Non c’è tenuità del fatto ex articolo 1321-bis cp in caso di condotta plurima consistita nel reiterato mancato versamento dei contributi.

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 8 giugno 2018, n. 26232.

La massima estrapolata:

Non c’è tenuità del fatto ex articolo 1321-bis cp in caso di condotta plurima consistita nel reiterato mancato versamento dei contributi.

Sentenza 8 giugno 2018, n. 26232

Data udienza 11 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/10/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MOLINO PIETRO, che conclude per l’inammissibilita’.
udito il difensore, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi al ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Brescia, con la sentenza del 15 luglio 2016, ha assolto (OMISSIS) dal reato ex L. n. 638 del 1983, articolo 2, comma 1 bis per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, non essendo stata superata la soglia di punibilita’ per gli anni 2008 e 2009; per l’anno 2010 ha ritenuto la penale responsabilita’ dell’imputato e lo ha condannato alla pena di giorni 20 di reclusione ed Euro 80 di multa, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la continuazione, concedendo la sospensione condizionale della pena.
La Corte di appello di Brescia, con la sentenza del 13 ottobre 2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia, ha escluso la continuazione ed ha ridotto la pena a giorni 16 di reclusione ed Euro 60 di multa, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. Il difensore di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia del 13 ottobre 2017.
2.1. Con il primo motivo, la difesa ha dedotto la violazione degli articoli 42 e 43 c.p. quanto al rigetto del motivo di appello sull’elemento psicologico del reato.
Dopo aver riportato la motivazione della sentenza della Corte di appello di Brescia, la difesa ha ribadito la carenza dell’elemento psicologico del reato ed ha riproposto i motivi di appello.
La difesa ha ammesso la sussistenza dell’elemento materiale del reato, ma ha escluso l’esistenza del dolo generico, in sintesi, perche’ (OMISSIS) e’ venuto a conoscenza dell’omesso versamento delle somme dovute all’I.N.P.S. solo successivamente all’assunzione di una nuova dipendente addetta alla gestione amministrativa della propria societa’; per la difesa se cio’ non esclude il dovere di vigilanza e di controllo quale legale rappresentante della societa’ pero’ esclude che il ricorrente abbia agito in maniera dolosa.
Rileva la difesa che dall’esame dei testimoni della difesa e’ emerso che la Sig.ra (OMISSIS) fosse l’unico soggetto alle dipendenze del (OMISSIS) addetto alla contabilita’ ed alla gestione amministrativa; l’unica che curava i rapporti con il consulente contabile dell’azienda e che non consegno’ le comunicazioni al legale rappresentante, conosciute solo dopo l’assunzione di una nuova addetta alla contabilita’. Per la difesa le prove assunte non provano l’esistenza del dolo neanche se in re ipsa.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa ha dedotto il vizio di violazione di legge con riferimento all’articolo 131 bis c.p..
La Corte di appello di Brescia ha rigettato la richiesta difensiva e del procuratore generale perche’ “il soggetto ora appellante ha negli anni reiterato la medesima condotta illecita e per analogo delitto risulta gia’ condannato in precedenza, con sentenza passata in giudicato. Cio’ induce a non accogliere la domanda difensiva sul punto”.
Rileva la difesa che il (OMISSIS) ha una sola condanna per un delitto della stessa indole di quello per cui si procede, peraltro risalente nel tempo (2011).
Pertanto per la difesa, a fronte di un solo precedente non si integra l’abitualita’ della condotta; la norma va applicata escludendo dal beneficio solo i comportamenti seriali espressione di abitudine a violare la legge, tanto che la recidiva non e’ causa ostativa alla concessione della particolare tenuita’ del fatto.
La difesa ha poi richiamato la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13681 del 2016.
Quanto al tempo in cui risultano essere stati commessi i reati potenzialmente integrativi del requisito della abitualita’ della condotta illecita, per la difesa, nel silenzio della norma il giudizio sulla abitualita’ dovra’ essere attualizzato al momento della decisione; per la difesa non potranno essere utilizzati precedenti penali risalenti nel tempo ai fini del giudizio sulla abitualita’ della condotta o sulla pericolosita’ sociale, non potendo essere adoperate presunzioni. La difesa ha richiamato la sentenza 31498/2012 sulla abitualita’ a delinquere ed ha affermato che (OMISSIS) non e’ socialmente pericoloso ne’ abitualmente delinquente, essendo gravato da un solo precedente, e non anche da due, peraltro risalenti all’anno 2011.
La difesa ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile per le seguenti ragioni.
1.1. Il ricorso per cassazione e’ la riproduzione pressoche’ integrale dell’atto di appello, salvo qualche modifica formale; inoltre propone solo valutazioni di merito concernenti la ricostruzione del fatto.
Deve affermarsi che la mera riproduzione grafica del motivo d’appello determina l’inammissibilita’ del motivo di ricorso.
I motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non puo’ ignorare le ragioni del provvedimento censurato (cosi’ le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella motivazione della sentenza n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268822, Galtelli).
La funzione tipica dell’impugnazione e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita’ (articoli 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Ne consegue che e’ inammissibile il motivo di ricorso che si limita a reiterare il motivo d’appello perche’ da un lato ripropone le argomentazioni di merito e dall’altro non si confronta o si confronta solo genericamente con la motivazione della sentenza impugnata; il motivo di ricorso che e’ mera riproposizione grafica dell’appello non effettua alcuna specifica critica argomentata al provvedimento impugnato.
1.2. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato; la Corte di appello di Brescia ha fatto corretta applicazione della norma, seguendo i principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591, Tushaj, citata dalla difesa.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infatti affermato che ai fini del presupposto ostativo alla configurabilita’ della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p., il comportamento e’ abituale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame. In motivazione, la Corte ha chiarito che, ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice puo’ fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione – nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui – ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex articolo 131 bis c.p..
Va altresi’ ricordato che ai sensi dell’articolo 131 bis c.p. il comportamento e’ abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita’, nonche’ nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Nel caso in esame, la condotta ha ad oggetto condotte plurime, perche’ e’ costituita dalla reiterazione dei versamenti mensili omessi nell’anno 2010.
2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si condanna altresi’ il ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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