Commisisone edilizia ed il parere nell’ambito della difinizione del Condono edilizio

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 12 novembre 2018, n. 6338.

La massima estrapolata:

Il parere della Commissione edilizia non è obbligatorio ai fini della definizione delle domande di condono edilizio.

Sentenza 12 novembre 2018, n. 6338

Data udienza 12 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9853 del 2007, proposto dal
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Om., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
contro
Ma. Ag. e Me. Li., rappresentati e difesi dagli avvocati Al. Pa. e Ra. Bu., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Pa. in Roma, via (…);
nei confronti
Bu. Ra., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sede di Venezia, sezione seconda, n. 1111 del 5 aprile 2007, resa tra le parti, concernente il diniego di un permesso di costruire in sanatoria un annesso rustico.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori Ag. Ma. e Li. Me.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 giugno 2018 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per il Comune appellante, l’avvocato An. Ma., su delega dell’avvocato Mi. Om., e, per gli appellati, l’avvocato Ga. Pa., su delega dell’avvocato Al. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. I signori Ag. Ma. e Li. Me. hanno impugnato dinanzi al T.a.r. per il Veneto, sede di Venezia, il provvedimento del responsabile del Servizio edilizia privata ed urbanistica del comune di (omissis) n. 13504 del 1° luglio 2006, con il quale è stata rigettata la richiesta di permesso di costruire in sanatoria un annesso rustico, nonché l’ordinanza di demolizione delle opere già realizzate n. 1546/EP del 17 agosto 2006.
Con motivi aggiunti hanno poi impugnato anche il provvedimento comunale del 1° marzo 2007 n. 3876 di diniego del permesso di costruire
2. Il T.a.r. per il Veneto, con la sentenza in forma semplificata indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la dedotta violazione dell’art. 79, comma 1, della legge regionale del Veneto n. 61/85 in ragione della mancata preventiva acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.
3. Contro la predetta sentenza ha quindi proposto appello il comune di (omissis), formulando i seguenti motivi di censura.
3.1. Violazione di legge ex artt. 4 e 36 d.P.R. n. 380/2001, ex art. 79 legge regionale del Veneto n. 61/85, erroneità del presupposto di fatto, erronea motivazione ed omessa valutazione della produzione documentale.
3.1.1. Erroneamente il T.a.r. ha ritenuto assorbente il profilo della violazione, nel procedimento di reiezione della sanatoria, dell’art. 79, comma 1, della legge regionale n. 61/85 per mancata preventiva acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.
3.1.2. Nel caso di specie, secondo il Comune appellante, la preventiva acquisizione del parere della
Commissione edilizia non poteva essere richiesto in quanto la stessa Amministrazione con delibera n. 47 del 27 settembre 2005 aveva ritenuto di modificare il proprio regolamento edilizio abolendo il medesimo organismo ed istituendo solo una Commissione per il paesaggio.
3.1.3. D’altra parte, rileva il Comune che ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 l’istituzione della Commissione edilizia non è obbligatoria e che il diniego di condono può essere giustificato dall’accertamento dell’abuso e dalle sue connotazioni, senza necessariamente passare attraverso il parere della medesima Commissione.
3.2. Quanto ai caratteri abusivi dell’immobile de quo.
3.2.1. La descrizione dell’abuso è riportata nel verbale di accertamento del Corpo di Polizia Locale, n. 18/2006, nella comunicazione di avvio del procedimento, n. 7099 dell’11 aprile 2006 e nell’ordinanza n. 1458 del 26 aprile 2006 (edificio composto da piano terra, porzione di seminterrato e dal primo piano con lunghezza di mt 10.00, larghezza di mt 11,02 ed altezza media di mt 5.40).
3.2.2. Il manufatto, secondo il Comune, per le sue dimensioni supererebbe la capacità massima edificatoria del fondo rustico, come disciplinata dall’art. 19 delle N.T.A: “la costruzione di annessi agricoli, come definiti dall’articolo 2 e come prescritto dall’articolo 6 della legge regionale n. 24/85 è ammessa nei limiti di una superficie coperta di pavimento pari al rapporto di copertura del 2% del fondo rustico sia nelle zone E2 che nelle zone E3”.
3.2.3. Nel caso di specie, la superficie di pavimento del piano terra, del primo piano, del soppalco e dei portici è complessivamente pari a mq 180,62, mentre la superficie del fondo rustico da prendere in considerazione sarebbe quella agricola coltivata, pari a mq. 4.000.
3.2.4. Cosicché, secondo l’Amministrazione appellante, il manufatto realizzato avrebbe superato il limite del 2% indicato nell’art. 19 delle N.T.A. e sarebbe pertanto non conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione delle opere, sia al momento della presentazione della domanda.
3.3. Quanto alla pretesa violazione dell’art. 146 d.lgs. n. 42/2004 degli art. 3 e 97 della Costituzione dedotta in primo grado dai signori Ag. Ma. e Li. Me..
3.3.1. Il bene di cui trattasi è vincolato ai sensi degli artt. 27 e 28 del P.T.R.C. ed in base all’art. 142, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 42/2004.
3.3.2. Nel ricorso introduttivo di primo grado si è affermato, invece, che la costruzione oggetto dell’istanza di sanatoria non avrebbe arrecato un pregiudizio perché parallela alla strada prospiciente e, pertanto, la stessa sarebbe stata rispettosa della caratteristica geometrica di perpendicolarità prevista dal Piano di area della Laguna di Venezia (PALAV).
3.3.3. Tale affermazione, per il Comune, sarebbe priva di fondamento in quanto si è trattato di una nuova costruzione con un pregiudizio paesaggistico in re ipsa e comunque, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti originari, sarebbe stato necessario per il rilascio del titolo in sanatoria un preventivo nulla osta ambientale.
3.3.4. Priva di rilevanza sarebbe dunque anche la questione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti in primo grado in ordine all’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione sul divieto di autorizzazione ambientale in sanatoria.
3.4. Quanto all’impugnazione del provvedimento del comune di (omissis) n. 3876 del 1° marzo 2007.
3.4.1. Secondo il Comune, il motivo di doglianza relativo alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di condono sarebbe inconferente.
3.4.2. Il provvedimento impugnato non ha rigettato nel merito l’istanza, ma l’ha dichiarata inammissibile per carenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per l’edificabilità in zona agricola ai sensi della legge regionale n. 11/2204.
3.4.3. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti in primo grado, non incombeva all’Amministrazione alcun obbligo di richiesta di integrazione documentale anche perché tale invito era stato già formulato con la nota inviata ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.
4. I signori Ag. Ma. e Li. Me. si sono costituiti in giudizio il 1° febbraio 2008, chiedendo il rigetto dell’appello, ed hanno riproposto i motivi di censura dedotti in primo grado ed assorbiti dal T.a.r.. Hanno poi depositato ulteriori scritti difensivi, per ultimo una replica il 21 maggio 2018.
5. Anche il comune di (omissis) ha depositato ulteriori memorie, per ultimo una replica il 21 maggio 2018.
6. Nella camera di consiglio del 5 febbraio 2008 l’esame dell’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso, è stata rinviata al merito.
7. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 12 giugno 2018.
8. L’appello è fondato.
9. Con la sentenza impugnata il T.a.r. per il Veneto ha ritenuto illegittimo il diniego del permesso di costruire in sanatoria per la mancata preventiva acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale. Ha ritenuto, inoltre, illegittimo il conseguente provvedimento demolitorio, per illegittimità derivata, e l’ulteriore provvedimento del 1° marzo 2007 di reiezione del premesso di costruire un nuovo annesso rustico, con parziale demolizione di quello di cui alla precedente richiesta di sanatoria.
10. Va quindi innanzitutto esaminata la questione relativa alla mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.
11. Come emerso anche in primo grado, il comune di (omissis) aveva ritenuto di non avvalersi della Commissione edilizia modificando il proprio regolamento edilizio (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3974 del 3 luglio 2003). In particolare, al 1° luglio 2006, data del primo provvedimento impugnato, la Commissione Edilizia non era organo esistente nel Comune.
12. L’impossibilità materiale di acquisire il parere di un organo non più esistente rende pertanto infondata la tesi del T.a.r..
13. D’altra parte, è pacifico in giurisprudenza che il parere della Commissione edilizia non è obbligatorio ai fini della definizione delle domande di condono edilizio (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4208; 12 maggio 2016 n. 1913, Sez. V, 29 ottobre 2014 n. 5336 e Sez. VI 17 dicembre 2013 n. 6042).
14. Ciò premesso, il Collegio esamina gli ulteriori motivi del ricorso di primo grado assorbiti nella sentenza impugnata.
15. Relativamente al diniego del permesso in sanatoria, gli originari ricorrenti, oltre alla mancanza del parere della Commissione edilizia, contestano la motivazione urbanistica e quella ambientale alla base del rigetto.
16. In primo luogo, contestano che l’intervento edilizio si ponesse in contrasto con la disciplina di P.R.G. per il superamento della capacità massima edificatoria del 2% stabilito dall’art. 19 delle N.T.A..
17. La tesi degli appellati non può essere condivisa.
18. Come detto, la descrizione dell’abuso è riportata nel verbale di accertamento del Corpo di Polizia Locale, n. 18/2006, nella comunicazione di avvio del procedimento n. 7099 dell’11 aprile 2006 e nell’ordinanza n. 1458 del 26 aprile 2006.
19. Le sopra illustrate caratteristiche del fabbricato superano con evidenza la capacità massima edificatoria del fondo, come disciplinata dall’art. 19 delle N.T.A. ed in particolare il rapporto di copertura pari al 2% (superficie complessiva realizzata pari a 180,62 mq per un fondo di 4.000 mq).
20. Il provvedimento di diniego n. 13504 del 1° luglio 2006 risulta poi adeguatamente motivato nel richiamo al verbale di accertamento e al contrasto con l’art. 19 delle N.T.A. ed evidenzia correttamente che il manufatto non è conforme “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione delle opere, sia al momento della presentazione della domanda (art. 36 comma 1 del D.P.R. 380/2001)” – (in merito alla c.d. doppia conformità cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2018 n. 2255).
21. Inoltre, l’area interessata dalla costruzione è vincolata ai sensi degli artt. 27 e 28 del P.T.R.C. e dell’art. 142, comma 1, lettera m), del d.lgs. n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni, nonché ricadente nel PALAV che ha introdotto un vincolo ambientale ai sensi della legge Galasso (n. 431/1985) a tutela del graticolato romano esistente nel territorio del comune di (omissis).
22. Sotto il profilo paesaggistico, non può pertanto ritenersi fondata la tesi dei ricorrenti in primo grado in ordine all’assenza, nel caso di specie, di un pregiudizio ambientale, da cui conseguirebbe la non necessità di acquisire preliminarmente il relativo nulla osta. Come evidenziato dal Comune, il pregiudizio deve ritenersi in re ipsa, come peraltro dimostrato dalle foto prodotte in primo grado.
23. D’altra parte, le considerazioni degli appellati sulla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale, principio in base al quale non potrebbe essere demolita un’opera che sia conforme alla normativa urbanistica vigente se il trasgressore ha chiesto la sanatoria, non possono avere rilevo, tenuto conto che si tratta di un manufatto sia prima che dopo contrastante con la disciplina ambientale esistente.
24. Irrilevante è anche il dedotto profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 sul divieto di nulla osta ambientale postumo. In tema di tutela paesaggistica è stata esclusa ogni valutazione postuma, ovvero successiva all’esecuzione di un intervento edilizio, salvo che per quelli di minor impatto di cui agli artt. 146 e 167 del d.lgs. n. 42/2004, ciò al fine di escludere che al fatto compiuto venga riconosciuta una qualunque forma di legittimazione giuridica (cfr. Cons. Stato sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474). Tale impostazione, con evidenza, appare coerente con il dettato costituzionale in materia di tutela del paesaggio (cfr. art 9 Cost.).
25. Posta la legittimità del diniego opposto dal Comune alla sanatoria, deve ritenersi corretto anche il successivo ordine di demolizione delle opere abusive. I provvedimenti repressivi che ordinano la demolizione dei manufatti abusivi non abbisognano, infatti, di congrua motivazione in punto di interesse pubblico attuale alla rimozione dell’abuso, che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato. Inoltre, l’ordinanza di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2011, n. 79).
26. Quanto al diniego del permesso di costruire (n. 3876 del 1° marzo 2007), impugnato in primo grado con i motivi aggiunti, va innanzitutto rilevato che lo stesso non respinge nel merito l’istanza, ma la dichiara inammissibile per carenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per l’edificabilità in zona agricola ai sensi della legge regionale del Veneto n. 11/2004. In particolare, l’art. 44 della stessa legge consente in zona agricola esclusivamente interventi edilizi in funzione dell’attività agricola da eseguirsi sulla base di un piano aziendale da parte di un imprenditore agricolo titolare di un’azienda con specifici requisiti.
27. Gli originari ricorrenti, seppure destinatari di una richiesta di comprovare i requisiti richiesti in occasione della comunicazione inviata ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990 (nota n. 23409 del 29 dicembre 2006), non hanno tuttavia presentato la necessaria documentazione (peraltro, la richiesta non si riferiva alla costruzione di un nuovo edificio, con mantenimento di preesistenti strutture e materiali, ma del mantenimento in essere, con parziali modifiche, dell’edificio abusivo già oggetto del precedente provvedimento di demolizione).
28. Inoltre, all’Amministrazione, contrariamente a quanto affermato dagli appellati, non incombeva alcun obbligo di richiesta di integrazione documentale proprio in ragione della comunicazione di cui alla nota ex art. 10 bis della legge n. 241/90.
29. In conclusione l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza gravata, deve rigettarsi il ricorso proposto in primo grado, avendo il Collegio esaminato e toccato tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663), laddove gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
30. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate per il doppio grado di giudizio come indicato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado.
Condanna gli appellati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore del comune di (omissis) nella misura complessiva di euro 5.000,00(cinquemila/00), oltre agli altri oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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