Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 18 maggio 2016, n. 2006.

Tanto il D.M. 5/5/2011, quanto il D.L.gs. n. 28/2011 – riferendosi entrambi sia ai casi di “falsità” (concetto presupponente, in teoria, la sussistenza dell’elemento del dolo, nel compimento dell’infrazione) che a quelli di “non veridicità” (comportante, al contrario, la mera non corrispondenza di quanto dichiarato rispetto alla realtà fattuale) dei dati o documenti forniti in sede di procedura per l’ammissione alle tariffe incentivanti – richiedono, al fine dell’emanazione dei provvedimenti di decadenza dagli incentivi e di recupero delle somme eventualmente già erogate, che la violazione rilevata attraverso la procedura di verifica degli impianti, prevista dagli artt. 21 D.M. 5/5/2011 e 42 D.Lgs. n. 28/2011, debba risultare “rilevante” ai fini del riconoscimento dell’incentivo. Ne deriva che, qualora le violazioni rilevate dal Gestore per i Servizi Energetici, a seguito di apposita istruttoria, non risultino rilevanti ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti, non è possibile procedere direttamente e automaticamente al rigetto della relativa istanza (ovvero, alla decadenza del soggetto dagli incentivi e al recupero delle somme eventualmente già erogate).

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 18 maggio 2016, n. 2006

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10279 del 2015, proposto da:
Pu. Cu. So. Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Er. St. Da., Fr. Sa. Ma., con domicilio eletto presso Fr. Sa. Ma. in Roma, Via (…);
contro
Ge. dei Se. El. Gs. Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Ca. Ma., con domicilio eletto presso Ca. Ma. in Roma, corso (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III TER n. 11706/2015, resa tra le parti, concernente decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti per impianto fotovoltaico sito nel Comune di (omissis).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ge. dei Se. El. Gs. Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Ma. e Ma. (anche su delega di St. Da.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con comunicazione dell’11 aprile 2012 (prot. GS./FTVA 201290564995), la Soc. Si. So. a r.l. presentava richiesta di ammissione alle tariffe incentivanti, previste dal D.M. 5/5/2011 (cd. Quarto Conto Energia), per l’impianto di propria titolarità denominato “Sebastiano” e sito nel Comune di (omissis) (SR), in C.da (omissis).
Al fine del riconoscimento della maggiorazione prevista dall’art. 14, c. 1 lett. d) del citato D.M., spettante in caso di utilizzo di componenti prodotti all’interno dell’Unione Europea, la società allegava alla richiesta di incentivo l’attestato di Factory Inspection n. 11-PPI-006209/03-L01-TIC, fornito dalla ditta Zu. s.r.l., fornitrice dei pannelli fotovoltaici.
Nell’ambito dell’istruttoria per l’ammissione dell’impianto al regime di incentivazione, il GS. riscontrava, con nota del 16 maggio 2012, la non conformità delle matricole poste al di sotto del vetro dei pannelli acquistati dalla Si. So. s.r.l. (composte da 17 caratteri del tipo “S6Pxxxxxxxxxxxxxx”), rispetto alla regola sequenziale, conforme a normativa CEI/EN 61215, indicata nell’Attestato di Factory Inspection (consistente in una lettera A seguita da 7 cifre numeriche, del tipo “Annnnnnn”).
Per tale ragione, il Ge. per i Se. En. invitava la società istante ad integrare la documentazione fornita, domandando in particolare la produzione del certificato dei moduli fotovoltaici conforme alle regole CEI/EN 61215, nonché il documento attestante la garanzia dei moduli fotovoltaici e i certificati di ispezione di fabbrica degli stabilimenti produttivi, dei moduli e degli inverter.
In riscontro alla suddetta richiesta, la Si. So. forniva al GS. una dichiarazione della Zu. s.r.l. con cui si dichiarava che l’elenco in precedenza trasmesso dalla fornitrice dei pannelli era errato. Veniva inoltre comunicato l’elenco matricole corretto, recante il codice alfanumerico corrispondente all’Attestato di Factory Inspection.
Con provvedimento del 12 giugno 2012 (prot. FTV_506033) il GS. comunicava pertanto alla Si. So. il riconoscimento della tariffa incentivante, nella misura di 0,189 €/kWh, comprensiva del premio previsto dall’art. 14, c. 1, lett. d) del D.M. 5/5/2011.
In data 2 luglio 2012 la società informava il GS. del passaggio nella titolarità dell’impianto della Pu. Cu. So. s.r.l., chiedendo la formalizzazione del subentro del cessionario nella convenzione.
Con successiva nota prot. P20130143892 del 5 luglio 2013, il GS. comunicava l’avvio del procedimento di verifica, ai sensi dell’art. 42 D.Lgs. 5 marzo 2011 n. 28 e dell’art. 21 D.M. 5/5/2011, procedendo successivamente ad effettuare un sopralluogo presso l’impianto “Sebastiano” in data 11 luglio 2013.
Le risultanze dell’attività di controllo venivano in seguito descritte con nota prot. GS./P20140031324 del 13 marzo 2014, che possono così sintetizzarsi: a) le etichette inamovibili poste, su ciascun modulo fotovoltaico, al di sotto del vetro, risultavano composte da 17 caratteri e dunque non corrispondevano alla struttura delle matricole riportata nell’Attestato di Factory Inspection, allegato alla richiesta di incentivazione dell’impianto di produzione; b) i medesimi moduli presentavano sul retro due etichette amovibili: una, di 17 caratteri, identica a quella posta al di sotto del vetro e l’altra, di 8 caratteri, del medesimo formato dell’Attestato di Factory Inspection, ma, in ragione della propria amovibilità, non conforme alla disciplina CEI/EN 50380; c) il certificato n. 11-PPV-0006209/03-L02-TIC, di conformità alla normativa CEI/EN 61215, non si riferiva pertanto ai moduli che componevano l’impianto, identificabili esclusivamente sulla base dei dati contenuti sulle etichette inamovibili, che pertanto non risultavano riconducibili allo stabilimento della Zu. s.r.l.; d) l’Attestato n. 11-PPI-0006209/03-L01-TIC, allegato alla richiesta di incentivazione, riportava nel campo Annual Capacity la dicitura “XX MW”, mentre il medesimo certificato inviato al GS. dall’Ente di certificazione recava il valore di “15 MW”.
Il GS. disponeva pertanto la sospensione in via cautelativa dell’erogazione degli incentivi, sino all’esito della procedura di verifica, e invitava il responsabile dell’impianto a presentare osservazioni nei dieci giorni successivi.
In risposta, la Pu. Cu. inviava, in data 18 marzo 2014, osservazioni e documenti, successivamente integrati con note del 9 e del 17 aprile 2014, affermando, da un lato, che la difformità dei numeri di serie rilevati sui moduli fotovoltaici sarebbe stata imputabile esclusivamente ad un errore dell’azienda produttrice e, dall’altro, che la dicitura riportata sul campo denominato “Annual Capacity” fosse dipesa da un mero refuso, riconosciuto dalla stessa Zu. s.r.l., del certificato inserito nel sito internet del fornitore.
Non ritenendo le argomentazioni fornite dalla società idonee a spiegare le difformità riscontrate in sede di verifica, il GS. procedeva, con provvedimento prot. P20140052923 del 29 maggio 2014, a disporre la decadenza della Pu. Cu. dal diritto alle tariffe incentivanti e l’annullamento in autotutela del provvedimento di ammissione alle stesse.
Con il medesimo atto, veniva inoltre richiesta al soggetto responsabile la restituzione degli incentivi indebitamente percepiti, per un importo complessivo pari a € 341.013,89, entro il termine di 30 giorni.
Con ricorso notificato in data 24 luglio 2014, la Pu. Cu. So. s.r.l. impugnava dinanzi al T.AR. del Lazio le richiamate risultanze del procedimento di verifica del GS. del 13 marzo 2014 ed il provvedimento di decadenza del 29 maggio 2014, chiedendo l’annullamento degli stessi.
Nello specifico, il ricorso verteva essenzialmente su tre profili.
Con il primo motivo di impugnazione, veniva dedotta la violazione degli artt. 11 e 14 del D.M. 5/5/2011, nonché la falsa applicazione ovvero violazione dell’art. 42, c. 3 D.L.gs. n. 28/2011, per non avere il GS. tenuto conto dell’assoluta assenza di colpa della Pu. Cu., nella redazione della richiesta di ammissione agli incentivi e pertanto nella presentazione di dati e documenti non veritieri, attività sanzionata ai sensi dell’art. 21 D.M. 5/5/2011. La circostanza, a dire della ricorrente, avrebbe escluso in radice l’irrogazione della sanzione punitiva rappresentata dalla decadenza dagli incentivi e la restituzione delle somme già corrisposte.
Il secondo profilo di ricorso, invece, atteneva alla conformità dei pannelli solari utilizzati nell’impianto della Pu. Cu. ai requisiti previsti dal D.M. 5/5/2011, fatto che avrebbe dovuto comportare, fermo restando il mancato diritto alla maggiorazione prevista dall’art. 14, c. 1 lett. d) del medesimo Decreto Ministeriale, la legittimità degli incentivi ordinari, previsti dal Quarto Conto Energia, riconosciuti dal GS. con il provvedimento del 12 giugno 2012. La circostanza veniva supportata da perizia di parte, la quale accertava altresì che i pannelli solari installati nell’impianto della ricorrente erano stati prodotti in Cina, dalla ditta Ch. Su. So. Co. Ltd.
Infine, veniva lamentata la carenza dei presupposti di diritto per procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies L. n. 241/90, del provvedimento di ammissione alle tariffe incentivanti, per carenza nel caso di specie di un interesse pubblico al ripristino della legalità, prevalente rispetto ai contrapposti interessi dei privati.
Con successivo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente impugnava altresì la nota prot. GS./P20150005381 del 4 febbraio 2015, con cui veniva comunicato il trattenimento delle somme dovute, in pagamento delle fatture per l’energia ceduta dalla Pu. Cu. in regime di “ritiro dedicato”, sino alla concorrenza dei crediti vantati nei confronti della società, per effetto del provvedimento di decadenza dagli incentivi e di recupero di quanto già corrisposto.
Con sentenza n. 11706, pubblicata in data 15 ottobre 2015, il Tar del Lazio respingeva il ricorso, per le ragioni così riassumibili: a) l’art. 23, c. 3 del D.Lgs. n. 28/2011, espressamente richiamato dall’art. 21, c. 2 D.M. 5/5/2011 parrebbe implicare una sorta di automatismo tra la presentazione di dati o documenti falsi ovvero non veritieri, da parte del soggetto istante, e la sua decadenza dalle tariffe incentivanti, non rilevando l’elemento soggettivo della condotta posta in essere dal responsabile della violazione; b) il mancato riconoscimento del beneficio richiesto, così come la decadenza da esso e la restituzione delle somme eventualmente già erogate, non costituirebbe affatto una sanzione afflittiva, ma meramente ripristinatoria dei rapporti, fatto che ulteriormente comproverebbe l’irrilevanza di profili di dolo o colpa nella condotta tenuta dall’istante; c) la decadenza dall’incentivo non potrebbe che riguardare, in forza del disposto dell’art. 42, c. 3 D.Lgs. n. 28/2011, l’intero importo dell’incentivo, e non solo la maggiorazione prevista dall’art. 14, c. 1, lett. d) del D.M. 5/5/2011; e) data la natura di atto vincolato ex lege del provvedimento di decadenza emesso dal GS., non potrebbe rinvenirsi alcuna violazione della disciplina prevista dall’art. 21-nonies L. n. 241/90 da parte del Gestore dei Servizi Energetici; f) vista la legittimità dei provvedimenti amministrativi alla stessa presupposti, anche la successiva nota del 4 febbraio 2015, impugnata con motivi aggiunti, dovrebbe essere considerata conforme a diritto.
Con atto di appello notificato in data 9 dicembre 2015, la soc. Pu. Cu. So. a r.l. chiede la riforma della citata sentenza del Tar Lazio con conseguente annullamento dei provvedimenti emessi nei suoi confronti dal GS..
In particolare, la società contesta le valutazioni svolte dal giudice di prime cure, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e riproponendo le doglianze già sollevate in primo grado. Domanda inoltre a questo giudice di appello, nel caso in cui lo stesso reputasse di dover convenire con la ricostruzione interpretativa svolta dal Tar Lazio, di sollevare questione di legittimità costituzionale sulla compatibilità del combinato disposto degli artt. 23, c. 3 e 42, c. 3 D.Lgs. n. 28/2011 con l’art. 117 della Costituzione, nonché con gli artt. 6 (diritto ad un equo processo) e 7 (principio del “nulla poena sine lege”) della CEDU.
Con atto di costituzione del 21 dicembre 2015 e con memorie difensive depositate in corso di causa, il Ge. per i Se. En. contesta quanto da parte appellante dedotto, domandando la conferma della decisione di primo grado.
All’udienza pubblica del 7 aprile 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Con il primo motivo di appello, la Pu. Cu. So. s.r.l. solleva due quesioni.
Da un lato, lamenta l’illegittimità dell’operato del GS., che non avrebbe tenuto conto dell’assenza di qualsiasi profilo di dolo o colpa della società nella presentazione di dati e documenti “falsi o non veritieri”, sanzionata ai sensi dell’art. 21 D.M. 5/5/2011.
Più nello specifico, l’appellante rileva che la documentazione prodotta ai fini del riconoscimento delle somme incentivanti previste dal “Quarto Conto Energia” era stata in origine presentata dalla Si. So. s.r.l., soggetto da essa completamente distinto. Inoltre, i dati forniti dalla stessa Si. So., erano stati a loro volta forniti dalla Zu. s.r.l., produttrice dei pannelli fotovoltaici installati nell’impianto di (omissis), oggi di proprietà dell’appellante.
Ne deriverebbe che il GS. non avrebbe potuto legittimamente sottoporre la società alla procedura sanzionatoria prevista dagli artt. 21 D.M. 5/5/2011 e 23, c. 3 e 42, c. 3 D.Lgs. n. 28/2011, in carenza di qualsiasi responsabilità nella produzione di dati o documenti “falsi o non veritieri”.
D’altro canto, l’appellante evidenzia l’irrilevanza della non correttezza delle informazioni fornite dalla stessa Pu. Cu., ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti, previste dal D.M. 5/5/2011.
Più esattamente, l’appellante sottolinea che, come dimostrato attraverso la consulenza tecnica di parte, depositata in primo grado e non contestata dal GS., i pannelli fotovoltaici installati nell’impianto di (omissis), sebbene prodotti in Cina dalla ditta Ch. Su. So. Co. Ltd. (fatto da cui, come ammesso dalla medesima Pu. Cu., deriva la legittima decadenza della stessa dal premio del 10%, previsto dall’art. 14, c. 1 lett. d) D.M. 5/5/2011), risultavano conformi alla normativa CEI/EN 61215, pertanto incentivabili ai sensi del medesimo D.M. 5/5/2011.
Il motivo è fondato nei sensi che ora si vanno a precisare.
Dirimente nel caso in esame appare il secondo profilo, da ultimo evidenziato, inerente alla “rilevanza” delle violazioni contestata all’odierna appellante.
Va, in primis, evidenziato che tanto il D.M. 5/5/2011, quanto il D.L.gs. n. 28/2011 – riferendosi entrambi i testi normativi sia ai casi di “falsità” (concetto presupponente, in teoria, la sussistenza dell’elemento del dolo, nel compimento dell’infrazione) che a quelli di “non veridicità” (comportante, al contrario, la mera non corrispondenza di quanto dichiarato rispetto alla realtà fattuale) dei dati o documenti forniti in sede di procedura per l’ammissione alle tariffe incentivanti – paiono prescindere completamente dall’elemento psicologico della condotta dell’istante.
Ciò premesso, va, tuttavia, rilevato che entrambe le citate fonti normative richiedono, al fine dell’emanazione dei provvedimenti di decadenza dagli incentivi e di recupero delle somme eventualmente già erogate, che la violazione rilevata attraverso la procedura di verifica degli impianti, prevista dagli artt. 21 D.M. 5/5/2011 e 42 D.Lgs. n. 28/2011, debba risultare “rilevante” ai fini del riconoscimento dell’incentivo.
A norma dell’art. 21, c. 2 D.M. 5/5/2011, difatti, “l’accertamento della non veridicità di dati e documenti o della falsità di dichiarazioni, resi dai soggetti responsabili” comporta “la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante” nei (soli) casi in cui le dichiarazioni siano state fornite “ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti” e pertanto non qualora, come nella fattispecie, la non veridicità dei dati sia dipesa da un errore formale – tra l’altro, nemmeno commesso dall’istante – la cui assenza non avrebbe in ogni caso modificato l’esito della procedura di incentivazione dell’impianto.
Allo stesso modo, l’art. 42, c. 3 D.Lgs. n. 28/2011 statuisce espressamente che il GS. possa disporre il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi “nel caso in cui le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi”.
Ne deriva, con ragionamento a contrario, che qualora le violazioni rilevate dal Ge. per i Se. En. non risultino rilevanti ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti, le stesse non possano essere oggetto di procedura repressiva.
Erra, pertanto, l’Ente appellato, laddove ritiene che nella normativa sopra descritta possa rinvenirsi una sorta di “automatismo” tra la presentazione di dati o documenti falsi ovvero non veritieri, da parte del soggetto istante, e la decadenza dello stesso dalle tariffe incentivanti.
Tantomeno possono ritenersi corrette le conclusioni cui giunge il giudice di prime cure, nella parte in cui afferma addirittura che la non veridicità delle dichiarazioni rese in merito alla provenienza europea dei moduli fotovoltaici, rilevanti esclusivamente per l’ottenimento del bonus previsto dall’art. 14, c. 1 lett. d) D.M. 5/5/2011, “porta con sé la decadenza tout court della concessione tariffaria per falsa dichiarazione ai sensi dell’art. 42 co. 3 D. lgs. 28/2011”.
Invero, dalla normativa sopra citata appare sufficientemente chiaro che il Ge. per i Se. En., qualora riscontri, in sede di verifica ai sensi dell’art. 42 D.Lgs. n. 28/2011, inesattezze dei dati forniti dai soggetti partecipanti alle procedure per riconoscimento di incentivi per la produzione di energia, dovrebbe procedere ad una apposita valutazione – nel caso di specie, non svolta – sulla rilevanza di tali violazioni e non procedere direttamente e automaticamente al rigetto della relativa istanza (ovvero, alla decadenza del soggetto dagli incentivi e al recupero delle somme eventualmente già erogate).
Come già evidenziato, l’appellante aveva già prodotto in primo grado una perizia tecnica di parte, a firma dell’Ing. Fa., comprovante la conformità dei moduli installati nell’impianto di proprietà della Pu. Cu., con la normativa CEI/EN 61215 e pertanto il rispetto dei parametri tecnici richiesti dal D.M. 5/5/2011 per l’accesso agli incentivi. Tale perizia, rimasta incontestata dall’appellato, risulta sufficientemente chiara nel senso della non rilevanza delle violazioni commesse dalla Pu. Cu., nell’ambito della procedura di riconoscimento degli incentivi.
Ne consegue che il comportamento tenuto dal GS. non può ritenersi legittimo, essendo lo stesso viziato da violazione della normativa di cui al D.M. 5/5/2011 e al D.Lgs. n. 28/2011.
L’accoglimento di tale profilo di doglianza comporta l’assorbimento del terzo motivo di appello, concernente la sussistenza dei presupposti di diritto per procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies L. n. 241/90, del provvedimento di ammissione alle tariffe incentivanti, per carenza nel caso di specie di un interesse pubblico al ripristino della legalità, prevalente rispetto ai contrapposti interessi dei privati.
Data l’illegittimità dei provvedimenti presupposti, anche la nota prot. GS./P20150005381 del 4 febbraio 2015, impugnata in primo grado con ricorso per motivi aggiunti – con cui è stato comunicato il trattenimento delle somme dovute in pagamento delle fatture per l’energia ceduta dalla Pu. Cu. in regime di “ritiro dedicato”, sino alla concorrenza dei crediti vantati nei confronti della società – va parimenti ritenuta illegittima in via derivata e, pertanto, deve essere conseguentemente annullata.
Da quanto sopra specificato, in definitiva, deriva l’accoglimento del proposto appello nei sensi fin qui esposti e, per l’effetto, la riforma della sentenza di primo grado, con annullamento dei provvedimenti emessi dal GS., esclusa la (non contestata) decadenza da parte di Pu. Cu. So. s.r.l. dalla maggiorazione della tariffa incentivante (10 %), prevista dall’art. 14, c. 1 lett. d) D.M. 5/5/2011.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere interamente compensate tra le parti, in ragione della novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, così come proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla i provvedimenti emessi dal GS. nei confronti della Pu. Cu. So. s.r.l., ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Spese doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere, Estensore
Raffaele Greco – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Depositata in Segreteria il 18 maggio 2016.

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