Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 17755.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
In tema di collazione per imputazione, l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario non è regolata dalle norme sulla divisione (in particolare sui conguagli divisionali), ma da quelle dettate espressamente per la collazione, con la conseguenza che che il debito relativo all’eccedenza (da qualificarsi di valuta, in quanto avente ad oggetto originario, non i beni, ma il loro equivalente pecuniario) va determinato, ai sensi dell’art. 747 c.c., con riferimento al potere di acquisto della moneta al tempo dell’apertura della successione, dal quale decorrono gli interessi, senza che occorra apposita domanda di parte.
Sentenza|| n. 17755. Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
Data udienza 27 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Successioni mortis causa – Scioglimento della comunione – Presupposti – Articoli 724 e 725 cc – Collazione delle donazioni – Articoli 726 e 727 cc – Criteri – Articoli 737 e 746 cc – Formazione delle quote – Articoli 745 e 1282 cc – Ctu – Articolo 277 cc – Difetto di motivazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
Dott. AMATO Cristina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 22270/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1267/2017 depositata il 15/06/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/02/2023 dal Consigliere GIUSEPPE TEDESCO.
Viste le conclusioni motivate, ai sensi dell’articolo 23, comma 8-bis, Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, il quale ha chiesto l’accoglimento del nono motivo di ricorso, rigettati i restanti.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
FATTI DI CAUSA
La presente causa riguarda la divisione ereditaria fra i fratelli (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). La lite ha avuto in complesso iter, caratterizzato da due sentenze di cassazione con rinvio, che non e’ necessario ripercorrere. Ai fini della comprensione dei fatti di causa e’ sufficiente identificare i presupposti del giudizio di rinvio definito con la sentenza impugnata. Nelle precedenti fasi del giudizio stato definitivamente accertato: a) che i coeredi avevano ricevuto donazioni, soggette a collazione; b) il diritto di (OMISSIS) di operare la collazione delle donazioni da lui ricevute per imputazione: la donazione del fondo “(OMISSIS)” e di due negozi in (OMISSIS).
Su tali presupposti il giudice di rinvio avrebbe dovuto fare la divisione e definire la causa di resa del conto fra i coeredi: cio’ che il giudice di rinvio ha fatto includendo nella porzione di (OMISSIS) i beni conferiti per imputazione, per il loro valore al tempo della morte del donante aumentato degli interessi legali. Essendo risultato che i beni donati superavano la quota del donatario, costui e’ stato condannato al pagamento di un conguaglio in favore dei compartecipi. Nella determinazione del dovuto la Corte di rinvio ha tenuto conto, in favore di (OMISSIS), dell’esito della resa del conto, riducendo l’importo che derivava dalla ripartizione. In via prioritaria, la Corte d’appello ha disatteso la pluralita’ di obiezioni mosse da (OMISSIS) contro la consulenza tecnica, con riferimento alla stima del fondo “(OMISSIS)”. Essa ha poi rigettato le pretese restitutorie avanzate da (OMISSIS) in relazione alle somme pagate in dipendenza delle sentenze cassate.
Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a nove motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso gli intimati, eredi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), gia’ deceduti nel corso del giudizio di merito e nei cui confronti stata pronunziata la sentenza impugnata, depositando anche la memoria.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso censurano la sentenza impugnata, per:
1) violazione e falsa applicazione degli articoli 724, 725, 737, 746 c.c., per avere la Corte territoriale riconosciuto che la collazione per imputazione, nell’ipotesi che il donatario abbia ricevuto un valore maggiore della propria quota, costituisce fattispecie idonea a giustificare obblighi di pagamento a carico del donatario. Al contrario, si sostiene da parte del ricorrente, che la collazione, qualora attuata per imputazione, non puo’ giustificare, a carico del donatario, alcun sacrificio ulteriore, oltre all’esclusione dal riparto divisionale dei beni relitti;
2) violazione degli articoli 724, 725, 726, 727, 737, 746 c.c., perche’ la Corte d’appello ha considerato i beni oggetto di donazione, conferiti per imputazione, come facenti parte della massa dividenda, in guisa da giustificare, in dipendenza della sua inclusione nella porzione del donatario, un obbligo di conguaglio; decidendo in questo modo, la corte territoriale non ha considerato che i conguagli sono finalizzati a pareggiare la ineguaglianza fra valore delle quote e porzione divisoria, essendo tale funzione non configurabile rispetto ai beni donati conferiti per imputazione, che sono gia’ di proprieta’ del donatario e tali rimangono anche dopo il conferimento;
3) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 277, comma 1, c.p.c. per pretermessa considerazione delle conclusioni assunte e omesso esame di fatto decisivo, perche’ la Corte d’appello non ha considerato le motivate obiezioni sul metodo seguito dal consulente tecnico nella stima del fondo “(OMISSIS)”, avendo l’esperto preferito metodi astratti in luogo di quello fondato sulla valutazione comparativa, partendo dai prezzi indicati nei due atti di compravendita;
4) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 277, comma 1, c.p.c. per pretermessa considerazione delle conclusioni assunte e per violazione del principio del contraddittorio: il c.t.u., dopo avere inizialmente scelto di procedere alla stima del fondo “(OMISSIS)” con il metodo per comparazione e avere preannunziato una nuova convocazione dei consulenti di parte, avrebbe poi unilateralmente modificato il metodo di stima e quindi provveduto alla redazione della consulenza tecnica, cosi’ violando la regola del contraddittorio;
5) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 277, comma 1, c.p.c. per pretermessa considerazione delle conclusioni assunte e omesso esame di fatto decisivo: si denuncia la mancata considerazione degli argomenti addotti contro l’utilizzo, a fini della stima, di indici astrati che non comprendevano fondi della stessa tipologia del fondo “(OMISSIS)”; e comunque per non avere considerato che quei parametri andavano adattato alle concrete caratteristiche del fondo oggetto di stima;
6) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 277, comma 1, c.p.c. per pretermessa considerazione delle conclusioni assunte e omesso esame di fatto decisivo, perche’ la Corte d’appello non ha considerato le censure mosse contro la stima del bene, che non tenevano conto delle servitu’ gravanti sul fondo, riconosciute onerose dallo stesso consulente;
7) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 277, comma 1, c.p.c. per pretermessa considerazione delle conclusioni assunte e omesso esame di fatto decisivo: e’ ancora una volta oggetto di censura il metodo seguito dal consulente tecnico, il quale ha sommato i valori Inea al valore dei fabbricati rurali, nonostante fossero gia’ ricompresi nei primi;
8) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli articoli 745 e 1282 c.c., perche’ la Corte d’appello ha riconosciuto gli interessi sul valore dei beni donati, conferiti per imputazione, in assenza di specifica domanda da parte dei coeredi;
9) nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 389 c.p.c. e dell’articolo 2033 c.p.c. per avere la Corte territoriale negato la propria competenza a conoscere delle pretese restitutorie di quanto pagato dall’attuale ricorrente in esecuzione delle sentenze di merito cassate.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
2. Il primo motivo e’ infondato. Quando il coerede, nell’esercizio della facolta’ di scelta attribuitagli dalla legge, preferisce il conferimento per imputazione, ed in tutti quegli altri casi in cui, per espressa disposizione di legge, la collazione non puo’ avvenire se non mediante imputazione, la donazione resta ferma, nonostante la sopravvenuta apertura della successione e l’accettazione dell’eredita’ da parte del coerede tenuto alla collazione. Nella collazione per imputazione il bene rimane sempre di proprieta’ del coerede donatario, il quale lo trattiene in virtu’ della donazione ricevuta, e deve soltanto versare nella massa l’equivalente pecuniario del bene, il che di norma avviene soltanto idealmente, con “l’imputarne il valore” alla porzione del donatario (Cass. n. 28196/2020).
Questa Corte ha chiarito che “nei casi in cui la legge attribuisce al coerede donatario la facolta’ di scelta fra il conferimento in natura ed il conferimento per imputazione, tale facolta’ di scelta deve intendersi attribuita senza alcun limite, e quindi anche per l’ipotesi in cui il valore del bene donato sia superiore al valore della quota. In tale ipotesi, ove il coerede scelga l’imputazione, come in tutti gli altri casi in cui l’imputazione e’ l’unico modo di collazione ammesso dal Codice civile, il coerede dovra’ imputare alla sua quota il valore della donazione ricevuta fino a concorrenza del valore della quota stessa, e dovra’ versare alla massa l’equivalente pecuniario dell’eccedenza. Al riguardo, sempre nel caso di eccedenza della donazione sulla quota, il donatario coerede, che conferisca per imputazione, deve prestare agli altri eredi l’equivalente pecuniario di tale eccedenza, determinato con riferimento al valore del tempo dell’apertura della successione, e non del tempo della divisione, e non suscettibile di rivalutazione. Per l’eccedenza stessa i coeredi aventi diritto a collazione, non trovando nella massa beni della stessa natura di quello donato, non potranno che effettuare i prelevamenti di cui all’articolo 725 c.c. che sulla somma determinata come sopra” (Cass. n. 3598/1956; v. altresi’ Cass. n. 1481/1979).
Contro tale conclusione, pacifica nella giurisprudenza della Corte e largamente condivisa dalla dottrina, il ricorrente obietta che la collazione per imputazione postula che il bene ricevuto in donazione sia “imputato” dal coerede donatario “alla propria quota”, come testualmente stabilisce l’articolo 746 c.c.; e che quindi tale modo di collazione non puo’ aver luogo, quanto meno per l’eccedenza, quando il valore del bene supera il valore della quota ereditaria. In passato tale obiezione fu proposta per sostenere che il donatario sarebbe in questo caso senz’altro tenuto al conferimento in natura dell’eccedenza. Sulla scia di autorevoli indicazioni provenienti dalla dottrina, la Suprema Corte ha superato tale obiezione, riconoscendo che l’imputazione e’ un mezzo idoneo di collazione anche nei riguardi dell’eventuale eccedenza di valore. E’ stato esattamente osservato che legislatore, parlando nell’articolo 746 c.c. di imputazione del valore del bene alla quota del coerede tenuto alla collazione, abbia avuto presente soltanto il caso normale, in cui tale forma di imputazione e’ integralmente possibile; il caso, cioe’, in cui il valore del bene donato sia inferiore o al massimo uguale al valore della quota ereditaria.
Il caso di eccedenza del primo valore sul secondo non viene infatti normalmente quasi mai in esame in tema di collazione, giacche’ in tale caso il donatario, il quale sia stato chiamato alla successione insieme a coeredi aventi diritto alla collazione, preferira’ quasi sempre rinunziare all’eredita’, e sottrarsi cosi’ all’obbligo della collazione della donazione ricevuta.
Ma nelle ipotesi davvero eccezionali in cui il donatario, nonostante l’eccedenza di valore, abbia accettato l’eredita’, e sia quindi tenuto alla collazione, l’articolo 746 c.c. non puo’ essere interpretato nel senso che il donatario, se sceglie di conferire per imputazione, potrebbe trattenere impunemente la differenza tra il valore della donazione ricevuta ed il valore della sua quota ereditaria.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
In conclusione, mentre nei casi normali il conferimento per imputazione e’ meramente ideale, in quanto si converte, in conseguenza dei prelevamenti degli altri coeredi a norma dell’articolo 725 c.c., in una proporzionale riduzione della massa su cui il donatario puo’ far valere il suo diritto alla quota ereditaria, il conferimento e’ invece effettivo per l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati rispetto al valore della quota ereditaria, giacche’ per detta eccedenza il coerede e’ tenuto all’effettivo versamento dell’equivalente pecuniario.
E’ stato anche chiarito che la soluzione adottata non e’ per nulla in contrasto con le norme che regolano l’istituto dei prelevamenti, il quale, come e’ noto, rappresenta, per cosi’ dire, l’altra faccia dell’istituto della collazione per imputazione. Infatti, ex articolo 725, comma 2, c.c., i prelevamenti si formano con oggetti della stessa natura e qualita’ di quelli che non sono stati conferiti in natura “per quanto e’ possibile” (Cass. n. 17022/2017; n. 20041/2016; n. 27410/2005; n. 2184/1964). In caso contrario, dovranno contentarsi di prelevare, in proporzione delle loro quote, soltanto beni di equivalente valore, ma di diversa natura (o anche danaro). Deve pertanto confermarsi la perdurante validita’ del seguente principio: “la collazione per imputazione dell’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario non puo’ essere regolata dalle norme sulla divisione, in particolare sui conguagli divisionali, ma ricade invece sotto la disciplina delle norme dettate espressamente per la collazione. Il debito relativo a tale eccedenza deve essere, quindi determinato secondo il tassativo dettato della gia’ menzionata norma di cui all’articolo 747 c.c. con riferimento al potere di acquisto della moneta al tempo dell’apertura della successione e costituisce debito di valuta, soggetto come tale al principio nominalistico, il diritto dell’erede non donatario, nei confronti del coerede conferente per imputazione, avendo per oggetto originario non gia’ i beni
che costituiscono tale eccedenza, sibbene l’equivalente
pecuniario di essi da determinarsi nel modo anzidetto” (Cass. n. 74/1960). La misura di questo conguaglio si ottiene dividendo pro quota fra tutti i coeredi nei cui confronti opera la collazione, compreso il donatario, il valore dei beni relitti e del bene conferito per imputazione, stimati gli uno e gli altri secondo i valori del tempo dell’aperta successione (infra), e poi sottraendo dalla quota del donatario il valore della donazione ricevuta. Sull’eccedenza, cosi’ calcolata, sono dovuti gli interessi dal tempo dell’apertura della successione.
3. Le considerazioni che precedono danno ragione, nello stesso tempo, della fondatezza del secondo motivo, seppure l’esito dell’accoglimento non sia pienamente conforme a quanto auspicato dal ricorrente, il quale, anche con questo secondo motivo, vorrebbe prendere spunto dall’errore commesso dalla corte di merito per sostenere la tesi, gia’ esaminata e disattesa nell’esame del primo motivo, circa la pretesa non configurabilita’, in termini assoluti, di obblighi di pagamento a carico del donatario che conferisce per imputazione.
E’ stato gia’ piu’ volte ricordato che, mentre la collazione in natura consta di un’unica operazione, che implica un effettivo incremento dei beni in comunione che devono essere divisi, la collazione per imputazione ne postula due, l’addebito del valore dei beni donati, a carico della quota dell’erede donatario, ed il contemporaneo prelevamento di una corrispondente quantita’ di beni da parte degli eredi non donatari, cosicche’ soltanto nella collazione per imputazione, non in quella in natura, i beni rimangono sempre in proprieta’ del coerede donatario, che li trattiene in virtu’ della donazione ricevuta e deve versare alla massa solo l’equivalente pecuniario, il che di norma avviene soltanto idealmente, tramite il sistema dei prelevamenti.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
Cio’ posto, al fine di fare emergere l’errore commesso dalla Corte d’appello, si debbono richiamare i seguenti principi, in gran parte anticipati nell’esame del primo motivo:
a) i prelevamenti costituiscono una delle fasi attraverso le quali si concreta la divisione ereditaria ma non si identificano con la divisione vera e propria dei beni oggetto dei prelevamenti stessi: questi infatti sono diretti da un lato ad assicurare la parita’ di trattamento fra i coeredi non donatari e quelli donatari (nel senso che rispetto a tutti sia determinante la volonta’ del testatore e, nei limiti di cio’ che il testatore non ha espresso, la legge); e, dall’altro, a individuare la massa che sara’ oggetto della divisione vera e propria, massa costituita dai beni che residuano, tolti quelli oggetto delle donazioni conferiti per imputazione e quelli prelevati. Pertanto, come nella divisione occorre, per stimare se le porzioni corrispondano alle quote, far capo ad un criterio di valutazione unico, il valore dei beni al tempo della divisione; cosi anche nei prelevamenti occorre seguire un criterio unico che abbia riguardo come termine di confronto i beni conferiti per imputazione; e poiche’ il conferimento per imputazione si fa secondo l’articolo 747 c.c., per il valore dei beni donati al tempo della apertura della successione, a questo valore occorre far capo per desumere la misura dei prelevamenti (Cass. n. 1042/1954);
b) la formazione del progetto divisionale della massa ereditaria deve essere effettuata solo con riferimento ai beni che residuano dopo i prelevamenti che i coeredi non donatari abbiano effettuato per realizzare una situazione di parita’ rispetto ai coeredi donatari, i quali abbiano fatto la collazione per imputazione, senza alcun conferimento in natura dei beni ricevuti (Cass. n. 1481/1979);
c) la norma dell’articolo 746 c.c., che in tema di collazione degli immobili non alienati o ipotecati, riconosce al coerede donatario la facolta’ di scelta tra la collazione in natura e la collazione per imputazione, e’ applicabile anche nel caso in cui il valore dei beni donati eccede il valore della quota ereditaria spettante al donatario per legge o per testamento. In questa ipotesi se il donatario opta per l’imputazione, il conferimento dell’equivalente – analogamente a quanto avviene nei casi di imputazione necessaria, previsti dall’articolo 746 – ha luogo idealmente, cioe’ mediante imputazione nella quota fino a concorrenza del valore di essa, ed in modo effettivo per la parte corrispondente all’eccedenza; ed anche per la porzione degli immobili eccedente il valore della quota, l’equivalente pecuniario da versarsi nell’asse va determinato in conformita’ della regola generale sancita dall’articolo 747 c.c., e cioe’ con riguardo al valore dell’immobile al tempo di apertura della successione; sicche’ in definitiva, anche per la detta eccedenza, gli altri coeredi, se nell’asse non vi sono altri beni della stessa natura di quelli donati e ritenuti, dovranno effettuare i prelevamenti di cui all’articolo 725 sulle somme come sopra determinate (Cass. n. 1533/1960);
d) mentre i prelevamenti (articolo 725 c.c.) debbono farsi secondo il valore dei beni al tempo dell’apertura della successione e la stima dei beni per la formazione delle quote deve farsi con riferimento al loro stato e valore venale al tempo della divisione (Cass. n. 1330/1959).
3.1. Il metodo corretto, imposto dai principi sopra indicati, richiedeva che le operazioni di collazione e prelevamento fossero tenute distinte da quelle di divisione, che si doveva svolgere sui soli residui, dedotti quelli prelevati dai coeredi non donatari. La Corte d’appello, invece, ha unificato le operazioni, assumendo i beni relitti e i beni donati a (OMISSIS) alla stregua di beni comuni, oggetto di divisione e di attribuzione. Non si e’ trattato di una semplice imprecisione linguistica, “irrilevante ai fini del decidere” come sostenuto nel controricorso, innanzitutto perche’ la Corte d’appello ha operato sulla base di criteri disomogenei: i beni donati sono stati stimati per il valore “al momento dell’apertura della successione”, maggiorato di interessi legali dalla data della morte del donante, mentre i “beni facenti parte dell’asse all’attualita’” (cosi’ testualmente la sentenza impugnata a pag. 17). Tale secondo criterio doveva operare solo nella susseguente divisione dei beni “prelevati”, mentre le operazioni di collazione dovevano considerare, per tutti i beni, il valore del tempo dell’aperta successione. Inoltre, se le operazioni di imputazione e prelevamento si devono svolgere in base all’unitario criterio del tempo dell’aperta successione, e’ coerente riconoscere che, ai fini di questa operazione, il valore della donazione non va aumentato degli interessi ex articolo 745 c.c. Questi sono sicuramente dovuti (Cass. n. 2453/1976; n. 25646/2008), ma entrano in gioco in un secondo tempo, una volta stabilita la misura del prelevamento ex collatione in favore degli aventi diritto.
Collazione per imputazione e l’eventuale eccedenza del valore dei beni donati sulla quota dell’erede donatario
Si avra’ pertanto o l’una o l’altra delle ipotesi di seguito considerate:
a) se il valore della donazione e’ inferiore al valore della quota del donatario, questo vuol dire che la collazione per imputazione puo’ essere interamente attuata mediante imputazione e prelevamento. In questo caso, concorrendo il donatario nella divisione dei beni residui, gli interessi sul valore imputato sono regolati in sede di resa del conto fra i coeredi secondo le norme della divisione ereditaria;
b) se la donazione supera il valore della quota del donatario, si avra’ che il relictum e’ grado di soddisfare solo in parte il diritto ex collatione di ciascuno dei coeredi concorrenti (discendenti o coniuge). In questa ipotesi, il donatario e’ escluso dalla comunione sul relictum, rimanendo a suo carico l’obbligo di pagamento dell’eccedenza, che e’ conseguita dai coeredi dopo il prelevamento di tutti i beni relitti. Su tale eccedenza, che costituisce obbligazione di valuta che trae la propria origine nella scelta del donatario di conferire per imputazione la donazione di valore superiore alla quota (supra), sono dovuti gli interessi dal giorno in cui si e’ aperta la successione (cfr. articolo 745 c.c.).
4. E’ infondato l’ottavo motivo, da esaminare di seguito. Nella collazione il riconoscimento degli interessi sulle somme eventualmente dovute dal donatario non suppone la proposizione di una domanda, trattandosi di profilo compreso
nelle corrispondenti operazioni. Secondo l’unanime
giurisprudenza di questa Corte, “in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, (…) l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida) e (…) i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione” (Cass. n. 15131/2005; n. 8507/2011).
5. L’accoglimento del secondo motivo porta con se’ la caducazione, ex articolo 336, comma 1, c.p.c., di tutte le statuizioni dipendenti della decisione cassata, nella misura in cui ess suppongono una situazione di comunione estesa alla totalita’ dei beni relitti fra tutti i coeredi secondo le quote originarie (cfr. Cass. n. 23985/2019). E’ stato ampiamente chiarito che le operazioni di collazione e imputazione, per una via o per l’altra, finiscono per incidere sul successivo riparto divisionale non solo oggettivamente, comportando l’esclusione dalla massa dividenda i beni prelevati dai coeredi non donatari, ma anche soggettivamente. In caso di conferimento per imputazione di donazione superiore al valore della quota del donatario, la divisione dei beni relitti si svolge solo fra gli altri, restandone escluso il donatario. A fortiori sono logicamente assorbiti il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo, in quanto investono profili riguardanti “l’improprio” progetto divisionale formato dalla corte di merito.
6. Il nono motivo e’ in parte inammissibile e’ in parte fondato. La Corte d’appello, quanto alle domande restitutorie proposte nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (eredi di (OMISSIS)), non ha rilevato la propria incompetenza a decidere, me ha rigettate le stesse domanda sul presupposto dell’intervenuta prova del pagamento data dagli obbligati. Tale ratio non e’ stata censurata. In quanto alle domande proposta nei confronti degli eredi di (OMISSIS), (OMISSIS), il motivo e’ fondato. La Corte d’appello ha richiamato il principio secondo cui “L’opposizione all’esecuzione forzata, iniziata sulla base di una sentenza poi cassata con rinvio, non e’ attratta nella competenza del giudice di rinvio, in quanto oggetto di quel giudizio e’ l’esistenza o meno del titolo che legittimo’ l’esecuzione (anche per sopravvenuta cassazione della sentenza posta in esecuzione), mentre l’accertamento dell’esistenza (o meno) del diritto che si dovrebbe attuare con l’esecuzione resta attribuita al giudice di rinvio, al quale spetta procedere all’accertamento del contenuto sostanziale del rapporto quale risulta dalla sentenza cassata, provvedendo, se del caso, alle restituzioni ex articolo 389 c.p.c.” (Cass. n. 975/2010).
Il richiamo di tale principio, invocato anche dai controricorrenti, non e’ pertinente, perche’ nel caso in esame veniva in considerazione un problema diverso, e cioe’ se potesse chiedersi al giudice di rinvio la ripetizione delle somme pagate nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa sulla base della sentenza cassata. La risposta a questo quesito deve essere positiva. Infatti, “ai sensi dell’articolo 389 c.p.c., al giudice del rinvio possono essere richiesti non solo i provvedimenti restitutori o riparatori, in senso stretto, conseguenti alla cassazione della sentenza di merito ma ogni altra azione che si ricolleghi anche in modo indiretto alla sopravvenuta inefficacia del provvedimento impugnato” (Cass. n. 3634/2011). Invero, l’articolo 336 c.p.c. (nel testo novellato dall’articolo 48 della L. 26 novembre 1990, n. 353), disponendo – al fine di scoraggiare impugnazioni dilatorie – che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comporta che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, vengono meno immediatamente sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente (Cass. n. 15220/2005). E’ stata considerata domanda conseguente alla sentenza di Cassazione ex articolo 389 c.p.c., anche quella concernente la restituzione di spese giudiziali che i soggetti passivi dell’anticipata esecuzione siano stati condannati a pagare, quali soccombenti nel giudizio di opposizione all’esecuzione del titolo posto poi nel nulla dalla sentenza della Cassazione (Cass. n. 3461/1973).
7. In conclusione la sentenza deve essere cassata in relazione al secondo motivo e al nono motivo e la Corte di rinvio dovra’ rinnovare le operazioni di imputazione e collazione (e ogni operazione dipendente), attenendosi a quanto sopra. Inoltre, la Corte di rinvio dovra’ decidere sulla domanda di restituzione, nei limiti dell’accoglimento del nono motivo. La Corte di rinvio dovra’ liquidare anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo e il nono motivo; rigetta il primo e l’ottavo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimita’, innanzi alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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