Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 aprile 2017, n. 1971

Ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, costituisce condizione soggettiva non eludibile il possesso di un reddito minimo, in quanto attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, essendo finalizzato ad evitare l’inserimento di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, d’altra parte, la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 28 aprile 2017, n. 1971

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1374 del 2016, proposto da:

Pa. Da. Mb., rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Do., domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);

contro

Ministero dell’Interno – Questura di Bologna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA-BOLOGNA, SEZIONE I, n. 00869/2015, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo del permesso di soggiorno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno – Questura di Bologna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Pierfrancesco Ungari e udito per le Amministrazioni appellate l’avvocato dello Stato Ti. Va.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con decreto in data 21 luglio 2014 la Questura di Bologna ha respinto la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato-attesa occupazione presentata in data 2 luglio 2014 dall’odierno appellante, cittadino senegalese, a causa della mancanza del requisito reddituale, avendo egli documentato per il 2013 l’importo complessivo di soli euro 1.056,00 e non disponendo di un lavoro idoneo a garantire i necessari mezzi di sostentamento.

2. Lo straniero ha impugnato il provvedimento dinanzi al TAR Emilia Romagna, lamentando l’insufficienza della motivazione, l’errato riferimento a soglie di reddito minimo non previste dalla normativa, l’omessa considerazione della progressiva stabilizzazione del suo rapporto di lavoro e dell’aiuto economico garantitogli dai due connazionali con lui conviventi.

3. Con la sentenza appellata (II, n. 869/2015), il TAR Emilia Romagna ha respinto il ricorso, affermando che:

– correttamente la Questura ha desunto l’insussistenza di uno dei presupposti legali per il rinnovo, a fronte del reddito pregresso e di quello ragionevolmente prevedibile alla luce dell’instaurato nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato in scadenza alla data del 30 settembre 2014;

– infatti, non rileva l’invocato sostegno economico di due connazionali conviventi, giacché le loro eventuali prestazioni derivano da mera solidarietà e possono venire meno in ogni momento, con conseguente mancanza di un’oggettiva garanzia circa la permanenza dell’aiuto;

– neppure rilevano le vicende successive (l’addotta stabilizzazione del rapporto lavorativo), posto che, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, le sopravvenienze utili a determinare una positiva evoluzione del procedimento in favore dello straniero sono solo quelle che si verificano tra il momento della richiesta del rinnovo e la determinazione dell’Amministrazione; tanto più che il reddito prodotto dal ricorrente nel 2014 – pari ad euro 3.882,00 – risulta comunque decisamente inferiore alla soglia dell’assegno sociale, e che quello dei primi cinque mesi del 2015 – pari a euro 279,00 – si presenta a sua volta irrisorio (v. “estratti contributivi INPS” depositati in data 19 agosto 2015).

4. Nell’appello, si prospetta che:

(a) – nessuna norma di legge stabilisce una rigida soglia per definire la sufficienza reddituale in relazione alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato; il parametro indicato dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, ai fini del ricongiungimento, può valere come criterio orientativo ragionevole per fissare un reddito sufficiente al sostentamento ma deve essere applicato tenendo conto delle concrete prospettive lavorative, della durata della permanenza in Italia e del grado di inserimento sociale; a riprova di ciò, qualora il reddito documentato dall’appellante in occasione dei precedenti rinnovi, di poco al di sotto della soglia corrispondente all’assegno sociale, fosse stato ritenuto insufficiente, il rinnovo non sarebbe stato concesso;

(b) – al momento del rinnovo, l’appellante aveva documentato l’avvenuta ripresa (dopo un periodo di disoccupazione) dell’attività lavorativa come vigilante, e ciò irragionevolmente è stato ritenuto inidoneo a fondare una prognosi di sufficienza reddituale; è distante dalla realtà e pretestuoso, a meno di svuotare di contenuto la garanzia prevista dall’art. 22 del d.lgs. 286/1998 (sul rilascio, a chi ha perso il lavoro, di un permesso per attesa occupazione), pretendere che il lavoratore disoccupato venga assunto da un nuovo datore di lavoro con contratto, sin da subito, a tempo indeterminato;

(c) – il dato reddituale relativo al 2015 non può essere considerato, in quanto la flessione lavorativa ed il licenziamento sono stati determinati proprio dalla mancata produzione, nonostante i continui solleciti da parte del datore di lavoro anche in ragione delle delicate mansioni svolte, del permesso di soggiorno rinnovato;

(d) – non può essere imputato all’appellante la carenza di reddito nel 2013, in quanto periodo coperto dall’attesa occupazione; anzi, la ripresa dell’attività lavorativa prima della scadenza avrebbe dovuto essere considerata favorevolmente, ed è arbitrario il diniego di rinnovo a soli quattro mesi da detta scadenza, senza verificare su un tempo più lungo la capacità reddituale futura;

(e) – occorreva considerare in favore dell’appellante la durata del soggiorno ed il radicamento sociale in Italia, in quanto l’art. 9 del d.lgs. 286/1998 si applica anche a coloro i quali (pur non avendolo chiesto) hanno maturato le condizioni per il rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo; in questi casi, l’eventuale diniego è subordinato ad un giudizio di pericolosità sociale, e non è possibile tener conto con mero automatismo della sola mancanza del requisito reddituale;

(f) – vi è carenza di istruttoria, posto che il diniego è stato adottato dalla Questura di Bologna lo stesso giorno in cui afferma di aver ricevuto una memoria che indicava l’esistenza di accordi per prorogare ulteriormente il contratto di lavoro in essere, e che molti mesi dopo dalla Questura sono stati chiesti ed ottenuti elementi circa la stabilizzazione del rapporto di lavoro.

5. Per il Ministero dell’interno si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato, depositando memoria di stile.

6. Il Collegio osserva anzitutto che l’applicabilità al rinnovo chiesto dall’appellante delle più favorevoli condizioni di valutazione della sua posizione previste dall’art. 9 del d.lgs. 286/1998, non potrebbe comunque togliere rilevanza preclusiva alla mancanza del requisito reddituale, e che, in ogni caso, detta applicabilità, anche secondo l’interpretazione “costituzionalmente orientata” prefigurata dalla ordinanza della Corte Costituzionale n. 58/2014, presuppone che si tratti della richiesta della carta di soggiorno di lungo periodo, e cioè di un procedimento in cui vi sia stata una specifica domanda in tal senso (cfr. Cons. Stato, III, n. 950/2017, n. 5014 /2016 e n. 4470/2015); il che non si verifica nel caso in esame.

7. Le censure di difetto di istruttoria e motivazione appaiono sostanzialmente comprese nella denuncia di una inadeguata valutazione della capacità reddituale prospettica (infatti, nulla aggiunge alla prospettazione dell’appellante il rilievo che il diniego sia stato adottato lo stesso giorno della presentazione della documentazione, così come quello sul comportamento successivo della Questura, circostanze irrilevanti), che costituisce il nodo della controversia.

7.1. Ancorché la censura incentrata sul mantenimento da parte dei due connazionali non sia stata sviluppata nell’appello, ma solo accennata a corredo di altre argomentazioni, è utile precisare che non sarebbe fondata, in quanto secondo la giurisprudenza di questa Sezione, in assenza di redditi propri e di fondate prospettive reddituali per un periodo prolungato, la disponibilità al sostentamento espressa da terzi non appartenenti al nucleo familiare non può valere ad integrare il requisito economico richiesto dalla legge (cfr. Cons. Stato, III, n. 5400/2016 e n. 3569/2016).

7.2. Riguardo ai criteri della valutazione del requisito reddituale, i principi invocati dall’appellante sono coerenti con la giurisprudenza di questa Sezione sulla necessità di considerare il requisito mediante una valutazione non limitata al periodo pregresso ma estesa alle capacità reddituali prospettiche (cfr. in ultimo, Cons. Stato, III, n. 843/2017).

Infatti, è consolidato l’orientamento secondo il quale, ai fini del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno, costituisce condizione soggettiva non eludibile il possesso di un reddito minimo, in quanto attiene alla sostenibilità dell’ingresso dello straniero nella comunità nazionale, essendo finalizzato ad evitare l’inserimento di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e che, d’altra parte, la dimostrazione di un reddito di lavoro o di altra fonte lecita di sostentamento è garanzia che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (cfr. tra le tante, Cons. Stato, III, n. 2227/2016; n. 2335/2015; n. 3596/2014).

Anche se, ai fini del rinnovo, il requisito reddituale può essere soddisfatto mediante la dimostrazione di una capacità reddituale valutata in concreto, considerando (qualora i redditi nel periodo pregresso risultino insufficienti) le prospettive di maggior reddito desumibili dalla situazione al momento della valutazione dell’istanza (cfr., in ultimo, Cons. Stato, III, n. 4549/2016; n. 3569/2016; n. 5108/2015; n. 2699/2015), sempre con riferimento alla soglia di reddito desumibile, per il lavoro subordinato, dall’art. 29, comma 3, lettera b), anche richiamato dall’art. 22, comma 11, del d.lgs. 286/1998 (cfr., in ultimo, Cons. Stato, III, n. 2645/2015; n. 4652/2014; n. 3342/2014).

7.3. Tuttavia le risultanze documentali non dimostrano che la valutazione della Questura di Bologna abbia disatteso detti criteri.

Infatti, nel caso in esame:

– l’appellante, regolarizzato come badante ex d.lgs. 102/2009, dopo quattro anni di redditi insufficienti rispetto alla soglia stabilita dall’art. 29, cit. (euro 4.204,20 nel 2009; 3.952,50 nel 2010; 4.531,00 nel 2011; 5.086,00 nel 2012), risulta aver lavorato come vigilante dal dicembre 2012 al marzo 2013, ed aver fruito di un periodo di iscrizione al collocamento (dal 28 maggio 2013, secondo quanto lui stesso dichiara), così che per il 2013 ha potuto documentare soltanto un CUD per 958,00 euro (1.056,00 dalla banca dati INPS) per il servizio di vigilanza svolto presso “L’in. S.r.l.”;

– a seguito del preavviso di rigetto, ed a corredo di un’istanza con la quale chiedeva che le sue prospettive reddituali venissero considerate positivamente, in data 21 luglio 2014 (vale a dire, lo stesso giorno in cui risulta adottato il diniego) ha documentato (secondo quanto risulta dall’istruttoria disposta da questa Sezione con ordinanza n. 1850/2016) che dall’aprile 2014 aveva un contratto a tempo determinato di vigilante con la “Un. S.r.l.”, per tre mesi, rinnovato dal 2 luglio al 30 settembre 2014, con “accordi verbali” per un ulteriore rinnovo;

– secondo quanto prospetta l’appellante, il rapporto “di lavoro intermittente” sarebbe stato poi ulteriormente rinnovato alle scadenze (sono state depositate agli atti lettere di rinnovo, dal 21 ottobre 2014 fino al 9 febbraio 2015, poi fino al 31 luglio 2015, ed infine fino al 30 giugno 2016) e sarebbe cessato solo a seguito della sopravvenuta posizione di irregolarità riguardo al soggiorno in Italia);

– poiché la Questura non gli aveva comunicato il provvedimento conclusivo, in data 24-25 novembre 2014 l’appellante ha depositato altra documentazione (oltre al CUD 2013, l’estratto conto INPS aggiornato, le buste paga di luglio-ottobre 2014, ed i successivi atti di proroga del rapporto: Modello Unificato Unilav in data 20 ottobre 2014, e note della “Un. S.r.l.” in data 9 febbraio 2015 e 29 giugno 2015).

Dalla documentazione depositata in giudizio, che riguarda anche il periodo successivo al diniego fino alla comunicazione del diniego di rinnovo, si desumono redditi pari a 3.882,00 euro da aprile a dicembre 2014, e ad 1.294,00 euro da febbraio a agosto 2015 (estratto INPS aggiornato).

L’appellante non ha specificamente argomentato, né dimostrato di aver percepito redditi ulteriori.

Sulla base di tali dati, non vi sono elementi per poter ritenere che la valutazione effettuata dalla Questura di Bologna fosse illogica, alla luce dei redditi insufficienti relativi ai cinque anni precedenti, nei quali era stato svolto lo stesso tipo di lavoro poi riattivato, dopo il periodo di attesa occupazione, in prossimità della scadenza dell’ultimo permesso di soggiorno, e della durata limitata e precarietà del nuovo rapporto.

L’andamento reddituale che risulta dalla documentazione presentata dall’appellante relativamente al periodo successivo al diniego mostra una flessione netta, che conferma le suesposte conclusioni. La tesi dell’appellante, che imputa tale flessione all’incertezza della sua situazione di soggiorno, non convince, in quanto lo stesso ha depositato lettere di rinnovo del rapporto senza soluzione di continuità, che in teoria coprono tutto il periodo intercorso fino alla comunicazione del provvedimento di diniego di rinnovo, vale a dire almeno i primi cinque mesi del 2015.

8. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

9. Considerato l’esito del giudizio ed in mancanza di difese sostanziali dell’Amministrazione, le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Manfredo Atzeni – Consigliere

Raffaele Greco – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore

Stefania Santoleri – Consigliere

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