Condotta illecita al fine dell’evasione dell’IVA

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 9 novembre 2018, n. 28659.

La massima estrapolata:

Si configura una condotta illecita al fine dell’evasione dell’IVA ovvero dell’indebita detrazione d’imposta allorquando il contribuente, scientemente ovvero utilizzando la diligenza media, partecipi ad un’operazione commerciale fittizia ed elusiva, salvo prova contraria, rimanendo a carico dell’Amministrazione finanziaria la prova in ordine all’inesistenza effettiva delle operazioni oltre alla fittizietà delle stesse per il fornitore e consapevolezza del destinatario.

Sentenza 9 novembre 2018, n. 28659

Data udienza 23 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12708/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS) Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), ivi elettivamente domiciliata in (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1472/6/17, depositata il 21 marzo 2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 maggio 2018 dal Cons. Dr. Giuseppe Fuochi Tinarelli.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Sorrentino Federico, che ha chiesto il rigetto del ricorso. Udito l’Avv. (OMISSIS) per la contribuente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avvocato dello Stato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) Srl impugnava l’avviso di accertamento per l’anno 2007, per Irpeg, Irap e Iva, per operazioni soggettivamente inesistenti in relazione ad acquisti effettuati dalla (OMISSIS) Srl, mera cartiera, recuperando a tassazione l’Iva cosi’ detratta e rideterminando conseguentemente il reddito d’impresa, nonche’ la maggior Iva indebitamente detratta per mancanza di fatture passive per un imponibile complessivo di Euro 5.671.511,00.
La contribuente contestava la pretesa trattandosi di operazioni effettuate a prezzi di mercato, regolarmente pagate ed emergenti dalla contabilita’, mentre la mancanza delle fatture – ivi comprese quelle per le contestate operazioni inesistenti – era conseguenza di un furto avvenuto nello stabilimento nel 2008.
L’impugnazione, accolta dal giudice di primo grado, era respinta CTR del Lazio.
La societa’ contribuente ricorre per cassazione con due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
La ricorrente deposita altresi’ memoria ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione degli articoli 1189, 2697 e 2729 c.c., Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 19, 21 e 54 e la direttiva CEE 17.5.1977 n. 388 in tema di onere probatorio in capo all’Ufficio della conoscenza della frode da parte della societa’, ritenuto erroneamente assolto dalla CTR.
2. Il motivo e’ inammissibile.
2.1. Va premesso che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018, ha precisato che:
– l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizieta’ del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta;
– la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizieta’ del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualita’ professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;
– incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalita’ in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, ne’ la regolarita’ della contabilita’ e dei pagamenti, ne’ la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
2.2. Il giudice d’appello si e’ attenuto a tali principi ed ha valutato gli elementi portati dall’Amministrazione finanziaria in ordine sia alla natura di cartiera della societa’ interposta (acquisti intra-CEE tra il 2006 e il 2011 senza presentazione degli elenchi Intracomunitari; omessi versamenti d’imposta; l’atteggiamento reticente del socio,…), sia con riguardo all’elemento soggettivo della contribuente (la pluralita’ di transazioni in un breve arco temporale; l’assenza delle fatture; la perdurante inattivita’ per reintegrare tempestivamente la documentazione sparita), che ha ritenuto idonei a soddisfare il richiesto onere probatorio.
2.3. Tale ragionamento – e la sua asserita inadeguatezza costituisce l’effettivo oggetto della censura introdotta dalla contribuente, che, pur deducendo una violazione di legge, lamenta in realta’ un vizio di insufficiente e inadeguata motivazione, che non e’ piu’ consentito nella vigenza del nuovo articolo 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv. in L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis), e, anzi, mira ad un completo riesame del merito della vicenda, in se’ precluso anche nella vigenza della precedente formulazione della norma, che non conferiva al giudice di legittimita’ “il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facolta’ di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza” (ex multis Cass. n. 20322 del 20/10/2005; Cass. n. 91 del 07/01/2014; Cass. n. 10186 del 27/04/2018).
2.4. Va evidenziato, infine, che non e’ pertinente il richiamo della sentenza della Corte di Giustizia 20 marzo 2018, C-596 e C597 riunite, Puma, che attiene al rapporto tra sanzione penale e sanzione amministrativa, regolato unitariamente alla luce del principio del ne bis in idem, mentre nella vicenda in giudizio viene in rilievo il dovere di assolvere agli obblighi sostanziali tributari a fronte di condotte evasive e fraudolente e, dunque, un ambito estraneo all’invocata sentenza.
3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 e articolo 52, comma 5, TUIR articolo 109, comma 5, anche in rapporto al diritto di azione e di difesa ex articolo 24 Cost., comma 2 e articoli 13, 14 e 15 Cost..
La societa’ contribuente lamenta, in particolare, l’avvenuta esclusione dell’esimente della forza maggiore per l’avvenuto furto delle fatture, con conseguente accertamento induttivo, fondato sull’esistenza della frode carosello e sulla mancata incolpevole produzione delle altre fatture del 2007, non avendo mai rifiutato l’esibizione di ogni altra documentazione in suo possesso.
3.1. Il motivo e’ inammissibile per una pluralita’ di ragioni.
La doglianza, in primo luogo, si appunta direttamente nei confronti dell’avviso di accertamento e l’operato dell’ufficio e non nei confronti della sentenza.
Il motivo, inoltre, sia pure dedotto come vizio di legge, integra in realta’ una censura per insufficiente motivazione, non piu’ consentita ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 nel testo ratione temporis applicabile.
La CTR, in ogni caso, ha escluso che il dedotto furto integrasse una ipotesi di forza maggiore riferendosi alle sole fatture pertinenti alla contestata inesistenza soggettiva.
La censura, dunque, neppure coglie la ratio della decisione.
E’ irrilevante, infine, la dedotta questione in ordine alla producibilita’ della documentazione, in alcun modo trattata dalla decisione e ad essa estranea.
4. Il ricorso va pertanto rigettato e le spese liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Avv. Renato D’Isa

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