Non è necessaria la dimostrazione del possesso, in modo assoluto ed ininterrotto, del livello di reddito richiesto, ma possano esservi periodi nei quali tali requisiti manchino, purché tali periodi siano limitati nel tempo, non determinino una definitiva perdita della capacità di produrre reddito, siano associati alla iscrizione ai centri per l’impiego e (alla scadenza dei permessi in essere) diano luogo alla richiesta del permesso in attesa di occupazione ovvero, in caso di ricongiungimento familiare o situazioni ad esso assimilabili e comunque in presenza di nuclei familiari, siano compensati da redditi di altri componenti del nucleo familiare
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 26 gennaio 2017, n. 326
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 9426 del 2015, proposto da Dj. Ta., rappresentato e difeso dall’avv. Lu. Do., con domicilio eletto presso Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Ministero dell’interno e la Questura di Ravenna, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in via (…), Roma;
per la riforma della sentenza del TAR Emilia Romagna, sede di Bologna – sez. II, n. 779/2015;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Questura di Ravenna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2017 il Cons. Francesco Bellomo e uditi per le parti l’avvocato dello Stato An. Gr.;
Ritenuto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale dell’Emilia Romagna, sede di Bologna Dj. Ta. domandava l’annullamento del provvedimento con cui era stata rigettata l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, emesso dal Questore della Provincia di Ravenna in data 8 maggio 2014 CAT.a11/Imm Nr.190/2014, conosciuto in data 3 giugno 2014 a seguito di notificazione a mani.
A fondamento del ricorso deduceva plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Si costituivano in giudizio per resistere al ricorso il Ministero dell’Interno e di Questura di Ravenna.
Con sentenza n. 779/2015, emessa in forma semplificata, il TAR rigettava il ricorso.
2. La sentenza è stata appellata da Dj. Ta., che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.
Si sono costituiti per resistere all’appello il Ministero dell’Interno e la Questura di Ravenna.
La Sezione ha accolto la domanda di sospensione cautelare della sentenza.
La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 12 gennaio 2017.
DIRITTO
1. Il provvedimento impugnato è motivato con riferimento all’insussistenza del requisito di reddito. Ciò poiché “dalla documentazione riguardante la disponibilità di un reddito da lavoro o da altra fonte legittima è emerso che lo straniero durante la validità del permesso di soggiorno ottenuto per lavoro subordinato, ha lavorato n. 6 settimane nel 2012 e n. 3 settimane nel 2013; esaminata la posizione assicurativa del lavoratore presso l’I.N.P.S., con acquisizione dell’estratto contributivo, è emerso che lo straniero ha prodotto nell’arco di 2 anni, un reddito totale di € 867,44, così suddiviso: € 706,44 nel 2012 presso la Ditta Ra. Cl. ed € 161,00 nel 2013 come operaio presso la Ditta S.R. Gr. srl; rilevato che lo straniero è regolarmente assunto dal 16.10.2013, con un contratto di lavoro a tempo determinato presso la Ditta S.R. Gr. srl con sede a (omissis) scaduto di validità in data 20.12.2013”.
Il ricorrente, dopo aver ripercorso la propria situazione lavorativa negli anni e i legami familiari in Italia, ha lamentato la violazione degli artt. 22, comma 11 e 5, comma 5 d.lgs. n. 286/1998, nonché eccesso di potere per insufficienza della motivazione.
Il TAR ha respinto il ricorso ritenendo insussistente il requisito di reddito e che tale difetto non potesse essere superato in base ad altre considerazioni, poiché:
– l’Amministrazione procedente non era tenuta a valutare l’asserita situazione familiare del ricorrente, non essendo documentati rapporti di convivenza e non sussistendo la fattispecie del ricongiungimento familiare;
– non era applicabile l’art. 22, comma 11 d.lgs. n. 286/1998, poiché la perdita del posto di lavoro era dovuto alla naturale scadenza del contratto e l’interessato alla data di presentazione dell’istanza di rinnovo non si era iscritto alle liste di collocamento.
L’appellante reitera la censura di violazione dell’art. 5, comma 5 d.lgs. n. 286/1998, letto in combinato disposto con gli artt. 4, commi 3 e 5; 6, comma 5; 29, comma 3, lettera b) d.lgs. n. 286/1998, e con l’art. 13, comma 2 D.P.R. n. 394/1999.
In particolare, critica la sentenza appellata per non aver dato rilievo alla sua situazione familiare, omettendo di considerare la sentenza n. 202 del 2013 la Corte costituzionale.
2. L’appello è fondato.
Occorre premettere il quadro giuridico sotteso al caso in esame, che a sua volta presuppone la ricostruzione della situazione di fatto in cui si trovava l’appellante al momento dell’istanza di permesso di soggiorno.
Dj. Ta. entra in Italia nel 2008, all’età di 15 anni, per ricongiungersi ai parenti, residenti in Ravenna già da anni, attesa l’indigenza dei genitori (poi deceduti) nel territorio di nascita.
A Ravenna, lo straniero si stabilisce presso l’abitazione locata dallo zio, Di. Th., dove vivono anche i cugini, Di. Go. e Di. Mo..
Lo zio e i due cugini dell’interessato sono pienamente inseriti nel contesto sociale e, tanto che lo zio, proprio in virtù del lungo soggiorno e della documentata stabilità lavorativa e reddituale ha ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana, mentre i cugini Di. Go. e Di. Mo. sono titolari di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, con validità illimitata, rilasciati dalla Questura di Ravenna.
Nel 2009 il cugino Di. Mo. era nominato tutore del minore. L’anno successivo, il Tribunale per i Minorenni per l’Emilia Romagna in Bologna disponeva l’affidamento del minore al medesimo. La Questura di Ravenna, pertanto, rilasciava all’appellante il permesso di soggiorno per affidamento.
Alla fine del 2013, il nucleo familiare decide di lasciare la casa di via (omissis) prendere in locazione due appartamenti più grandi, uno in via (omissis), ove si trasferiscono Di. Th. (zio) col figlio Di. Go., l’altro, nelle immediate vicinanze, in via (omissis), ove risiede l’interessato, conservando l’organizzazione comune dei redditi individuali.
Nel frattempo, conclusi gli studi professionali l’appellante inizia la ricerca di un’attività lavorativa.
Nel 2012 viene assunto come collaboratore domestico presso la Signora Ra. Cl. con contratto a tempo indeterminato parziale a far data 20.11.2012, interrotto in data 29.04.2013.
Successivamente lavora dal 21.06.2013 al 31.07.2013 come operaio e il 16.10.2013 viene assunto come operaio stampatore di resina presso la Ditta St. Fo. di Ca. Ma. con contratto a tempo determinato, valido sino al 20.12.2013.
In data 9.01.2014 si reca al Centro per l’Impiego della Provincia di Ravenna per rendere la dichiarazione di immediata disponibilità all’attività lavorativa.
Titolare di permesso di soggiorno, prima per affidamento, poi per studio, infine per lavoro fino al 24.11.2013, l’appellante presentava istanza di rinnovo il 19.11.2013, che gli era rigettata l’8.05.2014, con il provvedimento impugnato in primo grado.
L’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998 prevede tra i requisiti di legittimo ingresso degli stranieri in Italia la disponibilità di adeguati mezzi di sussistenza e tale requisito è richiamato dall’art. 5, comma 5 ai fini del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno.
In base alla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato occorre interpretare il requisito in questione alla luce del complessivo sistema del T.U. sugli immigrati e, in particolare, considerando i citati artt. 4, comma 3 e 5, comma 5 alla luce della ratio ispiratrice di quest’ultimo e in relazione all’art. 22, comma 11 d.lgs. n. 286/1998 e all’art. 19 del D.P.R. n. 349/1999, che richiama lo stesso art. 22 per escludere che i requisiti di reddito richiesti per il rinnovo del permesso di soggiorno si applicano in caso di richiesta del permesso in attesa di occupazione sistematica; nonché all’articolo 29, comma 3, lettera b) d.lgs. n. 286/1998 (a cui lo stesso art. 22 rinvia come regola da applicare al termine del periodo di attesa di occupazione), che prevede un livello di reddito riferito esclusivamente al nucleo familiare e non individuale.
Da tale cornice normativa si evince il principio per il quale non è necessaria la dimostrazione del possesso, in modo assoluto ed ininterrotto, del livello di reddito richiesto, ma possano esservi periodi nei quali tali requisiti manchino, purché tali periodi siano limitati nel tempo, non determinino una definitiva perdita della capacità di produrre reddito, siano associati alla iscrizione ai centri per l’impiego e (alla scadenza dei permessi in essere) diano luogo alla richiesta del permesso in attesa di occupazione ovvero, in caso di ricongiungimento familiare o situazioni ad esso assimilabili e comunque in presenza di nuclei familiari, siano compensati da redditi di altri componenti del nucleo familiare (cfr. Cons. Stato, III, 10 dicembre 2014, n. 6069; 14 luglio 2014, n. 3674; 11 luglio 2014, n. 3596, 26 maggio 2015, n. 2645).
Nel caso in esame appare dirimente proprio la situazione familiare, certamente ricadente nel perimetro applicativo dell’art. 5, comma 5, secondo periodo d.lgs. n. 286/1998 conseguente alla sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o al “familiare ricongiunto”, e non anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”.
La Corte, nel ritenere illegittima la mancata estensione della tutela rafforzata prevista dalla norma a tutti i casi in cui lo straniero abbia nello Stato legami familiari, ha fatto applicazione sia degli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost, sia dell’art. 8 della CEDU.
L’Amministrazione e il TAR non hanno tenuto conto di tali legami, pur palesati dai fatti e certificati sin dal rilascio originario del permesso di soggiorno.
Può aggiungersi, sul versante del combinato disposto dell’art. 5, comma 5, primo periodo e dell’art. 22, comma 11 d.lgs. n. 286/1998, che ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno può valorizzarsi anche l’iscrizione nelle liste di collocamento sopravvenuta all’istanza, quantomeno ai fini del rilascio del permesso di soggiorno in attesa occupazione.
3. L’appello è accolto.
L’esito alterno dei giudizi e l’esistenza di un’incertezza sulla questione risolutiva giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento impugnato.
Spese del doppio grado di giudizio compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Francesco Bellomo – Consigliere, Estensore
Raffaele Greco – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli –
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