Condòmino che chiede ingiustamente la revoca dell’amministratore

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 24 ottobre 2019, n. 27326.

La massima estrapolata:

Il condòmino che chiede ingiustamente la revoca dell’amministratore senza una valida ragione sarà condannato e pagherà i danni. L’articolo 1129 del Codice civile consente sì a ogni condomino di chiedere, con ricorso presentato al Tribunale, la revoca dell’amministratore se non rende il conto della gestione o nel caso di «gravi irregolarità». Ma bisogna valutare bene la fondatezza e considerare i rischi dell’azione giudiziaria, che non sempre è a costo zero.

Ordinanza 24 ottobre 2019, n. 27326

Data udienza 23 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 11263 – 2018 R.G. proposto da:
(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa disgiuntamente e congiuntamente in virtu’ di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato (OMISSIS) e dall’avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS).
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l. – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato (OMISSIS) ed all’avvocato (OMISSIS), lo rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso il decreto della corte d’appello di Milano n. 5702/2017.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 maggio 2019 dal consigliere Dott. Abete Luigi.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con ricorso depositato in data 31.3.2017 (OMISSIS) chiedeva al tribunale di Milano – tra l’altro – disporsi la revoca, ai sensi dell’articolo 1129 c.c., n. 11, e articolo 1131 c.c., di (OMISSIS), socio e legale rappresentante dello ” (OMISSIS)” s.r.l., dalla carica di amministratore del (OMISSIS).
(OMISSIS) non si costituiva.
Con decreto del 21.6.2017 il tribunale di Milano rigettava il ricorso.
(OMISSIS) proponeva reclamo.
Resisteva (OMISSIS), in qualita’ di socio e legale rappresentante dello
” (OMISSIS)” s.r.l..
Con decreto n. 5702/2017 la corte d’appello di Milano rigettava il reclamo, condannava la reclamante a rimborsare a controparte le spese del procedimento di reclamo nonche’ a pagare a controparte, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, la somma di Euro 1.000,00.
Evidenziava la corte che i profili di consistente colpa insiti nella determinazione di proporre reclamo avverso un provvedimento del tutto coerente con le risultanze probatorie, giustificavano la condanna ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione.
Lo ” (OMISSIS)” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese; con condanna della ricorrente ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
La ricorrente ha depositato memoria.
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost. e articolo 96 c.p.c., comma 3.
Deduce che difettano i presupposti della mala fede ovvero della colpa grave necessari ai fini della condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3.
Il motivo di ricorso va respinto.
Si rappresenta che, in materia di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimita’, salvo – per i ricorsi proposti avverso sentenze depositate prima dell’11.9.2012 (il che non e’ nel caso di specie) – il controllo di sufficienza della motivazione (cfr. Cass. 29.9.2016, n. 19298).
Piu’ esattamente la valutazione ex articolo 96 c.p.c., comma 3, del giudice del merito e’ censurabile ai sensi del (novello) articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giacche’ – appunto – trattasi, siccome puntualmente ha posto in evidenza il controricorrente, di “questione di fatto” (cfr. controricorso, pag. 4). Del resto la ricorrente prospetta che “la statuizione ex articolo 96 c.p.c., comma 3, presuppone (…) la rimproverabilita’ della condotta del soccombente, che qui manca del tutto” (cosi’ ricorso, pag. 6).
In questi termini dunque – ossia nel solco dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e’ essenzialmente possibile far luogo al riscontro di ragionevolezza invocato dalla ricorrente (cfr. ricorso, pag. 5; memoria, pag. 2).
Ebbene, alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, l’iter motivazionale che sorregge, in parte qua agitur, il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile ed assolutamente congruo e esaustivo.
Da un lato e’ da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” rilevanti alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite possa scorgersi nelle motivazioni – surriferite – cui la corte distrettuale ha, in parte qua, ancorato la sua decisione.
Si badi che la corte territoriale ha soggiunto che era prevedibile che il reclamato adducesse in sede di impugnazione ulteriori elementi di valutazione in suo favore.
Dall’altro e’ da ritenere che la corte di Milano ha di sicuro disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua la res litigiosa, ossia gli aspetti di grave colpa insiti nella determinazione di Rossella (OMISSIS) di proporre reclamo.
Di talche’ per nulla si giustifica l’assunto della ricorrente secondo cui la corte milanese avrebbe fondato la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3 “su un comportamento ipotetico e non attuale” (cosi’ memoria, pagg. 2 – 3).
Non vi e’ margine per far luogo in questa sede alla condanna della ricorrente ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3 (la domanda ex articolo 96 c.p.c. puo’ essere proposta anche in sede di legittimita’: cfr. Cass. sez. un. 17.8.1990, n. 8363).
Non sussiste invero il presupposto della colpa grave (cfr. Cass. sez. un. 20.4.2018, n. 9912, secondo cui la responsabilita’ aggravata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte ne’ la prova del danno, ma esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilita’ della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicche’ possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in se’, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosita’ dell’azione per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione).
Propriamente e’ da escludere che l’esperito ricorso per cassazione si sia risolto in una iniziativa pretestuosa.
Vero e’, certo, che il sollecitato riscontro di ragionevolezza della statuizione ex articolo 96 c.p.c., comma 3, assunta dalla corte d’appello si sottrae a censura nel solco dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
E nondimeno l’invocato riscontro induce in pari tempo ad escludere che sussista violazione di quel grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza ovvero l’inammissibilita’ dell’intrapresa iniziativa processuale.
In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimita’.
La liquidazione segue come da dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

 

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