Non utilizzabili le intercettazioni durate per 40 giorni se il reato non rientra nella fattispecie di tipo associativo.

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 4 maggio 2018, n. 19528.

Non utilizzabili le intercettazioni durate per 40 giorni se il reato non rientra nella fattispecie di tipo associativo.

Sentenza 4 maggio 2018, n. 19528
Data udienza 15 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPOZZI Angelo – Presidente

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 09/10/2017 del Tribunale di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RICCIARELLI Massimo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha insistito nel ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12/12/2016 il G.I.P. del Tribunale di Palermo ha respinto, per difetto di esigenze cautelari, la richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari formulata nei confronti di (OMISSIS), in relazione al reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, avente ad oggetto l’attribuzione fittizia al predetto, da parte di (OMISSIS), con il concorso di (OMISSIS), della titolarita’ di beni, in particolare la somma di Euro 1.793.204,00, monili ed Euro 90.000,00, questi ultimi rinvenuti in una cassetta di sicurezza), al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale, anche in seguito a sequestro di beni disposto con decreto del 20/5/2013.
Il Tribunale di Palermo, in sede di appello cautelare, con ordinanza del 6/3/2017, ha applicato alla predetta la misura degli arresti domiciliari, ravvisando anche le esigenze cautelari.
Con sentenze del 27/6/2017 la Corte di cassazione, Sezione seconda, ha annullato l’ordinanza emesse dal Tribunale, con rinvio ai fini dell’esame della questione della concreta procedibilita’ del reato ipotizzato in relazione all’articolo 6 c.p., comma 2, e articolo 9 cod. pen..
Con ordinanza del 9/10/2017 il Tribunale di Palermo, in sede di rinvio, ha nuovamente accolto l’appello del P.M., applicando al Quintas Casellas la misura cautelare degli arresti domiciliari, rilevando che il reato avrebbe dovuto reputarsi commesso almeno per un’iniziale frazione in Italia e che era ravvisabile l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa.
2. Ha presentato ricorso il (OMISSIS).
2.1. Primo motivo: violazione dell’articolo 627 c.p.p., comma 3, in relazione all’articolo 6 c.p., comma 2, e articolo 9 c.p., commi 1 e 2 e articolo 273 cod. proc. pen..
Il Tribunale non aveva proceduto all’accertamento indicato dalla Corte di cassazione in ordine al luogo in cui erano avvenute le operazioni di smobilizzo dei cespiti, antecedenti alla loro immissione nei conti correnti spagnoli, fermo restando che risultava chiaro che tali operazioni si erano svolte all’estero.
Inoltre il Tribunale aveva ritenuto che la condotta fosse comunque avvenuta in parte in Italia, dando rilievo a conversazioni intercettate, nel corso delle quali (OMISSIS), parlando con altra persona, aveva fatto menzione dei contatti con due legali in merito al fatto che le somme detenute in (OMISSIS) fossero o meno libere e dunque rimaste nella sua disponibilita’.
Ma in tal modo non erano stati individuati comportamenti radicati in territorio italiano, costituenti parte dell’azione o dell’omissione, intesa come modificazione del mondo esterno e parte iniziale della condotta: inoltre non era risultato che la (OMISSIS), nel momento della richiesta, avesse la volonta’ di trasferire a terzi le somme possedute all’estero, ben potendo intendere di disporre delle somme per scopi personali o di trasferirle fuori del territorio spagnolo in conti correnti a lei intestati.
Non era dunque dato evincere ne’ che in Italia fosse sorto un accordo criminoso ne’ che la figlia (OMISSIS) avrebbe provveduto a trasferire ad altri le somme di sua proprieta’ ne’ infine che l’intestatario fittizio fosse stato individuato.
2.2. Secondo motivo: violazione di legge in relazione all’articolo 267 c.p.p., comma 3 e articolo 271 c.p.p., comma 1.
Le conversazioni utilizzate erano state captate in forza di decreto urgente del P.M. emesso in relazione al reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, avuto riguardo alla ontologica natura del fatto quale delitto di durata o comunque alla connessione con delitti di criminalita’ organizzata.
Il decreto era stato emesso per la durata di giorni 40 ai sensi del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, e poi il G.I.P. aveva proceduto alla convalida su tali basi.
Ma in realta’ non avrebbe potuto ravvisarsi un delitto di criminalita’ organizzata, cosicche’ non avrebbe potuto ritenersi legittima una durata di giorni 40, essendo al piu’ utilizzabili le conversazioni captate fino al quindicesimo giorno dall’inizio delle captazioni, tra le quale non rientrava nessuna delle conversazioni valorizzate.
2.3. Terzo motivo: vizio di motivazione in relazione all’articolo 274 c.p.p., articolo 292 c.p.p., comma 2 e L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies.
Per la parte dell’ordinanza impugnata che aveva richiamato sul punto delle esigenze cautelari l’originaria ordinanza del Tribunale, la ricorrente reitera le medesime censure a suo tempo formulate con ricorso per cassazione, ribadendo che: il Tribunale non aveva esaminato distintamente la concretezza e l’attualita’ del pericolo; era comunque incorso in travisamento della prova in quanto in sede di sequestro di prevenzione il Tribunale non aveva prospettato occultamento o dispersione dei beni, e successivamente, una volta individuati beni ulteriori per valore superiore a quello per cui era stato disposto sequestro per equivalente, aveva proceduto a sequestro Decreto Legislativo n. 159 del 2011, ex articoli 20 e 24; ulteriore travisamento aveva riguardato la relazione dei periti in sede di prevenzione, posto che gli stessi avevano tenuto in considerazione le somme di denaro e i beni immobili posseduti dalle proposte ed erano pervenuti all’individuazione di quelli non ancora sequestrati sulla scorta delle dichiarazioni dei redditi delle stesse, e che inoltre l’A.G. non aveva ritenuto di dover disporre il sequestro di quanto poi individuato, pur avendone la possibilita’, elementi che smentivano il pericolo di occultamento di ulteriori beni non individuati; le proposte non avevano mai occultato alcunche’ ma indicato nelle dichiarazioni dei redditi quanto posseduto in Italia e all’estero, non essendo ad esse addebitabile il mancato sequestro di ulteriori beni rinvenuti; la motivazione era carente in merito alla valutazione della personalita’ dei soggetti sottoposti alle indagini; illogica era la valutazione dell’attualita’ del pericolo, posto che le intestazioni fittizie risalivano al 2013 e che il tempo trascorso era inconciliabile con l’attualita’ del pericolo di reiterazione, neppure potendosi attribuire rilievo alla pretesa volonta’ dell’indagata di sottrarre beni derivati dalla vendita del (OMISSIS), smentita da comportamenti concreti successivi al 2013.
Con riguardo all’ulteriore parte della motivazione espressa in tema di esigenze cautelari dall’ordinanza impugnata la ricorrente rileva che il Tribunale non aveva compiuto autonoma valutazione della concretezza e dell’attualita’ e ancora una volta aveva omesso di valutare l’indice rivelatore costituito dalla personalita’.
Sebbene le intestazioni fittizie risalissero al 2013, il Tribunale non aveva tenuto conto del lasso di tempo intercorso e della mancanza di ulteriori atti distrattivi, sebbene nel maggio 2016 i periti avessero depositato relazione in cui erano indicati ulteriori cespiti e beni.
Illogicamente il Tribunale aveva valutato una delle conversazioni captate, riguardante il possesso delle “altre cose”, cio’ che avrebbe dovuto valutarsi alla luce della parte restante della conversazione e dell’ulteriore conversazione del 28 maggio 2016, riferita ai beni poi sequestrati e a quelli individuati dai periti ma non sequestrati.
Inoltre le stesse conversazioni valevano a dar conto che il trasferimento di parte del denaro era stato un episodio isolato.
Era apodittica l’affermazione che l’apertura di cassetta di sicurezza intestata al (OMISSIS) costituisse dato significativo dell’attuale e concreto rischio di reiterazione delittuosa, anche in relazione a condotte integranti i delitti di riciclaggio o autoriciclaggio, in quanto per i gioielli si sarebbe potuto parlare di custodia realizzata con quella modalita’ nell’ambito della gestione dei beni familiari e per la somma, peraltro modesta, si sarebbe potuto ravvisare un post factum non punibile rispetto alla provenienza di essa dai conti spagnoli.
Peraltro i Giudici avevano omesso di dar conto dell’effettivita’ del pericolo sulla base di dati indicativi recenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato in relazione al secondo motivo, derivandone conseguenze decisive ai fini della procedibilita’ del reato.
2. La sentenza di annullamento della precedente ordinanza aveva segnalato la necessita’ che in sede di rinvio fosse indicato se le operazioni di smobilitazione dei cespiti della ricorrente, antecedenti alla loro immissione nei conti correnti spagnoli, fossero avvenute in Italia, potendosi solo in questo caso o in presenza di altri comportamenti radicati in territorio italiano ritenere qui avvenuta una parte della condotta contestata agli effetti dell’articolo 6 c.p., comma 2.
Il Tribunale con l’ordinanza in questa sede impugnata non ha fondato il proprio giudizio sul rilievo che le operazioni di smobilitazione fossero avvenute in Italia, non avendo sul punto contrapposto elementi specifici alla deduzione difensiva secondo cui si era trattato di operazioni interamente eseguite all’estero, ma ha ritenuto di poter dar conto di altri comportamenti, tenuti in Italia, riconducibili all’ideazione del piano delittuoso (sulla scorta di principio affermato da Cass. Sez. 2, n. 46665 del 20/9/2011, Illiano, rv. 252053).
A tal fine ha valorizzato, quale unico elemento disponibile, le conversazioni intercettate sulla base del decreto emesso in via d’urgenza dal P.M. della D.D.A. di Palermo in data 1/8/2016, eseguito a partire dallo stesso giorno e convalidato dal G.I.P in data 3/8/2016, decreto fondato sulla sussistenza di gravi indizi del reato di cui alla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies, a fronte della natura di delitto di durata del fatto per cui si procede o comunque della sua ritenuta connessione con delitti di criminalita’ organizzata.
Il decreto e’ stato in particolare ricondotto alla disciplina di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, dettato per i delitti di criminalita’ organizzata, cosicche’ la durata delle operazioni di captazione e’ stata fissata in giorni 40.
Il decreto di convalida del G.I.P. risulta riflettere pedissequamente tale impostazione, senza indicazioni aggiuntive.
3. Senonche’ il ricorrente ha prospettato come tutte le conversazioni rilevanti ai fini della decisione fossero intercorse dopo il quindicesimo giorno dall’attivazione delle operazioni di captazione e, in ragione di cio’, ha eccepito l’inutilizzabilita’ di dette conversazioni, in quanto nel caso di specie non si sarebbe potuto parlare di delitto di criminalita’ organizzata, cosicche’ la durata delle operazioni non avrebbe potuto superare il termine ordinario di 15 giorni.
Va al riguardo osservato che “in tema di intercettazioni di comunicazioni, qualora in sede di legittimita’ venga eccepita l’inutilizzabilita’ dei relativi risultati, e’ onere della parte, a pena di inammissibilita’ del motivo per genericita’, indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato e la rilevanza degli elementi probatori desumibili dalle conversazioni, posto che l’omissione di tali indicazioni incide sula valutazione della concretezza dell’interesse ad impugnare” (Cass. Sez. U. n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, rv. 243416; Cass. Sez. 6, n. 13213 del 15/3/2016, Giorgini, rv. 266774).
D’altro canto, coerentemente con tale arresto, si e’ sottolineato che in caso di dedotta inutilizzabilita’ degli esiti delle operazioni captative, correlate al tipo di giustificazione contenuta nei decreti di autorizzazione o di proroga, costituisce onere della parte allegare i decreti medesimi, ove non trasmessi al Tribunale del riesame e non diversamente pervenuti alla Corte di cassazione (Cass. Sez. 1, n. 31046 del 21/9/2016, dep. nel 2017, Pio, rv. 270903).
A tale stregua si rileva che il motivo di ricorso risulta specificamente formulato, in quanto deduce con precisione gli elementi sui quali l’eccezione si fonda, da’ conto della rilevanza attribuita alle conversazioni intercorse dopo il 15 agosto e allega i provvedimenti autorizzativi che consentono di valutare compiutamente il tema dedotto.
4. Cio’ posto, deve ritenersi che l’eccezione sia fondata.
La nozione di “delitti di criminalita’ organizzata”, presa in considerazione dal Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13, convertito con modificazioni dalla L. n. 203 del 1991, aveva da tempo formato oggetto di esame ad altro fine da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione, che avevano sul punto rilevato che tale nozione “identifica non solo i reati di criminalita’ mafiosa e assimilata, oltre i delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche qualsiasi tipo di associazione per delinquere, ex articolo 416 cod. pen., correlata alle attivita’ criminose piu’ diverse, con l’esclusione del mero concorso di persone nel reato, nel quale manca il requisito dell’organizzazione” (Cass. Sez. U. n. 17706 del 22/3/2005, Petrarca, rv. 230895).
Piu’ di recente il tema e’ stato rivisitato funditus, in occasione dell’analisi del tema dell’ammissibilita’ di intercettazioni eseguite a mezzo di captatore informatico: in tale circostanza (Cass Sez. U. n. 26889 del 28/4/2016, Scurato, rv. 266906) si e’ affermato che ai fini dell’applicazione del Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 13 “per procedimenti relativi a delitti di criminalita’ organizzata devono intendersi quelli elencati nell’articolo 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, nonche’ quelli comunque facenti capo ad un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”.
E’ agevole osservare come, nel caso di specie, l’ipotesi di reato, sulla cui base sono state disposte le conversazioni intercettate e per la quale peraltro e’ stata chiesta la misura cautelare nei confronti della ricorrente, non rientra tra le fattispecie di tipo associativo, incentrate sulla sussistenza di un assetto organizzativo, o comunque tra quelle che possano dirsi riconducibili ai delitti elencati nell’articolo 51 c.p.p., commi 3-bis e 3-quater, al di la’ dell’apodittico, ma comunque inconferente riferimento, contenuto nel decreto d’urgenza emesso dal P.M., alla connessione con delitti di criminalita’ organizzata, che a ben guardare non trova riscontro nella contestazione, come formalizzata anche in occasione dell’esercizio dell’azione penale, non risultando che il ricorrente debba rispondere di reato di criminalita’ organizzata e non assumendo rilievo la possibilita’ di assoggettamento dei beni a confisca di prevenzione.
Su tali basi, non essendo applicabile l’articolo 13 d.l. 152 del 1991, deve ritenersi che non fosse possibile disporre operazioni di captazione per la durata di giorni 40, potendosi semmai ritenere utilizzabili le risultanze delle operazioni svoltesi nell’arco ordinario di 15 giorni: da cio’ discende l’inutilizzabilita’ delle conversazioni in concreto valorizzate dal Tribunale per giungere all’affermazione che parte della condotta, correlata alla fase dell’ideazione – come desunta esclusivamente sulla base dei colloqui telefonici, intercorsi dopo il 15 agosto 2016, che avevano coinvolto (OMISSIS) -, fosse avvenuta in Italia.
5. Deve a questo punto rilevarsi come, in assenza di elementi idonei a lumeggiare comportamenti specifici avvenuti in Italia, interferenti con la condotta di attribuzione di beni a (OMISSIS) -concretatasi in trasferimenti coinvolgenti istituti siti all’estero e che comunque il ricorrente ha prospettato come effettuati “estero su estero”, senza che il Tribunale, sollecitato dalla sentenza di annullamento con rinvio, abbia contrapposto alcunche’ -, non possa ravvisarsi il presupposto del compimento di almeno parte dell’azione in Italia agli effetti dell’articolo 6 c.p., comma 2.
Ne discende la mancanza di elementi in forza dei quali possano dirsi sussistenti tutte le condizioni di procedibilita’ di cui all’articolo 9 c.p., commi 1 e 2, (anche agli effetti del comma 2 deve ricorrere la condizione della presenza del colpevole nel territorio dello Stato: Cass. Sez. 2, n. 9093 del 8/3/1989, Trivellato, rv. 184696), non essendo comunque sufficiente la richiesta del Ministro della Giustizia e risultando la residenza all’estero del ricorrente.
Tale conclusione, rilevante agli effetti dell’articolo 273 c.p.p., comma 2, conduce all’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, potendosi ritenere assorbiti gli ulteriori motivi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

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