello n. r. 6717/2015 il Comune ha impugnato tale sentenza, deducendo con ampiezza di argomentazioni, qui sintetizzate, che essa in violazione dell’art. 114 c.p.a. avrebbe integrato la sentenza ottemperanda, modificandone il contenuto dispositivo col riconoscere la rivalutazione, laddove la somma dovuta era già ivi definita come rivalutata, e che non sarebbe giustificata la condanna ex art. 114 comma 4 lettera c) c.p.a., non sussistendo alcuna inerzia colpevole e avendo il Comune prontamente offerto il pagamento della somma.
Nel giudizio sì è costituito l’appellato rilevando che nella sentenza ottemperanda era chiaro che la somma dovesse essere maggiorata di rivalutazione e interessi e che quanto all’astrainte l’Amministrazione non aveva provveduto alla restituzione del suolo, dichiarando anzi che non intendeva provvedervi.
Con ordinanza n. 4025 del 9 settembre 2015 è stata accolta l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza “Ritenuta la sussistenza del fumus boni juris in ordine alla quantificazione del danno da occupazione illegittima”.
A questo punto il Gammariello ha proposto istanza per la correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza, che è stata accolta con ordinanza n. 1475 del 10 novembre 2015.
Anche tale ordinanza è stata impugnata con il successivo appello n. r. 10651/2015, sostenendo, in sintesi, che non si tratterebbe di errore materiale, sebbene di contrasto tra motivazione e dispositivo, da far valere con appello (non proposto), che l’ordinanza di correzione sarebbe in contrasto con la sentenza di ottemperanza, che la correzione era preclusa dalla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di ottemperanza, e che comunque la trattazione dell’istanza di correzione andava “sospesa” per la pregiudizialità dell’appello avverso la sentenza di ottemperanza.
L’appellato, costituitosi, ha dedotto, a sua volta, l’inammissibilità dell’appello perché l’ordinanza di correzione non ha contenuto decisorio, e comunque la sua infondatezza.
Alla camera di consiglio del 18 febbraio 2016 i due appelli sono stati chiamati in trattazione congiunta, discussi e riservati per la decisione.
Gli appelli in epigrafe devono essere riuniti in funzione della loro evidente connessione soggettiva e oggettiva.
Entrambi sono destituiti di fondamento giuridico e devono essere rigettati, nonostante i pregevoli rilievi svolti dal difensore del Comune appellante.
6.1) Quanto all’appello n. r. 10651/2015, relativo all’impugnativa dell’ordinanza di correzione, può prescindersi dall’esame dell’eccezione d’inammissibilità, proposta dall’appellato in relazione al contenuto non decisorio della medesima, in funzione della sua evidente infondatezza.
Come già rilevato nella narrativa in fatto sub 1 è del tutto palese l’errore materiale in cui è incorso il giudice amministrativo pugliese, riscontrabile ictu oculi nella discrasia tra motivazione e dispositivo, posto che nella prima al primo capoverso di pag. 16 è chiaramente statuito che tale somma “…trattandosi di debito di valore va rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell’illecito…di perdita di efficacia del decreto di occupazione d’urgenza…oltre gli interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali sugli importi annui della svalutazione dalla relativa maturazione…”.
E’ quindi innegabile che l’inciso contenuto nel dispositivo “somma rivalutata” è un tipico lapsus calami, poiché non è dato enucleare un’effettiva contraddittorietà nell’ambito delle statuizioni contenute in sentenza e tra parti della medesima, sebbene una mera inesattezza e svista, ovvero “…una discrepanza tra la volontà del giudicante e la sua rappresentazione, chiaramente riconoscibile da chiunque e che è rilevabile dal contesto stesso dell’atto” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 settembre 2015, n. 4103).
6.2) Non ha maggior fondatezza l’appello n. r. 6717/2015, posto che non sussiste l’invocata violazione dell’art. 114 c.p.a., poiché compete pur sempre al giudice dell’ottemperanza di individuare la portata conformativa della sentenza ottemperanda, nella specie affatto chiara quanto alla statuizione di condanna al pagamento delle somme, maggiorate della rivalutazione, e quindi da rivalutare e non già rivalutate.
E’ altresì giustificata la condanna ai sensi dell’art. 114 comma 4 lettera c), perché il Comune, non provvedendo alla restituzione e anzi manifestando la volontà di non provvedervi, senza però avviare il procedimento di acquisizione sanante, ha assunto comportamento inerte sanzionabile con l’astrainte.
Alla luce dei rilievi che precedono, gli appelli devono essere rigettati avendo il Collegio esaminato e toccato tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663), laddove gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Il regolamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza, a favore della parte privata appellata, potendosene disporre la compensazione nei confronti delle Autorità statali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede sugli appelli n. r. 6717/2015 e n. r. 10651/2015, previa loro riunione:
rigetta gli appelli e per l’effetto conferma la sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione III, n. 713 del 14 maggio 2015 e dichiara del tutto rituale l’ordinanza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, n. 1475 del 10 novembre 2015 di correzione dell’errore materiale;
condanna il Comune di (omissis) appellante, in persona del Sindaco in carica, alla rifusione, in favore dell’appellato Fr. Ga., delle spese e onorari del giudizio relativo agli appelli riuniti, che liquida in complessivi € 3.500,00 (tremilacinquecento/00), oltre IVA e CAP e rimborso spese generali nella misura del 15%, e salvo il rimborso del contributo unificato;
dichiara compensate per intero tra il Comune di (omissis) e le Autorità statali appellate le spese e onorari del giudizio di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere
Raffaele Greco – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 18 maggio 2016.

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