Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 25 agosto 2016, n. 3697

La tardività della dichiarazione tributaria non costituisce di per sé un elemento cui riconnettere automaticamente il diniego di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, essendo tenuta l’Amministrazione a valutarla comunque, al fine di accertare il possesso dei necessari requisiti reddituali

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 25 agosto 2016, n. 3697

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3310 del 2016, proposto dal signor Ha. Ar., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Co. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso la signora An. De An. in Roma, via (…);
contro
Il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Torino e la Questura di Torino, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla via (…);
lo Sportello Unico per l’immigrazione di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Piemonte, Sez. II, n. 1388/2015, resa tra le parti, concernente un diniego di rilascio di un permesso soggiorno per emersione dal lavoro irregolare;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, della Prefettura di Torino e della Questura di Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2016 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu.;
Considerato che è stato prospettato alle parti che si sarebbe potuto definire con sentenza il secondo grado del giudizio e rilevato che sussistono i relativi presupposti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. A seguito dell’annullamento di un primo diniego del Questore di Torino di data 15 novembre 2010 (disposto dal TAR per il Piemonte con la sentenza n. 98 del 2014), la Questura di Torino ha emesso l’atto n. 106931 del 17 giugno 2015, che ha respinto nuovamente l’istanza dell’appellante, volta alla regolarizzazione ai sensi dell’art. 1 ter del d.l. m. 78 del 2009, convertito nella legge n. 109 del 2009.
A fondamento dell’atto del 17 giugno 2015, la Questura ha rilevato che il datore di lavoro dell’interessato non risultava in possesso del requisito del reddito minimo di 20.000 euro (previsto dall’art. 1 ter, comma 4, lettera d), della legge n. 109 del 2009), poiché egli ha presentato una dichiarazione dei redditi “tardiva” nel gennaio 2010, per l’anno 2008, e poi nel 2015 una dichiarazione integrativa, da considerare irrilevante perché equiparabile ad una dichiarazione “mai presentata”.
Con il ricorso n. 917 del 2015 (proposto dinanzi al T.A.R. per il Piemonte), l’interessato ha impugnato l’atto del 17 giugno 2017, deducendo che doveva essere tenuto conto della dichiarazione integrativa presentata dal datore di lavoro nel 2015.
2. Con la sentenza n. 1388 del 2015, il TAR ha respinto il ricorso, rilevando che:
– la rettifica della dichiarazione dei redditi è stata presentata con “grave ritardo”, tale da costituire un “grave indizio della possibile fittizietà”;
– peraltro, ai fini della applicazione delle disposizioni della legge n. 102 del 2009, l’Amministrazione dovrebbe tenere conto delle “sole dichiarazioni dei redditi che il datore di lavoro risulti aver presentato alla Agenzia delle Entrate nei modi e tempi dovuti”;
– nella specie, poiché vi è stato il primo diniego risalente al 2010 (poi annullato in sede giurisdizionale), l’Amministrazione non avrebbe dovuto attribuire rilievo alla dichiarazione di rettifica del 2015.
3. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo che “la rettifica della dichiarazione dei redditi per l’anno 2008 è valida a tutti gli effetti di legge”, non potendosi considerare rilevante nella specie il principio espresso dall’art. 7 del d.P.R. n. 322 del 1998, per il quale si considerano omesse le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a novanta giorni.
Le Amministrazioni appellate si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del gravame.
Alla camera di consiglio del 21 luglio 2016, l’appello è stato trattenuto in decisione, dopo che è stato prospettato che, ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a., il giudizio sarebbe stato definito con sentenza.
3. Ritiene il Collegio che l’appello è fondato e va accolto.
Come la Sezione ha già rilevato con la sentenza 30 marzo 2016, n. 1257, in sede di verifica dei presupposti di applicazione dei benefici previsti dalla normativa in materia di immigrazione, l’Amministrazione dell’Interno deve tenere conto di tutte le dichiarazioni presentate in sede tributaria, pur se siano state violate disposizioni sui termini di presentazione e tali ritardi siano sanzionabili.
Correttamente l’appellante ha rilevato che l’art. 2, comma 7 del d.P.R. n. 322 del 1998, nell’equiparare la dichiarazione tardiva a quella omessa, ha nondimeno previsto che le dichiarazioni tardive valgono ai fini della riscossione: ai fini tributari, la dichiarazione tardiva comporta l’irrogazione delle relative sanzioni e se del caso la rideterminazione del quantum dovuto, ma di certo non si può considerare inesistente.
Inoltre, quanto all’applicazione delle disposizioni del d.lg. n. 286 del 1998, la dichiarazione resa ai fini fiscali rileva comunque come elemento da valutare – unitamente ad altri elementi – ai fini della possibilità del rilascio e del rinnovo del permesso di soggiorno.
Ne consegue che la tardività della dichiarazione tributaria non costituisce di per sé un elemento cui riconnettere automaticamente il diniego di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, essendo tenuta l’Amministrazione a valutarla comunque, al fine di accertare il possesso dei necessari requisiti reddituali (in termini, Cons. Stato, Sez. III, 30 marzo 2016, n. 1257).
4. Per le ragioni che precedono, l’appello deve essere pertanto accolto, sicché, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado n. 917 del 2015 va accolto, con conseguente annullamento del diniego n. 106931 del 17 giugno 2016, salvi gli ulteriori provvedimenti.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a riesaminare la domanda dell’appellante, tenendo conto anche dei fattori sopravvenuti, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286 del 1998.
Le spese dei due gradi seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza) accoglie l’appello n. 3310 del 2016 e, in riforma della sentenza del TAR per il Piemonte n. 1388 del 2015, accoglie il ricorso di primo grado n. 917 del 2015.
Condanna le Amministrazioni appellate al pagamento – in favore dell’appellante – di complessivi euro 1.500 (millecinquecento), per spese ed onorari dei due gradi del giudizio.
Dispone che le Amministrazioni appellate rimborsino all’appellante quanto effettivamente versato a titolo di contributo unificato, nel corso dei due gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Carlo Deodato – Consigliere
Manfredo Atzeni – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

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