Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 29 maggio 2015, n. 2699

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2483 del 2014, proposto da:

Xu.He., rappresentato e difeso dagli avv. Pa.Pe., Ma.An., con domicilio eletto presso Ma.An. in Roma, viale (…);

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA – TRIESTE, SEZIONE I, n. 00664/2013, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo permesso di soggiorno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 aprile 2015 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Damizia su delega dichiarata di Angelelli e l’avvocato dello Stato Ferrante Wally;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante è cittadino cinese, in Italia dal 2005, con permesso di soggiorno per lavoro subordinato più volte rinnovato fino al 18 gennaio 2013.

2. In esito all’istanza di rinnovo dell’ultimo permesso, comprendente la richiesta di iscrizione dei due figli minori nati in Italia (in Italia è presente anche la moglie, entrata per cure mediche, ma il cui permesso è scaduto), la Questura di Udine gli ha opposto un diniego con decreto prot. 55/2013 in data 25 giugno 2013.

3. Il diniego è motivato con l’insufficienza dei redditi percepiti – sulla base dei CUD 2012 e 2013 e della busta paga relativa al mese di aprile 2013, relativi al rapporto di lavoro a tempo indeterminato part time, instaurato dal 3 novembre 2011 – a garantire il sostentamento suo e dei familiari conviventi (oltre che con riferimento al mancato esercizio del diritto al ricongiungimento famigliare ed alla condizione di soggiorno irregolare della moglie, e con il rilievo secondo cui “tuttora sussistono legami familiari e sociali con il paese d’origine, vista la scarsa integrazione nel contesto italiano”).

4. Ha impugnato il diniego dinanzi al TAR Friuli VG, sottolineando di aver sempre lavorato conseguendo redditi largamente al di sopra della soglia individuale prevista dall’art. 29, comma 3, lettera b), del d.lgs. 286/1998 (euro 7.102 nel 2006, 7.188 nel 2007, 5.201 nel 2008, 8.077 nel 2009, 10.583 nel 2010, 6.140 nel 2011, 8.796 nel 2012, e che quindi lo scostamento dalla soglia necessaria al nucleo familiare comprensivo dei figli era minimo, senza contare che l’ultima busta paga (luglio 2013) registra un reddito mensile maggiore.

Ha lamentato che la Questura, in applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, non avrebbe dovuto limitarsi a raffrontare i redditi con la soglia, ma avrebbe dovuto considerare la condotta irreprensibile, l’intero percorso lavorativo, la possibilità di conseguire maggiori redditi (anche mediante l’ottenimento di un permesso per attesa occupazione, ai sensi dell’art. 22, d.lgs. cit.), l’inserimento sociale e familiare in Italia e, per contro, la mancanza di legami con la Cina.

5. Il TAR Friuli VG, con la sentenza appellata (I, n. 664/2013), ha respinto il ricorso, richiamando quanto previsto in tema di requisiti reddituali – dagli artt. 4, comma 3, 26, comma 3, del d.lgs. 286/1998, nonché dall’art. 39, comma 3, del d.P.R. 349/1999 – e sottolineando che non è in discussione che il ricorrente percepisca un reddito insufficiente, mentre la fattispecie di cui all’art. 22, comma 11, del d.lgs. 286/1998 non rileva avendo il ricorrente usufruito di ben più di sei mesi per attesa occupazione.

6. Nell’appello, si sostiene – con riferimento a censure di eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e motivazione, nonché falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998 – che la sentenza del TAR è erronea, in quanto lo scostamento dalla soglia reddituale di legge è minimo, e comunque l’insufficienza del reddito non comporta automaticamente il diniego del titolo, occorrendo avere riguardo anche alla continuità dell’attività lavorativa, alle prospettive di reddito, all’esistenza di vincoli familiari ed al grado di inserimento sociale in Italia, all’esistenza di legami col Paese d’origine.

In questa prospettiva, lo straniero:

(a) – ribadisce che è ben integrato in Italia, dove lavora con continuità da anni (il datore di lavoro si è dichiarato disponibile in data 4 ottobre 2013 ad assumerlo a tempo pieno), dove vivono tutti i fratelli con le loro famiglie (uno di essi ha un reddito annuo di 26.500 euro e lo ospita gratuitamente, consentendogli cospicui risparmi nelle spese di mantenimento), mentre in Cina è rimasto solo il padre anziano; e che i legami familiari rilevano a prescindere dal ricongiungimento (cfr. Corte Cost. n. 202/2013);

(b) – sostiene che, quanto meno, ha diritto a poter cercare un reddito integrativo che gli consenta di superare la soglia anche tenendo conto dei figli, attraverso la concessione di un permesso per attesa occupazione;

(c) – sostiene, infine, che non può ritenersi che l’insufficienza del reddito per tutti i membri della famiglia si ripercuota sull’intero nucleo familiare, includendovi anche colui che percepisce un reddito sufficiente per il rinnovo del proprio titolo di soggiorno, e non piuttosto sui soli familiari che non riescono a beneficiare di tale copertura.

7. Per l’Amministrazione si è costituita in giudizio, con memoria formale, l’Avvocatura Generale dello Stato.

8. Il Collegio osserva che le censure dedotte dall’appellante sono incentrate sulla necessità che la Questura non si limitasse al mero riscontro del mancato conseguimento della soglia reddituale, ma considerasse il requisito reddituale in chiave prospettica e – così come richiesto dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998 – ne integrasse la valutazione con quella della natura e della effettività dei vincoli familiari e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale.

La prospettazione può essere condivisa.

9. Secondo l’orientamento consolidato di questa Sezione, la disciplina di maggior favore accordata dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, benché riferita dalla lettera della norma a colui che abbia usufruito di una procedura di ricongiungimento familiare, deve essere applicata, per necessità logico-giuridica, in tutti i casi in cui vi sia un nucleo familiare la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo ad una procedura di ricongiungimento, non rilevando in contrario che tale procedura in effetti non vi sia stata, essendosi il nucleo familiare costituito o ricostituito senza aver dovuto ricorrervi (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, III, n. 5220/2014, n. 4325/2014 e n. 4086/2014).

Pertanto, la considerazione negativa dell’elemento reddituale non era sufficiente a determinare il diniego di rinnovo.

10. Non può ritenersi che la ponderazione con la situazione familiare e con il radicamento in Italia sia realmente avvenuta.

Il provvedimento impugnato, sia pure mediante un succinto “Valutato” in coda alle premesse, sembra far discendere dal mancato esercizio del ricongiungimento familiare la mancanza di legami familiari, e dall’insufficienza del reddito non soltanto la mancanza di un radicamento nel tessuto socio-economico italiano, ma addirittura la permanenza di legami familiari e sociali con il Paese d’origine.

Si tratta di asserzioni non supportate da alcuna argomentazione circostanziata, e, prima ancora che intrinsecamente illogiche, smentite dai dati acquisiti al giudizio (e non contestati dall’Amministrazione): l’appellante è in Italia da lungo tempo, qui ha sempre lavorato; in Italia si trova la moglie, sono nati e frequentano la scuola i due figli, sono presenti tutti i fratelli con le loro famiglie (soltanto l’anziano padre è rimasto in Cina).

11. Anche la valutazione del requisito reddituale presta il fianco alle censure dedotte.

Infatti, è oggetto di orientamento consolidato che, se il requisito reddituale è sempre necessario e la sua misura, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, è quella stabilita dall’art. 29, comma 3, lettera b), ormai anche richiamato dall’art. 22, comma 11, del d.lgs. 286/1998 (cfr. Cons. Stato, III, n. 3342/2014 e n. 4652/2014), tuttavia, fini del rinnovo del permesso di soggiorno, dalle disposizioni del d.lgs. 286/1998 complessivamente considerate, non si evince che sia necessaria la dimostrazione del possesso, in modo assoluto ed ininterrotto, di quel livello di reddito; al contrario, l’Amministrazione deve comunque tener conto di comprovati fatti sopravvenuti prima del provvedimento (in primis: un rapporto di lavoro che faccia presumere una prospettiva di continuità per il futuro), che superino situazioni di carenza di reddito riscontrate durante il pregresso periodo di validità del precedente permesso di soggiorno (cfr., Cons. Stato, III, n. 6069/2014, n. 3674/2014 e n. 3596/2014).

12. La documentazione presentata dall’appellante mostra un reddito sufficiente per il proprio sostentamento, e poco al di sotto della soglia (pari al doppio dell’assegno sociale annuo) che, in applicazione dell’art. 29, cit., egli dovrebbe raggiungere in ragione della presenza nel nucleo familiare dei due figli minori.

Ma, come esposto, in caso di rinnovo è necessario che il raggiungimento della soglia venga valutato con elasticità, anche alla luce delle possibilità di incremento del reddito. E l’appellante ha depositato una dichiarazione di disponibilità del datore di lavoro a trasformare il rapporto di lavoro in rapporto a tempo pieno, e si può ragionevolmente supporre che ciò permetterebbe il superamento della soglia.

13. Si potrebbe obiettare che anche la moglie dell’appellante debba essere considerata, e che quindi la soglia di riferimento sia più alta.

Tuttavia, così come l’appellante, anche la Questura, nel diniego, mostra di non considerare la posizione della moglie, in quanto irregolare.

E nulla impedisce di ipotizzare che lo straniero, nell’impossibilità di mantenere tutta la famiglia in Italia, abbia scelto di far rimanere i due figli piccoli, rinviando a migliori opportunità future il rientro della moglie; oppure, che la coppia sia separata, ed abbia deciso di affidare i figli al marito. In ogni caso, tali profili avrebbero dovuto essere oggetto di approfondimento da parte della Questura, attraverso il confronto procedimentale attivato dall’istanza di rinnovo.

14. In conclusione, l’appello è fondato e deve essere accolto.

15. Considerata la natura della controversia, si ravvisano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente

Vittorio Stelo – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Alessandro Palanza – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 29 maggio 2015.

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