Condominio e divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|29 novembre 2022| n. 35070.

Condominio e divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza

In tema di condominio negli edifici, l’art. 1120, ultimo comma, cod. civ., laddove dispone il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato oppure che ne alterino il decoro architettonico, è applicabile all’ipotesi di opera effettuata dal condomino con le finalità di cui all’art. 1102 cod. civ. (Principio ribadito in fattispecie relativa ad apertura da parte dei condomini ricorrenti di due vedute dirette sul cortiletto di proprietà di altro condomino, con consequenziale alterazione dell’aspetto estetico e prospettico nonché del decoro del fabbricato ex art. 1120 cod. civ.).

Ordinanza|29 novembre 2022| n. 35070. Condominio e divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza

Data udienza 8 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Azioni giudiziarie – Legittimazione – Parti comuni – Cause relative a parti comuni incidenti sui diritti vantati dal singolo sul bene comune – Legittimazione del singolo condomino – Sussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al R.G.N. 19856/2017 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale notarile in atti, dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta procura speciale in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2451/2016 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/06/2022 dal Consigliere Dott. DIANORA POLETTI.

 

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FATTI DI CAUSA

1. Con atto pubblico del 5 marzo 1981 la sig.ra (OMISSIS) alieno’ ai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) un appartamento al primo piano sito in (OMISSIS), facente parte del villino dalla stessa realizzato su suolo di sua proprieta’.
2. Con atto di citazione del 27.02.2001, la medesima conveniva gli acquirenti dinanzi al Tribunale di Napoli, sostenendo che gli stessi avessero realizzato i seguenti abusi: apertura di due vedute dirette sul sottostante cortiletto di sua proprieta’; occupazione del terrazzo a livello del primo piano e dei pianerottoli della scala condominiale con vasi di piante ornamentali; costruzione di tettoie sul terrazzo al primo piano di proprieta’ dell’istante stessa, con stillicidio sulla proprieta’ sottostante. Chiedeva pertanto la loro condanna alla eliminazione delle vedute, dei vasi e delle tettoie.
3. Si costituivano i convenuti eccependo l’incompetenza territoriale del Giudice adito. Nel merito contestavano che alcuna opera in realta’ fosse stata realizzata nella proprieta’ dell’attrice poiche’ l’area scoperta che la stessa si era riservata nell’atto di vendita non era quella pertinenziale posta al primo piano, bensi’ la superficie scoperta sottostante, posta a contorno del corpo di fabbrica. Con riferimento alle vedute, eccepivano l’usucapione del diritto al loro mantenimento a distanza inferiore a quella legale.
4. Il Tribunale di Pozzuoli, cui veniva trasmessa la causa per competenza, con sentenza depositata il 1.03.2011 accoglieva la domanda e per l’effetto condannava i convenuti ad eliminare le due finestre oggetto di lite, ritenendole realizzate in contrasto con gli articoli 905 e 1120 c.c., ad abbattere la tettoia in legno ed i pilastri di sostegno realizzati sulla terrazzina di proprieta’ dell’attrice e ad eliminare i vasi di fiori apposti sulla stessa terrazza.
5. Avverso tale sentenza i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello dinanzi alla Corte di Appello di Napoli, con atto di citazione notificato il 19 ottobre 2011, chiedendo dichiararsi la nullita’ della decisione perche’ resa a contraddittorio non integro e comunque rigettarsi l’intera domanda. L’appellata si costituiva in giudizio, resistendo al gravame.
6. Con sentenza n. 2451/2016, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento della domanda ed in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettava il capo della domanda attorea avente ad oggetto l’abbattimento della tettoia di legno e dei pilastri di sostegno realizzati dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla balconata terrazzo del primo piano e dell’eliminazione dei vasi da fiori ivi collocati, confermando nel resto la sentenza di primo grado e quindi la condanna all’eliminazione delle due finestre.

 

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In particolare, il giudice del gravame:
– respingeva il primo motivo di appello perche’ la tesi degli appellanti che le finestre oggetto di causa fossero in essere sin dal 1980, con il conseguente acquisto del diritto di servitu’ a mantenerle a distanza inferiore a quella di legge (per usucapione o per destinazione del padre di famiglia), non era stata avvalorata dalle risultanze istruttorie. Risultava infatti sia nell’atto di compravendita sia nella planimetria catastale allegata che l’appartamento non era dotato al tempo del suo acquisto delle aperture oggetto di causa. Il CTU accertava infatti che al momento del giudizio l’appartamento in questione presentava una diversa distribuzione interna rispetto alla descrizione e alla planimetria allegata all’atto di acquisto e riteneva che le due nuove finestre fossero funzionali al nuovo stato dei luoghi. L’apertura delle vedute veniva quindi fatta risalire all’epoca compresa tra il 1981 e il 1989. La deposizione della teste (OMISSIS), proprietaria dell’appartamento posto al piano sottostante, non induceva a conclusioni diverse, in quanto generica e senza indicazioni utili al fine dell’esatta individuazione delle aperture. La Corte d’Appello riteneva quindi che gli appellanti non avessero dimostrato l’acquisto del diritto di mantenere le vedute a distanza inferiore a quella legale e confermava la statuizione del primo giudice di condanna alla loro eliminazione;
– riteneva invece fondate le censure degli appellanti (oggetto del secondo motivo di appello) riguardanti la balconata-terrazzo alla luce dell’atto pubblico di acquisto e della planimetria catastale in esso richiamata, attribuendo a tale balconata, parte integrante dell’appartamento, la natura di pertinenza del cespite loro alienato, con la conseguenza che la (OMISSIS) non poteva vantare alcun diritto su tale bene in quanto non rientrante tra le “restanti parti scoperte e coperte” delle quali la stessa si era riservata la proprieta’ all’atto della vendita.
8. I sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, nei confronti del capo di tale sentenza che, confermando la sentenza di primo grado, ha tenuto ferma la condanna all’eliminazione delle due vedute dell’appartamento di loro proprieta’.
9. Resistono con controricorso i sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS).
10. Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio ai sensi dell’articolo 345 c.p.c., comma 2 e articolo 380 bis.1 c.p.c..
11. Nell’imminenza dell’udienza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa con costituzione di nuovo difensore.

 

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Questo Collegio preliminarmente rileva che i ricorrenti hanno depositato in giudizio una copia non integrale della sentenza impugnata, mancante di quattro pagine su un totale di undici.
Ciononostante, si deve omettere la dichiarazione di improcedibilita’ del ricorso in forza dell’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10648/2017) che, in tema di giudizio di cassazione, hanno escluso “la possibilita’ di applicazione della sanzione della improcedibilita’, ex articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, al ricorso contro una sentenza notificata di cui il ricorrente non abbia depositato, unitamente al ricorso, la relata di notifica, ove quest’ultima risulti comunque nella disponibilita’ del giudice perche’ prodotta dalla parte controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio”.
Nel caso di specie, sebbene il numero delle pagine mancanti sia tale da non consentire di dedurre con certezza l’oggetto della controversia e le ragioni poste a fondamento della pronuncia, anche avvalendosi delle trascrizioni di parti della stessa contenute in ricorso, con un esito che legittimerebbe la dichiarazione di improcedibilita’ dell’atto (Cass. n. 14347/2020), la copia integrale della sentenza impugnata rientra comunque nella disponibilita’ di questo Giudice per essere stata prodotta dai controricorrenti.
2.- Cio’ precisato, si puo’ passare all’esame dei motivi di ricorso.
3.- Con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, all’articolo 112 c.p.c., ed all’articolo 116 c.p.c..
I ricorrenti lamentano che la corte distrettuale abbia ritenuto generica e non atta a contrastare le risultanze documentali la deposizione della teste (OMISSIS) in ordine all’esistenza, gia’ dal 1980, delle finestre oggetto di giudizio. Secondo i ricorrenti, la “illogica” valutazione di questo mezzo istruttorio avrebbe limitato ingiustificatamente il loro diritto alla prova.
4.- La violazione e falsa applicazione dell’articolo 2967 c.c., e’ oggetto anche del secondo motivo, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
I ricorrenti contestano la sentenza impugnata ritenendo che questa sia stata fondata su una mera presunzione del CTU in merito alla data di apertura delle vedute, ritenuta funzionale al mutato stato dei luoghi. La corte distrettuale avrebbe svalutato la testimonianza della (OMISSIS), capace di superare tale presunzione, di contro privilegiando in maniera errata documenti quali la planimetria catastale allegata all’atto di acquisto, il cui contenuto grafico non coincide con i luoghi di causa ed e’ irrilevante ai fini della determinazione della reale distribuzione interna dell’immobile, sulla quale la sentenza ha fatto in particolare leva per sorreggere le sue conclusioni.
5.- Questi due primi motivi, tra loro evidentemente connessi, possono essere congiuntamente trattati.

 

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Essi devono essere dichiarati inammissibili.
Il ricorso e anche la memoria illustrativa dei ricorrenti si articolano in doglianze che si dirigono a segnalare l’attendibilita’ e la precisione dell’unica testimonianza dalla quale, secondo gli stessi, si sarebbe potuto ritenere provato il loro acquisto per usucapione (o per destinazione del padre di famiglia, secondo la prospettazione contenuta nell’atto di appello) del diritto a mantenere le vedute a distanza inferiore a quella legale. Questa deposizione testimoniale sarebbe stata immotivata mente svalutata dal giudice a quo, che ha fondato la sua decisione sull’accertamento compiuto dalla CTU, le cui conclusioni sono state considerate avallate dalla consistenza immobiliare risultante dall’atto di compravendita a mezzo notaio (OMISSIS) del 5.03.1981 e alla planimetria catastale in esso richiamata a farne parte integrante.
Pur deducendo vizi di violazione di norme di legge sostanziale o processuale, i motivi lamentano, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce della svolta attivita’ istruttoria, ha operato il giudice del merito. Ma la valutazione delle prove raccolte, come pure la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati a tale giudice, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011) e le conclusioni da esso raggiunte – nel quadro del principio, espresso nell’articolo 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che le stesse non abbiano natura di prova legale) non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.), purche’ risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati.
L’iter motivazionale e gli snodi argomentativi della sentenza censurata appaiono del tutto coerenti e immuni da vizi logici, anche in ordine alla valutazione delle risultanze della CTU. Il giudice dell’appello ha infatti escluso la sufficienza della deposizione della teste (OMISSIS) a contrastare le risultanze documentali, confermando il rilievo del primo giudice sulla genericita’ di tale testimonianza (che si era “limitata ad affermare l’esistenza dei due vani finestre quantomeno dal 1980, senza alcuna precisazione e senza alcuna indicazione utile ai fini della esatta individuazione delle aperture” e che ha riferito una diversa distribuzione interna dell’appartamento di proprieta’ (OMISSIS), “mostrando di non avere un’esatta conoscenza dello stato dei luoghi”).
Anche quelle che i ricorrenti chiamano le “congetture deduttive” del CTU, in merito alla data di realizzazione delle nuove vedute (collocata tra il 1981 e il 1989) e alla loro funzionalita’ rispetto alle modifiche interne apportate all’immobile, sono state adeguatamente vagliate dal giudice di merito e poste a confronto con le prove documentali versate in causa, dalle quali – si legge in sentenza – le argomentazioni dell’ausiliario del giudice hanno tratto riscontro.

 

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Appare priva di pregio anche la censura proposta dai ricorrenti sub articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (l’unico motivo che, entro ristretti limiti, permette la censura della valutazione delle risultanze istruttorie, attivita’ regolata dagli articoli 115 e 116 c.p.c.), non risultando dalla motivazione alcuna omissione, in sede di accertamento della fattispecie concreta, dell’esame di uno o piu’ fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia, secondo l’interpretazione che del vizio in parola hanno dato le Sezioni Unite (nn. 8053 e 8054/2014 e numerose successive decisioni conformi).
Neppure la dedotta violazione dell’articolo 2697 c.c., giova alle difese dei ricorrenti, giacche’ nei confronti di essa puo’ ribadirsi il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 13395/2018; n. 18092/2020), secondo cui tale vizio, censurabile ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi di eccezioni.
Il che non e’ certo accaduto nel caso di specie.
6. – Il terzo motivo, cosi’ rubricato: “Violazione e falsa applicazione delle norme di cui gli articoli 101, 102, 161, 162 c.p.c., articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, denuncia la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini proprietari del muro perimetrale dell’edificio dove si afferma che gli attuali ricorrenti avrebbero aperto le finestre.
I coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) deducono in particolare che l’affermata alterazione dell’estetica del fabbricato per effetto delle due aperture, con la pretesa violazione dell’articolo 1120 c.c., andava accertata nei confronti dei condomini, per cui avrebbe errato la corte di appello nel non riconoscere la nullita’ della sentenza, emessa a contraddittorio non integro, con conseguente violazione degli articoli 101 e 102 c.p.c..
7. – Il motivo va disatteso perche’ infondato.
Preliminarmente occorre osservare che la sentenza di appello ha confermato “anche la pronuncia che fa leva sull’articolo 1120 c.c.”, ossia il capo della decisione che ha ritenuto che le due finestre oggetto di lite vanno chiuse non solo perche’ costituiscono un abusivo affaccio diretto sul sottostante cortiletto di esclusiva proprieta’ dell’attrice ma anche perche’ “alterano in modo definitivo l’aspetto estetico e prospettico nonche’ il decoro del fabbricato ex articolo 1120 c.c.”. Cio’ in quanto l’imprescrittibilita’ dell’azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell’edificio “puo’ essere superata dalla prova dell’usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva”.
E tuttavia, l’articolo 1120 c.c., non si riferisce alle opere intraprese dal singolo per realizzare un miglior uso della cosa comune ai sensi dell’articolo 1102 c.c., ma a quelle volute dall’assemblea condominiale con la maggioranza prescritta. La richiesta di tale requisito si giustifica in quanto le innovazioni di cui all’articolo 1120 c.c., sono costituite da opere di trasformazione, le quali incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione e sono dirette a perseguire un interesse collettivo di una maggioranza qualificata di partecipanti. Nondimeno, l’articolo 1120 c.c., comma 2 (prima della modifica ad esso apportata dalla L. n. 220 del 2012) e oggi ultimo capoverso – nella parte in cui vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilita’ o alla sicurezza del fabbricato oppure che ne alterino il decoro architettonico – e’ applicabile all’ipotesi di opera effettuata con le finalita’ di cui all’articolo 1102 c.c.. Questa affermazione e’ comune nella giurisprudenza della Corte (per quanto concerne la lesione del decoro architettonico v. Cass. n. 14607/2012; n. 12343/2003).

 

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E’ evidente che l’articolo 1120 c.c., e’ evocato, nella sentenza, come parametro di valutazione dell’utilizzo del singolo condomino della cosa comune ex articolo 1102 c.c..
La precisazione e’ opportuna per rilevare che il motivo di ricorso non tiene conto del fatto che la giurisprudenza di questa Corte (S.U. 10934/2019) ha affermato che “allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprieta’ e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non puo’ negarsi la legittimazione alternativa individuale” del condomino, salve le ipotesi di necessaria integrazione del contraddittorio indicate da Cass. S.U. n. 25454 del 2013.
Per il singolo condomino sussiste l’interesse ad agire o a resistere in giudizio ogniqualvolta la contesa involga la consistenza dei beni comuni (come nel caso di specie, in cui va dunque esclusa la sussistenza di litisconsorzio esteso a tutti i comproprietari dell’edificio condominiale).
8. – Con il quarto motivo il capo della pronuncia fondato sulla violazione dell’articolo 1120 c.c., viene in via subordinata tacciato di “errata e falsa applicazione tanto della norma richiamata quanto di quella di cui all’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
Con tale motivo, censurando anche nel merito la dichiarata violazione dell’articolo 1120 c.c., si ritiene non supportato da alcun elemento di prova o riscontro oggettivo l’assunto che l’apertura delle due finestre possa avere alterato l’estetica dell’immobile.
9.- Il motivo non solo richiede sotto altre spoglie la preclusa diversa valutazione dei fatti di causa e delle prove rimessa al giudice del merito, ma viola anche il principio dell’autosufficienza (non essendo riportate nello stesso le doglianze avanzate nelle diverse fasi processuali, con l’indicazione specifica degli atti in cui le stesse sono contenute), non risultando dalla lettura della sentenza alcuno specifico motivo di gravame sul punto, oltre quanto esaminato sub p. 7.
Lo stesso risulta pertanto inammissibile.
10.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
11. – Stante l’esito, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13 comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condannando parte ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese di giudizio, che liquida in Euro 4.000,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13 comma 1 bis, se dovuto.

 

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