In tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento per uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili, senza alcun limite

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 6 luglio 2018, n. 30731.

La massima estrapolata

In tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento per uno dei reati di cui all’art. 266 cod. proc. pen., i suoi esiti sono utilizzabili, senza alcun limite, per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre, nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso “ab origine”, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’art. 270 cod. proc. pen., e, cioè, l’indispensabilità e l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza.

Sentenza 6 luglio 2018, n. 30731

Data udienza 28 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
(OMISSIS), nato in Libia il 07/04/1954
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04/03/2016 dalla Corte di appello dell’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabrizio D’Arcangelo;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore dei ricorrenti, avv. (OMISSIS), anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) nell’interesse di (OMISSIS) e dei (OMISSIS), che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata e l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello dell’Aquila, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pescara in data 5 febbraio 2014, appellata, tra l’altro dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ha:
– dichiarato l’inammissibilita’ dell’appello proposto dal Procuratore Generale nei confronti del (OMISSIS);
– ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) in ordine al reato loro ascritto al capo 1) in quanto estinto per intervenuta prescrizione ed ha rideterminato la pena per la residua imputazione sub 4) in cinque anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 3.400 di multa ciascuno;
– ha confermato nel resto la sentenza impugnata;
– ha applicato l’indulto, dichiarando le pene condonate sino alla concorrenza di tre anni di reclusione e dell’intera multa irrogata nei confronti del (OMISSIS), di (OMISSIS) e (OMISSIS), e la pena di tre anni di reclusione inflitta al (OMISSIS).
2. (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) sono imputati, in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), di essersi stabilmente associati tra loro, in (OMISSIS) sino al luglio 2005, allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti relativi al favoreggiamento dell’ingresso ed alla permanenza illegale degli stranieri in Italia, nonche’ di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione.
Nel contesto associativo (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di amministratori del locale notturno (OMISSIS), avevano predisposto contratti di assunzione di numerose lavoratrici extracomunitarie ideologicamente falsi ed avevano organizzato e diretto l’attivita’ del night club in modo da indurre e g sfruttare la prostituzione delle proprie dipendenti avviate al meretricio; il (OMISSIS), in qualita’ di responsabile di sala, aveva diretto l’attivita’ di prostituzione delle dipendenti del night ed aveva riscosso i pagamenti della clientela (capo 1).
(OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) sono, inoltre, imputati, in concorso con (OMISSIS), del delitto di cui agli articoli 81 e 110 c.p., L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, nn. 7 e 8 e articolo 4 per aver, con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, indotto diverse donne di nazionalita’ rumena a prostituirsi con i clienti del locale notturno (OMISSIS), con le aggravanti di aver commesso il fatto con minaccia e nei confronti di piu’ persone, in (OMISSIS) sino al luglio 2005 (capo 4).
Tale delitto e’, peraltro, stato riqualificato in quello di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione commesso in danno di piu’ persone dal Tribunale di Pescara all’esito del giudizio dibattimentale di primo grado.
(OMISSIS) e’, invece, imputato del delitto di cui all’articolo 326 c.p., perche’, in qualita’ di pubblico ufficiale, essendo dirigente della Polizia Stradale di Chieti, avendo appreso che la sera del 17 marzo 2005, personale della Questura di Pescara avrebbe eseguito servizi rivolti alla repressione del fenomeno dello sfruttamento della prostituzione, aveva informato il titolare del locale notturno (OMISSIS), (OMISSIS), che, unitamente al fratello (OMISSIS), aveva organizzato la serata in modo da evitare l’accertamento della propria responsabilita’ (capo 7).
Il (OMISSIS) e’, inoltre, imputato del delitto di cui all’articolo 319 c.p., commesso in (OMISSIS), in quanto, quale contropartita per la messa a disposizione delle proprie conoscenze per ragione di ufficio in favore dei titolari del locale notturno (OMISSIS) ed evitare controlli di polizia a sorpresa, aveva accettato utilita’, frequentando il predetto locale, senza pagare i servizi fruiti (capo 8).
Il (OMISSIS) era, peraltro, originariamente imputato anche del delitto di rivelazione di segreti di ufficio contestato al capo 6) della rubrica per il quale era stato, tuttavia, assolto all’esito del giudizio di primo grado perche’ il fatto non sussiste.
3. L’avv. (OMISSIS), difensore del (OMISSIS), ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo tredici motivi e, segnatamente:
1) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la inosservanza degli articoli 407 e 414 c.p.p., essendo stato il presente procedimento iscritto in assenza di un provvedimento di riapertura delle indagini per effetto del decreto di archiviazione adottato per il medesimo reato in data (OMISSIS);
2) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la violazione degli articoli 407 e 415-bis c.p.p. in relazione alla mancata declaratoria di inutilizzabilita’ degli atti di indagine eseguiti in seguito alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari;
3) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la violazione degli articoli 266 e 276 c.p.p. e la conseguente inutilizzabilita’ delle intercettazioni per carenza dei presupposti di cui all’articolo 266 c.p.p.;
4) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), la violazione, degli articoli 266, 276 e 270 c.p.p. e la conseguente inutilizzabilita’ delle intercettazioni, essendo state le stesse disposte su una utenza mobile sul presupposto che la stessa era in uso ad una persona rivelatasi successivamente diversa da quella effettivamente assoggettata a captazione;
5) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la violazione degli articoli 266 e 276 c.p.p. e la conseguente inutilizzabilita’ delle intercettazioni, non essendo stata accertata la identita’ delle donne intercettate;
6) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d), la violazione, dell’articolo 495 c.p.p. per mancata assunzione di una prova decisiva;
7) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), la nullita’ della sentenza impugnata per totale incomprensibilita’ dei colloqui intercettati;
8) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione per travisamento ed illogicita’ del giudizio di attendibilita’ del teste (OMISSIS) sul riconoscimento della voce di (OMISSIS);
9) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova in ordine al mancato pagamento da parte dell’imputato dei servizi fruiti presso il night club;
10) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova in ordine alla frequenza dei rapporti tra il (OMISSIS) ed i (OMISSIS);
11) ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova per insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 319 c.p.p.;
12) la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova per insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 319 c.p.p.;
13) la violazione di legge penale e della legge processuale in ordine alla determinazione della pena.
4. L’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS) e (OMISSIS) e del (OMISSIS), ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo sei motivi e, segnatamente:
1) la inosservanza e la erronea applicazione della L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, n. 8, nonche’ l’articolo 4, n. 7 della stessa legge;
2) la inosservanza e la erronea applicazione degli articoli 15, 81 e 110 c.p.;
3) la inosservanza e la erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 c.p.;
4) la inosservanza della legge penale in relazione alla mancata applicazione dell’articolo 157 c.p.;
5) la inosservanza e la erronea applicazione degli articoli 512 e 111 Cost., 6 CEDU con riferimento alla illegittima acquisizione del verbale di sommarie informazioni testimoniali di (OMISSIS) del 31 luglio 2006;
6) la mancanza, la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in quanto proposti per motivi diversi da quelli consentiti dall’articolo 606 c.p.p. e, comunque, manifestamente infondati.
2. Con il primo motivo il (OMISSIS) deduce la inosservanza degli articoli 191, 407 e 414 c.p.p. ed il vizio della motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte di appello dell’Aquila aveva disatteso la eccezione di nullita’ “di tutti gli atti di indagine e della sentenza di primo grado per violazione degli articoli 414 e 407 c.p.p.” sulla base di una motivazione illogica e contraddittoria.
Il ricorrente aveva, infatti, dedotto in sede di appello, come gia’ nel corso della udienza preliminare e del giudizio di primo grado, che il presente procedimento era stato iscritto in assenza di un provvedimento di riapertura delle indagini per effetto del decreto di archiviazione adottato per il medesimo reato in data (OMISSIS).
La Corte di appello aveva, tuttavia, utilizzato “argomenti generici omettendo di motivare in ordine alla contestazione specifica dell’eccezione” e, comunque, “nel carteggio del processo non sussiste una vera e propria nuova, diversa e distinta notitia criminis propalata dal verbalizzante”.
2.1. Tale censura si rivela, tuttavia, aspecifica prima ancora che manifestamente infondata.
Il ricorrente, infatti, non si e’ confrontato specificamente con la motivazione della sentenza impugnata sul punto, limitandosi a stigmatizzarla, in termini meramente assertivi, per la asserita assiomaticita’.
Tale doglianza, pertanto, non si confronta, mediante specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con la motivazione della sentenza impugnata.
Secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimita’, dal quale non vi e’ ragione per discostarsi, del resto, la mancanza di specificita’ del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione ed, in entrambi i casi, conduce, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ della stessa (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, Ahmetovic, Rv. 210157).
La Corte di appello dell’Aquila ha, peraltro, congruamente rilevato che le imputazioni elevate nel presente giudizio hanno ad oggetto condotte poste in essere in un arco temporale distinto da quelle oggetto del procedimento archiviato e che, pertanto, il decreto di archiviazione non poteva esercitare alcuna efficacia preclusiva per condotte criminose che, anche se analoghe, erano state poste in essere in un diverso segmento temporale.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 407 e 415-bis c.p.p. in relazione alla eccepita inutilizzabilita’ degli atti di indagine eseguiti in seguito alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e la carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine a tale motivo di appello.
La Corte di appello aveva, infatti, omesso di motivare in ordine alla violazione degli articoli 407 e 415-bis c.p.p. ed alla conseguente inutilizzabilita’ degli atti di indagine posti in essere in seguito alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, comunque, in assenza di un decreto di proroga emesso dal Giudice per le indagini preliminari.
2.3. Anche tale doglianza si rivela, tuttavia, inammissibile per aspecificita’.
A tacere del carattere meramente assertivo della censura svolta, infatti, il ricorrente non ha indicato gli atti di indagine affetti dalla inutilizzabilita’ ed, ancora una volta non si e’ confrontato criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a delineare in termini generali la disciplina della proroga delle indagini preliminari.
La Corte di appello, nel rigettare il motivo di appello, ha, tuttavia, evidenziato come nella specie si sia esclusivamente in presenza di un difetto di notifica della richiesta di proroga delle indagini preliminari, che non e’ causa di nullita’, ne’ determina l’inutilizzabilita’ degli atti di indagini compiuti dopo la sua presentazione (Sez. 3, n. 23953 del 12/05/2015, Bertino, Rv. 263653; Sez. 5, n. 19873 del 27/01/2012, Beccalli, Rv. 252520) ed il ricorrente non ha censurato specificamente tale punto.
2.4. Il terzo ed il quarto motivo dedotti dal (OMISSIS) possono essere delibati congiuntamente, in quanto, traendo origine da un medesimo fondamento concettuale, si rivelano strettamente connessi.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la inosservanza degli articoli 266 e 276 c.p.p. ed il difetto di motivazione sul punto.
Il (OMISSIS), infatti, era indagato per il delitto di cui all’articolo 326 c.p. che non consentiva la autorizzazione delle intercettazioni telefoniche ai sensi dell’articolo 266 c.p.p., essendo punito con la pena della reclusione sino a tre anni.
Le intercettazioni telefoniche ed ambientali non potevano, pertanto, essere disposte nei confronti del (OMISSIS) e, dunque, non erano utilizzabili nei suoi confronti nel presente giudizio.
La Corte di appello aveva, peraltro, omesso di motivare in ordine allo specifico motivo di appello formulato sul punto.
Con il quarto motivo il ricorrente censura la violazione degli articoli 266 e 276 c.p.p. e la manifesta illogicita’ della motivazione della Corte di appello in ordine a tale motivo.
Le intercettazioni eseguite erano, infatti, inutilizzabili, in quanto erano state disposte su una utenza mobile sul presupposto che la stessa fosse in uso ad una persona rivelatasi successivamente diversa (tale “(OMISSIS)”) da quella originariamente assoggettata a captazione (il (OMISSIS)).
Tali captazioni erano, pertanto, state utilizzate nei confronti del (OMISSIS), in violazione dell’articolo 270 c.p.p., ancorche’ il medesimo non fosse stato mai indagato per il delitto di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, articoli 3 e 4.
2.5. Anche tali doglianze, a tacere della loro genericita’, conseguente alla mera riproposizione dei motivi di appello svolti sul punto, si rivelano manifestamente infondate.
La Corte di appello ha, infatti, congruamente rilevato come le intercettazioni sulla utenza del (OMISSIS) siano state autorizzate al fine di accertare i reati di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, articoli 3 e 4, che, in ragione dei propri massimi edittali, consentono le intercettazioni ai sensi dell’articolo 266 c.p..
Nessun rilievo puo’, inoltre, assumere la circostanza che il (OMISSIS) non sia stato indagato per tale delitto.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, dal quale non vi e’ ragione per discostarsi, infatti, in tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento per uno dei reati di cui all’articolo 266 c.p.p., i suoi esiti sono utilizzabili, senza alcun limite, per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre, nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso ab origine, l’utilizzazione e’ subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’articolo 270 c.p.p., e, cioe’, l’indispensabilita’ e l’obbligatorieta’ dell’arresto in flagranza (ex plurimis: Sez. 6, n. 31984 del 26/04/2017, P., Rv. 270431; Sez. 2, n. 9500 del 23/02/2016, De Angelis, Rv. 267784; Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M., Rv. 265757; Sez. 6, n. 41317 del 15/07/2015, Rosatelli, Rv. 265004).
La autorizzazione delle operazioni di intercettazione, del resto, postula la sussistenza di gravi indizi di reato ai sensi dell’articolo 266 c.p.p. e non gia’ che il titolare o l’usuario della utenza telefonica intercettata sia anche sottoposto ad indagine per il medesimo reato per cui si procede.
I gravi indizi richiesti dall’articolo 267 c.p.p., comma 1, non attengono, infatti, alla colpevolezza di un determinato soggetto ma alla esistenza di un reato; ne consegue che per sottoporre l’utenza di una persona ad intercettazione non e’ necessario che gli stessi riguardino anche la riferibilita’ a questa del reato (ex multis: Sez. 2, n. 42763 del 20/10/2015, Russo, Rv. 265127; Sez. 1, n. 4979 del 11/07/2000, Nicchio, Rv. 216747).
Entrambe le censure si rivelano, pertanto, manifestamente infondate.
2.6. Con il quinto motivo il (OMISSIS) censura la violazione degli articoli 266 e 276 c.p.p. e la carenza di motivazione in ordine al motivo di appello svolto relativamente alla inutilizzabilita’ delle intercettazioni conseguente al mancato accertamento della identita’ delle donne intercettate.
Nel giudizio di primo grado erano, infatti, state acquisite numerose intercettazioni telefoniche ed ambientali di persone di sesso femminile, delle quali, tuttavia, non era stata accertata l’identita’ o che erano state identificate solo con il “nome d’arte”, tacciate di esercitare il meretricio.
L’attivita’ di indagine si era, pertanto, limitata ad attribuire un nome a ciascuna utenza telefonica senza, tuttavia, alcun accertamento relativo alla riferibilita’ delle stesse all’autore delle telefonate e senza che l’istruttoria dibattimentale avesse consentito la identificazione delle interlocutrici.
Anche su tale motivo di gravame la Corte di appello non aveva motivato, limitandosi ad affermare apoditticamente che si trattava di donne che parlavano con i (OMISSIS) e che lavoravano nel loro locale.
2.7. Anche tali censure si rivelano manifestamente infondate.
La mancata identificazione dei soggetti coinvolti nelle conversazioni intercettate esula dalle ipotesi, tassativamente previste dal legislatore, di inutilizzabilita’ delle intercettazioni ed al piu’ puo’ rilevare, sul piano probatorio come questione di merito, relativa alla sussistenza o meno della efficacia dimostrativa dell’elemento probatorio, da valutarsi secondo le ordinarie regole probatorie.
Parimenti insussistente e’ la dedotta carenza della motivazione, atteso che la Corte di appello dell’Aquila ha correttamente rilevato come alla patologia dedotta non corrisponda alcuna ipotesi, invero neppure indicata dal ricorrente, di inutilizzabilita’ tipizzata dal legislatore.
2.8. Con il sesto motivo il (OMISSIS) deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) in ordine alla mancata assunzione di una prova decisiva e la manifesta illogicita’, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), della motivazione della sentenza impugnata sul punto.
Il Tribunale di Pescara, infatti, con ordinanza emessa alla udienza dibattimentale del 10 febbraio 2011, aveva limitato i testimoni ammessi a due soli per ciascuna circostanza dedotta nella lista di cui all’articolo 468 c.p.p., determinando la lesione del diritto di difesa.
La motivazione sul punto della Corte di appello si rivelava, inoltre, manifestamente illogica, in quanto la prova a discarico e’ un diritto costituzionalmente garantito all’imputato.
2.9. Anche tali motivi di ricorso si rivelano aspecifici.
Sono, inoltre, inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento “attaccato” e l’indicazione delle ragioni della loro decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
La Corte di appello dell’Aquila ha, peraltro, correttamente e congruamente rilevato come il Tribunale, nel limitare il numero dei testi richiesti, abbia esercitato un potere discrezionale attribuitogli dall’articolo 495 c.p.p. e come il difensore istante non abbia minimamente specificato le ragioni per le quali i testi non ammessi avrebbero potuto giovare alla posizione processuale del proprio assistito.
2.10. Con il settimo motivo il ricorrente si duole della la nullita’ della sentenza impugnata per totale incomprensibilita’ dei colloqui intercettati e dei verbali di udienza “in modalita’ di fonotrascrizioni”.
La Corte di appello aveva, peraltro, illogicamente disatteso le doglianze difensive svolte sul punto, ritenendo applicabile il concetto, del tutto generico, di “organicita’ e di comprensibilita’”.
2.11. Anche tale doglianza, a tacere della propria radicale indeterminatezza e, quindi, aspecificita’, esula dai limiti della cognizione attribuita alla Corte di legittimita’.
E’, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduca, come nella specie, soltanto il vizio di insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 46308 del 12/07/2012, Chabchoub, Rv. 253945) e non gia’ come prescrive l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza, la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della stessa.
Nei motivi di ricorso per cassazione, non sono, infatti, deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 31/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Micchiche’, Rv. 262948).
2.12. I successivi cinque motivi possono essere de (OMISSIS)ati congiuntamente, in quanto rivelano una comune matrice concettuale.
Con tali motivi il ricorrente lamenta:
– la contraddittorieta’ e la manifesta illogicita’ della motivazione per travisamento ed illogicita’ del giudizio di attendibilita’ del teste (OMISSIS), che in dibattimento aveva riconosciuto la voce di (OMISSIS), in quanto fondato su argomenti meramente congetturali ed in quanto non era vero che il teste avesse in precedenza conosciuto l’imputato;
– la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, per illogicita’ della motivazione e per travisamento della prova in ordine al fatto che il mancato pagamento del corrispettivo dei servizi fruiti presso il (OMISSIS) costituisse il prezzo della corruzione per la rivelazione di notizie riservate, in quanto nessuna attivita’ di meretricio si svolgeva all’interno di tale locale;
– la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, per illogicita’ della motivazione e per travisamento della prova, in quanto la frequentazione del (OMISSIS) del locale Tortura non era assidua ma solo occasionale come emergeva da numerose testimonianze richiamate; parimenti era falso che i fratelli (OMISSIS) avessero stretti rapporti con il (OMISSIS), al quale concedevano l’uso gratuito dei servizi offerti dal night club per ottenere notizie riservate;
– la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, per illogicita’ della motivazione e travisamento della prova per insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 319 c.p.p., in quanto le ragazze svolgevano all’interno del (OMISSIS) l’attivita’ di ballerine e di figuranti di sala;
– la nullita’ assoluta della sentenza per difetto assoluto di motivazione, per illogicita’ della motivazione e travisamento della prova per insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 319 c.p.p., in quanto in occasione del servizio delle forze dell’ordine del 17 marzo 2005, nessuna notizia era stata fornita o richiesta al (OMISSIS) dai fratelli (OMISSIS) e, pertanto, gli argomenti della sentenza impugnata erano meramente congetturali.
2.13. Tali doglianze si rivelano, tuttavia, inammissibili, in quanto, pur censurando formalmente asserite illogicita’ o carenze della motivazione della sentenza impugnata, si risolvono in una sollecitazione rivolta alla Corte di legittimita’ a pervenire ad una diversa e piu’ favorevole interpretazione degli elementi probatori analiticamente contestati.
Il ricorrente, infatti, nel censurare il vizio di motivazione, si limita, invero, a parcellizzare i singoli elementi indiziari evidenziati nella sentenza impugnata ed a contestarne la rilevanza probatoria in fatto, sino a chiedere la propria “assoluzione” in sede di legittimita’ per assenza del dolo.
Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dai ricorrenti come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis: Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).
Nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, inoltre, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 4, n. 5615, del 13/11/2013, Nicoli, Rcv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi, Rv. 258438).
Nella specie, peraltro, il compendio dichiarativo richiamato dalla Corte di Appello nella propria motivazione e’ il medesimo di quello delibato dal giudice dibattimentale in primo grado e, pertanto, la censura deve essere ritenuta inammissibile anche sotto tale profilo.
2.14. Con l’ultimo motivo il (OMISSIS) lamenta la inosservanza della legge penale e di “norme processuali” in ordine alla valutazione della pena, in quanto la Corte di appello, nel disattendere il motivo svolto sul punto, non aveva tenuto conto della incensuratezza dell’imputato, che avrebbe dovuto determinare la concessione delle attenuanti generiche, dei benefici di legge e la determinazione della pena nel minimo edittale.
Non era, inoltre, stato provato che il (OMISSIS) avesse piegato le proprie funzioni agli interessi dei fratelli (OMISSIS), avendo l’imputato sempre svolto in modo corretto il proprio servizio.
2.15. Anche tali censure si rivelano inammissibili.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previste per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra, infatti, nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex plurimis: Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv 259142).
Nella specie la Corte di appello dell’Aquila ha congruamente disatteso il motivo di appello inteso ad ottenere la riduzione della pena irrogata in primo grado e la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo subvalente la incensuratezza dell’imputato rispetto alla gravita’ della condotta, consistita nell’aver asservito la propria funzione pubblica per garantire, a fine di lucro, la operativita’ di un sodalizio organizzato per perpetrare delitti di sfruttamento e di favoreggiamento della prostituzione.
Ritiene, pertanto, il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata sia immune dalle censure svolte dal ricorrente, peraltro intese inammissibilmente a sollecitare, una rinnovata valutazione di merito in sede di legittimita’.
3. L’avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS), (OMISSIS) e del (OMISSIS), ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo nell’epigrafe dell’atto di impugnazione, sei motivi di ricorso cosi’ di seguito testualmente indicati:
“Art. 606 c.p.p., lettera B, nella specie:
– inosservanza e/o erronea applicazione della L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, n. 8 nonche’ dell’articolo 4, n. 7 della stessa legge;
– inosservanza e/o erronea applicazione degli articoli 15, 81 e 110 c.p.;
– inosservanza e/o erronea applicazione della pena in relazione all’articolo 62-bis e 133 c.p.;
– inosservanza della legge penale in relazione alla mancata applicazione dell’articolo 157 c.p.;
Art. 606 c.p.p., lettera C, nella specie:
– inosservanza e/o erronea applicazione dell’articolo 512 Cost. e articolo 111 Cost., commi 3 e 4, articolo 6 CEDU, con riferimento alla illegittima acquisizione ed alla conseguente utilizzazione processuale del verbale SIT di (OMISSIS) del 31/7/2006;
Art. 606 c.p.p., lettera E, nella specie:
– mancanza, contraddittorieta’, manifesta illogicita’ della motivazione e travisamento della prova e dei fatti poiche’ i vizi risultano dal testo del provvedimento impugnato, dalla enunciazione dei fatti con l’atto di appello, dichiaratamente espositivi delle prove acquisite, dei verbali dell’istruttoria dibattimentale nelle parti richiamate, come indicati nei motivi di gravame”.
Di seguito, nelle successive settanta pagine, il ricorrente, senza alcuna soluzione di continuita’ e senza articolare specifici motivi nella trama argomentativa del proprio atto di impugnazione, ha ribadito integralmente la propria versione difensiva.
Nel contesto di una argomentazione unitaria e fondata su estesissimi rinvii alle risultanze dibattimentali argomentano i ricorrenti che la sentenza impugnata era, infatti, errata, in quanto non vi era prova che le figuranti di sala avessero esercitato il meretricio; errata era, inoltre, la ritenuta falsita’ dei contratti di assunzione, in quanto le ragazze svolgevano il lavoro di ballerine.
Il (OMISSIS) era, infatti, un semplice esercizio commerciale per intrattenimento. Tutti i testi escussi, sia quelli del Pubblico Ministero che quelli della difesa, avevano, peraltro, escluso lo svolgimento di attivita’ di meretricio in loco ed avevano riferito che le prestazioni sessuali erano estranee al sinallagma contrattuale.
La irreperibilita’ della parte lesa (OMISSIS) era, inoltre, ampiamente prevedibile in ragione della sua nazionalita’, della limitazione nel tempo del suo permesso di soggiorno, della chiusura, per effetto del sequestro preventivo, del locale. Non vi era, inoltre, prova che la (OMISSIS) fosse stata adeguatamente ricercata anche a livello internazionale.
Erroneamente, da ultimo, la Corte di appello non aveva ridotto la pena, pur a fronte di episodi di scarso rilievo e di inesistenza del danno.
3.1. Tali censure e, comunque, tutte le censure svolte nel ricorso si rivelano, tuttavia, inammissibili in quanto, per come sono state articolate, esulano integralmente dall’ambito di cognizione della Corte di legittimita’.
I ricorsi si risolvono, infatti, in una unitaria trattazione, priva di soluzione di continuita’ e della enucleazione nel suo sviluppo argomentativo di motivi, se non per la ellittica indicazione degli stessi operata in epigrafe.
Le censure articolate sono fondate, inoltre, su una estesissima riproposizione delle medesime doglianze svolte innanzi alla Corte di appello, senza formulare doglianze riconducibili ai motivi tassativamente delineati dall’articolo 606 c.p.p..
L’intera trama argomentativa del ricorso, mediante una analitica disamina degli esiti delle prove testimoniali assunte in dibattimento, e’, inoltre, diretta a contestare in fatto la motivazione della sentenza impugnata, dimostrando non gia’ la illogicita’ degli esiti probatori cui la Corte di appello era pervenuta, bensi’ la erroneita’ (in fatto) degli stessi.
Anche i tratti della esposizione che paiono adombrare i temi della violazione di legge si esauriscono, invero, nella riproposizione delle tesi difensive proposte nell’atto di appello unite a generiche espressioni di dissenso per la decisione impugnata.
I ricorsi di (OMISSIS), di (OMISSIS) e di (OMISSIS) sono, pertanto, inammissibilmente intesi a sollecitare una inammissibile incursione della Corte di legittimita’ nella valutazione della prova ed a pervenire ad un rinnovato esame del trattamento sanzionatorio degli imputati.
4. Alla stregua di tali rilievi i ricorsi devono, pertanto, essere dichiarati inammissibile.
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtu’ delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, deve, altresi’, disporsi che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di duemila Euro, in favore della cassa delle ammende.
La cancelleria e’ tenuta alle comunicazioni di cui all’articolo 154-ter disp. att. c.p.p. in relazione al ricorrente (OMISSIS), essendo il medesimo un lavoratore dipendente di una amministrazione pubblica.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria di eseguire le comunicazioni di cui all’articolo 154-ter disp. att. c.p.p. in relazione a (OMISSIS).

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