In tema di riparazione dell’ingiusta detenzione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 8 maggio 2018, n. 20063

Le massime estrapolate

La nozione di “colpa grave” di cui all’articolo 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale. A tale riguardo, il giudice della riparazione deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta (sia extra processuale che processuale) tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della liberta’ personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato – anzi, a ben vedere, questo e’ il presupposto, scontato, del giudice della riparazione – ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche’ in presenza di errore dell’autorita’ procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita’ come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ed effetto”.
In tema di riparazione dell’ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, puo’ rilevare il comportamento silenzioso o mendace dell’imputato – seppure legittimamente tenuto nel procedimento – su circostanze ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato agli elementi a base del provvedimento cautelare.

Sentenza 8 maggio 2018, n. 20063

Data udienza 21 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – rel. Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza l’ordinanza del 23/06/2017 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Stefano Corbetta;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Fodaroni Giuseppina, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’Avvocatura Generale dello Stato, per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, depositata il 6 marzo 2018, con cui si chiede, in principalita’, l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Giudicando in sede di rinvio, disposto dalla quarta sezione penale di questa Corte con sentenza emessa in data 10 marzo 2016, la quale aveva annullato l’ordinanza della Corte d’appello di Milano in data 18 maggio 2015, che aveva rigettato l’istanza di riparazione presentata da (OMISSIS) per la dedotta ingiusta detenzione sofferta con la custodia in carcere dal 23 maggio 2012 al 31 maggio 2013, data in cui venne assolto per non aver commesso il fatto dai reati di associazione per delinquere, rapina a mano armata ai danni della gioielleria (OMISSIS) di (OMISSIS) ed altro, con l’impugnata ordinanza la Corte rigettava l’istanza in esame, ravvisando, nelle condotte del (OMISSIS), gli estremi della colpa grave.
2. Avverso l’indicata ordinanza, (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, con cui si eccepisce la manifesta illogicita’ della motivazione in ordine al testo impugnato e ad atti del processo.
Premette il ricorrente che, con la sentenza di annullamento con rinvio, la Corte di Cassazione aveva sollecitato una motivazione piu’ esaustiva, da un lato, sul comportamento gravemente colposo tenuto dall’istante, considerando che gli incontri con gli altri indagati erano avvenuti tutti in luoghi pubblici, e ai quali il (OMISSIS), pur presente, non vi aveva partecipato, rimanendo in disparte, che i contatti con il (OMISSIS) erano legati al lavoro, che nelle telefonate con il (OMISSIS) non si era mai fatto riferimento all’azione delittuosa; dall’altro, in ordine al fatto che il (OMISSIS) si era inizialmente avvalso della facolta’ di non rispondere, essendo il giudice della garanzia per rogatoria, chiedendo poi l’interrogatorio avanti al pubblico ministero titolare delle indagini.
Cio’ precisato, ad avviso del ricorrente la Corte territoriale non si sarebbe attenuta alle indicazioni della Corte di Cassazione, in quanto, da un lato, gli elementi indicati nel provvedimento impugnato non sarebbero prova della consapevolezza, in capo al (OMISSIS), dell’azione delittuosa che si stava per compiere; dall’altro, l’interrogatorio era stato richiesto prima della chiusura delle indagini preliminari, il che renderebbe illogica la motivazione, laddove ha affermato che tale atto venne assunto quando tutti gli indagati erano stati ascoltati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Va preliminarmente chiarito che la Corte di Cassazione, con la sentenza di annullamento con rinvio, aveva ribadito il principio, gia’ enunciato dalle Sezioni Unite (Sez. Un. 13.12.1995, n. 43 e 26.6.2002, n. 34559), secondo cui la nozione di “colpa grave” di cui all’articolo 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorita’ giudiziaria, che si sostanzi nell’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale. A tale riguardo, il giudice della riparazione deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta (sia extra processuale che processuale) tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della liberta’ personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato – anzi, a ben vedere, questo e’ il presupposto, scontato, del giudice della riparazione – ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche’ in presenza di errore dell’autorita’ procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita’ come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ed effetto” (Sez. Un., 30.8.2010, n. 32383; Sez. 4, 29.1.2015, n. 4372).
3. Per l’effetto, la Corte di cassazione aveva disposto l’annullamento del provvedimento impugnato, sollecitando una motivazione piu’ adeguata in ordine a due questioni che, secondo l’originario provvedimento impugnato, integravano, in via alternativa, la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
3.1. In primo luogo, posto che gli incontri con gli altri all’epoca coindagati erano avvenuti tutti in luoghi pubblici (bar, enoteche, ristoranti), che a tali incontri il (OMISSIS) era stato si’ presente, ma non vi aveva partecipato, rimanendo in disparte, che i contatti, anche frequenti, con il (OMISSIS) erano dovuti a motivi di lavoro, che nelle telefonate con il (OMISSIS) non si era mai fatto riferimento all’azione delittuosa, la Corte di Milano, nel negare il diritto alla riparazione, avrebbe dovuto fornire una piu’ logica e convincente motivazione del comportamento dell’istante ritenuto gravemente colposo. In sede di rinvio, la Corte territoriale avrebbe, percio’, dovuto motivare in ordine alla consapevolezza del (OMISSIS) dell’azione delittuosa che si stava per compiere e di una sua condotta rafforzativa del proposito criminoso.
3.2. In secondo luogo, premesso che il (OMISSIS) si era avvalso della facolta’ di non rispondere nel corso dell’interrogatorio di garanzia che si era svolto per rogatoria davanti al g.i.p. di Como il 28 maggio 2012, la Corte territoriale non aveva pero’ considerato che, successivamente, il difensore di fiducia in data 2 novembre 2012 aveva chiesto al p.m. di Milano, titolare dell’indagine, di procedere all’interrogatorio del (OMISSIS), che era stato poi assunto il giorno 13 novembre, ne’ valutato la circostanza che, subito dopo l’arresto, si era trattato di un interrogatorio per rogatoria da parte di un giudice, che, poi, non si sarebbe occupato del caso perche’ territorialmente incompetente, circostanza che poteva aver indotto l’indagato in quel momento a non rispondere. Di conseguenza, si sollecitava la Corte territoriale, in sede di rinvio, a prendere in esame sia il contesto in cui l’indagato si era all’inizio avvalso di tale facolta’, sia la condotta successiva, sollecitata dal difensore di fiducia, che lo aveva portato a chiedere e a rispondere all’interrogatorio dinanzi al pubblico minitesto titolare delle indagini.
4. Ritiene la Corte che il provvedimento impugnato abbia emendato la censurata lacuna motivazionale in ordine alla sussistenza della colpa ravvisabile in capo al (OMISSIS), nei termini e per i motivi di seguito indicati.
5. Invero, va osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di riparazione dell’ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento dell’eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, puo’ rilevare il comportamento silenzioso o mendace dell’imputato – seppure legittimamente tenuto nel procedimento – su circostanze ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso significato agli elementi a base del provvedimento cautelare (Sez. 3, n. 51084 del 11/07/2017 – dep. 09/11/2017, Pedetta, Rv. 271419, la quale ha ritenuto immune da censure il provvedimento del giudice di merito che aveva negato la riparazione in un caso in cui l’imputato, in presenza di un quadro indiziario di rilievo a suo carico, era rimasto in silenzio nel corso dell’interrogatorio, fornendo un alibi solo in un secondo momento; Sez. 4, n. 25252 del 20/05/2016 – dep. 17/06/2016, Ministero Economia Finanze ed altro, Rv. 267393; Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014 – dep. 09/07/2014, Bertuccini, Rv. 259941).
6. Nel caso di specie, il giudice del rinvio ha dato compiuto e corretto conto del configurarsi di una condotta processuale gravemente colposa del (OMISSIS), con riferimento all’opzione per il silenzio in sede di interrogatorio di garanzia in data 28 maggio 2012 e anche successivamente, giungendo a rendere interrogatorio solo il 13 novembre 2012, in cui peraltro, come si dira’ appresso, il (OMISSIS) non fugo’ affatto – essendo stato reticente e mendace su talune circostanze – i gravi indizi a suo carico, il che integra, di per se’, la causa ostativa alla sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 341 c.p.p..
7. E difatti, dopo aver dato atto che gli elementi a carico del (OMISSIS), ed a lui contestati, erano rappresentati dalla sua presenza a ricorrenti incontri con i coindagati (OMISSIS) e (OMISSIS) nel delitto di rapina (entrambi condannati all’esito del processo), da ripetuti contatti non giustificati da motivi di amicizia, lavoro o diletto con il (OMISSIS), prima e dopo il delitto, dall’uso di schede telefoniche con modalita’ anomale, dall’effettuazione, la mattina della rapina, di una chiamata che doveva servire da alibi al coimputato (OMISSIS), la Corte territoriale ha ribadito che l’imputato, ancorche’ interrogato per rogatoria al momento dell’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura coercitiva, avvalendosi della facolta’ di non rispondere aveva rinunciato a fornire spiegazioni alternative al quadro gravemente indiziario, specie in riferimento alla telefonata, effettuata la mattina della rapina con il telefono del (OMISSIS), dalla zona ove era ubicata la gioielleria gestita in comune dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS).
La Corte ha esattamente osservato che la scelta di avvalersi della facolta’ di non rispondere non potesse ragionevolmente ricollegarsi al fatto che l’interrogatorio di garanzia fosse stato effettuato per rogatoria, non essendo credibile che una persona estranea ai fatti addebitati, in grado di fornire spiegazioni chiare e semplici in ordine alle condotte contestate, senza coinvolgere altri soggetti e senza esporsi a piu’ gravi imputazioni, rinunci a farlo di fronte al soggetto istituzionale che, in quel momento, e’ in grado di raccogliere le dichiarazioni utili a chiedere la revoca o modifica della misura cautela.
In altri termini, il (OMISSIS), di fronte alle contestazioni a lui mosse nel corso dell’interrogatorio di garanzia, era nelle condizioni di fornire chiarimenti, che erano nella sua immediata e agevole disponibilita’, in relazione alla sua partecipazione agli incontri con i coindagati, all’uso di utenze telefoniche, a telefonate effettuate o meno, e, nondimeno, scelse di avvalersi della facolta’ di non rispondere, nonostante la gravita’ del quadro indiziario a suo carico.
9. La Corte territoriale ha, inoltre, osservato come le spiegazioni offerte dal (OMISSIS) ben cinque mesi dopo, nel corso dell’interrogatorio al pubblico minitesto titolare delle indagini, in data 13 novembre 2012, non solo fossero generiche, ma confermassero:
1) la consapevolezza dei gravi precedenti penali del (OMISSIS), che non gli consentivano di intestarsi la licenza per il commercio di gioielli;
2) la piena disponibilita’ del (OMISSIS) ad apparire come unico titolare della gioielleria “(OMISSIS)”, di cui (OMISSIS) era socio occulto, cosi’ consentendo a costui di esercitare l’attivita’ di gioielliere, nonostante, all’epoca, fosse gravato da quattro condanne definitive per ricettazione;
3) il mantenimento della titolarita’ e della gestione occulta, unitamente a (OMISSIS), della societa’ (OMISSIS) srl, considerando che tale disponibilita’ non era nemmeno giustificata da antica amicizia, in quanto il (OMISSIS) aveva conosciuto il (OMISSIS) nel 2006 in un bar e che l’imputato non aveva spiegato quali risorse finanziarie fossero state impiegate per l’apertura di nuovi esercizi;
4) il fatto che il (OMISSIS) avesse mentito nel sostenere di aver mai effettuato da numeri riservato e da cabine pubbliche, in quanto, da un lato, il (OMISSIS) aveva dichiarato di aver ricevuto dal (OMISSIS) alcune chiamate da numeri riservati, e, dall’altro, il (OMISSIS) era stato riconosciuto dagli operanti mentre effettuava una chiamata dalla cabine di (OMISSIS), in concomitanza con l’intercettazione dell’utenza del (OMISSIS).
La Corte territoriale ha, quindi, evidenziato come il (OMISSIS) avesse funto da tramite tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), in particolare quando quest’ultimo non riusciva a mettersi in contatto con il (OMISSIS).
La Corte, infine, ha correttamente valorizzato la telefonata ricevuta, la mattina della rapina, dalla convivente del (OMISSIS) dalla gioielleria (OMISSIS) con l’utenza del (OMISSIS) medesimo, all’evidente scopo di precostituirsi un alibi; premesso che il (OMISSIS) aveva fornito una versione non credibile (ossia che la telefonata era stata fatta da una ragazza di cui non voleva rivelare il nome, alla quale aveva casualmente lasciato il proprio cellulare la sera prima), la Corte ha ritenuto che la telefonata non poteva che essere stata effettata dal (OMISSIS), tenuto conto dei rapporti tra i due, come sopra descritti, e che proveniva proprio dalla gioielleria.
10. Orbene, poiche’ trattavasi di dati gravemente indiziati, rispetto ai quali il (OMISSIS) sarebbe stato in grado, sin dall’inizio, di fornire chiarimenti (concernenti anche l’aver effettuato determinate telefonate, tra cui quella della mattina della rapina con il telefono del (OMISSIS)), deve ritenersi corretta la valutazione in termini ostativi di detto prolungato atteggiamento, quantomeno reticente, del quale e’ stata evidenziata l’innegabile valenza di cautela anche rispetto ai pregiudizi che sarebbero potuti derivare, alla posizione dei coindagati, da un’immediata e completa messa a disposizione, da parte del (OMISSIS), di tutte le sue conoscenze.
E tanto basta per far ritenere correttamente riconosciuta la causa ostativa da parte del giudice della riparazione, anche a prescindere dalla raggiunta prova, da parte del (OMISSIS), di una compiuta consapevolezza in ordine all’azione delittuosa dei coindagati, condotta che costituisce un diverso e concorrente profilo di colpa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla refusione delle spese sostenute nel grado dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che liquida in Euro 1000, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

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