Commercio di prodotti con segni falsi

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|26 gennaio 2022| n. 2932.

Commercio di prodotti con segni falsi.

In tema di introduzione nel territorio dello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, alla luce delle modifiche apportate agli artt. 473 e 474 cod. pen. dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, non è sufficiente per la configurabilità del reato che prima della sua consumazione sia stata depositata la domanda tesa ad ottenere il titolo di privativa, ma è invece necessario che questo sia stato effettivamente conseguito.

Sentenza|26 gennaio 2022| n. 2932. Commercio di prodotti con segni falsi

Data udienza 14 dicembre 2021

Integrale

Tag – parola: Marchio – Contraffazione – Misura cautelare – Sequestro preventivo – Non contestazione – Mera pendenza della domanda di nullità del marchio registrato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere

Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere

Dott. PERROTTI Massimo – est. Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. in (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 13/5/2021 del Tribunale di Imperia, sezione per il riesame dei provvedimenti cautelari reali;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dr. Massimo Perrotti;
lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Cocomello Assunta, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

Commercio di prodotti con segni falsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il tribunale per il riesame delle misure cautelari reali di Imperia, investito della istanza di riesame proposta avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero presso quel tribunale in data 27 marzo 2021, confermava il decreto impugnato dall’odierno ricorrente con istanza seguita dai motivi dedotti con la memoria depositata all’udienza camerale dl 13 maggio 2021.
1.2. Il pubblico ministero procede per ipotesi di reato di detenzione per finalita’ di commercio di capi di abbigliamento recanti marchi contraffatti, usurpati o imitativi e ricettazione degli stessi (articoli 474, 517 ter e 648 c.p.). Il 24 marzo 2021 la polizia giudiziaria procedeva d’iniziativa al sequestro dei capi di abbigliamento rinvenuti presso l’esercizio gestito dalla societa’ della quale il ricorrente e’ legale rapp.te, in quanto tali manufatti recavano marchio “Ghlain Klain”, che non risulta registrato o comunque autorizzato in Europa, dacche’ la richiesta di registrazione e’ stata rigettata con decisione EUIPO, su ricorso prodotto dalla Calvin Klein, resasi definitiva il 5 febbraio 2020.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione (OMISSIS), a ministero del difensore di fiducia, che deduceva, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, il motivo in appresso sintetizzato, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
2.1. violazione di legge processuale (articolo 125 c.p.p., comma 3), avendo il tribunale per il riesame graficamente omesso ogni motivazione in ordine alle argomentazioni proposte con i motivi scritti contenuti nella memoria depositata all’udienza del 13 maggio 2021 ed allegati provvedimenti giurisdizionali ed amministrativi.
2.2. In particolare, era stato dedotto nella sede di merito dell’incidente cautelare che non poteva ravvisarsi alcuna ipotesi di contraffazione o uso abusivo di marchio contraffatto o imitato, giacche’ il marchio che contrassegna i capi di abbigliamento in sequestro e’ registrato presso l’UIBM italiano sin dall’anno 2011, sicche’ ancorche’ detto marchio possa ritenersi decaduto per non uso in ambito Europeo esso e’ comunque valido in territorio italiano.

 

Commercio di prodotti con segni falsi

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ inammissibile per la assoluta aspecificita’ del motivo (neppure deducibile avverso provvedimenti cautelari reali, non sussistendo alcuna violazione di legge), che rifiuta il confronto con le argomentazioni spese dal tribunale sul punto specifico della facolta’ di autonoma valutazione incidentale da parte del tribunale della natura illecita (per contraffazione, alterazione o idoneita’ imitativa del marchio offerto in pubblico commercio).
1.1. Avverso le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324 c.p.p., il ricorso per cassazione e’ ammesso solo per violazione di legge, a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano tuttavia la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicita’ manifesta, la quale puo’ denunciarsi nel giudizio di legittimita’ soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606, lettera e)” (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. U, n. 5 del 26/02/1991, Bruno; nonche’ Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore).
1.2. Orbene, dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che, nel rigettare l’istanza di riesame proposta con allegazione in udienza di motivi scritti, il tribunale ha ravvisato fumus commissi delicti, in relazione alle ipotesi di reato che sostengono il sequestro, esprimendo una legittima valutazione incidentale dei dati materiali (descrizione anche per immagini dei prodotti in sequestro) offerti alla giurisdizione penale dal verbale di sequestro e dai documenti ad esso allegati.
1.3. Appare comunque opportuno ricordare che, mentre l’articolo 473 c.p. appresta una tutela che riguarda la fase precedente la immissione in commercio di prodotti contraffatti (si tratta infatti di una tutela che si colloca in una fase analoga a quella della fabbricazione prevista e punita dall’articolo 517 ter c.p., comma 1 che sanziona chi fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprieta’ industriale o in violazione dello stesso), la condotta punita dall’articolo 474 c.p., e’ direttamente collegata alla messa in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato e presuppone gia’ apposto il segno distintivo su una determinata res. L’oggetto materiale dell’articolo 474 c.p., e’ limitato ai marchi e segni distintivi, giacche’ tale disposizione non comprende nel proprio perimetro i modelli e disegni, che non siano qualificati come marchio figurativo, non potendosi estendere in malam partem la tutela del marchio a quella del modello, senza violare il principio di tipicita’. E’ consolidato, inoltre, il principio per cui l’articolo 474 c.p., e’ posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica e richiede -a monte- la materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio, tale da ingenerare confusione nei consumatori e da nuocere al generale affidamento; si e’ peraltro chiarito che l’offensivita’ della condotta deve avere riguardo esclusivamente al successivo utilizzo del bene contraffatto, sicche’ l’attitudine della falsificazione a ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla prospettiva della loro successiva utilizzazione (cfr., in tal senso, Sez. 2, del 19/2/2013 n. 22133, ibidem, Sez. 5, del 9/1/2009 n. 14876, ric. Chen).

 

Commercio di prodotti con segni falsi

2. Fatte queste premesse di ordine generale, e passando alla questione centrale sollevata con il motivo di ricorso, va detto che il carattere distintivo che accomuna le fattispecie che sanzionano l’uso indebito del marchio e’ rappresentato dalla osservanza delle norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprieta’ intellettuale o industriale da parte del titolare del modello. Sicche’ il presupposto della condotta criminosa si rinviene essenzialmente nella validita’ del modello o del marchio della cui contraffazione, alterazione o imitazione si discute. Gli articoli 4 e ss. del Reg. CE 6/20026 stabiliscono che un disegno o modello e’ protetto se e in quanto possieda due requisiti: la novita’ ed il carattere individuale idoneo a distinguerlo da ogni altro; la giurisprudenza comunitaria ha precisato, tuttavia, che una combinazione di elementi gia’ divulgati e’ comunque suscettibile di protezione come disegno o modello comunitario a condizione che, nel complesso, sia in possesso di questi due requisiti. Un prodotto si considera dotato di carattere individuale quando l’impressione generale suscitata nell’utilizzatore informato differisca in modo significativo rispetto a quella suscitata nel medesimo utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato precedentemente al pubblico; per utilizzatore informato, si intende il soggetto che conosce i vari disegni o modelli esistenti nel comparto merceologico di riferimento, ovvero che, senza essere un progettista o un esperto tecnico, disponendo di un elevato grado di conoscenza a causa del suo interesse per i prodotti in questione, da’ prova di un grado d’attenzione relativamente elevato quando li utilizza.
In quest’ottica, ovvero considerando la validita’ del modello o del marchio della cui contraffazione, alterazione o imitazione si discute, quale presupposto oggettivo della illiceita’ penale della condotta, questa Corte, modificando un orientamento assolutamente consolidato prima dell’intervento del legislatore del 2009 (cfr., Sez. 5, 7.10.2011 n. 48534, Jang; Sez. 5, 22.6.1999 n. 8758, Rossi; Sez. 2, 21.11.2006 n. 6323, Cinti; Sez. 5, 8.1.2009 n. 9752, Giustini), ha avuto modo di chiarire che, proprio alla luce delle modifiche apportate agli articoli 473 e 474 c.p. dalla L. n. 99 del 2009, non e’ sufficiente, per la configurabilita’ del reato, che prima della sua consumazione sia stata depositata la domanda tesa ad ottenere il titolo di privativa, ma e’ invece necessario che questo sia stato effettivamente e realmente conseguito (cfr., Sez. 5, 13.7.2012 n. 36360, Shao; Sez. 5, 4.6.0213 n. 41891, Chiovini; Sez. 5, 12.12.2012, n. 9340, Giannico;
12.4.2012.n. 25273, Dellatte), come certamente verificatosi nella fattispecie con riferimento al marchio Calvin Klein oggetto di contraffazione imitativa.

 

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La giurisprudenza, d’altra parte, e’ univoca nel senso di ritenere attribuito al giudice penale il compito di decidere -in via incidentale- sulla validita’ o meno della registrazione del modello, accertando, quindi, l’esistenza e la validita’ anche sostanziale del presupposto del reato stabilito dalle disposizioni interne e sovranazionali in punto di tutela della proprieta’ industriale ed intellettuale (Sez. 5, 21.9.2010 n. 43515, Guiderdone, secondo cui spetta al giudice penale decidere in via incidentale sulla validita’ o meno di un marchio, registrato sia in sede comunitaria che nazionale, quando la questione assuma rilevanza ai fini della qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’imputazione; Sez. 3, 17.3.2016 n. 31868, P.C. in proc. Cippitelli, che ha riaffermato tale principio in tema di contraffazione dei c.d. modelli ornamentali brevettati; da ultimo, sez. 2, n. 43374, del 19/9/2019, Rv. 277771; Sez. 2, n. 40324, del 7/6/2019, Rv. 277049; tale valutazione di fatto non e’ sindacabile in sede di legittimita’, da ultimo sul punto v. anche Sez. 1 civ., ord. n. 23975, del 29/10/2020, Rv. 659601). Il giudice, pertanto, dovra’ prendere in considerazione sia eventuali pronunce di inefficacia parziale -nonche’ decisioni su eventuali domande di nullita’ dei modelli che, secondo quanto previsto dell’articolo 17, paragrafo 1, e articolo 69, paragrafo 3 lettere p), q), r) del Reg. CE n. 2245/20025, devono essere apposte sul relativo certificato di registrazione-, che gli elementi (anche immagini) rappresentativi del fatto avvinti al processo ed utilizzabili ai fini della richiesta valutazione incidentale.
2.1. Ebbene, venendo alla fattispecie concreta, non puo’ sottacersi, come fanno i motivi di ricorso, che sul punto mantengono un mesto silenzio, che, incontestata la efficacia e validita’ del marchio oggetto di imitazione servile e preso atto della pronuncia irrevocabile resa dall’organo amministrativo comunitario EUIPO in ordine alla intervenuta decadenza del marchio comunitario imitativo impresso sui capi oggetto di sequestro (il che, trattandosi di pronuncia intervenuta su azione e non incidentalmente in via di eccezione, riverbera effetti anche sulla registrazione nazionale di quello stesso marchio imitativo, v. Sez. 1 civ. n. 6382,
del 13/3/2017, Rv. 644661: In tema di marchio comunitario, il giudicato di nullita’ dello stesso ha efficacia “erga omnes” solo quando tale nullita’ venga chiesta, in un giudizio relativo alla contraffazione, con una domanda, principale o riconvenzionale, e non anche quando venga dedotta dal convenuto come mera eccezione, nel qual caso il relativo accertamento e’ compiuto solo “incidenter tantum”.), non restava al tribunale che ulteriormente scrutinare e verificare, sia pur incidentalmente ed ai soli fini della corretta qualificazione della fattispecie di reato, la correttezza sostanziale della privativa e la sostanziale illiceita’ dell’uso di un marchio imitativo o contraffatto. Il che e’ esattamente il compito. che il tribunale ha diligentemente svolto (cfr. pag. 3, terzo capoverso, della ordinanza impugnata) con motivazione logica e coerente, che analizza le evidenze iconografiche portate all’attenzione della giurisdizione penale, non censurabile nella sede di legittimita’.

 

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2.2. Cio’ posto, va riconosciuta la correttezza della applicazione delle norme incriminatrici poste a sostegno del sequestro per la evidente idoneita’ della condotta contestata a mettere in pericolo la tutela dell’affidamento del pubblico su determinati prodotti commerciali, ben identificabili grazie all’uso di particolari marchi o segni distintivi, non essendo assolutamente richiesta dalla incriminazione la perfetta identita’ dei segni riprodotti (Sez. 5, n. 33543, del 21/09/2006, Rv. 235225).
3. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., alla inammissibilita’ del ricorso consegue, oltre al pagamento delle spese processuali, la condanna al pagamento, a titolo di sanzione, sussistendo profili di colpa nella proposizione dei rispettivi motivi inammissibili, della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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