Le innovazioni normative degli aspetti civilistici dell’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale (articolo 186-bis della legge fallimentare 82/2012) non sono modificazioni della norma extrapenale integratrice del precetto sulla simulazione dei crediti, condotte distrattive ecc. (articolo 236)

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 3 settembre 2018, n. 39517.

La massima estrapolata:

Le innovazioni normative degli aspetti civilistici dell’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale (articolo 186-bis della legge fallimentare 82/2012) non sono modificazioni della norma extrapenale integratrice del precetto sulla simulazione dei crediti, condotte distrattive ecc. (articolo 236) che si applica anche in riferimento al concordato preventivo con continuità dell’attività di impresa.

Sentenza 3 settembre 2018, n. 39517

Data udienza 15 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. TUDINO A. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/02/2018 del TRIB. LIBERTA’ di BARI;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRINA TUDINO;
lette/sentite le conclusioni del PG FRANCESCO SALZANO;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto.
LA DIFESA INSISTE PER L’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO.

RITENUTO IN FATTO

1.Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Bari-Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della liberta’ personale ha rigettato l’impugnazione proposta da (OMISSIS) – indagato di plurimi fatti di bancarotta – avverso l’ordinanza del Gip del 29 gennaio 2018 che, per quanto in questa sede rileva, aveva applicato nei confronti dell’indagato la misura cautelare degli arresti domiciliari.
1.1. In estrema sintesi, la vicenda cautelare riguarda gravi e numerose operazioni dolose, sorrette da falsita’ del bilancio e infedelta’ patrimoniali e realizzate mediante condotte di sostanziale spoliazione, protrattesi sin dall’epoca della sua costituzione in seguito alla cessazione della gestione commissariale governativa, della (OMISSIS) s.r.l. (d’ora in poi (OMISSIS)), societa’ ex lege di gestione dei pubblici trasporti pugliesi, interamente partecipata dal Ministero delle infrastrutture. Indagini della magistratura ordinaria e contabile avevano determinato il Ministero alla nomina del Commissario straordinario in data 12 gennaio 2016 e, su richiesta di questi, l’ammissione della societa’ a concordato in continuita’.
I successivi accertamenti svolti avevano consentito di enucleare a carico di (OMISSIS) – gia’ commissario governativo e quindi legale rappresentante e amministratore unico di (OMISSIS) dal 1 gennaio 2001 al 24 novembre 2015 – gravi condotte di bancarotta societaria mediante falso in bilancio ed altre infedelta’ patrimoniali, bancarotta patrimoniale per dissipazione e distrazione, enucleando plurime operazioni dolose causative del dissesto.
Nel contesto della investigazioni, si era venuta a delineare la figura dell’avvocato (OMISSIS), a carico del quale venivano ravvisati gravi indizi ritenuti dal Gip nell’ordinanza impositiva concludenti di una forma di concorso, in qualita’ di extraneus e non gia’ di (co)amministratore di fatto, come ipotizzato dal PM – nelle plurime condotte oggetto di provvisoria incolpazione; ruolo derivantegli non solo dall’essere stato beneficiario di ingenti somme a titolo di compenso per onorari dovuti al predetto professionista in virtu’ di convenzioni stipulate con (OMISSIS) per consulenza legale, somme risultate abnormi tanto in riferimento all’effettiva attivita’ prestata che ai criteri di liquidazione, distratte dal patrimonio della societa’ (capo F con assorbimento del capo S), ma anche per aver operato una sorta di complessiva consulenza in favore del (OMISSIS), con enucleazione di un rilevante contributo causale anche in riferimento alle ulteriori imputazioni.
1.2. L’ordinanza impositiva del Gip che, in accoglimento della richiesta del PM, ha applicato a carico dell’indagato la misura coercitiva degli arresti domiciliari, e’ stata confermata dal tribunale del riesame che – decidendo sulla sussistenza delle condizioni cautelari all’esito della rinuncia del ricorrente ai motivi di impugnazione in punto di gravita’ indiziaria – ha ritenuto in concreto sussistente il pericolo attuale di recidiva, alla luce degli elementi dimostrativi copiosamente versati in atti ed ampiamente ripercorsi nell’ordinanza.
2. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso l’indagato, per mezzo del difensore, deducendo plurime censure.
2.1 Con il primo motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge penale per motivazione extra petita in relazione ai gravi indizi di colpevolezza, avendo il tribunale inosservato il divieto di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza, oggetto di esplicita rinuncia nell’udienza di riesame, ed ai quali e’ stata, invece, dedicata gran parte della motivazione. Censura, sotto il medesimo profilo, la surrettizia violazione della L. n. 47 del 2015, avendo il tribunale utilizzato l’ampia rassegna dedicata agli indizi di colpevolezza in termini di gravita’ per motivare la fondatezza dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato.
2.2. Con il secondo motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge penale e delle norme di cui si deve tener conto nella sua applicazione, nonche’ correlato vizio della motivazione, in riferimento all’articolo 223 L.fall. e L. n. 134 del 2012, articolo 186-bis per avere il tribunale applicato in via analogica la norma penale incriminatrice a fattispecie non prevista. Sulla questione, prospettata con il riesame, il tribunale ha rassegnato una motivazione carente ed illogica, ritenendo che il concordato in continuita’ costituisca mera modalita’ del concordato preventivo, mentre le disposizioni penali contenute nella legge fallimentare in riferimento alla procedura concordataria sono formulate in modo tassativo che, rimasta immutata la formulazione dell’articolo 236 I.f., non ne consente l’estensione in malam partem. Soluzione obbligata anche laddove si valorizzi la ratio e la disciplina del concordato in continuita’, finalizzato alla prosecuzione dell’attivita’ aziendale ed al quale e’ estraneo l’elemento dello stato di decozione, e che pertanto introduce un istituto del tutto diverso, sotto il profilo strutturale e funzionale, dalla procedura concordataria liquidativa.
2.3. Con il terzo motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge processuale e correlato vizio della motivazione, in riferimento ai parametri di giudizio di cui all’articolo 274 cod. proc. pen.. La valutazione di attualita’ e concretezza del pericolo di reiterazione del reato e’ stata illogicamente fondata sulla pretesa costante assistenza materiale prestata in favore dell’amministratore (OMISSIS), sull’ammontare dei profitti conseguiti, sul lasso temporale di durata della collaborazione, sull’esistenza di cospicui crediti per prestazioni professionali ancora insolute, con inferenza dalla gravita’ indiziaria del preteso pericolo. Di guisa che l’ordinanza impugnata e’ da un lato carente di adeguata motivazione, dall’altro omette di valutare la cessazione – sin dal 19 gennaio 2016 – di qualsivoglia rapporto professionale con (OMISSIS) e con i coindagati (OMISSIS) e (OMISSIS), anche questi ormai estranei alla societa’, nonche’ l’attuale commissariamento di (OMISSIS), illogicamente valorizzando la durata dei pregressi rapporti che avevano legato il professionista alla societa’. Con conseguente mancanza di indicatori di un concreto ed attuale pericolo di recidiva, anche considerando il dato cronologico dell’imputazione – anni 2007-2015 – ed il decorso di un apprezzabile lasso temporale dalla sua cessazione. Del tutto illogicamente e’ stata, inoltre, valorizzata la circostanza per cui l’indagato abbia legittimamente richiesto, per mezzo del difensore, il pagamento delle spettanze maturate per prestazioni professionali in favore di (OMISSIS), confermando invece ulteriormente tale circostanza la definitiva interruzione dei rapporti, mentre la condotta collaborativa dell’indagato nel corso delle indagini con i consulenti del pubblico ministero e’ stata in toto sottovalutata, potendo evincersi dalla costante presenza nello studio professionale del consulente (OMISSIS) “un controllo preventivo dell’operato dell’indagato rispetto al momento di applicazione della misura” ed avendo l’indagato chiesto di essere interrogato sin dall’agosto 2017. Cosi’ come non risulta apprezzata l’incensuratezza dell’indagato e la portata dissuasiva dello strepitus fori determinato dalla vicenda.
2.4. Con il quarto motivo, censura violazione e falsa applicazione della legge processuale e correlato vizio della motivazione, in riferimento ai parametri dei proporzionalita’ ed adeguatezza della misura ex articolo 275 cod. pen., avendo a riguardo il tribunale illogicamente valorizzato una condanna non definitiva, peraltro richiamando impropriamente principi declinati dalla giurisprudenza di legittimita’, e sottovalutato la compartecipazione, a titolo di concorso, dell’indagato ritenuta dal Gip, che ha escluso la qualificazione dello (OMISSIS) nel profilo dell’amministratore di fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. In riferimento al primo motivo di ricorso, con il quale si censura la valutazione della provvista indiziaria svolta dal tribunale pur a fronte della rinuncia all’impugnazione sul punto, va rilevato come, secondo il consolidato orientamento di legittimita’, il riesame di una misura cautelare personale e’ mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo e l’interessato non puo’, pertanto, limitare il potere di cognizione del tribunale ad uno solo dei presupposti della misura (nel caso di specie, le esigenze cautelari), precludendo con la rinunzia ai motivi l’esame dei gravi indizi.
2.1. Invero, in materia di impugnazioni contro provvedimenti de libertate, il tribunale della liberta’, investito in sede di riesame o di appello del tema relativo alla insussistenza della esigenza cautelare ritenuta nella ordinanza, ha il potere di confermare la misura cautelare anche per esigenze diverse da quelle poste alla base della sua applicazione (ex plurimis: Sez. 6, n. 26458 del 12/03/2014, Riva, Rv. 259976; Sez. 6, n.4294 del 10/12/2012, Scaccia, Rv. 254416, Sez. 5, n. 4446 del 05/12/2006, dep. 2007, Semeraro, Rv. 235687). Le condizioni cautelari rappresentano, infatti, un unitario compendio, sebbene declinato sotto i diversi profili previsti dall’articolo 274 cod. proc. pen., e la loro valutazione non puo’ che essere omnicomprensiva ed attenere alla globalita’ dei predetti profili, secondo la previsione dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, che consente al tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, ovvero di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento (Sez. 6, n. 2056 del 04/06/1999, Porkar, Rv. 214117).
2.2. Non viola, pertanto, il principio della domanda cautelare il giudice della cautela che ritenga sussistente un periculum libertatis diverso o ulteriore rispetto a quello indicato dal Pubblico Ministero richiedente (Sez. 3, n. 43731 del 08/09/2016, Borovikov, Rv. 267935, in motivazione, la S.C. ha escluso l’applicabilita’ alla materia del principio dettato dall’articolo 521 cod. proc. pen., in quanto il giudice cautelare, una volta investito della domanda, e’ funzionalmente competente ad esercitare i piu’ ampi poteri di valutazione degli indizi di colpevolezza e delle necessita’ cautelari, non essendo logico consentire che, in mancanza di una esigenza ma in presenza delle altre, l’imputato possa ledere gli interessi che la misura e’ preordinata a salvaguardare) (V. Sez. 5 Num. 13426 del 2018, Marseglia; Sez. 6 n. 18853 del 2018, Puro; Sez. 5 Num. 57783 Anno 2017 PM in proc. Gemellini).
2.3. Ne’ l’ampia rassegna della piattaforma indiziaria prospettata nell’ordinanza impugnata ha inteso risolvere nella mera gravita’ dei fatti la valutazione delle esigenze di cautela.
Invero, il nuovo testo dell’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di recidiva esclusivamente dalla gravita’ del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalita’ della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si e’ svolta restano concreti elementi di valutazione, imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (Sez. 5, Sentenza n.49038 del 14/06/2017, Silvestrin, Rv. 271522,: N. 45659 del 2015 Rv. 265168, N. 37839 del 2016 Rv. 267798); valutazione, nella specie, presidiata dall’apprezzamento di ulteriori indicatori di concreta ed attuale pericolosita’.
3. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura l’estensione in malam partem dell’articolo 236 L.fall. in relazione alla procedura concordataria di cui all’articolo 186-bis, introdotta con il Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012, non e’ fondato.
L’impugnazione pone la questione della applicabilita’ dell’articolo 236 L.fall. anche al concordato preventivo con continuita’ aziendale, in assenza di un esplicito richiamo normativo nella norma incriminatrice in seguito all’introduzione del predetto istituto.
3.1. Nell’affrontare il thema, va innanzitutto premesso e ribadito – in riferimento all’ambito applicativo della norma evocata – il costante insegnamento di questa Corte secondo cui le condotte distrattive poste in essere prima dell’ammissione al concordato preventivo rientrano nell’ambito previsionale dell’articolo 236, comma 2, n. 1), L.fall., il quale – in virtu’ dell’espresso richiamo del precedente articolo 223 della stessa legge – punisce i fatti di bancarotta previsti dall’articolo 216, commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di societa’ fallite (ex multis Sez. 5, Sentenza n.26444 del 28/05/2014, Denaro, Rv. 259849, Sez. 5, n. 16504 del 12 gennaio 2010, Antonelli, Rv. 247243). In tal senso, e’ irrilevante che la societa’ non sia stata dichiarata fallita, atteso che la norma incriminatrice richiamata estende la punibilita’ dei titolari di cariche sociali per le condotte di bancarotta commesse nella gestione di societa’ ammessa al concordato preventivo, ne’ rileva che i soggetti attivi abbiano eventualmente dismesso tali cariche al momento dell’apertura della procedura concorsuale, in linea con la volonta’ del legislatore di punire, in maniera autonoma, le condotte di bancarotta nelle diverse procedure concorsuali, al fine di evitare che gravi comportamenti verificatisi prima – ed anche in assenza – del fallimento restino impuniti (nello stesso senso Sez. 5, n. 12897 del 6 ottobre 1999, Tassan Din B., Rv. 214859 con riguardo a fatti commessi nell’ambito della allora vigente procedura di amministrazione controllata, la cui disciplina penale era pero’ accomunata dall’articolo 236 a quella del concordato preventivo). L’autonomia della fattispecie in esame rispetto alle diverse ipotesi di bancarotta contemplate dalla legge fallimentare, con le quali sostanzialmente condivide l’oggetto giuridico, si caratterizza per il particolare disvalore della modalita’ d’offesa selezionata dalla norma incriminatrice, individuato nella consumazione delle tradizionali condotte di bancarotta nell’ambito delle singole procedure concorsuali pre-fallimentari.
3.2. Nel quadro cosi’ delineato, va ulteriormente rilevato come la disciplina del concordato preventivo, introdotta dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, conv., con mod., con L. 14 maggio 2005, n. 80, avesse espressamente previsto la possibilita’, per l’imprenditore in stato di crisi, di proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che “puo’ prevedere la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie” (articolo 160 legge fall.). Tale norma e’ stata unanimemente interpretata nel senso che l’imprenditore potesse (anzi poteva, essendo, ad oggi, la situazione parzialmente mutata per effetto del Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) formulare ai creditori qualsiasi proposta idonea a risolvere lo stato di crisi e che l’approvazione della proposta fosse rimessa alla volonta’ dei creditori, restando in capo al tribunale fallimentare la funzione di assicurare il rispetto dei principi che regolano la materia concordataria, tra cui, principalmente, quello che ai creditori venga formulata una proposta chiara, sulla base di una veridica rappresentazione della situazione aziendale, e venga proposto un piano fattibile.
Nel quadro cosi’ delineato, per effetto del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 33, comma 1, lettera h), come modificato dalla Legge di conversione L. 7 agosto 2012, n. 134 – che ha introdotto nel corpo della legge fallimentare l’articolo 186-bis all’imprenditore e’ stata riconosciuta la facolta’ di presentare un piano che preveda “la prosecuzione dell’attivita’ di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o piu’ societa’, anche di nuova costituzione (c.d. NewCo)”, sulla base di criteri e valori determinati dal proponente e asseverati da un professionista abilitato.
Secondo l’unanime opinione della dottrina civilistica piu’ autorevole, l’articolo 186-bis non ha introdotto nella legge fallimentare un nuovo istituto concordatario, ma ha compiutamente disciplinato presupposti ed effetti di una procedura gia’ ricompresa nella pluralita’ di forme attraverso cui il concordato preventivo poteva gia’ essere declinato. Gia’ prima dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha convertito il c.d. decreto sviluppo (Decreto Legge 22 giugno 2012), avrebbe potuto considerarsi quale concordato con continuita’ aziendale (rectius: con continuita’ dell’attivita’ d’impresa) la procedura secondo cui, di fatto, proseguisse l’attivita’ imprenditoriale. Siffatta configurazione della procedura concordataria non era, invero, oggetto di autonoma disciplina differenziatrice rispetto alle altre forme c.d. liquidatorie, di guisa che “rilevare che l’attivita’ d’impresa non si era, ne’ si sarebbe, conclusa, finiva per avere, essenzialmente, una mera finalita’ descrittiva”.
L’intervento normativo citato ha, dunque, tipizzato e formalizzato una figura di concordato gia’ giuridicamente delineata e concretamente applicata nella prassi, attribuendole gli speciali benefici previsti sia dall’articolo 186-bis che, in parte, dall’articolo 182-quinquies L.fall.prevedendo, da un lato, l’inefficacia di preesistenti clausole contrattuali risolutive e la possibilita’ di proseguire i contratti con la PA o di partecipare a gare per la concessione di appalti pubblici e, dall’altro, la possibilita’ di autorizzazione al pagamento di crediti anteriori per prestazioni essenziali.
In estrema sintesi, la riforma non ha introdotto un nuovo istituto fallimentare, ma ne ha – solo – esplicitato i benefici, funzionali alla realizzazione dello scopo conservativo.
3.3. Siffatta ricostruzione esclude, all’evidenza, qualsivoglia incidenza della modifica normativa sul precetto penale e, dunque, un fenomeno di successione nel tempo di norme extrapenali, rilevante ex articolo 2 cod. pen..
Ed invero i principi che regolano l’incidenza sulla struttura del reato delle norme extrapenali sono stati progressivamente declinati dalla giurisprudenza di questa Corte, e le Sezioni Unite hanno definito i parametri ai quali fare, di volta in volta, riferimento, al fine di verificare se lo ius novum interferisca con la definizione del precetto o se si limiti, invece, a modificare la situazione di fatto a cui la norma incriminatrice si riferisce (Sez. U, Sentenza n.2451 del 27/09/2007 Ud. (dep. 16/01/2008) Rv. 238197, PG in procedimento Tragara).
Richiamando la necessita’ di una puntuale verifica della fattispecie incriminatrice astratta, in linea di continuita’ con il metodo delineato nella sentenza S. U. 26 marzo 2003, n. 25887, Giordano, la Corte ha rilevato come, ai fini della verifica dell’applicabilita’ dell’articolo 2 c.p.p., comma 2 non basti “riconoscere che oggi il fatto commesso dall’imputato non costituirebbe piu’ reato, ma occorre prendere in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga in collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia piu’ prevista come reato. In questo caso ci si trova in presenza di un’abolitio criminis parziale, analoga a quella che si verifica quando e’ la stessa disposizione penale ad essere modificata con l’esclusione di una porzione di fattispecie che prima ne faceva parte (…). La successione avvenuta tra norme extrapenali non incide invece sulla fattispecie astratta, ma comporta piu’ semplicemente un caso in cui, in concreto, il reato non e’ piu’ configurabile, quando rispetto alla norma incriminatrice la modificazione della norma extrapenale comporta solo una nuova e diversa situazione di fatto”.
Di guisa che solo nel primo caso si puo’ parlare di modificazioni mediate della norma incriminatrice, da trattare, alla stregua dell’articolo 2 cod. pen., come una successione di norme penali (V. Sez. V. Num. 26580 del 21 febbraio 2018, Lo Piccolo).
I principi richiamati, elaborati in thema di abolito criminis, costituiscono massime di orientamento anche nella soluzione della questione relativa alla qualificazione, in termini di estensione dell’incriminazione, di modifiche di norme extrapenali a seconda che incidano o meno sulla portata del precetto, delineandone il comando.
3.3. Nel caso in disamina, l’intervento normativo attuato mediante inserimento, nella legge fallimentare, dell’articolo 186-bis ha comportato la mera previsione, in dettaglio, di speciali benefici connessi all’istituto del concordato con continuita’ aziendale, invece strutturalmente gia’ previsto in quanto rientrante nel novero delle molteplici forme in cui la procedura concordataria poteva gia’ atteggiarsi, in presenza dei previsti requisiti.
Di guisa che lo ius novum e’ circoscritto alla sola triplice esplicazione della prosecuzione dell’attivita’ d’impresa, declinata “in modo legalmente tipico dall’articolo 186-bis”, e dai requisiti formali ivi previsti, ma non investe in alcun modo le coordinate essenziali dell’istituto, non dispiegando effetto alcuno sulla portata del precetto penale di cui all’articolo 236 L.fall..
In tal senso, il mancato richiamo all’articolo 186-bis nella norma incriminatrice appare del tutto in linea con la funzione e la struttura della predetta norma extrapenale, e non esprime, invece – come prospettato dal ricorrente – alcuna volonta’ del legislatore di escludere rilievo penale a gravi condotte consumate prima o mediante la procedura di concordato con continuita’ aziendale, apparendo del tutto irragionevole ritagliare una pretesa area di impunita’ in riferimento a condotte distrattive poste in essere prima dell’ammissione o nel corso del concordato preventivo, in qualunque declinazione l’istituto operi, rientrando le stesse nell’ambito previsionale dell’articolo 236, comma 2, n. 1) L.Fall. che, in virtu’ dell’espresso richiamo del precedente articolo 223 stessa legge, punisce i fatti di bancarotta previsti dall’articolo 216, commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di societa’ fallite.
Non vi e’, pertanto, alcuna giustificazione razionale nel pretendere un diverso regime penale rispetto ad una ipotesi di concordato che riposa sulle medesime condizioni delle ulteriori forme della stessa procedura, e che se ne distingue solo in ordine alla disciplina civilistica di dettaglio, funzionale alla continuita’ dell’attivita’ di impresa.
Ne’ a diversa soluzione interpretativa conduce la valorizzazione, nella procedura in disamina, dello scopo di continuita’ aziendale, in quanto la funzione conservativa costituisce il fine cui l’istituto tende, mentre la ratio dell’incriminazione di cui all’articolo 236 L.fall. fonda sulla causazione, mediante dolose operazioni distrattive, dello stato di crisi, che costituisce presupposto di ammissione alla procedura e configura pericolo concreto per le ragioni dei creditori, con conseguente irrilevanza, sul punto, della natura conservativa e non liquidatoria del concordato.
Deve, pertanto, affermarsi il principio di diritto per cui le innovazioni normative degli aspetti civilistici dell’istituto del concordato preventivo con continuita’ aziendale di cui all’articolo 186-bis L. Fall., introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, come modificato dalla Legge di conversione L. 7 agosto 2012, n. 134, non costituiscono modificazioni della norma extrapenale integratrice del precetto di cui all’articolo 236 medesima L.Fall., che trova applicazione anche in riferimento al concordato preventivo con continuita’ dell’attivita’ di impresa.
4. Sono infondati il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
4.1. Va premesso come, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari sia ammissibile soltanto ove denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicita’ della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, Sentenza n. 18795 del 02/03/2017 Cc. (dep. 18/04/2017) Rv. 269884). Va, altresi’, evidenziato come, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze di cautela, alla Corte Suprema spetti solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimita’ e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e di verificare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (sez. 4, n. 26992 del 29.5.2013, rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6.7.2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475). E, ancora di recente, e’ stato affermato che la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva e’ censurabile in sede di legittimita’ solo quando sia carente dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicita’ al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244).
4.2. Spetta, dunque, a questa Corte di legittimita’ il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita’ del quadro indiziario a carico dell’indagato e la sussistenza delle ragioni di cautela, scrutinando la congruenza della motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicita’, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, e’ consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese siano congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato, alla stregua di un requisito positivo – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda il provvedimento – e di altro negativo – assenza di illogicita’ evidenti, risultanti prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
4.3. Alla stregua dei principi enunciati, devesi rilevare come le censure introdotte nel ricorso in punto di valutazione dell’attualita’ del periculum e dell’adeguatezza della misura applicata e della relativa motivazione dell’adeguatezza non siano fondate.
In riferimento al pericolo di recidiva, il tribunale distrettuale ha fatto corretta applicazione dei principi declinati dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui “in tema di esigenze cautelari, il requisito dell’attualita’ del pericolo di reiterazione del reato, introdotto all’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera c), dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, impone la previsione, in termini di alta probabilita’, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie, e la relativa prognosi comporta la valutazione, attraverso la disamina della fattispecie concreta, della permanenza della situazione di fatto che ha reso possibile o, comunque, agevolato la commissione del delitto per il quale si procede, mentre, nelle ipotesi in cui tale preliminare valutazione sia preclusa, in ragione delle peculiarita’ del caso di specie, il giudizio sulla sussistenza dell’esigenza cautelare deve fondarsi su elementi concreti – e non congetturali – rivelatori di una continuita’ ed effettivita’ del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, e idonei a dar conto della continuita’ del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si e’ manifestata la potenzialita’ criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi dell’effettivita’ di un concreto ed attuale pericolo di reiterazione” (Sez. 5, Sentenza n.12618 del 18/01/2017, Cavaliere, Rv. 269533).
In tal senso, il tribunale ha valorizzato non solo la rilevanza del contributo prestato dall’indagato, nell’ampia latitudine cronologica delineata dalla provvisoria incolpazione, nella programmazione ed esecuzione della complessa condotta di sostanziale spoliazione derivante dal profilo professionale rivestito, bensi’ la complessiva competenza ed il know how dal medesimo acquisito, inferendo positivi indicatori di attuale pericolosita’ anche dalla condanna per fatti, caratterizzati dalla medesima oggettivita’ giuridica e relativi a diversa societa’, riportata dallo (OMISSIS).
Nella delineata prospettiva, l’elevato grado di conoscenza di meccanismi di dissimulazione di condotte sostanzialmente distrattive, paludate da apparente giustificazione sostanziale – rispetto al quale non dispiega rilievo attenuatore l’interruzione dei rapporti professionali con FES – appare circostanza idonea a fondare, con adeguato grado di attualita’ e concretezza, il pericolo di consumazione di reati che presentino “uguaglianza di natura” in relazione al bene tutelato ed alle modalita’ esecutive (Sez. 5, Sentenza n.52301 del 14/07/2016, Petroni, Rv. 268444).
4.4. Le censure introdotte nel ricorso in punto di motivazione dell’adeguatezza della misura cautelare in atto sono, parimenti, infondate.
Nel caso in esame, il tribunale distrettuale ha fatto corretta applicazione del principio della minor compressione possibile della liberta’ personale (V. Sez. U, Sentenza n.16085 del 31/03/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324), rappresentando un percorso giustificativo esente da evidenti profili di illogicita’.
Nell’ancorare il pericolo di recidiva agli indicatori enunciati rispetto ai quali e’ stato ritenuto recessivo lo status di incensuratezza, il tribunale ha – nel quadro di apprezzamento del rischio di reiterazione come nel caso di specie connotato razionalmente applicato il principio di proporzionalita’, al pari di quello di adeguatezza, come parametro di commisurazione della misura cautelare alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, avendo escluso l’idoneita’ di altre misure, meno afflittive, a contenere il pericolo di reiterazione del reato, in considerazione dello specifico atteggiarsi in concreto della condotta dell’indagato e del profilo di reiterabilita’ come sopra ricostruito, che effettivamente non appare idoneo ad essere contenuto attraverso prescrizioni non impeditive di contatti con terzi.
5. Al rigetto del ricorso consegue ex articolo 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *