Clausola obbligante il conduttore a farsi carico del pagamento di ogni tassa imposta o onere dei beni locati

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|20 settembre 2022| n. 27474.

Clausola obbligante il conduttore a farsi carico del pagamento di ogni tassa imposta o onere dei beni locati

La clausola di un contratto di locazione per scopi diversi da quello abitativo che attribuisca al conduttore l’obbligo del pagamento di imposte, tasse ed oneri relativo al bene locato, non è affetta da nullità per contrasto con l’art. 53 Cost. qualora sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone di locazione dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi di una pattuizione da ritenersi consentita in assenza di una specifica diversa disposizione di legge.

Sentenza|20 settembre 2022| n. 27474. Clausola obbligante il conduttore a farsi carico del pagamento di ogni tassa imposta o onere dei beni locati

Data udienza 7 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Locazione uso diverso – uso commerciale – Clausola obbligante il conduttore a farsi carico del pagamento di ogni tassa imposta o onere dei beni locati – Oneri tributari – Validità – Condizioni

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 22801/2016 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del suo procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS). che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1055/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7/06/2022 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso con riferimento al terzo motivo, con le conseguenze di legge.

Clausola obbligante il conduttore a farsi carico del pagamento di ogni tassa imposta o onere dei beni locati

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) S.r.l. agi’ in giudizio nei confronti di (OMISSIS) S.r.l. per ottenere la restituzione di quanto alla stessa versato in virtu’ della clausola 7.2. di un contratto di locazione ad uso commerciale di un complesso immobiliare sito in (OMISSIS), stipulato il 18 dicembre 2003, la quale prevedeva la traslazione di oneri tributari, assumendone la nullita’. Secondo tale clausola “Nel corso dell’intera durata del presente contratto: (i) Il Conduttore si fara’ carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi, (il) il Locatore sara’ tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito”.
Il Tribunale di Torino (OMISSIS) rigetto’ la domanda.
La Corte di appello di Torino confermo’ la decisione di primo grado.
Avverso la sentenza di secondo grado (OMISSIS) S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, basato su quattro motivi e illustrato da memorie.
(OMISSIS) S.r.l. ha resistito con controricorso, pure illustrato da memorie.
Con ordinanza interlocutoria n. 20340/18, all’esito della pubblica udienza del 25 maggio 2018, rilevato che la principale questione giuridica prospettata con il ricorso, relativa alla legittimita’ della clausola di un contratto di locazione che preveda la sostanziale traslazione sul conduttore di oneri tributari relativi all’immobile locato, era stata gia’ rimessa alla Sezioni Unite di questa Corte (ordinanza di rimessione n. 28437 del 28 novembre 2017 nel procedimento NRG. 1466/2016) in una controversia tra le medesime parti riguardante un contratto di locazione analogo a quello per cui e’ causa, in cui era inserita clausola del tutto identica a quella di cui si discute nel presente giudizio, e’ stata rinviata a nuovo ruolo la trattazione del ricorso in attesa della decisione delle Sezioni Unite sul ricorso NRG 1466/16.
Con ordinanza interlocutoria n. 7504 del 2022, la causa, gia’ fissata per l’adunanza camerale del 20 ottobre 2021, e’ stata rinviata a nuovo ruolo disponendosene la trattazione della causa in pubblica udienza.
Fissato per l’udienza pubblica del 7 giugno 2022, il ricorso e’ stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal Decreto Legge n. 137 del 2020, articolo 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il P.G., in prossimita’ della Camera di consiglio, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del terzo motivo del ricorso.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme di cui all’articolo 1362 c.c., commi 1 e 2, e articolo 1363 c.c., per non avere la Corte di appello applicato i canoni di ermeneutica contrattuale previsti da dette disposizioni, ritenendo che, con la clausola di cui all’articolo 7.2 (i) del contratto, le parti abbiano voluto pattuire una componente integrante il canone di locazione e non un onere accessorio a carico del conduttore o, comunque, un vantaggio, diverso dal canone, a favore del locatore.
Secondo la ricorrente la Corte di merito avrebbe “scelto consapevolmente di ignorare sia il “nomen iuris” attribuito dalle parti alla prestazione patrimoniale dedotta all’articolo 7.2. (i) del Contratto (e, quindi, l’interpretazione letterale e sistematica della clausola), sia il comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto di ineludibile valenza interpretativa, giungendo quindi ad un’interpretazione del Contratto fondata su criteri inconoscibili e oscuri, in nome di una pretesa (ma evidentemente inesistente) “oggettivita’ ed evidenza” di significato, che non trova pero’ alcun riscontro nel tenore letterale del Contratto, ne’ nell’analisi della comune volonta’ dei contraenti”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3: violazione o falsa applicazione delle norme di cui al combinato disposto dell’articolo 1418 c.c., comma 3, e della L. 27 luglio 1978, n. 392, articoli 79, 41 e 9, per aver erroneamente ritenuto la Corte d’Appello che l’articolo 7.2 (i) del Contratto, nello stabilire l’obbligo del conduttore di rimborsare al locatore le tasse e le imposte, relative ai beni locati, previste a carico del locatore, non imponga al conduttore un “onere accessorio” e, quindi, non si ponga in contrasto con le predette disposizioni della L. n. 392 del 1978, che vietano di porre a carico del conduttore di immobili ad uso non abitativo oneri accessori diversi da quelli tassativamente elencati nell’articolo 9) e, comunque, di attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni della medesima legge”.
Ad avviso della ricorrente, quanto affermato dalla Corte di merito per escludere il dedotto profilo di nullita’ della clausola in parola per contrasto con le previsioni di cui alla L. n. 392 del 1978 – il trattarsi cioe’ di parte del canone e non di oneri accessori – si risolverebbe in una interpretazione sostanzialmente abrogativa e quindi in patente violazione degli articoli 79, 41 e 9 della predetta Legge, dalla combinata applicazione dei quali, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimita’, discenderebbe, da un lato, che la L. n. 392 del 1978, distinguerebbe nettamente il canone di locazione e gli oneri accessori diversi dal canone addossati al conduttore e, dall’altro, che nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, anche se il canone puo’ essere liberamente determinato dai contraenti, non e’ consentito al locatore di pretendere il versamento di ulteriori somme, pur previste dal contratto, che non abbiano giustificazione nel sinallagma contrattuale o che non trovino la loro causa giustificativa in prestazioni accessorie e diverse dal mero godimento dell’immobile, risultando le relative pattuizioni dirette ad attribuire al locatore illegittimi vantaggi in contrasto con la menzionata legge.

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La ricorrente contesta l’affermazione della Corte territoriale secondo cui quanto previsto dalla clausola in questione non abbia ad oggetto oneri accessori; sostiene che “il fatto che dette “spese” non dipendano dall’uso del bene non costituirebbe affatto “un’evidente riprova” del fatto che non si tratti di oneri accessori; rappresenta che gli oneri tributari di cui alla clausola 7.2(i) sono oneri mutevoli non ricompresi nella L. n. 392 del 1978, articolo 9, e, quindi, soggetti al vaglio di compatibilita’ con l’articolo 79; deduce, infine, che se e’ vero che il canone puo’ essere liberamente determinato dai contraenti, non e’ consentito al locatore di pretendere il versamento di ulteriori somme che non hanno giustificazione nel sinallagma contrattuale, con la conseguenza che le relative pattuizioni incorrerebbero nella sanzione di nullita’ prevista dalla L. n. 392 del 1978, articolo 79.
Conclusivamente, ad avviso della ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto accogliere lo specifico motivo di appello proposto dall’attuale ricorrente e dichiarare nulla la clausola per violazione delle norme indicate in rubrica.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme di cui al combinato disposto dell’articolo 1418 c.c., comma 3, e della L. 27 luglio 1978, n. 392, articoli 79 e 32, per aver la Corte d’appello, pur considerando l’articolo 7.2(i) del contratto quale indicante una parte del canone, erroneamente ritenuto che esso non si ponga in contrasto con le predette disposizioni della L. n. 392 del 1978, che vietano le pattuizioni che prevedono una variazione del canone diversa dall’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’articolo 32 della medesima Legge.
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha affermato che “Anche la tesi per cui il canone dev’essere di importo fisso e non variabile in funzione di parametri esterni oggettivi cui le parti abbiano inteso riferirsi costituisce una tesi dell’appellante che non trova riscontro nella norma e che non e’ affatto vietata alla libera contrattazione delle parti”.
Sostiene la ricorrente che tale affermazione sarebbe errata in quanto la Corte territoriale, ponendosi in contrasto con le norme imperative della L. n. 392 del 1978, gia’ richiamate, non avrebbe considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimita’, qualora si reputi lecita la previsione all’atto della stipula del contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo di un canone variabile nel corso del rapporto, affinche’ tale pattuizione sia valida non e’ sufficiente che essa faccia riferimento a parametri esterni oggettivi ma e’ necessario che la variazione prevista dipenda da elementi predeterminati e idonei ad influire sul sinallagma contrattuale. Ed invece nel caso all’esame, ad avviso della ricorrente, la clausola in questione avrebbe lo scopo di legittimare un aumento del canone di ammontare assolutamente imprevedibile – in quanto soggetto alla legislazione in materia di imposte e tributi – rispetto all’importo del canone pattuito dalle parti e da esse precisamente determinato nel contratto e a tale imprevedibile aumento del canone non corrisponderebbe alcun ampliamento della controprestazione a carico della locatrice; inoltre, ove si volesse considerare l’articolo 7.2 (i) come indicante una componente del canone di locazione, tale pattuizione incorrerebbe comunque nella sanzione di nullita’ prevista dalla legge in quanto volta non gia’ all’aggiornamento del canone in base ai criteri di legge, aggiornamento gia’ espressamente pattuito, all’articolo 5 del contratto, bensi’ ad attribuire al locatore veri e propri imprevedibili aumenti del canone idonei a determinare squilibri nel sinallagma contrattuale, realizzando cosi’ proprio l’effetto che le norme indicate mirerebbero ad impedire.

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4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c., comma 1, con riferimento all’articolo 53 Cost., in collegamento con l’articolo 2 Cost., per avere la Corte d’appello ritenuto che l’articolo 7.2(i) del contratto non violerebbe il principio costituzionale di contribuzione alla spesa pubblica in ragione della (e non oltre la) propria capacita’ contributiva affermato dalle predette norme inderogabili.
Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe escluso la violazione delle norme indicate nella rubrica in totale spregio dei principi affermati dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 6445/1985.
Pur non negando che, a partire dall’arresto appena richiamato, la giurisprudenza di legittimita’ si sia consolidata nel senso di non ritenere la nullita’ per violazione di norme imperative delle clausole traslative di imposta nei contratti di mutuo, la ricorrente evidenzia che cio’ non significa che sia conforme a Costituzione la clausola in questione relativa ad un contratto di locazione.
In particolare la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia effettivamente verificato che sussistano, nel caso all’esame, i presupposti enucleati dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 6445/1985 necessari per accertare la compatibilita’ della clausola in parola con gli articoli 53 e 2 Cost., compatibilita’ che va verificata di volta in volta qualora ci si trovi al cospetto di clausole diverse da quelle proprie dei contratti di mutuo esaminati dalle S.U. in quella sede. Assume la ricorrente che, secondo il richiamato arresto, una clausola avente ad oggetto la traslazione palese di un’imposta non e’ da considerarsi nulla solo se: a) sia funzionale ad integrare il prezzo della prestazione negoziale e, quindi non si affianchi al sinallagma gia’ perfetto ne’ abbia ad oggetto il tributo in quanto tale ma una somma di pari importo, b) non sia diretta a sottrarre un contraente al carico tributario sullo stesso gravante per legge. Denuncia che la Corte di merito non avrebbe verificato o avrebbe comunque erroneamente verificato la sussistenza di entrambi i requisiti enucleati dalle S.U. necessari per affermare la compatibilita’ di una clausola traslativa d’imposta con le inderogabili norme costituzionali in tema di concorso dei privati nella spesa pubblica. Deduce che, nel ritenere che “il riferimento alle imposte costituisce un mero criterio di determinazione del canone per relationem, e non ha attinenza con la capacita’ contributiva, il conduttore non contribuisce alla spesa pubblica al posto del locatore, semplicemente gli versa un canone maggiore, e riferirsi, nella determinazione di questo, a un dato esterno come il carico fiscale che grava sul locatore in conseguenza del possesso degli immobili non e’ certamente vietato”, la Corte territoriale non avrebbe considerato: a) che la clausola 7.2(i) del contratto non ha la funzione di integrare il prezzo della prestazione negoziale, in quanto da un lato essa sarebbe estranea al sinallagma proprio del contratto di locazione, perfetto nel rapporto tra godimento del bene e pagamento del canone, dall’altro, essa avrebbe l’evidente funzione di addossare al conduttore una spesa o un costo inerente al bene locato e quindi oneri distinti anche concettualmente dal canone di locazione, “del tutto fuori dal sinallagma contrattuale”; b) la clausola avrebbe ad oggetto direttamente il tributo, tanto e’ vero che (OMISSIS) ha sempre “rifatturato” a (OMISSIS) i tributi pagati come rimborso di somme anticipate per conto della locataria senza assoggettarle all’IVA come se il tributo gravasse direttamente su (OMISSIS). In relazione poi all’ulteriore requisito dell’esclusione dell’effetto sgravante del carico tributario perseguito dalla clausola in questione, rappresenta che la Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare che il fatto che il locatore non abbia fatturato parte del canone si risolve in una violazione fiscale da parte dello stesso ma tale errore o violazione non trasforma in illecito cio’ che e’ certamente lecito, cosi’ considerando tale profilo irrilevante ai fini del giudizio di validita’ della stessa laddove l’effetto perseguito dalla clausola di sottrazione del locatore agli oneri tributari sarebbe cruciale per il giudizio di validita’ della medesima come affermato da Cass. S.U. 6445/85. Evidenzia, infine, che la clausola in questione non riguarderebbe la traslazione di un’imposta sui redditi ma la traslazione di un’imposta patrimoniale che il legislatore ha inteso addossare a determinati soggetti che abbiano con l’immobile oggetto del tributo un particolare legame indice di una specifica capacita’ contributiva, meritevole di tassazione. Sostiene che una clausola come quella in parola avrebbe l’effetto di garantire, in contrasto con l’articolo 53 Cost., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita’, la neutralita’ fiscale di un soggetto con riferimento a tributi collegati ad un diverso presupposto d’imposta (il patrimonio) e chwe la medesima clausola, unitariamente considerata, avrebbe il senso di un’inammissibile ripartizione pattizia tra le parti degli oneri tributari gravanti per legge sul solo locatore, con conseguente violazione, sotto entrambi i profili evidenziati da SU n. 6645/85, dell’articolo 53 Cost., in collegamento con l’articolo 2 Cost..

Clausola obbligante il conduttore a farsi carico del pagamento di ogni tassa imposta o onere dei beni locati

5. Le Sezioni Unite di questa Corte, nell’esaminare, in sostanza, le questioni poste dal primo motivo di ricorso sottoposto al loro scrutinio con il ricorso NRG 1466/2016, del tutto omologo al primo motivo del presente ricorso – con cui la ricorrente ha lamentato l’interpretazione della clausola in parola e contestato la validita’ della stessa, questioni, queste, poste principalmente con il primo motivo ma sottese anche agli altri mezzi proposti – hanno reputato ben espletato in iure il procedimento esegetico, considerando in definitiva ben sussunta la fattispecie concreta alla stregua delle norme esegetiche invocate sia in quella che in questa sede e hanno conclusivamente pure affermato il principio cosi’ ufficialmente massimato: “La clausola di un contratto di locazione (nella specie, ad uso diverso), che attribuisca al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non e’ affetta da nullita’ per contrasto con l’articolo 53 Cost., configurabile quando l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo – qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge” (Cass., sez. un., 8/03/2019, n. 6882).
In particolare, con la richiamata sentenza, interamente condivisa da questo Collegio, le Sezioni Unite, esaminando congiuntamente i motivi sottoposti al loro scrutinio – pressoche’ identici a quelli formulati in questa sede, salvo per la parte in cui si denuncia la violazione della L. n. 392 del 1978, articolo 32; d’altronde e’ la stessa ricorrente ad affermare (v. memoria datata 5 ottobre 2021, p. 11) che le S.U. hanno esaminato “un caso identico” a quello ora in scrutinio – hanno osservato che:
– atteso il tenore della riportata clausola contrattuale ((i) Il Conduttore si fara’ carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto)… (ii) il Locatore sara’ tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito), nella specie, diversamente da quanto ha costituito oggetto dei casi esaminati da questa Corte nelle evocate sentenze n. 5 del 1985 e n. 6445 del 1985, oggetto della clausola in argomento sono non gia’ le imposte dirette gravanti sulla locatrice bensi’ meramente quelle gravanti sull’immobile e inerenti allo stipulato contratto;
– trattandosi di contratto stipulato nel novembre del 2003 (si evidenzia che il contratto di cui si discute nella presente causa e’ stato stipulato nel dicembre 2003, quindi trattasi di situazione del tutto analoga a quella esaminata dalle S.U.) non viene in rilievo l’INVIM, istituita con Decreto del Presidente della Repubblica n. 643 del 1972 (in particolare quella decennale Decreto del Presidente della Repubblica n. 643 del 1972, ex articolo 3, comma 1), il cui articolo 27, prevedeva la nullita’ di “qualsiasi patto diretto a trasferire ad altri l’onere dell’imposta”;
– e’ invece applicabile l’I.C.I., introdotta a decorrere dal 1993 (Decreto Legislativo n. 504 del 1992, articolo 1), poi sostituita a decorrere dall’aprile 2012 dall’I.M.U. (Decreto Legislativo n. 23 del 2011), le cui relative discipline non contemplano invero norma analoga a quella di cui al sopra richiamato del Decreto del Presidente della Repubblica n. 643 del 1972, articolo 27;
– la questione del patto traslativo d’imposta non espressamente vietato da specifiche norme di legge rimane invero estranea alla normativa comunitaria, attenendo alla mera disciplina interna (come risulta confermato in particolare da Corte Giust., 16/1/2014, n. 226 (C – 226/12) e da Corte Giust., 6/11/2011, n. 398 (C – 398/09), ove tale patto si e’ ritenuto di per se’ non in contrasto con la normativa comunitaria, potendo assumere viceversa rilievo in caso di violazione di altri principi o norme, come ad esempio nell’ipotesi in cui esso determini un abusivo squilibrio nei contratti dei consumatori o integri l’abuso del diritto (in ordine al quale v. Corte Giust., 21/2/2006, C 255/02)).
Le Sezioni Unite hanno quindi passato in rassegna i precedenti arresti di Cass. 5/01/1985, n. 5 (attribuito alle Sezioni Unite ma pronunciato in realta’ dalla Prima sezione Civile) e Cass., sez. un., 18/12/1985, n. 6445 rimarcando che:
– il primo, nel considerare inammissibile il patto traslativo d’imposta, in quanto idoneo a consentire al soggetto tenutovi per legge di giovarsi “dei vantaggi e dei benefici della vita associata” sottraendo “la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarieta’ e di perequazione”, ha considerato in termini generali “vietato e nullo (ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, e per contrasto con l’articolo 53 Cost.)” qualunque patto “con il quale un soggetto, ancorche’ senza effetti nei confronti dell’erario, riversi su altro soggetto, pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d’imposta e dal cosiddetto contribuente di fatto il peso della propria imposta, sia che si tratti d’imposta diretta che di imposta indiretta”;
– il secondo ha diversamente affermato che il patto traslativo d’imposta “e’ nullo per illiceita’ della causa contraria all’ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito”, il che si verifica “nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualita’ tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, ne’ recuperato dal sostituto medesimo, sicche’ effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente” e non anche nell’ipotesi in cui “l’imposta e’ stata regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco, allorquando cioe’ l’obbligazione di cui si stipula l’accollo non ha per oggetto direttamente il tributo, ne’ mira a stabilire che esso debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente”, ma “riguarda… una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la funzione di integrare il “prezzo” della prestazione negoziale”.
Con la pronuncia n. 6882 del 2019 le Sezioni Unite hanno evidenziato che gia’ nel 1985, con la sentenza n. 6445 se, per un verso, hanno avvertito la necessita’ di mantenere “fermo il discorso di fondo sulla portata dell’articolo 53 Cost., e sulla sua attitudine a porsi come norma imperativa preclusiva di atti negoziali che ne comportino l’elusione”, dall’altro, hanno nell’occasione evidenziato come sia la rivalsa a rendere invero “neutrale” la tassazione in testa al sostituto, “presentandosi come un credito del… medesimo verso il contribuente pari alla somma di cui egli e’ debitore verso il fisco (e che ha gia’ corrisposto)”, concludendo che soltanto “una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l’effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario perche’ il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso, non verificandosi da parte sua quell’esborso verso il fisco che realizza il doveroso carico tributario e non presentandosi qui con effetto compensativo l’incremento tassabile che ne consegue poiche’ tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo da cui e’ conseguito l’aumento di reddito, non essendo omologhe le situazioni in raffronto”.
Le S.U. hanno pure evidenziato che, con la sentenza n. 6445 del 1985, hanno osservato che “con il contratto di locazione qui in esame le parti, sia pure con due distinte clausole contrattuali, hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti, rappresentate l’una dalla parte espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell’articolo 4 e l’altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullita’ qui azionata (articolo 7.2.(i))”.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 6882 de 2019 hanno pure sottolineato che il principio affermato da Cass., Sez. Un., n. 6445 del 1985, condiviso dalla dottrina maggioritaria, ha successivamente ricevuto sostanziale costante conferma da parte di questa Corte, venendo a costituire principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ (v. Cass. 3/6/1991, n. 6232, con riferimento al contratto di mutuo; Cass. 25/3/1995, n. 3577, relativamente all’imposta sulla pubblicita’; Cass. 27/11/1999, n. 13261, in tema di intestazione fiduciaria di azioni; Cass. 29/11/2004, n. 22369, in ordine a contratto di locazione di immobile ad uso diverso da abitazione contemplante canone comprensivo anche degli oneri accessori; Cass. 18/11/2009, n. 24307, in tema di imposta sulla pubblicita’; Cass. 25/2/2015, n. 3770, relativamente a contratto di mutuo; Cass. 8/2/2016, n. 2412, in ordine a rapporto concessorio inerente alla gestione dei parchimetri di Roma), essendo stata solamente in qualche pronunzia, in tema di imposte dirette, affermata la nullita’ dell’accollo delle imposte dovute sul reddito (Cass., sez. un., 23/4/1987, n. 3935, Cass., sez. un., 26/6/1987, n. 5652, Cass., 29/5/1993, n. 6037).
Sulla base delle considerazioni sopra riportate le Sezioni Unite, con la sentenza n. 6682 del 2019 hanno quindi ritenuto – con riferimento alla fattispecie sottoposta al loro scrutino (si ribadisce, del tutto analoga a quella cui si riferisce il ricorso all’esame) infondate le doglianze mosse dalla ricorrente e inidonee a revocare in dubbio la correttezza della soluzione raggiunta nel 1985 alla quale hanno ritenuto doversi dare ulteriore conferma.
Le Sezioni Unite con la sentenza piu’ recente richiamata hanno rilevato, tra l’altro, che:
– la clausola contrattuale di cui all’articolo 7.2 in argomento e’ stata nell’impugnata sentenza in quella sede intesa come prevedente un’ulteriore voce o componente (la somma corrispondente a quella degli assolti oneri tributari) costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l’ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla conduttrice;
– tale clausola e’ correttamente interpretata dalla Corte di merito, alla stregua dei principi posti a fondamento del suindicato consolidato orientamento, in particolare la’ dove tale giudice ha riguardato la clausola in parola alla stregua del complessivo tenore del contratto, sottolineando che tale pattuizione in realta’ trae origine dalle “negoziazioni intercorse tra le parti, sfociate nell’operazione di sale and lease back (in cui si inserisce il rapporto di locazione per cui e’ causa)”.
Le Sezioni Unite hanno infine sottolineato che “correttamente la corte di merito ha nell’impugnata sentenza interpretato la clausola contrattuale in argomento alla luce della ragione pratica dell’accordo e del contratto, in coerenza con gli interessi che le parti hanno cioe’ nel caso specificamente inteso tutelare mediante lo stipulato contratto (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), convenzionalmente determinando la regola volta a disciplinare il loro rapporto negoziale (articolo 1372 c.c.”) e che “trattandosi di canone di locazione ab origine realmente pattuito, risulta nel caso… non integrata la violazione del divieto posto all’articolo 79 L. Loc., (anche) alla stregua dell’interpretazione offertane dalla recente pronunzia di queste Sezioni Unite ove si e’ affermato essere insanabilmente nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato, a prescindere dall’avvenuta registrazione (v. Cass. Sez. U. 9/10/2017, n. 23601)”.
6. Alla luce di quanto sopra evidenziato e dell’interpretazione della clausola in questione operata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 6882/2019 (si evidenzia che in relazione alla medesima clausola, sia pure con riferimento a diverso contratto tra le stesse parti, si e’ pronunciata in senso conforme anche Cass., 28/06/2019, n. 17453), le doglianze formulate con il primo motivo sono infondate.
7. L’esito dell’esame del primo motivo assorbe lo scrutinio degli altri mezzi proposti, in essi compreso il terzo, non condividendo il Collegio quanto dedotto sul punto dal P.G.; infatti, l’operata condivisione delle valutazioni delle Sezioni Unite esclude qualsiasi possibilita’ di apprezzare la vicenda in esame in relazione alla L. n. 392 del 1978, articolo 9, e, quindi, di riflesso, all’articolo 79 della stessa Legge.
8. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
9. Le spese del giudizio di cassazione ben possono essere interamente compensate tra le parti, essendo l’ultimo arresto delle Sezioni Unite richiamato in motivazione intervenuto solo successivamente alla notifica del ricorso all’esame.
10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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