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7.1. In base a un primo orientamento, allo stato maggioritario, l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo (in specie se rilasciato in sanatoria) risulta in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Ciò, in quanto il rilascio stesso di un titolo illegittimo determina la sussistenza di una permanente situazione contra ius, in tal modo ingenerando in capo all’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo il titolo edilizio illegittimamente rilasciato (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, IV, 19 agosto 2016, n. 3660; id., V, 8 novembre 2012, n. 5691).
I fautori di tale tesi ritengono in particolare che non gravi in capo all’amministrazione un particolare onere motivazionale – ovvero l’obbligo di valutare i diversi interessi in campo – laddove l’illegittimità del titolo in sanatoria sia stata determinata da una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabile al beneficiario del titolo in sanatoria (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, IV, 27 agosto 2012, n. 4619).
In tali ipotesi risulterebbe anzi inconferente lo stesso richiamo alla disciplina di cui agli articoli 21-octies e 21-nonies della l. 241 del 1990 poiché è proprio la falsa rappresentazione dei fatti rilevanti a rendere vincolata l’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (ivi).
In base a tale prospettazione, uno specifico onere motivazionale a sostegno dell’autotutela può essere imposto all’amministrazione soltanto laddove l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione imputabili alla stessa amministrazione (in tal senso: Cons. Stato, sent. 5691 del 2012, cit.).
7.2. In base a un secondo orientamento (più recente e allo stato minoritario), anche nel caso di annullamento ex officio di titoli edilizi in sanatoria dovrebbero trovare integrale applicazione i generali presupposti legali di cui all’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990, non potendo l’amministrazione fondare l’adozione dell’atto di ritiro sul mero intento di ripristinare la legalità violata (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2016, n. 351 del 2016; id., IV, 15 febbraio 2013, n. 915).
Ne consegue che l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio postula l’apprezzamento di un presupposto – per così dire – ‘rigidò (l’illegittimità dell’atto da annullare) e di due ulteriori presupposti riferiti a concetti indeterminati, da apprezzare discrezionalmente dall’amministrazione (si tratta della ragionevolezza del termine di esercizio del potere di ritiro e dell’interesse pubblico alla rimozione, unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari – Cons. Stato, VI, 27 gennaio 2017, n. 341 -).
In base all’orientamento in parola, il fondamento di tali ulteriori presupposti va individuato nella garanzia della tutela dell’affidamento dei destinatari circa la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti dal provvedimento illegittimo, mediante una valutazione discrezionale volta alla ricerca del giusto equilibrio tra il ripristino della legalità violata e la conservazione dell’assetto regolativo impresso dal provvedimento viziato.
La richiamata sentenza n. 341 del 2017 ha altresì affermato il generale obbligo per l’amministrazione la quale intenda procedere all’annullamento ex officio di un provvedimento di sanatoria di opere abusive di operare un motivato bilanciamento fra (da un lato) l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e (dall’altro) l’interesse dei destinatari al mantenimento dello status quo ante (interesse vieppiù rafforzato dall’affidamento legittimo determinato dall’adozione dell’atto e dal decorso del tempo).
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