Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 2 maggio 2018, n. 18529.
Il sequestro preventivo e’ legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall’accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi e’ estranea all’adozione della misura cautelare reale.
Il giudice che dispone il sequestro, soprattutto, laddove si tratti di confisca obbligatoria e’ tenuto solo a verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, atteso che il sequestro strumentale alla confisca previsto dall’articolo 321 c.p.p., comma 2, costituisce figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dall’articolo 321 c.p.p., comma 1, per la cui legittimita’ non occorre necessariamente la presenza dei requisiti di applicabilita’ previsti per il sequestro preventivo “tipico” ovendosi astrarre nella valutazione giudiziale da considerazioni relative alla minore o maggiore gravita’ del fatto che attengono esclusivamente al tema del fumus e non al periculum.
Sentenza 2 maggio 2018, n. 18529
Data udienza 16 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. SOCCI Angelo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. SCARCELLA Aless – Rel. Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
nel procedimento a carico di quest’ultimo;
avverso l’ordinanza del 20/09/2017 del TRIB. LIBERTA’ di GENOVA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Scarcella Alessio;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Spinaci Sante, che conclude per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che si riporta ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza 20.09.2017, il tribunale del riesame di Genova respingeva la richiesta di riesame formulata nell’interesse dello (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo di oggetti per il servizio da tavola di porcellana emesso dal GIP del medesimo tribunale in data 16.08.2017; giova precisare per migliore intelligibilita’ dell’impugnazione, che il provvedimento cautelare era stato disposto quale sequestro probatorio in relazione ai reati di contrabbando doganale e sottrazione dell’IVA all’importazione nonche’ per il delitto di cui all’articolo 483 c.p., con riferimento ad una fattura emessa dalla societa’ (OMISSIS) (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) S.p.A. per un ammontare di Euro 11.622,00; nell’interesse dell’indagato, quale legale rappresentante della (OMISSIS), importatrice della merce in questione, veniva richiesto il dissequestro della merce, istanza rigettata dal Pm, cui si opponeva la difesa; il GIP, su istanza del Pm, revocava il sequestro probatorio per difetto dei presupposti, accogliendo la richiesta di applicazione del sequestro preventivo ravvisando il fumus dei reati ipotizzati in anomalie rinvenibili nella documentazione relativa all’importazione.
2. Contro l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia iscritto all’albo ex articolo 613 c.p.p., prospettando due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al Reg. U.E., n. 412 del 2013 quanto al Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articoli 282, 283, 295, e articolo 483 c.p..
Si duole il ricorrente sostenendo che il tribunale del riesame non avrebbe preso in considerazione il regolamento comunitario citato laddove prevede che l’applicazione dell’aliquota del dazio indicata per la societa’ e’ soggetta alla condizione che alle autorita’ doganali degli Stati membri sia presentata una fattura commerciale valida che includa una dichiarazione firmata da un responsabile del soggetto giuridico che emette la fattura; sostiene, sul punto, il ricorrente che la dichiarazione fornita conteneva tutte le informazioni necessarie e sufficienti richieste dal regolamento per l’applicazione del dazio doganale;.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 301, comma 1, e correlato vizio di contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di applicazione della legge e del fumus in relazione al reato di cui all’articolo 483 c.p., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articoli 282, 293, 295.
Sostiene il ricorrente che il tribunale avrebbe errato sia nel non motivare in merito alla discrezionalita’ afferente il sequestro preventivo omettendo ogni deduzione logica, sia in merito all’eventuale profitto, che sarebbe pari a poche centinaia di euro, sia alla liceita’ del contratto; poiche’ l’articolo 321 c.p.p., facoltizza il giudice nel disporre il sequestro preventivo, considerata la peculiarita’ della fattispecie, sarebbe stato lecito attendersi una motivazione reale in merito alle esigenze sussumenti la necessita’ del vincolo reale imposto; richiamata la giurisprudenza di questa Corte, nella specie la nota sentenza Impregilo, si sostiene che si sarebbe di fronte ad una fattispecie di natura decisamente irrilevante a fronte di merce regolare, avendo fornito dimostrazione dell’errore in cui sarebbe incorso l’indagato nella presentazione di documenti, ritenuti dalla difesa non necessari, tanto in sede di indagini difensive che attraverso la traduzione giurata dell’ideogramma che avrebbe contribuito a trarre in inganno l’autorita’ doganale. Le predette indicazioni, si sostiene sarebbero di per se’ sufficienti ad escludere l’elemento soggettivo dei reati contestati, elemento su cui non si sarebbe soffermato il tribunale; a tal proposito, viene richiamata giurisprudenza di questa Corte sia con riferimento all’elemento psicologico del delitto di cui all’articolo 483 c.p., che con riferimento ai delitti doganali, segnatamente del c.d. contrabbando intraispettivo, in cui si richiede un comportamento fraudolento, che, nella specie, difetterebbe per avere l’indagato prodotto spontaneamente ambedue i contratti, senza nulla nascondere, anzi fornendo sin dall’inizio la spiegazione della diversita’ nella contestazione afferente una precedente fornitura. Non potrebbe, peraltro, valere come indizio la mera supposizione svolta dal tribunale secondo cui deve esistere corrispondenza commerciale afferente le contestazioni; si osserva che il mercato (OMISSIS) e’ diverso da quello italiano e la consapevolezza di detta diversita’ e’ anche nelle accurate operazioni di controllo che hanno condotto l’UE a scegliere i dazi da applicare su cui ne’ la (OMISSIS) ne’ l’A.G. italiana potrebbero intervenire, essendosi peraltro data conferma in sede di indagini difensive della prassi commerciale (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ in parte infondato ed, in parte, anche inammissibile perche’ proposto per motivi diversi da quelli consentiti.
4. Ed invero, dalla stessa struttura ed articolazione dei motivi di ricorso (ed, in particolare, apertamente per il secondo), e’ evidente che le doglianze del ricorrente, sotto l’apparente deduzione, oltre al vizio motivazionale, del vizio di violazione di legge riferito all’articolo 321 c.p.p., ed al fumus dei reati oggetto dell’imputazione cautelare, attingono il procedimento argomentativo con cui i giudici del riesame hanno ritenuto sussistere le condizioni legittimanti il sequestro preventivo, sia sotto il profilo del fumus che del periculum in mora. E’ sufficiente, a tal fine, richiamare le doglianze, di cui in ricorso, che attingono l’ordinanza impugnata perche’ manifestamente illogica e contraddittoria in ordine alla sussistenza dei presupposti di applicazione della legge e del fumus in relazione al reato di cui all’articolo 483 c.p., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articoli 282, 293 e 295; trattasi, all’evidenza, di censure inammissibili perche’ precluse dal chiaro disposto dell’articolo 325 c.p.p., che limita il ricorso per cassazione in materia cautelare reale alla sola violazione di legge, con esclusione del vizio di motivazione. Sul punto, pacifica e’ la giurisprudenza di questa Corte che, intervenuta in materia anche nella sua piu’ autorevole composizione, ha sempre ribadito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (per tutte: Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; (Conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto), circostanza, quest’ultima, da escludersi nel caso sottoposto all’esame di questa Corte.
5. In ogni caso, il motivo e’ infondato, ove si intenda recuperarne il nucleo essenziale riferito alla presunta violazione della norma processuale con riferimento alla persistenza dei presupposti applicativi e, segnatamente, tanto del fumus che del periculum in mora; al fine di meglio comprendere le ragioni dell’approdo cui e’ pervenuta questa Corte, e’ necessario descrivere la fattispecie che ha dato origine al provvedimento cautelare.
Dalla lettura dell’impugnata ordinanza, emerge che il fumus dei reati di falso e di contrabbando doganale intraispettivo sono stati ipotizzati dal Gip sulla base di anomalie rinvenibili nella documentazione relativa all’importazione della merce in sequestro, rappresentata da oggetti per il servizio da tavola in porcellana proveniente dalla (OMISSIS); in particolare, era emerso che il valore della merce indicato nel contratto di acquisto (1) differiva da quello (pari a 0,75) indicato nella fattura; la differenza, da cui derivava un valore imponibile inferiore a quello reale, veniva giustificata con riferimento ad una compensazione che sarebbe stata effettuata per differenze qualitative riscontrate in una precedente fornitura, ma nessun elemento, quale scambio di corrispondenza commerciale, veniva fornito in proposito; inoltre, si precisa nell’ordinanza, il produttore veniva indicato in societa’ diversa da quella reale e cio’ in quanto, per la determinazione del dazio antidumping per merce quale quella sequestrata e proveniente dalla (OMISSIS), la corretta individuazione del produttore determina l’ammontare del dazio. Nel caso in esame, si legge nell’ordinanza impugnata, se il produttore si identifica in (OMISSIS), con cui la (OMISSIS) ha intrattenuto rapporti commerciali anche prima dell’introduzione del dazio antidumping, quest’ultimo viene determinato nell’aliquota del 23,4%, mentre se si identifica con (OMISSIS), l’aliquota e’ del 17,9%; si legge ancora nell’ordinanza che nella fattura veniva indicato quale produttore la seconda societa’, mentre nella dichiarazione doganale di esportazione negli spazi relativi alle voci “mittente” e “azienda di produzione”, veniva indicata la (OMISSIS). In proposito, la difesa allegava che la dichiarazione di esportazione era stata erroneamente tradotta, in quanto l’ideogramma non era corrispondente ad una “e” ma ad una “o”; tuttavia, osserva il tribunale, non veniva prodotta documentazione che giustificasse il ruolo della (OMISSIS) nell’operazione di importazione, ne’ provata la vendita della merce in data compatibile con quella della richiesta di esportazione, posto che il contratto di vendita recava la data del (OMISSIS), mentre la dichiarazione di esportazione reca la data del giorno precedente, ossia il (OMISSIS).
6. Orbene, tanto premesso in fatto al fine di chiarire il contesto fattuale, e’ evidente come le censure difensive, nella parte in cui sollecitano un sindacato di questa Corte per i soli profili ammissibili attinenti la asserita violazione di legge, si appalesano infondati.
7. Ed infatti, quanto al primo motivo, con cui si svolgono censure sul fumus dei reati ipotizzati per l’asserita omessa valutazione dei contenuti del Regolamento UE, il ricorrente richiama senza citarla la previsione normativa di cui al Reg. U.E., n. 412 del 2013, articolo 1, comma 3, del Consiglio del 13 maggio 2013 che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di oggetti per il servizio da tavola e da cucina in ceramica originari della (OMISSIS), che cosi’ recita: “3. L’applicazione delle aliquote del dazio antidumping individuale specificate per le societa’ menzionate al paragrafo 2 e’ subordinata alla presentazione alle autorita’ doganali degli Stati membri di una fattura commerciale valida, conforme ai requisiti riportati nell’all. 49. In caso di mancata presentazione di tale fattura si applica l’aliquota del dazio applicabile a tutte le altre societa’”. L’all. 2, richiamato dalla norma in esame stabilisce poi che “una dichiarazione firmata da un responsabile del soggetto giuridico che emette la fattura commerciale, redatta secondo il modello seguente, deve comparire sulla fattura commerciale valida di cui al Reg. U.E., articolo 1, par. 3: 1) Nome e funzione del responsabile del soggetto giuridico che emette la fattura commerciale. 2) La dichiarazione seguente: “Il sottoscritto certifica che il (volume) degli oggetti per il servizio da tavola e da cucina in ceramica venduti all’esportazione nell’Unione europea e oggetto della presente fattura, e’ stato fabbricato da (nome e indirizzo della societa’) (codice addizionale TARIC) in (paese interessato). Il sottoscritto dichiara che le informazioni contenute nella presente fattura sono complete ed esatte”. 3) Data e firma”.
E’ dunque evidente che l’applicazione delle aliquote del dazio antidumping “di favore” presuppone certamente la presentazione della predetta dichiarazione, ma, ovviamente, da’ per scontato che il contenuto della dichiarazione predetta sia rispondente al vero.
In questo senso l’obiezione difensiva di cui al primo motivo prova troppo.
Ed invero, il ricorrente sostiene che la dichiarazione fornita conteneva tutte le informazioni necessarie e sufficienti richieste dal regolamento per l’applicazione del dazio doganale, sicche’ tutto il resto sarebbe tamquam non esset; trattasi di affermazione nella premessa corretta ma che, tuttavia, giuridicamente non tiene conto del fatto che l’efficacia della dichiarazione e’ comunque condizionata alla veridicita’ del contenuto della dichiarazione medesima, tant’e’ che il sottoscrittore della dichiarazione, come si evince dalla lettura dell’allegato, e’ tenuto a dichiarare anche che le “informazioni contenute nella presente fattura sono complete ed esatte”. Ed e’ questo, invece, cio’ che viene contestato all’indagato nella imputazione cautelare mossagli e che ha condotto i giudici di merito a disporre e mantenere il sequestro preventivo della merce.
8. A tal fine, dunque, e’ priva di pregio l’obiezione difensiva sollevata circa la presunta omessa valutazione della norma regolamentare, atteso che, diversamente, dalla motivazione dell’ordinanza impugnata emerge che i giudici, pur non facendo espresso riferimento alla stessa, ne fanno invece implicitamente applicazione laddove attribuiscono alla dichiarazione una patente di non veridicita’ quanto al contenuto informativo.
Da un lato, infatti, l’ordinanza impugnata respinge l’obiezione difensiva secondo cui la difformita’ del prezzo unitario sarebbe dipesa da una contestazione su precedente fornitura che avrebbe condotto ad uno sconto concordato verbalmente, come sarebbe stato dichiarato dal figlio del ricorrente; sul punto, i giudici del riesame ribadiscono che, al di la’ delle usanze commerciali (OMISSIS), cio’ che difetta nel caso in esame e’ proprio la produzione di corrispondenza commerciale circa la asserita contestazione sulla qualita’ di una partita di merce ed una conseguente riduzione del prezzo su una partita successiva.
Dall’altro, e soprattutto, proprio con riferimento al contenuto informativo della dichiarazione (e, dunque, circa la applicabilita’ della norma regolamentare richiamata) i giudici del riesame osservano che non ha rilievo quanto sostenuto circa l’esatta traduzione dell’ideogramma tra le parole “mittente” e “produttore”, in quanto, sempre nella stessa dichiarazione, l’indicazione della (OMISSIS) compare nuovamente nel campo riservato all’indicazione della “azienda di produzione e vendita”; ed allora e’ evidente che, allo stato degli atti, non puo’ dubitarsi della legittimita’ da parte dei giudici di merito della valutazione della sussistenza del fumus dei reati ipotizzati, essendovi elementi fattuali denotanti, da un lato, la falsita’ dichiarativa relativa alla dichiarazione di cui sopra e, nel contempo, idonei a far ritenere che l’applicazione dell’aliquota “di favore” non fosse ammissibile attesa l’anomalia documentale oggetto di apprezzamento, frutto dell’ipotizzato falso ideologico, con conseguente integrazione del reato di contrabbando doganale.
9. Ne’, si noti, ha pregio la censura, svolta nel secondo motivo, circa l’insussistenza dell’elemento psicologico dei reati ipotizzati che sarebbe stata apprezzabile dai giudici di merito alla luce del comportamento tenuto dall’indagato. Ed invero, il ricorrente non tiene conto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui il sequestro preventivo e’ legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall’accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi e’ estranea all’adozione della misura cautelare reale (v., tra le tante: Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013 – dep. 14/11/2013, Orsi, Rv. 257383); quanto, poi, alla censura di violazione di legge relativa al combinato disposto dell’articolo 321 c.p.p., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 301, censura sviluppata nel secondo motivo, la stessa e’ manifestamente infondata laddove si consideri che a fronte della discrezionalita’ applicativa della misura (2. Il giudice puo’ altresi’ disporre il sequestro delle cose di cui e’ consentita la confisca), il giudice che dispone il sequestro, soprattutto, laddove si tratti di confisca obbligatoria (qual e’ quella prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 301: Sez. 3, n. 9569 del 10/07/1984 – dep. 31/10/1984, Vicenda, Rv. 166484), e’ tenuto solo a verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, atteso che il sequestro strumentale alla confisca previsto dall’articolo 321 c.p.p., comma 2, costituisce figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dall’articolo 321 c.p.p., comma 1, per la cui legittimita’ non occorre necessariamente la presenza dei requisiti di applicabilita’ previsti per il sequestro preventivo “tipico” (v., tra le tante: Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014 – dep. 19/11/2014 Mannino, Rv. 261242), dovendosi astrarre nella valutazione giudiziale da considerazioni relative alla minore o maggiore gravita’ del fatto che attengono esclusivamente al tema del fumus e non al periculum.
8. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso dev’essere complessivamente rigettato, conseguendo ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna alle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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