Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 24 maggio 2016, n. 9.

Il nulla osta è un atto destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi “puntuali”, ossia legittimanti un singolo e specifico intervento di trasformazione del territorio. Discende che la previsione dell’art. 13 l. nr. 394/1991- così come quelle complementari delle leggi regionali in materia – non è applicabile agli atti di programmazione e pianificazione urbanistica, quand’anche connotati da contenuti fortemente specifici e puntuali quanto a prefigurazione delle future trasformazioni del territorio, del Programma integrato di intervento, giusta la disciplina generale di cui all’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, nr. 179 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica) e quella regionale di cui alla legge regionale del Lazio 26 giugno 1997, nr. 22 (Norme in materia di programmi integrati di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della Regione)

Consiglio di Stato

adunanza plenaria

sentenza 24 maggio 2016, n. 9

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Adunanza Plenaria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 3 di A.P. del 2016, proposto da
TO. IM.S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ro. Ma. Iz., con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via (…),
contro
l’ENTE PARCO REGIONALE DEI CASTELLI ROMANI, in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via (…),
nei confronti di
COMUNE DI (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito,
per l’annullamento e la riforma
della sentenza nr. 8744 del 6 agosto 2014 del T.A.R. del Lazio, Sezione Seconda quater, non notificata, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante, e per il conseguente annullamento del diniego di nulla osta del 10 dicembre 2013, prot. AP 6081, con il quale l’Ente Parco dei Castelli Romani ha espresso parere negativo sul Programma integrato di intervento in variante al P.R.G. di cui in appresso, da realizzarsi nel Comune di (omissis), in “loc. (omissis)”, in terreno di proprietà dell’appellante, e per l’accertamento del silenzio-assenso maturatosi sull’istanza prot. nr. 1401 del 5 aprile 2012, presentata dal dante causa della società appellante, signor Ma. Me., all’Ente Parco, volta a ottenere il predetto nulla osta per decorso del termine di 60 giorni previsto dal combinato disposto degli artt. 13, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, nr. 394, e 28, comma 1, della legge regionale del Lazio 6 ottobre 1997, nr. 29, e per il risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Regionale dei Castelli Romani;
Vista la memoria prodotta dall’appellante in data 24 marzo 2016 a sostegno delle proprie difese;
Vista l’ordinanza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato nr. 538 del 9 febbraio 2016, con cui la causa è stata rimessa all’Adunanza plenaria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2016, il Consigliere Raffaele Greco;
Udito l’avv. Iz. per l’appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierna appellante, società To. Im. S.r.l., è proprietaria di un suolo sito nel territorio del Comune di (omissis), avente destinazione a verde pubblico e ricadente nel perimetro del Parco dei Castelli Romani.
Su di esso, nel 2011 i danti causa dell’odierna istante avevano presentato all’Amministrazione comunale una proposta di Programma integrato di intervento, contemplante una variante intesa a imprimergli destinazione urbanistica edificabile, al fine di realizzarvi un complesso commerciale-residenziale, un parco pubblico attrezzato, un parcheggio e le connesse opere di urbanizzazione; tale intervento avrebbe dovuto porsi a completamento di un progetto, originariamente unitario e poi sdoppiato in due tronconi, il primo dei quali si era già concretizzato nel 2009 con l’approvazione di piano particolareggiato su terreno limitrofo.
Nell’ambito dell’iter procedimentale avviato per l’adozione e la successiva approvazione del predetto P.P.I., gli originari proponenti avevano chiesto all’Ente Parco dei Castelli Romani di esprimere il proprio nulla osta; a fronte di tale istanza, l’Ente Parco ha in un primo momento richiesto un’integrazione istruttoria e quindi, dopo la risposta dell’odierna istante (contestualmente dichiaratasi nuova proprietaria del suolo), comunicato dapprima i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, e quindi il definitivo diniego del nulla osta.
2. Avverso tale determinazione negativa la società istante è insorta in sede giurisdizionale, lamentandone in primisla tardività, essendo la stessa intervenuta dopo la formazione del silenzio-assenso maturato per il decorso del termine di cui agli artt. 13, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, nr. 394 (Legge quadro sulle aree protette), e 28, comma 1, della legge regionale del Lazio 6 ottobre 1997, nr. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), e senza la previa rimozione in autotutela di tale titolo tacito; in seconda battuta, ha censurato anche nel merito il giudizio di non compatibilità col Piano del parco.
3. Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, ha respinto le domande attoree con la sentenza in epigrafe, osservando in estrema sintesi:
– che la possibilità della formazione per silentium di titoli abilitativi in materia paesaggistica e ambientale è oggi esclusa in via generale dalla disposizione dell’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), come modificato prima dalla legge 11 febbraio 2005, nr. 15 (Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), e quindi dal decreto-legge 14 marzo 2005, nr. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, nr. 80;
– che, conseguentemente, il meccanismo del silenzio-assenso disciplinato dal precitato art. 13 della legge nr. 394 del 1991 (così come gli analoghi istituti contemplati dalla legislazione regionale) deve intendersi implicitamente abrogato dalla sopravvenuta disposizione del 2005;
– che, in ogni caso, anche a voler ritenere tuttora vigente la suindicata disposizione, nella specie il termine di formazione del silenzio-assenso non avrebbe mai potuto iniziare a decorrere a cagione dell’incompletezza della documentazione trasmessa in allegato all’istanza di nulla osta (non essendo stata, in particolare, prodotta l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla competente Soprintendenza);
– che, peraltro, erano infondate anche le censure proposte in subordine avverso le ragioni addotte dall’Ente Parco a sostegno del diniego di nulla osta.
4. Con l’odierno appello, la società originaria ricorrente ha articolato avverso la detta sentenza cinque motivi di impugnazione:
I) error in iudicando; errata ricostruzione del quadro normativo di riferimento; in particolare: violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1, l. nr. 394/1991; violazione e falsa applicazione degli artt. 20, commi 1 e 4, 29, comma 2, e 2, l. nr. 241/1990 e s.m.i.; violazione e falsa applicazione dell’art. 15 disp. prel. cod. civ.; violazione e falsa applicazione dell’art. 28, l.r. nr. 29/1997 e dell’art. 22, comma 1, l. nr. 1572005 e dell’art. 29, l. nr. 241/1990 (in relazione all’affermazione relativa all’intervenuta abrogazione dell’art. 13, comma 1, l. nr. 394/1991 per effetto della novella del 2005);
II) error in iudicando; non corretta interpretazione delle risultanze documentali; violazione ed errata applicazione sotto altro profilo degli artt. 13, comma 1, l. nr. 394/1991 e 28, l.r. nr. 29/1997 (in relazione alla subordinata affermazione circa il mancato decorso del termine di formazione del silenzio-assenso, trattandosi nella specie non di richiesta di titolo edilizio, bensì di proposta di P.P.I., con la conseguente non necessità di autorizzazione paesaggistica nella fase in questione);
III) errore di giudizio consequenziale (in relazione alla conseguente necessità di previa rimozione in autotutela del titolo abilitativo tacito formatosi, esclusa dal primo giudice);
IV) omessa pronuncia nei riguardi del terzo motivo di impugnazione (con riferimento alla mancata replica alle controdeduzioni svolte dalla istante in riscontro al preavviso di diniego);
V) insufficiente motivazione; travisamento del contenuto del quarto motivo e non corrispondenza tra statuizione e motivo (in relazione alla parte della sentenza impugnata nella quale sono state respinte le doglianze formulate avverso le ragioni addotte a sostegno del diniego di nulla osta).
5. Si è costituito l’Ente Parco dei Castelli Romani, opponendosi con atto formale all’accoglimento dell’appello.
6. All’esito dell’udienza pubblica del 17 novembre 2015, la Sezione Quarta del Consiglio di Stato ha rimesso a questa Adunanza plenaria la questione del rapporto fra le previsioni contenute nell’art. 13, comma 1, l. nr. 394/1991 e nell’art. 20, comma 4, l. nr. 241/1990 (come modificato dalla novella del 2005), registrando sul punto un contrasto di giurisprudenza.
In particolare, nell’ordinanza di rimessione è stata evidenziata l’esistenza di due diversi indirizzi sulla questionede qua:
a) un primo orientamento esclude che il novellato art. 20 della legge nr. 241/1990 abbia comportato l’abrogazione dell’art. 13, comma 1, della legge nr. 394/1991, attesa la specialità di quest’ultima disposizione e non essendo il comma 4 del citato art. 20 espressivo di un generale divieto di silenzio-assenso in materia paesaggistica e ambientale, sibbene derogatorio dell’opposto principio della generale utilizzabilità di tale modulo introdotto nell’ordinamento dai precedenti commi dello stesso articolo, in modo da non escludere che il legislatore possa introdurre – nel rispetto dei limiti costituzionali e comunitari – previsioni specifiche di silenzio-assenso, e dunque anche che possano conservare efficacia analoghe norme previgenti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 giugno 2014, nr. 3407; id., 29 dicembre 2008, nr. 6591);
b) altro indirizzo, invece, esclude la sopravvivenza di norme aventi a oggetto ipotesi di silenzio-assenso anteriori alla novella del 2005, sulla base di una rigorosa applicazione del criterio cronologico della successione delle leggi nel tempo (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 gennaio 2014, nr. 119; id., sez. IV, 28 ottobre 2013, nr. 5188).
La Sezione rimettente, pur nel devolvere a questa Adunanza plenaria la risoluzione del conflitto, ritiene di aderire al secondo e più rigoroso indirizzo, supportando l’assunto anche con ulteriori rilievi che deporrebbero nel senso di una “linea di tendenza” del nostro ordinamento nel senso di escludere la possibilità di formazione di titoli abilitativi per silentium in settori “sensibili” quali sono quelli della tutela del paesaggio, dell’ambiente e dei beni culturali.
7. All’udienza del 27 aprile 2016, dopo la discussione delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

8. Ai fini dell’esame della questione di diritto devoluta a questa Adunanza plenaria dalla Sezione Quarta, giova richiamare nella sua interezza il disposto dell’art. 13 della legge nr. 394 del 1991, in materia di aree naturali protette:
“…1. Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco. Il nulla osta verifica la conformità tra le disposizioni del piano e del regolamento e l’intervento ed è reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente tale termine il nulla osta si intende rilasciato. Il diniego, che è immediatamente impugnabile, è affisso contemporaneamente all’albo del comune interessato e all’albo dell’Ente parco e l’affissione ha la durata di sette giorni. L’Ente parco dà notizia per estratto, con le medesime modalità, dei nulla osta rilasciati e di quelli determinatisi per decorrenza del termine.
2. Avverso il rilascio del nulla osta è ammesso ricorso giurisdizionale anche da parte delle associazioni di protezione ambientale individuate ai sensi della legge 8 luglio 1986, n. 349.
3. L’esame delle richieste di nulla osta può essere affidato con deliberazione del Consiglio direttivo ad un apposito comitato la cui composizione e la cui attività sono disciplinate dal regolamento del parco.
4. Il Presidente del parco, entro sessanta giorni dalla richiesta, con comunicazione scritta al richiedente, può rinviare, per una sola volta, di ulteriori trenta giorni i termini di espressione del nulla osta”.
Di tenore sostanzialmente analogo, sul piano della legislazione regionale, è l’art. 28 della l.r. nr. 29/1997, che per quanto attiene alla disciplina del nulla osta de quo nella Regione Lazio così recita:
“…1. Il rilascio di concessioni od autorizzazioni, relativo ad interventi, impianti ed opere all’interno dell’area naturale protetta, è sottoposto a preventivo nulla osta dall’ente di gestione ai sensi dell’articolo 13, commi 1, 2 e 4 della L.R. n. 394/1991. Ai fini dell’acquisizione del nulla-osta, le amministrazioni interessate convocano apposite conferenze di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater della L. n. 241/1990 e successive modifiche e dell’articolo 17 della legge regionale 22 ottobre 1993, n. 57 (Norme generali per lo svolgimento del procedimento amministrativo, l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa) e successive modifiche.
2. Il nulla-osta di cui al comma 1 verifica la conformità con le norme di salvaguardia di cui all’articolo 9, comma 3, lettera b), con il piano e con il regolamento dell’area naturale protetta, nonché il rispetto dei criteri indicati nell’articolo 33.
3. Qualora nelle aree naturali protette venga esercitata un’attività in difformità dal piano, dal regolamento o dal nulla-osta, il legale rappresentante dell’ente di gestione dispone la sospensione dell’attività medesima ed ordina la riduzione in pristino o la ricostruzione di specie vegetali o animali ai sensi dell’articolo 29 della L. n. 394/1991.
4. L’ente di gestione dell’area naturale protetta interviene nei giudizi riguardanti fatti dolosi o colposi che possano compromettere l’integrità del patrimonio naturale e ha facoltà di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi lesivi delle finalità istruttive dell’area naturale protetta.
4-bis. Nel caso di interventi abusivi previsti dall’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e di inerzia dell’ente di gestione dell’area naturale protetta o del comune nell’adozione degli atti di cui, rispettivamente, al comma 3 del presente articolo e al comma 2 del citato articolo 31, la Giunta regionale, previo invito a provvedere entro un congruo termine, esercita i poteri sostitutivi e ordina essa stessa la riduzione in pristino. Qualora il responsabile dell’abuso non provveda alla riduzione in pristino disposta dalla Regione, l’opera abusiva e l’area prevista dal comma 3 dell’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001 sono acquisiti al patrimonio della Regione medesima che provvede altresì alla demolizione dell’opera ai sensi della normativa vigente”.
9. Pertanto, il dato qualificante dell’istituto in esame è costituito dall’obbligatorietà della sua richiesta ai fini del “rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco”, e quindi allorché debba verificarsi la compatibilità con la tutela dell’area naturale protetta di specifici interventi di modificazione o trasformazione che su di essa possono incidere.
Tanto corrisponde alla ratio dell’istituto, che è appunto finalizzato all’accertamento da parte dell’Ente preposto dell’impatto dell’intervento richiesto sui valori naturali e paesaggistici del parco, e quindi della sua ammissibilità a fronte della prioritaria esigenza di salvaguardia e tutela di tali valori; per questo, il legislatore ha chiaramente costruito il nulla osta come atto destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi “puntuali”, ossia legittimanti un singolo e specifico intervento di trasformazione del territorio.
Ne discende che la previsione del più volte citato art. 13 – così come quelle complementari delle leggi regionali in materia – non è applicabile agli atti di programmazione e pianificazione urbanistica, quand’anche connotati da contenuti fortemente specifici e puntuali quanto a prefigurazione delle future trasformazioni del territorio, come è nel caso (per restare al caso che qui occupa) del Programma integrato di intervento, giusta la disciplina generale di cui all’art. 16 della legge 17 febbraio 1992, nr. 179 (Norme per l’edilizia residenziale pubblica) e quella regionale di cui alla legge regionale del Lazio 26 giugno 1997, nr. 22 (Norme in materia di programmi integrati di intervento per la riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale del territorio della Regione).
Si potrebbe anzi addirittura avanzare dubbi sulla stessa ammissibilità dello strumento urbanistico attuativo de quo in area che, come è nella fattispecie in esame, risulti già normata dal Piano del parco: ciò alla stregua della lettura che questo Consiglio di Stato ha dato della previsione normativa per cui tale specifico strumento “sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione” (art. 12, comma 12, l. nr. 394/1991), in modo da conformare gli stessi strumenti urbanistici generali e ogni altra forma di pianificazione del territorio corrispondente all’area naturale protetta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2014, nr. 5821).
10. Quest’ultima questione non è comunque sollevata nel presente giudizio, e peraltro non è ignota la prassi diffusa, specie per strumenti urbanistici attuativi dal contenuto fortemente “conformativo” come è quello per cui qui è causa, di anticipare alla fase di formazione di questi l’acquisizione del nulla osta dell’Ente Parco, al fine di verificare la compatibilità delle scelte stesse di pianificazione e programmazione con i valori che tale Ente è preposto a tutelare.
In passato, proprio esaminando tale prassi, questo Consiglio di Stato, premesso in linea di diritto che l’oggetto della valutazione propria del nulla osta de quo è costituito, oltreché dall’impatto dell’opera sul contesto ambientale oggetto di tutela, da tutti gli aspetti di protezione del territorio, anche relativi alla disciplina di natura urbanistica ed edilizia recepita dal Piano del parco, ha osservato che i particolari dell’intervento edificatorio sono apprezzabili nella loro effettiva entità e consistenza solo alla luce del maggior grado di dettaglio e livello di approfondimento connotanti gli elaborati progettuali e plani-volumetrici allegati alla successiva richiesta del permesso di costruire, mentre il parere espresso sul piano attuativo a monte si basa su una valutazione di principio attorno alla compatibilità dell’intervento col contesto vincolato in cui viene a collocarsi, e attorno all’incidenza della sua percezione visiva sulle caratteristiche del sito, resa possibile sulla base degli elaborati di massima da allegare a corredo del piano medesimo (sez. VI, 7 novembre 2012, nr. 5630).
Dal che è dato evincere, in primo luogo, che l’eventuale anticipazione della richiesta di nulla osta alla fase di approvazione del piano attuativo non può mai determinare l’esclusione della necessità di acquisizione dell’assenso ex art. 13, l. nr. 394/1991 nel momento successivo del rilascio dei titoli ad aedificandum, laddove solo è dato apprezzare in modo compiuto e globale l’impatto dell’intervento sul territorio.
In questa sede, i rilievi testé richiamati possono essere chiariti e integrati precisando che, nelle ipotesi come quella di che trattasi, in cui si ritiene di interpellare l’Ente Parco nella fase di formazione dello strumento attuativo, ciò avviene non già in applicazione del più volte citato art. 13, l. nr. 394/1991, ma per più generali ragioni collaborative e di economia procedurale, non essendo né ragionevole né opportuno proseguire le attività intese all’esecuzione dell’intervento programmato e spingerle fino a un grado estremo di dettaglio prima di aver acquisito un primo parere dell’autorità preposta a valutarne l’impatto sul territorio.
11. Applicando alla fattispecie in esame le coordinate di cui sopra, risulta evidente che il parere richiesto dai danti causa dell’odierna appellante e denegato dall’Ente Parco, malgrado il formale richiamo all’art. 13 della legge nr. 394 del 1991, deve ritenersi estraneo all’ambito di applicazione di tale norma, siccome intervenuto non già nella fase prodromica al rilascio del titolo ad aedificandum, sibbene durante l’iter di formazione del retrostante P.P.I. (e, quindi, soggetto ai rilievi che si sono svolti in ordine alla natura meramente “collaborativa” dell’apporto dell’Ente Parco ed alle ricadute che ciò determina).
Donde la non invocabilità, in ogni caso, del meccanismo del silenzio-assenso disciplinato dalla norma, che deve intendersi logicamente applicabile alle sole ipotesi, cui la norma è specificamente riferibile, di titoli abilitativi “puntuali”.
12. Da quanto sopra discende, da un lato, la non rilevanza ai fini della definizione del presente giudizio della questione di diritto devoluta all’Adunanza plenaria dalla Sezione Quarta del Consiglio di Stato; per altro verso, la possibilità di un’immediata definizione parziale della causa, attesa l’evidente infondatezza dei primi tre motivi di gravame, i quali tutti sono basati sul presupposto dell’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 13, l. nr. 394/1991 (ciò che, invece, si è visto doversi escludere per le ragioni dianzi esposte).
13. Ciò chiarito e statuito, la causa va poi restituita alla Sezione rimettente per l’esame dei residui motivi d’appello e la definizione totale della controversia.
14. Resta quindi riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione, anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge in parte come meglio precisato in motivazione e restituisce la causa per il prosieguo alla Sezione Quarta.
Riserva al definitivo ogni ulteriore statuizione, anche sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno – Presidente
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Sergio Santoro – Presidente
Giuseppe Severini – Presidente
Luigi Maruotti – Presidente
Carlo Deodato – Consigliere
Nicola Russo – Consigliere
Sandro Aureli – Consigliere
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Manfredo Atzeni – Consigliere
Raffaele Greco – Consigliere, Estensore
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Depositata in Segreteria il 24 maggio 2016.

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