Cessione di azienda ed il regime fissato dall’art. 2560 comma 2 cod. civ.

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 21 ottobre 2019, n. 26808.

La massima estrapolata:

In tema di cessione di azienda, il regime fissato dall’art. 2560, comma 2, cod. civ., con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, secondo cui di essi risponde anche l’acquirente dell’azienda allorché risultino dai libri contabili obbligatori, si applica ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente art. 2558 cod. civ. Ed infatti, in tal caso, la responsabilità si inserisce nell’ambito della più generale sorte del contratto non già del tutto esaurito, anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell’azienda

Ordinanza 21 ottobre 2019, n. 26808

Data udienza 20 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20817/2015 proposto da:
(OMISSIS) s.p.a., in persona dell’Amministratore e legale rappresentante (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona del sue procuratore (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3139/2014 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI, depositata l’8.07.2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/06/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 29.8.1996, l’ENEL s.p.a. conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Napoli l’ (OMISSIS) chiedendo la risoluzione per inadempimento del contratto di appalto del 24.6.1987 per la costruzione della sede della Zona (OMISSIS) di (OMISSIS) e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni per la maggiorazione degli oneri di oltre un miliardo di lire e dei danni da ritardo nel completamento della sede. L’attrice deduceva che: in data 25.6.1987 era stata effettuata la consegna all’ (OMISSIS), che avrebbe dovuto procedere al completamento entro il 24.8.1989, termine prorogato piu’ volte fino al 14.10.1990 per difficolta’ tecniche addotte dall’Impresa; che, stante l’inattivita’ dell’impresa, l'(OMISSIS) comunicava la propria volonta’ di risoluzione contrattuale e chiedeva la riconsegna del cantiere; che in data 29.3.1990 l’ (OMISSIS) presentava ricorso ex articolo 700 c.p.c., al Pretore di Palmi per ottenere l’inibitoria alla riconsegna, ma poi all’udienza del 7.6.1990 dichiarava la sua disponibilita’ alla riconsegna, che avveniva in data 25.6.1990 e il Pretore pronunciava ordinanza di cessazione della materia del
contendere; che l'(OMISSIS) aveva dovuto affidare il completamento delle opere ad altra impresa, sopportando oneri aggiuntivi per oltre un miliardo di lire, e aveva dovuto subire oltre 14 mesi di inattivita’ per responsabilita’ dell’impresa.
Si costituiva in giudizio (OMISSIS), titolare dell’impresa convenuta, che chiedeva il rigetto delle domande, deducendo che il contratto di appalto si era risolto per comune volonta’ delle parti, come da verbale di constatazione e di riconsegna del 26.6.1990, sicche’ nessun ritardo poteva essere imputato alla convenuta; che le proroghe del termine iniziale erano state convenute con l'(OMISSIS); che questa aveva corrisposto i vari SAL comunicando la volonta’ di ottenere la riconsegna del cantiere solo alla richiesta di pagamento dei SAL 13 e 14. Pertanto, spiegava domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di Lire 195.341.397, quale saldo dei lavori effettuati e non pagati.
Per tale somma il Tribunale di Napoli emetteva ordinanza di pagamento ex articolo 186 bis c.p.c., in corso di causa.
Con sentenza n. 1277/2000, depositata in data 28.1.2000, il Tribunale di Napoli rigettava la domanda principale di risoluzione contrattuale avanzata dall'(OMISSIS) e accoglieva la domanda riconvenzionale avanzata dalla convenuta condannando l'(OMISSIS) al pagamento della suddetta somma, oltre interessi dalla domanda al saldo e compensando le spese di lite.
Contro la sentenza proponeva appello l'(OMISSIS) DISTRIBUZIONE s.p.a., succeduta all'(OMISSIS) s.p.a., ma l’impugnazione era dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 1165/2002 del 10.4.2002, sul rilievo che non fosse stata prodotta la procura rilasciata al dichiarato legale rappresentante della direzione Calabria dell’ (OMISSIS) e che la procura alle liti risultava conferita da soggetto diverso da quelli aventi per legge la rappresentanza legale della societa’.
Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione l'(OMISSIS) e resisteva in giudizio l’ (OMISSIS).
Con sentenza n. 13669/2006 del 13.6.2006 la Corte di Cassazione riteneva: a) che, ai sensi dell’articolo 75 c.p.c., comma 3, la rappresentanza legale delle persone giuridiche pubbliche e private puo’ essere effettuata a norma di legge o di statuto ed e’ sufficiente indicare negli atti la qualita’ rivestita dalla persona fisica che rappresenta la societa’ e che tale adempimento, accompagnato dalla pubblicita’ legale prevista nelle ipotesi di preposizione institoria ex articolo 2206 c.c. (come nella fattispecie), era idoneo a fornire le suddette garanzie, diventando onere della parte che contestava la regolarita’ della costituzione del rapporto processuale fornire la prova negativa; b) che l'(OMISSIS) risultava rappresentata validamente da un procuratore, cui era stato conferito il relativo potere dall’amministratore delegato ai sensi dell’articolo 25 dello Statuto della societa’, e che l’Impresa non solo non aveva tempestivamente impugnato la costituzione del rapporto processuale, ma neppure aveva fornito la prova contraria alla presunzione di validita’ della rappresentanza processuale. La Suprema Corte cassava la sentenza rinviando ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per l’esame del merito dell’appello.
(OMISSIS) Distribuzione s.p.a. provvedeva alla riassunzione sia nei confronti dell’ (OMISSIS) che della (OMISSIS) s.p.a., come da atto costitutivo della societa’ dell’8.10.2001. L'(OMISSIS) riproponeva il contenuto del primo atto di appello, deducendo l’errata ricostruzione e valutazione delle vicende contrattuali da parte del Tribunale, che aveva ritenuto intervenuta tra le parti una risoluzione contrattuale malgrado l’espresso richiamo, sia nella corrispondenza che nel verbale di immissione in possesso, all’articolo 6.0 del contratto di appalto relativo alla risoluzione per inadempimento dell’appaltatore.
Restava contumace l’ (OMISSIS), mentre si costituiva in giudizio la (OMISSIS) s.p.a., che deduceva l’inammissibilita’ della domanda avanzata nei suoi confronti quale cessionaria di azienda della ditta individuale, non risultando nei libri contabili obbligatori della cedente alcuna partita debitoria in favore di (OMISSIS) e, pertanto, che non si potesse configurare alcuna responsabilita’ dell’acquirente in relazione ai debiti dell’azienda ceduta; e deduceva l’infondatezza nel merito dei motivi.
Con sentenza non definitiva n. 3139/2014, depositata l’8.7.2014, la Corte d’Appello di Napoli dichiarava la risoluzione del contratto di appalto del 24.6.1987 per inadempimento dell’appaltatore, disponendo il prosieguo del giudizio.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.p.a. sulla base di due motivi; resiste l'(OMISSIS) Distribuzione con controricorso, illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la societa’ ricorrente lamenta la “Violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3, per mancata applicazione dell’articolo 2560 c.c., errata applicazione dell’articolo 2558”, in quanto la Corte di merito ha ritenuto che, in caso di conferimento di azienda, si verificasse il trasferimento in capo al cessionario di tutti i rapporti attivi e passivi, facenti capo all’azienda ceduta, verificandosi una successione nei contratti ex articolo 2558 c.c., che non abbiano carattere personale. Ma, secondo altre decisioni di legittimita’, in tale ipotesi si verifica un fenomeno traslativo consistente nella cessione dell’azienda del conferente in favore del soggetto sui viene conferita, per cui l’alienante acquista la posizione di socio della societa’, ma non e’ liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, mentre la corresponsabilita’ del cessionario nei confronti dei creditori aziendali postula l’intervenuta annotazione dei debiti nei libri contabili obbligatori, ai sensi dell’articolo 2560 c.c., comma 2 (Cass. n. 21229 del 2006; Cass. n. 20805 del 2011). La circostanza che i debiti debbano risultare dai libri contabili obbligatori dell’alienante rappresenta dunque un elemento costitutivo della responsabilita’ dell’acquirente dell’azienda (Cass. n. 23828 del 2012) e, data la natura eccezionale della norma (articolo 2560 c.c.) che prevede tale responsabilita’, non puo’ essere surrogata dalla prova che l’esistenza dei debiti era comunque conosciuta da parte dell’acquirente (Cass. n. 22831 del 2010).
1.1. – Il primo motivo non e’ fondato.
1.2. – La Corte d’appello ha ritenuto che, nella specie, trovi applicazione l’articolo 2558 c.c., per cui, in caso di trasferimento dell’azienda, si verifica il subentro immediato del nuovo titolare in tutti i rapporti attivi e passivi attinenti al patrimonio aziendale,
senza soluzione di continuita’, salvo restando la responsabilita’ dell’alienente per i debiti preesistenti se non risulta che i creditori abbiano consentito alla sua liberazione. Invero, “la successione nei contratti prevista dall’articolo 2558 c.c., nel caso di cessione di azienda, e’ istituito diverso dalla cessione del contratto di cui agli articoli 1406 c.c. e segg., in quanto puo’ intervenire in qualsiasi fase del rapporto contrattuale, purche’ non del tutto esaurito, e quindi anche nella fase contenziosa, inerente ad una domanda di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che il cessionario dell’azienda assume la posizione di successore e titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi ed agli effetti dell’articolo 111 c.p.c.” (Cass. n. 8219 del 1990).
1.3. – L’articolo 2558 c.c., infatti, disciplina la successione in tutti questi contratti funzionali all’esercizio della azienda (in tal senso cfr. Cass. n. 15065 del 2018), che si verifica allorche’ il rapporto non e’ del tutto esaurito (Cass. n. 10676 del 2008, in motivazione).
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la sorte dei rapporti contrattuali pendenti all’atto del trasferimento dell’azienda sfugge alla previsione dell’articolo 2560 c.c., per ricadere semmai nella previsione un’altra disposizione, specificamente dettata allo scopo di disciplinare la sorte delle vicende e dei contratti aziendali: quella contenuta nell’articolo 2558 c.c., a norma del comma 1 del quale, se non e’ pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale (Cass. 16 giugno 2004, n. 11318). Costituisce, dunque, principio acquisito quello per cui il regime fissato dal citato articolo 2560 c.c., con riferimento ai debiti dell’azienda ceduta, sia destinato a trovare applicazione quando si tratti di debiti in se’ soli considerati, e non anche quando, viceversa (come nella specie), essi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente articolo 2558 c.c.: queste posizioni seguono la sorte del contratto e, quindi, transitano con esso, purche’ non gia’ del tutto esaurito (Cass. n. 6107 del 2013; cfr. Cass. n. 2961 del 2013; Cass. n. 11318 del 2004).
Ed anche di recente, questa Corte ha ribadito che, in tema di cessione di azienda, il regime fissato dall’articolo 2560 c.c., comma 2, con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, secondo cui di essi risponde anche l’acquirente dell’azienda allorche’ risultino dai libri contabili obbligatori, si applica ai debiti in se’ soli considerati, e non anche quando, viceversa, questi si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma del precedente articolo 2558 c.c.. Ed infatti, in tal caso, la responsabilita’ si inserisce nell’ambito della piu’ generale sorte del contratto non gia’ del tutto esaurito, anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell’azienda (Cass. n. 8539; conf. a Cass. n. 8055 del 2018).
1.4. – Correttamente, dunque, la Corte di merito ha rilevato che la normativa di cui all’articolo 2558 c.c., torni applicabile a fattispecie quali quelle in esame, qual che sia la fase in cui il rapporto contrattuale si trova, e quindi anche qualora sia in corso un contenzioso conseguente a domande di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che il cessionario dell’azienda assume la posizione di successore e titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi ed agli effetti dell’articolo 111 c.p.c. (Cass. n. 8219 del 1990).
2. – Con il secondo motivo, la societa’ ricorrente deduce la “Violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3 per errata applicazione dell’articolo 2558 c.c., in combinato disposto con gli articoli 1456, 1458 c.c.. Mancata applicazione di tali articoli. Violazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 4 – Nullita’ della sentenza e del procedimento per illogicita’ della sentenza, con violazione dei diritti della difesa, avendo la sentenza riconosciuto la risoluzione del contratto per effetto della clausola risolutiva espressa, non tenendo conto dell’effetto risolutivo ipso iure del contratto a far data dalla raccomandata del 19.12.1989, con cui l'(OMISSIS) comunicava la volonta’ di avvalersi di detta clausola e della solo successiva costituzione della (OMISSIS) s.p.a., avvenuta con atto costitutivo dell’8.10.2001. Il tutto in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., in combinato disposto con l’articolo 1156 c.c.”. Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare le conseguenti regole di diritto, giacche’ l’articolo 2258 c.c., puo’ applicarsi solo ai contratti in essere, non certo rispetto a quelli non piu’ in atto, sciolti per recesso, mutuo consenso, risoluzione. Invero, in caso di risoluzione, la successione di cui all’articolo 2258 c.c., non puo’ verificarsi in virtu’ dell’effetto retroattivo della risoluzione ex articolo 1458 c.c. e, ancor piu’ in caso di clausola risolutiva espressa, stante la risoluzione di diritto che si verifica, ex articolo 1456 c.c., comma 2, allorche’ la parte interessata dichiara di volersene avvalere, con una pronuncia che puo’ avere solo effetto dichiarativo. La parte richiama Cass. n. 3455 del 2015, per la quale, in tema di risoluzione del contratto d’appalto, trova applicazione la regola generale dettata dall’articolo 1458 c.c., circa l’efficacia retroattiva della relativa statuizione, sicche’ pronunciata la risoluzione, i crediti e i debiti derivanti da quel contratto si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti. In sostanza, la sentenza impugnata e’ illogica e mal motivata per aver dichiarato la legittimazione passiva della (OMISSIS) in relazione a un contratto non piu’ in essere, rispetto a una societa’ costituita solo nel 2001.
2.1. – Il motivo e’ inammissibile.
2.2. – Ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Se e’ vero che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Cio’ richiede che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificita’, della completezza e della riferibilita’ alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta, tra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).
Il motivo di ricorso, cosi’ come formulato, si connota viceversa per una confusa articolazione di una pluralita’ di censure eterogenee – riferite congiuntamente ed indistintamente ad asseriti vizi di violazione e/o falsa applicazione di plurime norme di legge, nonche’ di nullita’ della sentenza per sua illogicita’ – prive di una precisa identificazione, necessaria, appunto, per evidenziarne e compiutamente individuarne il preciso contenuto ed analizzarne la rispettiva fondatezza o meno. Esse, viceversa, appaiono contraddistinte dall’evidente scopo comune di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018).
2.3. – A cio’ va aggiunto che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
Pertanto, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilita’, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie; diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione.
Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della sola preliminare indicazione della norma pretesamente violata, ma non dimostrati attraverso una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).
Il controllo affidato a questa Corte non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia alla opinione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che cio’ si tradurrebbe in una nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’ (Cass. n. 20012 del 2014; richiamata anche dal Cass. n. 25332 del 2014). Sicche’, in ultima analisi, tale motivo si connota quale riproposizione, notoriamente inammissibile in sede di legittimita’, di doglianze di merito che attingono all’apprezzamento delle risultanze istruttorie motivatamente svolto dalla Corte di merito (Cass. n. 24817 del 2018).
2.4. – Inoltre, questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo cui, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante dello stesso, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresi’ Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo cosi’ reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilita’) e dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilita’ del ricorso), senza che occorra la pedissequa riproduzione letterale dell’intero contenuto degli atti processuali, riproduzione, anzi, inidonea a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto diretta ad affidare alla Corte il compito supplementare di scegliere quanto effettivamente rileva ai fini delle argomentazioni dei motivi di ricorso, nell’ambito del copioso materiale prodotto, contenente anche elementi estranei al thema decidendum (Cass. n. 17168 del 2012). Pertanto, il ricorrente ha l’onere di indicare mediante anche l’integrale trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessita’ di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012). Ma, anche sotto questo profilo, la ricorrente non ha specificamente assolto a questo onere, non avendo riportato il contenuto del piu’ volte richiamato capitolo 6.0 del Capitolato Generale di appalto.
2.5. – Laddove, poi, la societa’ ricorrente (nell’assumere la illogicita’ e la cattiva motivazione della sentenza, per avere dichiarato la legittimazione passiva della (OMISSIS) in relazione ad un contratto non piu’ in essere, in quanto risolto di diritto sin dal 19.12.1989 rispetto alla societa’ costituita nel 2001) non fa altro che riproporre, in sostanza, la doglianza proposta nel primo motivo e gia’ rigettata.
3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresi’ la dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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