consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 21 marzo 2016, n. 1145

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 3725 del 2015, proposto dal Sig. Sh. Me., rappresentato e difeso dall’avv. Lu. Bi., con domicilio eletto presso la Segreteria della III^ Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, Piazza (…);

contro

Ministero dell’Interno ed U.T.G. – Prefettura di Macerata, in persona, rispettivamente, del Ministro p.t. e del Prefetto in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede, in Roma, Via (…), sono ex lege domiciliati;

per la riforma

della sentenza n. 377 del 1.12.2014 (pubblicata il 13.1.2015) resa dal T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II^ quater

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 il Cons. Carlo Modica de Mohac e udito l’Avvocato dello Stato Ag. So.;

Sentita quest’ultima ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

CONSIDERATO:

– che con ricorso n. reg. gen. 327/2014 il Sig. Sh. ME. proponeva ricorso innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio chiedendo la dichiarazione giudiziale – per i conseguenti effetti conformativi e di condanna – della illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione (c.d. “silenzio-inadempimento”) sulla richiesta di cittadinanza italiana da Lui avanzata in data 19.12.2011;

– che con nota depositata “in vista” dell’udienza camerale, l’Amministrazione resistente rappresentava di aver predisposto l’invocato decreto di conferimento della cittadinanza italiana e di averlo inviato alla firma degli Organi competenti;

– che pertanto con sentenza n. 377 del 2.12.2014 (depositata il 13.1.2015), il T.A.R. adìto dichiarava cessata la materia del contendere, compensando le spese di giudizio fra le parti costituite;

– che il predetto Tribunale ha giustificato la decisione di compensare le spese facendo riferimento alla “complessità dell’istruttoria” ed alla “difficoltà di gestione dell’enorme quantità di domande di concessione della cittadinanza italiana presentate da cittadini stranieri”;

CONSIDERATO, altresì:

– che con l’appello in esame il ricorrente ha impugnato la predetta sentenza nel solo capo relativo alla predetta statuizione sulle spese;

– e che con unico articolato mezzo di gravame lamenta violazione e falsa applicazione del comb. disp. dell’art. 26 del c.p.a. e dell’art. 92, comma 2°, del c.p.c., deducendo che la sentenza si presenta ingiusta (nella parte gravata) in quanto il Giudice di primo grado ha erroneamente compensato le spese senza motivare tale decisione ed in mancanza delle condizioni logico-giuridiche per farlo;

RITENUTO che la doglianza meriti accoglimento per le ragioni che si passa ad esporre.

Secondo il pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa (C.S., V^, 17.5.2007 n. 247; Id., III^, 5.9.2012 n. 4707), il principio generale secondo cui la parte soccombente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa può incontrare eccezioni e può dunque essere derogato (rectius: disapplicato), purché la “ragione” della deroga sia “esternata” in motivazione in modo che si comprendano l’iter logico-giuridico e/o le valutazioni (di fatto ed eventualmente di sostanziale equità) su cui essa si fonda.

Senonché, dalla motivazione della sentenza appellata non emerge alcun elemento dal quale sia possibile dedurre la sussistenza di “giusti motivi” sui quali poter fondare la più volte menzionata “deroga” al c.d. “principio della soccombenza”.

Non è emerso – infatti – alcun “concorso di colpa” del ricorrente (nella eziologia del ritardo procedimentale), né sono sorti dubbi ermeneutici o difficoltà esegetiche in merito alla normativa da applicare alla fattispecie. E neanche è accaduto che la questione dedotta in giudizio sia rimasta, per qualche aspetto, impregiudicata.

A fronte di un tardivo adempimento della resistente, sopravvenuto solamente in pendenza del giudizio – allorquando il ricorso era stato notificato e l’udienza fissata; allorquando, cioè, il processo (inteso, secondo la tradizionale impostazione teorica, come “actus trium personarum”), era ormai in corso (ed il c.d. “rapporto processuale” già costituito) – il Giudice di primo grado ha ritenuto di (poter) giustificare la sua decisione di compensare le spese, semplicemente facendo riferimento al fatto – peraltro non allegato in funzione scriminante (e neanche esimente) dall’Amministrazione – che presso i competenti Uffici amministrativi pendono molte domande di cittadinanza e che, nella fattispecie, l’istruttoria si è presentata “complessa”.

Ma, a ben guardare, tali circostanze non possono (essere fatte) “gravare” sul ricorrente; né costituire titolo per pregiudicarlo.

E pertanto non appaiono idonee a supportare la statuizione in questione.

Posto – infatti – che il ricorrente aveva titolo per esperire l’azione giudiziaria a sua tutela (ricorrendo tutte le condizioni all’uopo richieste), non appare giusto né equo – in mancanza di ogni e qualsiasi sua responsabilità – che le spese di giudizio alle quali è andato incontro per ottenere la realizzazione di un suo diritto soggettivo (o comunque la soddisfazione di un suo interesse legittimo) e per sopperire alla prolungata inerzia amministrativa, debbano restare a suo carico.

RITENUTO, pertanto, che – in accoglimento della espressa domanda giudiziale veicolata con l’atto di appello in esame ed in riforma dell’appellata sentenza – l’Amministrazione soccombente debba essere condannata al pagamento delle spese processuali nella misura indicata nel dispositivo per i due gradi;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), accoglie l’appello; e, per l’effetto ed in riforma dell’appellata sentenza, condanna l’Amministrazione al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese processuali relative all’intero giudizio, che liquida nella misura di €.2000,00 oltre i.v.a. ed accessori dovuti ex lege (fra i quali il rimborso del contributo unificato, ove assolto).

Ordina che la presente sentenza si eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2015 con l’intervento dei Signori Magistrati:

Pier Giorgio Lignani – Presidente

Bruno Rosario Polito – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Carlo Modica de Mohac – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 21 marzo 2016.

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