Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 giugno 2021| n. 15963.

Per affermare una condotta colposa del difensore rilevante ai sensi dell’art.2043 c.c., in rapporto di relazione causale con il danno eventualmente derivante al debitore dal pagamento dell’intero importo precettato in favore del creditore, è necessario che la condotta del professionista si concretizzi quanto meno in una colposa induzione al pagamento dell’importo non dovuto, condotta che va specificamente allegata e provata dal preteso danneggiato.

Ordinanza|8 giugno 2021| n. 15963. Condotta colposa del difensore rilevante ai sensi dell’art.2043 c.c.

Data udienza 21 dicembre 2020

Integrale
Tag/parola chiave: Ripetizione dell’indebito – Esecuzione forzata – Adempimento dell’obbligazione posto in essere a seguito di intimazione di precetto di pagamento – Adempimento spontaneo – Pignoramento – Processo esecutivo definito con la distribuzione del ricavato della vendita dei beni pignorati o della relativa assegnazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 14401 dell’anno 2018, proposto da:
(OMISSIS) S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del rappresentante per procura (OMISSIS) rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli avvocati (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– ricorrente –
nei confronti di:
(OMISSIS), (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS));
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1658/2018, pubblicata in data 30 marzo 2018 (notificata in data 4 aprile 2018);
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 21 dicembre 2020 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS) S.p.A., avendo corrisposto all’avvocato (OMISSIS) e ad alcuni assistiti di quest’ultimo gli importi di cui le era stato intimato il pagamento con atti di precetto fondati su titoli giudiziali, ha agito in giudizio nei confronti dell’ (OMISSIS) per ottenere la restituzione degli importi indebitamente versati allo stesso ed il risarcimento dei danni, con riguardo agli importi indebitamente versati ai suoi assistiti.
Le domande sono state accolte dal Tribunale di Milano.
La Corte di Appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, le ha invece rigettate.
Ricorre (OMISSIS) S.p.A., sulla base di cinque motivi.
Resiste l’ (OMISSIS) con controricorso.
E’ stata fissata la trattazione in camera di consiglio, in applicazione dell’articolo 380 bis.1 c.p.c..
Il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Giovanni Battista Nardecchia, ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell’articolo 380 bis.1 c.p.c. chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del primo motivo del ricorso e l’accoglimento del secondo, assorbiti gli altri.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 380 bis.1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione dell’articolo 342 c.p.c. ex articolo 360 c.p.c., n. 4”.
La societa’ ricorrente deduce che l’appello dell’ (OMISSIS) avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., in quanto non sufficientemente specifico.
Il motivo e’ infondato.
L’appello – secondo quanto si evince dal contenuto dello stesso, trascritto nel ricorso – e’ da ritenere sufficientemente specifico, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., come interpretato nella giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte (“Gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilita’, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”: Cass., Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991 – 01; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018, Rv. 648722 – 01), in quanto da esso emergono con chiarezza sia le questioni oggetto di contestazione, sia le doglianze relative alla decisione impugnata.
2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2033 c.c. e degli articoli 615, 487 e 510 c.p.c., nonche’ dell’articolo 24 Cost. ex articolo 360 c.p.c., n. 3; nullita’ della sentenza di appello e del procedimento ex articolo 360 c.p.c., n. 4 per violazione degli articoli 615, 487 e 510 c.p.c., nonche’ dell’articolo 24 Cost.”.
La societa’ ricorrente contesta la decisione impugnata, nella parte in cui la corte di appello ha affermato (con riguardo all’azione di ripetizione di indebito avanzata ai sensi dell’articolo 2033 c.c. per gli importi richiesti e pagati direttamente all’ (OMISSIS), in proprio) che la preclusione all’azione di ripetizione di indebito da parte del debitore – che si determina, secondo la giurisprudenza di questa Corte, all’esito della definizione del processo di espropriazione forzata, con l’attribuzione al creditore delle somme dovute – vale anche in caso di pagamento spontaneo, se avvenuto a seguito di intimazione di precetto di pagamento, per la possibilita’ del debitore intimato di proporre l’opposizione di cui all’articolo 615 c.p.c..
Il motivo e’ manifestamente fondato.
L’indirizzo di questa Corte richiamato a sostegno dell’affermazione della corte di appello – indirizzo che non e’ in discussione nella presente sede – e’ fondato sull’applicazione del principio della preclusione processuale in relazione al provvedimento giurisdizionale che definisce il processo esecutivo con la definitiva approvazione del piano di riparto e/o l’assegnazione ai creditori degli importi dovuti e liquidati in loro favore.
Si tratta di un principio generale piu’ ampio e generale di quello che sta alla base della preclusione derivante dal giudicato, ma la cui ratio comune e’ quella di assicurare stabilita’ ai risultati del processo (sia esso di cognizione che di esecuzione).
E’ quindi evidente che, proprio per la sua stessa ratio, tale principio non potrebbe essere in alcun modo esteso al di la’ dell’ipotesi in cui l’adempimento dell’obbligazione sia avvenuto in via coattiva, all’esito – ed in virtu’ – di un processo esecutivo ormai definitivamente chiuso con la soddisfazione almeno parziale dei creditori procedenti (fatti salvi, naturalmente, gli esiti delle opposizioni e dei rimedi endoprocessuali promossi nel suo ambito ed eventualmente ancora pendenti al momento della chiusura, o addirittura successivi alla stessa, in quanto idonei ad incidere sui relativi risultati).
Il pagamento spontaneo che eventualmente avvenga all’esito dell’intimazione del precetto di pagamento (pacificamente ritenuto atto stragiudiziale, d’altronde) non costituisce atto di adempimento coattivo che avviene ne’ all’esito, ne’ in virtu’ di un processo esecutivo; ed altrettanto e’ a dirsi per il pagamento spontaneo che eventualmente avvenga, anche dopo il pignoramento, ma prima della definizione del processo esecutivo, o per il pagamento effettuato allo scopo di evitare il pignoramento stesso.
In tutte queste ipotesi non possono sussistere preclusioni di natura processuale.
E’ altresi’ opportuno precisare che, nell’ottica fin qui esposta, non puo’ attribuirsi alcun rilievo preclusivo, con riguardo all’azione di ripetizione di indebito, alla possibilita’ per l’intimato di proporre l’opposizione all’esecuzione di cui all’articolo 615 c.p.c., esattamente come non ha valore preclusivo, in generale, la possibilita’ di proporre una azione di accertamento negativo delle eventuali pretese manifestate dal creditore in via stragiudiziale.
Conviene infatti ribadire ancora una volta che l’affermata preclusione derivante dalla definizione del processo di esecuzione forzata ha natura strettamente processuale, non sostanziale e, quindi, non solo presuppone necessariamente l’esistenza di un processo ma anche che tale processo sia regolarmente giunto alla sua regolare definizione, abbia cioe’ conseguito il suo esito ordinario e che il provvedimento giurisdizionale che esprime tale esito non sia piu’ modificabile sulla base dei rimedi endoprocessuali esperibili dalle parti.
La decisione impugnata va pertanto cassata e va formulato in proposito il seguente principio di diritto, cui dovra’ attenersi la corte di appello in sede di rinvio:
“deve considerarsi spontaneo (e non avvenuto coattivamente, all’esito ed in virtu’ di un processo esecutivo) l’adempimento dell’obbligazione posto in essere a seguito di intimazione di precetto di pagamento, cosi’ come quello che eventualmente avvenga anche dopo il pignoramento, ma prima che il processo esecutivo sia definito con la distribuzione del ricavato della vendita dei beni pignorati o della relativa assegnazione, nonche’ quello effettuato allo scopo di evitare il pignoramento stesso, onde, in tutte tali ipotesi, non puo’ in alcun modo ritenersi preclusa – in virtu’ del pagamento stesso – la successiva ordinaria azione di ripetizione di indebito; a tal fine, nessun rilievo puo’ attribuirsi alla possibilita’ per l’intimato di proporre opposizione all’esecuzione ai sensi dell’articolo 615 c.p.c., la quale resta un rimedio facoltativo la cui mancata proposizione non ha di per se’, sul piano sostanziale, alcun effetto preclusivo della possibilita’ per il debitore di esperire una successiva azione di ripetizione di indebito”.
3. Il terzo motivo e’ rubricato come segue: “riproposizione delle deduzioni gia’ formulate in ordine al secondo motivo di appello formulato dall’avv. (OMISSIS), dichiarato assorbito nella sentenza impugnata”.
La censura ha ad oggetto gli importi richiesti nelle intimazioni di pagamento contestate a titolo di spese di precetto. La domanda di restituzione di tali importi, gia’ accolta in primo grado e oggetto del gravame della societa’ ricorrente, e’ stata ritenuta assorbita e non esaminata in secondo grado.
Il motivo e’ inammissibile, riguardando una questione che non e’ stata oggetto di decisione nella pronunzia impugnata.
D’altra parte, la corte di appello, in sede di rinvio, applicando i principi di diritto enunciati in relazione al motivo di ricorso che precede, e dovendo quindi ritenere ammissibile la domanda di ripetizione di indebito proposta nei confronti dell’ (OMISSIS), dovra’ verificare in concreto gli importi effettivamente pagati dalla societa’ intimata in eccesso rispetto a quanto dovuto sulla base dei titoli esecutivi e, quindi, dovra’ prendere in esame anche la indicata questione (eventualmente anche tenendo conto, ai fini della verifica delle spese di precetto auto-liquidate dal creditore intimante, dell’effettivo valore del credito legittimamente richiesto).
4. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043, 2056 e 1227 c.c. ex articolo 360 c.p.c., n. 3”.
Il motivo ha ad oggetto il rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla societa’ ricorrente nei confronti dell’avvocato (OMISSIS), con riguardo alle somme indebitamente pagate ai suoi assistiti, sulla base degli atti di precetto dallo stesso redatti.
Esso e’ inammissibile.
4.1 La corte di appello ha rigettato la domanda risarcitoria della societa’ intimata sulla base di due distinte rationes decidendi, autonome ed entrambe sufficienti da sole (in astratto) a reggere la decisione.
4.2 Ha in primo luogo affermato che sarebbe da escludere in radice la configurabilita’ di una responsabilita’ extracontrattuale, in quanto il pagamento era stato spontaneo e gli atti di precetto non erano stati oggetto di opposizione. Sembra in tal modo ribadita l’erronea affermazione in diritto della preclusione dell’azione di ripetizione a seguito della mancata proposizione dell’opposizione all’esecuzione a seguito di intimazione di precetto di pagamento, gia’ esaminata in relazione al secondo motivo del ricorso.
Si puo’ quindi – per tale aspetto – fare semplicemente rinvio alle considerazioni esposte con riguardo al predetto motivo di ricorso, per concludere che tale ratio decidendi effettivamente non risulta conforme a diritto.
4.3 Vi e’ peraltro una ulteriore ratio decidendi espressa a sostegno del rigetto dell’azione risarcitoria, fondata sul difetto di allegazione, da parte dell’attrice, di una condotta colposa “di induzione” al pagamento del professionista che aveva redatto gli atti di precetto in contestazione.
In relazione a questa seconda ratio decidendi (idonea, da sola, a reggere la decisione), le censure formulate dalla societa’ ricorrente non colgono nel segno.
Secondo la corte di appello, non e’ sufficiente, in diritto, che il procuratore della parte, nel redigere l’atto di precetto, indichi importi superiori a quelli che poi risultino effettivamente dovuti, per affermare una sua condotta colposa, rilevante ai sensi dell’articolo 2043 c.c., in rapporto di relazione causale con il danno eventualmente derivante al debitore dal pagamento dell’intero importo precettato in favore del creditore; e’ invece necessario che la condotta del professionista si concretizzi quanto meno in una colposa induzione al pagamento dell’importo non dovuto, condotta che va specificamente allegata e provata dal preteso danneggiato.
Nella specie, una siffatta specifica allegazione e’ stata ritenuta del tutto assente nella domanda di parte attrice, la quale si era limitata ad affermare che nei precetti redatti dall’avvocato (OMISSIS) erano stati richiesti importi eccedenti il dovuto.
Il principio di diritto sopra esposto, che costituisce evidentemente il fondamento giuridico della decisione impugnata, non e’ adeguatamente colto e criticato nel motivo di ricorso in esame.
La societa’ ricorrente si limita, in realta’, semplicemente a ribadire ancora una volta, in modo del tutto assertivo – e quindi senza concretamente confrontarsi con l’argomentazione sopra esposta – che sussisterebbe la colpa del professionista laddove egli, in qualita’ di procuratore della parte creditrice, rediga un precetto di pagamento per importi superiori a quelli effettivamente dovuti, in ragione della sua stessa qualifica professionale e dei relativi obblighi di probita’ e correttezza.
Non chiarisce cioe’ se, e per quali ragioni, non sarebbe condivisibile l’affermazione in diritto della corte di appello, per cui non puo’ affermarsi automaticamente, ai sensi dell’articolo 2043 c.c., la responsabilita’ del legale che effettui, quale procuratore della parte, una richiesta che si riveli parzialmente infondata, nei confronti della controparte che spontaneamente vi adempia, solo per avere veicolato la suddetta pretesa, se non ricorra una condotta quanto meno colposa del professionista di induzione in errore della controparte.
Non viene in alcun modo chiarito – neanche nella presente sede – per quali ragioni la condotta del legale dovrebbe in tal caso ritenersi di per se’ colposa e idonea ad indurre in errore il debitore intimato, e non si configuri invece come dovuta attivita’ di adempimento dell’obbligo professionale di veicolare le pretese della parte rappresentata, eventualmente anche ove esse possano rivelarsi dubbie e/o non del tutto fondate, specie considerato che, ovviamente, la rappresentazione di pretese infondate a mezzo di un legale non puo’ di per se’ ritenersi una condotta idonea ad indurre in errore la controparte e quindi comportare in via automatica una responsabilita’ risarcitoria, tenuto conto della situazione di conflitto che, per definizione, sussiste tra le parti stesse nonche’ dei principi e delle specifiche disposizioni normative che regolano la responsabilita’ professionale dell’avvocato e, piu’ in generale, la responsabilita’ processuale.
La parte ricorrente mostra dunque di non aver colto adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto in esame.
D’altra parte non viene neanche precisato, in fatto – di fronte al rilievo del difetto di allegazione dell’originaria domanda, operato dalla corte di appello – se e quali allegazioni sarebbero state eventualmente effettuate nell’atto introduttivo (o con eventuali tempestive successive precisazioni della domanda) a sostegno della prospettazione di una condotta colposa del professionista effettivamente idonea all’induzione in errore del debitore.
5. Il quinto motivo e’ rubricato come segue: “Sulle spese di lite”.
Il motivo resta assorbito, in quanto la sentenza impugnata va cassata con rinvio e, quindi, la corte di appello dovra’ nuovamente decidere anche in ordine alle spese dell’intero giudizio.
6. E’ accolto il secondo motivo del ricorso, che e’ per il resto rigettato.
La sentenza impugnata e’ cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte:
accoglie il secondo motivo del ricorso, che e’ rigettato per il resto;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

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