Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 19 gennaio 2015, n. 116

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3576 del 2010, proposto dal Ministero dell’Interno, U.T.G. – Prefettura di Caserta, rappresentato e difeso dall’Avvocatura, Generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, Via (…);

contro

avv. Ge.Be., rappresentato e difeso da sé medesimo, con domicilio eletto presso il dott. Ug.Be. in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE V n. 03168/2009, resa tra le parti, concernente divieto di detenzione armi, munizioni e materie esplodenti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ge.Be.;

Viste le note a difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2014 il consigliere Bruno Rosario Polito e uditi per le parti l’avv. De Cu., per delega dell’avv. Be., e l’avvocato dello Stato D’As.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per la Campania l’avv. Ge.Be. impugnava per dedotti motivi di violazione di legge e di eccesso di potere il provvedimento del Prefetto di Caserta n. 13481 del 20 settembre 2006, recante il divieto di detenere armi, munizioni.

Il provvedimento ha tratto giustificazione da una riscontrata situazione di contrasti familiari accertati a seguito di intervento presso l’abitazione del Be. su richiesta, tramite il servizio 112, da parte di componente il nucleo familiare.

Il T.A.R. adito – dopo ricostruzione in punto di diritto dei presupposti in presenza dei quali, sensi dell’art. 39 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, alle persone ritenute capaci di abusarne, nonché delle qualità soggettive dalle quali deve essere assistito il beneficiario di atto autorizzatorio al porto d’armi, accoglieva il ricorso.

Con riguardo alla fattispecie che ha originato l’atto interdittivo della detenzione di armi il giudice territoriale rilevava che, dopo l’intervento dei tutori dell’ordine pubblico presso l’abitazione dell’ avv. Be., non è seguita alcuna concreta iniziativa processuale penale; che la moglie del predetto con dichiarazione orale resa al Vice-Prefetto e che con successiva nota del 13 settembre era stata meglio descritto l’episodio del litigio, escludendo espressamente che in tale occasione furono proferite minacce inoltre pur avendo ricevuto le controdeduzioni del ricorrente, non ha indicato evidenze o fatti ulteriori, né ha fornito una più approfondita motivazione concernente la personalità del ricorrente e la sua affidabilità.

Concludeva il primo giudice nel senso che un “mero litigio, in assenza di adeguati ulteriori riscontri (testimonianze, episodi simili, carichi penali pendenti) che possano suffragare una lettura dell’episodio quale indice sintomatico di scarso equilibrio caratteriale e di indole incline alla violenza, non appare idoneo a supportare un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato per l’ordine e la sicurezza pubblica poiché, nella sua isolatezza, non rende verosimile un giudizio prognostico ex ante circa la sopravvenuta inaffidabilità del ricorrente”.

Appella il Ministero dell’ Interno che ha confutato le conclusioni del T.A.R., rivendicando l’ampia sfera discrezionalità del Prefetto sul controllo della disponibilità di mezzi di offesa, indipendentemente dalla commissione di specifici reati, nonché la congruità e proporzionalità al fine perseguito dell’atto privativo della detenzione dell’arma (che si pone in un’area di eccezionalità rispetto alla generale inibitoria che grava sui consociati), a fronte di elementi fattuali espressione di una situazione di conflittualità domestica, i quali non recedono in presenza di successive ritrattazioni, che si presentano consuete in presenza di violenze consumate in ambito familiare.

L’avv. Be., costituitosi in giudizio, ha contraddetto i motivi di impugnativa ed ha insistito per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 6 novembre 2014 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. L’appello è fondato.

2.1. Il primo giudice, pur riconoscendo l’ampia sfera di discrezionalità di cui l’ Autorità di pubblica sicurezza dispone in sede di verifica dei presupposti e dei requisiti soggettivi per la detenzione e disponibilità di armi, ha poi sanzionato l’atto interdittivo perché non assistito da adeguata motivazione e non ispirato a un ragionevole esercizio della potestà di controllo del possesso di mezzi di offesa.

2.2. Quanto all’ascritto difetto di motivazione il provvedimento del Prefetto è assistito dai requisiti essenziali al riguardo stabiliti dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990, essendo indicate le disposizioni di legge cui è stata data applicazione, i presupposti in fatto presi in considerazione e l’ iter istruttorio osservato, nonché le ragioni che hanno indotto all’adozione della misura di tutela (accertata situazione di grave conflittualità in ambito familiare). Il ricorrente, del resto, non è incorso in difficoltà nel sviluppare i motivi contrari al provvedimento negativo adottato nei suoi confronti.

2.3. Né la determinazione del Prefetto ricognitiva della possibilità di abuso dell’arma, secondo quanto previsto dall’art. 39 del r.d. n. 773 del 1931, si configura irragionevole e sproporzionata al fine perseguito.

In provvedimento è intervenuto a seguito di una riscontrata situazione di grave e ripetutasi conflittualità in seno al nucleo familiare del ricorrente. La gravità della situazione ambientale trova conferma nella richiesta di pronto intervento degli organi di pubblica sicurezza tramite il servizio 112.

In tale contesto la determinazione del Prefetto trova piena giustificazione nello scopo di prevenire ogni potenziale danno alle persone. La scelta di inibitoria si sottrae ad ogni censura di eccesso di potere per irragionevolezza.

Il potere discrezionale di cui dispone l’Amministrazione può essere esercitato in senso negativo all’interessato in presenza di una condotta che, pur non concretandosi in specifici illeciti di rilevanza penale, possa tuttavia incidere, anche su un piano solo sintomatico, sul grado di affidabilità di chi aspira al rilascio del titolo autorizzatorio. L’ampiezza della valutazione discrezionale del Prefetto è del resto conforme all’ indirizzo formatosi in giurisprudenza in base al quale il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio in deroga al divieto di portare armi sancito dall’art. 699 cod. pen. e dall’art. 4, comma primo, della legge n. 110 del 1975. In tale quadro il controllo effettuato dall’Autorità di pubblica sicurezza viene ad assumere connotazioni particolarmente pregnanti e severe; spetta al prudente apprezzamento della predetta Autorità l’individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione dei mezzi di offesa (cfr. Corte Costituzionale n. 440/1993).

La disponibilità dell’arma in base ad atto autorizzatorio richiede, quindi, il concorso di condizioni di perfetta e completa sicurezza circa il loro uso, così da scagionare ogni possibile dubbio e perplessità sulla possibile incidenza dell’ autorizzazione sull’ ordine e la sicurezza pubblica, sulla tranquilla convivenza civile, sul possibile danno all’incolumità delle persone.

Il giudizio prognostico del Prefetto sul possibile vulnus alle anzidette condizioni di sicurezza – non suscettibile di scrutinio nel merito da parte del giudice di legittimità – risulta nella specie fondato su riscontri obiettivi, non richiedendosi che le condotte prese in considerazioni siano poi sanzionate in sede penale, mentre il successivo ritiro di denunzie in precedenza effettuate (evento peraltro frequente nei casi di conflittualità fra persone legate da rapporto di coniugio o di parentela), non dequota la rilevanza delle situazioni conflittuali prese in considerazione agli effetti dell’adozione del divieto previsto dall’art. 39 del r.d. n. 737 del 1931

Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

In relazione ai profili della controversia spese ed onorari possono essere compensati fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro – Presidente

Bruno Rosario Polito – Consigliere, Estensore

Vittorio Stelo – Consigliere

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Depositata in Segreteria il 19 gennaio 2015.

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