Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 novembre 2024| n. 28260.
Clausola risolutiva espressa: dichiarazione implicita possibile
Massima: In materia contrattuale, la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456, secondo comma, cod. civ.) può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell’atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti, senza la necessità che sia preceduta da una previa (alla citazione in giudizio) manifestazione di volontà diretta a tale scopo.
Ordinanza|4 novembre 2024| n. 28260. Clausola risolutiva espressa: dichiarazione implicita possibile
Data udienza 1 ottobre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Vendita con patto di riservato dominio – Inadempimento – Giudice territorialmente competente sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento – Applicazione dell’art. 20 c.p.c. – Luogo di esecuzione dell’originaria obbligazione – Obbligazione primaria r principale – Rilevanza per la competenza del giudice territoriale – Cass. Sez. 6 – 1 Ordinanza n. 656 del 12/01/2023 – Dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa – Forma implicita ma inequivocabile – Sufficienza
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Rel. Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6890/2020) proposto da:
Di.El. (C.F.: (omissis)), elettivamente domiciliata in Roma, via Gi.Bo., presso lo studio dell’Avv. Fe.Sc., che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. Gi.Du., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ISMEA – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (C.F.: 08037790584), in persona del suo legale rappresentante pro – tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. Al.Bu., nel cui studio in Roma, via An.Ca., ha eletto domicilio;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4925/2019, pubblicata il 10 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1 ottobre 2024 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
viste le conclusioni scritte depositate, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c., dal P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Rosa Maria Dell’Erba, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.
Clausola risolutiva espressa: dichiarazione implicita possibile
FATTI DI CAUSA
1. – Con atto di citazione notificato il 23 marzo 2011, l’ISMEA conveniva, davanti al Tribunale di Roma, Di.El., chiedendo che fosse accertata l’avvenuta risoluzione di diritto del contratto di vendita del fondo rustico sito in agro di B, sezione censuaria di P, esteso complessivamente ha 46.53.93, con patto di riservato dominio, per il prezzo complessivo di Euro 1.078.362,43, da corrispondere in 30 rate annuali dell’importo di Euro 48.148,80 ciascuna, a decorrere dal 23 novembre 2006, stipulato tra le parti con atto pubblico del 23 novembre 2005, rep. (omissis), racc. n. (omissis), registrato a T il 28 novembre 2005, al n. (omissis), serie (omissis), e trascritto a M il 28 novembre 2005, r.g. n. (omissis), r.p. n. (omissis), con la condanna della convenuta all’immediato rilascio del fondo.
Nel corpo dell’atto di citazione l’attore esponeva che intendeva avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nell’art. 4 del contratto di vendita, che appunto prevedeva la risoluzione di diritto in caso di mancato pagamento del prezzo o, comunque, qualora lo stato di morosità fosse perdurato per due annualità.
Si costituiva in giudizio Di.El., la quale – in via preliminare – eccepiva la nullità dell’atto di citazione per omissione dell’avvertimento previsto dall’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. vigente ratione temporis, al fine di evitare di incorrere nelle decadenze di cui all’art. 38 c.p.c., contestando comunque la competenza territoriale del Tribunale adito, in ragione della nullità della clausola derogativa contenuta nell’art. 9 del contratto di vendita. Nel merito, chiedeva il rigetto della domanda.
Con ordinanza del 14 ottobre 2011, era concesso termine alla controparte sino al 10 dicembre 2011 per l’integrazione della citazione, cui seguiva il deposito di memoria integrativa a cura dell’attore, contenente l’avvertimento di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 10790/2013, depositata il 16 maggio 2013, accoglieva le domande spiegate e, per l’effetto, dichiarava l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto di vendita e condannava la convenuta al rilascio del fondo rustico in favore dell’attore.
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2. – Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 2013, Di.El. proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) l’omessa pronuncia sulla nullità della citazione per mancanza dell’avvertimento sulla decadenza di cui all’art. 38 c.p.c., asseritamente non sanata in ragione del mero deposito di una memoria integrativa contenente l’avvertimento ex art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c.; 2) l’erroneo rigetto dell’eccezione di incompetenza territoriale; 3) la non applicabilità della clausola risolutiva espressa per difetto di alcuna previa manifestazione di volontà di volersene avvalere. Chiedeva, poi, che fosse accolta la domanda di condanna al rimborso dei miglioramenti eseguiti sul fondo.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione l’ISMEA, il quale – in via preliminare – eccepiva l’inammissibilità dell’appello e – nel merito – ne chiedeva il rigetto, siccome infondato in fatto e in diritto.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione e, per l’effetto, confermava integralmente la sentenza impugnata, dichiarando l’inammissibilità della domanda nuova proposta in appello.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a) che il Tribunale, all’udienza di prima comparizione del 13 ottobre 2011, aveva preso atto della mancanza dell’avvertimento di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. nell’atto di citazione, come eccepito dalla convenuta costituita, ed aveva all’uopo concesso il termine all’attore per l’integrazione della domanda, fissando nuova udienza; b) che, all’esito, ISMEA aveva depositato in cancelleria il 6 dicembre 2011 memoria autorizzata, in cui, dopo aver dato atto della mancanza nell’originaria citazione dell’avvertimento di cui all’art. 38 c.p.c. e del provvedimento del giudice, aveva riportato la parte mancante dell’avvertimento di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., in relazione alla proposizione delle eccezioni di cui all’art. 38 c.p.c. nel rispetto del termine della nuova udienza fissata per il 18 gennaio 2012; c) che, poiché la controparte era costituita, non era necessaria la rinnovazione della citazione nei suoi confronti, ben potendo la domanda essere integrata dell’elemento mancante con atto equipollente, come avvenuto nel caso di specie, attraverso la memoria depositata in causa; d) che effettivamente le parti avevano stabilito il foro esclusivo per ogni controversia derivante dal contratto, formulazione che doveva ritenersi generica, per cui erano rimasti operativi i fori generali e speciali di cui agli artt. 18 – 20 c.p.c.; e) che, nondimeno, l’appellante non aveva contestato il foro di esecuzione del contratto, cioè R, ai sensi degli artt. 20 c.p.c. e 1182, terzo comma, c.c., avendo le parti stabilito, nell’art. 3 del contratto, che il pagamento delle rate di prezzo doveva essere effettuato dall’acquirente mediante bollettino postale intestato ad ISMEA o con bonifico bancario sul conto acceso presso l’Istituto centrale delle banche popolari italiane, con sede in R; f) che priva di rilevanza era, infatti, l’allegazione secondo cui l’obbligazione dedotta in causa sarebbe stata quella di rilascio, posto che l’obbligazione principale riguardava il pagamento rimasto inadempiuto, rispetto al quale era stata chiesta la risoluzione; g) che, quanto alla dedotta mancanza di alcuna previa manifestazione della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, premesso che la questione era stata sollevata per la prima volta in appello, in ogni caso, la dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere della risoluzione di diritto non doveva necessariamente essere contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, ma poteva manifestarsi per la prima volta anche nel corso nel giudizio o nell’atto introduttivo di quest’ultimo, anche se nullo, come accaduto nella fattispecie.
3. – Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Di.El.
Ha resistito, con controricorso, l’intimato ISMEA.
4. – Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte.
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
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RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo articolato la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 c.p.c. e 1182 c.c., in relazione all’art. 38 c.p.c., per avere la Corte di merito recepito l’eccezione di inoperatività della clausola relativa alla fissazione di un foro convenzionale, stante la genericità della relativa formulazione, e pur tuttavia rigettato l’eccezione, avendo ritenuto che l’obbligazione dedotta in giudizio fosse quella di pagamento, da eseguire al domicilio del creditore in R.
Osserva l’istante che, in realtà, l’obbligazione dodotta in giudizio afferiva alla risoluzione contrattuale, sicché oggetto dell’esecuzione di tale obbligazione sarebbe stato il rilascio dei terreni.
Senonché nella comparsa di risposta la convenuta avrebbe indicato, quale foro competente, il foro di Taranto, quale luogo in cui era sorta l’obbligazione dedotta in giudizio, ovvero il foro di Matera, quale luogo in cui doveva essere eseguita l’obbligazione contrattuale di rilascio dei terreni ubicati appunto in provincia di M, con l’effetto che nessuna mancata indicazione del foro di esecuzione dell’obbligazione per il pagamento delle rate avrebbe potuto esserle imputata.
1.1. – Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha infatti rilevato l’inammissibilità dell’eccezione per la sua evidente incompletezza, in mancanza di alcuna contestazione del forum destinatae solutionis individuato dal luogo in cui avrebbe dovuto essere adempiuta la prestazione, rispetto alla quale è stato chiesto l’accertamento della risoluzione di diritto (ossia il mancato pagamento delle rate stabilite nel contratto di vendita con patto di riservato dominio).
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Ora, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente a conoscere della domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., occorre avere riguardo al luogo in cui doveva essere eseguita l’originaria obbligazione il cui inadempimento viene dedotto a sostegno della domanda, per tale dovendosi intendere l’obbligazione fondamentale e primaria derivante dal contratto, e non anche eventuali obbligazioni accessorie e strumentali, il cui inadempimento non può considerarsi suscettibile di autonoma valutazione, anche nel caso in cui le stesse dovessero essere eseguite in un luogo diverso da quello in cui doveva essere adempiuta l’obbligazione principale (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 656 del 12/01/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 15012 del 15/07/2005; Sez. 2, Sentenza n. 5832 del 14/06/1999; Sez. 2, Sentenza n. 3404 del 05/06/1984; Sez. 2, Sentenza n. 4973 del 19/07/1983; Sez. 3, Sentenza n. 36 del 07/01/1970; Sez. 3, Sentenza n. 2956 del 13/12/1967; Sez. 3, Sentenza n. 1467 del 31/05/1966).
Ebbene, correttamente è stato evidenziato che l’obbligazione principale fosse quella di pagamento del prezzo (recte delle rate da corrispondere secondo il programma definito e nel luogo fissato dall’art. 3 del contratto), il cui inadempimento era stato posto a fondamento della domanda di risoluzione della vendita, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere contestato anche il foro relativo al luogo in cui detta obbligazione avrebbe dovuto essere eseguita (deducendo che tale foro non radicasse la competenza territoriale del Tribunale adito).
Sicché la contestazione del foro di esecuzione dell’obbligazione non poteva essere ravvisata nel rilievo attinente alla individuazione del luogo in cui avrebbe dovuto essere eseguito il rilascio del fondo.
Con l’effetto che, in mancanza, la competenza territoriale è debitamente rimasta radicata presso il Tribunale adito, in forza di tale criterio non contestato.
2. – Con il secondo motivo svolto la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 164, quinto comma, c.p.c., in relazione all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c. vigente ratione temporis, nonché la violazione degli artt. 159 e 161 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il vizio attinente al mancato avvertimento sulla decadenza ex art. 38 c.p.c. fosse stato sanato dal semplice deposito in cancelleria di una memoria riportante il suddetto avvertimento, mentre, in realtà, l’attore avrebbe dovuto notificare una nuova citazione, completa dell’avvertimento.
Con la conseguenza che la mancata integrazione della vocatio in ius, nelle forme e nei termini di legge, avrebbe determinato la definitiva e irreversibile nullità dell’atto di citazione.
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2.1. – Il motivo è inammissibile.
Si premette che, costituendosi in giudizio, la convenuta ha comunque tempestivamente sollevato l’eccezione di incompetenza territoriale a cui era funzionale l’avvertimento omesso, senza esprimere alcuna riserva sulla possibile integrazione di tale eccezione. Dopodiché ha contestato la mancanza dell’avvertimento, ai fini di non incorrere nella decadenza di cui all’art. 38 c.p.c.
Ora, a fronte della deduzione nella comparsa di costituzione e risposta del vizio sulla mancanza di avvertimento – volto ad evitare di incorrere nella decadenza stabilita per la tempestiva proposizione dell’eccezione di incompetenza -, la contestuale, tempestiva proposizione, nel corpo di tale comparsa, dell’eccezione di incompetenza costituisce contegno che determina la sanatoria della detta nullità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 41383 del 23/12/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 28646 del 15/12/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21910 del 16/10/2014).
Tanto premesso, si rileva – in ogni caso, a fini di completezza espositiva – che, quanto all’avvertimento di cui all’art. 163, terzo comma, n. 7, c.p.c., in ordine alle decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., l’art. 164, terzo comma, c.p.c. stabilisce che “la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al secondo comma; tuttavia, se il convenuto deduce l’inosservanza dei termini a comparire o la mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7) dell’articolo 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini”.
Sicché, a fronte della costituzione del convenuto e della sua deduzione sulla mancanza del citato avvertimento, il vizio della vocatio in ius è sanato dalla semplice fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini, affinché il convenuto sia rimesso in termini ai fini della proposizione delle eccezioni da cui sia eventualmente decaduto a causa dell’omissione dell’avvertimento (Cass. Sez. L., Ordinanza n. 2673 del 04/02/2021; Sez. L., Sentenza n. 9150 del 13/05/2004; Sez. 2, Sentenza n. 3335 del 07/03/2002).
Non sarebbe stata, dunque, necessaria neanche una memoria integrativa contenente l’avvertimento (che nella fattispecie ha costituito un di più non richiesto), memoria prescritta dall’art. 164, quinto comma, c.p.c. per i soli vizi relativi alla editio actionis.
Infatti, il diritto di difesa, in caso di mancato avvertimento, è ampiamente garantito dalla fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini, che determina la sanatoria della nullità ex tunc e consente al convenuto di sollevare l’eccezione altrimenti preclusa.
3. – Con il terzo motivo sviluppato la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1525 e 1456, secondo comma, c.c., per avere la Corte distrettuale confermato la pronuncia di risoluzione di diritto del contratto, alla stregua della integrazione dell’inadempimento contemplato nella clausola risolutiva espressa, benché non potesse darsi luogo alla risoluzione del contratto nel caso di mancato pagamento di una sola rata che non avesse superato l’ottava parte del prezzo.
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Deduce, ancora, l’istante che il giudice di merito non avrebbe potuto dichiarare la risoluzione di diritto della vendita, richiamando la clausola risolutiva espressa, poiché non vi era alcuna prova o evidenza circa la volontà, giammai manifestata in via giudiziale e stragiudiziale, da parte di ISMEA, di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa.
Né sarebbe stato dimostrato il mancato pagamento di una somma superiore all’ottava parte del prezzo complessivo.
3.1. – Il motivo è infondato.
Infatti, indipendentemente dalla tempestiva proposizione della questione sin dal primo grado di giudizio, nella motivazione della sentenza impugnata (vedi pag. 8), si evoca l’operatività della clausola risolutiva espressa per il mancato pagamento “delle rate” fin dal 2007.
Sicché non è integrato il presupposto previsto dall’art. 1525 c.c., secondo cui, nonostante patto contrario, il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo non dà luogo alla risoluzione del contratto.
D’altronde, la stessa evocata clausola risolutiva espressa di cui all’art. 4 del contratto prevedeva la risoluzione di diritto in caso di mancato pagamento del prezzo o, comunque, qualora lo stato di morosità fosse perdurato per due annualità.
Ancora, si rileva che – contrariamente all’assunto della ricorrente – l’onere di provare l’adempimento delle rate scadute ricadeva sul compratore (e non già la prova dell’inadempimento sul venditore), secondo i consolidati principi sulla distribuzione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 13685 del 21/05/2019; Sez. 3, Sentenza n. 826 del 20/01/2015; Sez. 1, Sentenza n. 15659 del 15/07/2011; Sez. U., Sentenza n. 13533 del 30/10/2001).
Quanto all’applicabilità della clausola risolutiva espressa ove non sia stata precedentemente manifestata la volontà di avvalersene, la Corte del gravame ha precisato che la risoluzione di diritto ben poteva essere richiesta richiamando l’inadempimento delle obbligazioni determinate, come dedotte nella clausola risolutiva espressa, con l’atto di citazione (ed invero, la risoluzione ope legis è stata domandata proprio invocando l’inadempimento nel pagamento delle rate sin dall’anno 2007, con la conseguente integrazione dei presupposti della richiamata clausola risolutiva).
Il richiamo nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado della clausola risolutiva espressa, ai fini della declaratoria di risoluzione di diritto del contratto, è dunque significativo dell’espressione della volontà di avvalersene.
Ed invero, la dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa (art. 1456, secondo comma, c.c.) può essere resa, senza necessità di formule rituali, anche in maniera implicita, purché inequivocabile, pure nell’atto di citazione in giudizio per la risoluzione del contratto o in atti giudiziari equipollenti, senza la necessità che sia preceduta da una previa (alla citazione in giudizio) manifestazione di volontà diretta a tale scopo (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 10400 del 17/04/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 14195 del 05/05/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 13621 del 19/05/2021; Sez. 3, Sentenza n. 9275 del 04/05/2005; Sez. 1, Sentenza n. 7178 del 16/05/2002; Sez. 1, Sentenza n. 5436 del 17/05/1995; Sez. 1, Sentenza n. 4911 del 05/05/1995; Sez. 2, Sentenza n. 2129 del 05/05/1978; Sez. 3, Sentenza n. 2143 del 23/05/1977).
Clausola risolutiva espressa: dichiarazione implicita possibile
Pertanto, era sufficiente allo scopo la dichiarazione dell’alienante di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, non richiedendo formule sacramentali, come avanzata nella domanda introduttiva del giudizio, volta ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’acquirente all’obbligo di pagare le rate del prezzo secondo le prescrizioni della richiamata clausola.
4. – In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 18.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 1 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2024.
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