La riforma del codice di rito penale (legge 103/2017) che non consente di proporre ricorso personalmente all’imputato senza il patrocinio di un difensore, ha valore generale

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 26 luglio 2018, n. 35750

La massima estrapolata:

La riforma del codice di rito penale (legge 103/2017) che non consente di proporre ricorso personalmente all’imputato senza il patrocinio di un difensore, ha valore generale e si applica a tutti i procedimenti penali compresi quelli di esecuzione e nei confronti di tutti gli interessati anche ai carcerati.

Sentenza 26 luglio 2018, n. 35750

Data udienza 15 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 24/11/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MONICA BONI.
lette/sentite le conclusioni del PG.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con ordinanza in data 24 novembre 2017 il Tribunale di sorveglianza di Roma rigettava il reclamo, proposto dal detenuto (OMISSIS), avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Roma del 7 agosto 2017, col quale era stato disposto il trattenimento del carteggio in partenza e destinato al detenuto (OMISSIS), anch’egli sottoposto al regime detentivo differenziato di cui all’articolo 41-bis ord. pen., costituito da copia della tesi di laurea redatto dallo stesso (OMISSIS).
2.L’imputato personalmente ha proposto ricorso per chiedere l’annullamento del provvedimento impugnato; solleva questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 613 c.p.p., comma 1, nella formulazione novellata dalla legge n. 103/2017 per contrasto con l’articolo 3 Cost. in relazione alla violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, nonche’ con l’articolo 24 Cost. per compromissione del diritto di difesa.
Inoltre, deduce violazione dell’articolo 18-ter ord. pen., poiche’ la tesi di laurea non puo’ equipararsi ad un libro, come riconosciuto in altro provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza di Sassari, che ha ammesso la possibilita’ di trasmettere ad altro detenuto libri e riviste nell’ambito dello stesso gruppo di socialita’.
3. La L. 23 giugno 2017, n. 103, entrata in vigore il 3 agosto 2017, con l’articolo 1, commi 54 e 63, nell’ambito delle modifiche apportate al sistema delle impugnazioni penali, e’ intervenuta sulle disposizioni rispettivamente dell’articolo 571 c.p.p., comma 1 e articolo 613 c.p.p., comma 1: quanto alla prima norma, al testo vigente ha premesso “Salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall’articolo 613, comma 1”, quanto alla seconda, ha eliminato le parole iniziali “salvo che la parte non vi provvede personalmente”, mantenendo inalterata la previsione per la quale il ricorso, le memorie ed i motivi nuovi devono essere sottoscritti da difensori abilitati all’esercizio del patrocinio presso la Corte di cassazione. Sul piano testuale l’intervento novellatore assume un significato chiaro ed inequivoco, perche’ esclude senza eccezioni di sorta la facolta’ per la parte che e’ imputata di proporre il ricorso senza il ministero di un difensore abilitato. Recependo indicazioni contenute in precedenti progetti di riforma, nella consapevolezza che il contenuto di elevato tecnicismo giuridico, richiedente il possesso di nozioni approfondite ed abilita’ espressiva nella formulazione dei motivi in coerenza col novero limitato delle censure proponibili ai sensi dell’articolo 606 c.p.p. per far valere specifici vizi di legittimita’ del provvedimento impugnato, mal si attaglia ad un atto redatto dalla parte senza l’assistenza di un professionista legale abilitato, persegue la finalita’ di disincentivare il numero di ricorsi indirizzati alla Suprema Corte e di impedire iniziative impugnatorie dilatorie e pretestuose. Statisticamente sono le impugnazioni personalmente proposte che sortiscono il maggior numero di dichiarazioni di inammissibilita’ per carenze deduttive e per l’improprio contenuto del ricorso. Tramite il perseguito obiettivo di contenere la sopravvenienza dei procedimenti e di impedire quelli piu’ di frequente dichiarati inammissibili, si e’ inteso creare le condizioni materiali per garantire un piu’ efficace e rapido sindacato di legittimita’ e per concentrare l’impegno della Corte Suprema nell’assolvimento ai propri compiti istituzionali di organo giudiziario, deputato alla nomofiliachia.
I lavori preparatori alla riforma svelano anche l’ulteriore intenzione del legislatore di impedire la prassi elusiva della disposizione, nonche’ le conseguenze in termini di sempre piu’ incrementato carico di lavoro della Corte di cassazione, che ammette i soli patrocinatori iscritti all’albo speciale dei cassazionisti a redigere il ricorso per cassazione, nei casi in cui l’imputato si avvalga di difensore non abilitato, ma sottoscriva personalmente l’atto d’impugnazione.
Gli obiettivi di semplificazione dell’intero sistema delle impugnazioni, di decongestione delle pendenze innanzi alla Corte di cassazione, di valorizzazione della sua funzione nomofilattica, quali principi ispiratori della L. n. 103 del 2017, anche laddove ha conferito delega al Governo per introdurre ulteriori modifiche alla disciplina dei mezzi d’impugnazione, sono stati segnalati da tutti i commentatori e riscontrati anche dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, rv. 268822, che, in riferimento all’allora disegno di legge, hanno interpretato il requisito della specificita’ dei motivi di appello in termini che poi hanno trovato positivo riconoscimento con la riformulazione dell’articolo 581 c.p.p., disposta con la riforma.
3.1 Prima dell’intervento novellatore che ha inciso sugli articoli 571 e 613 non si era mai dubitato dell’applicabilita’ della disciplina generale sulle impugnazioni, comprese le disposizioni di cui all’articolo 571 c.p.p. e quelle che regolano il procedimento camerale nel giudizio di legittimita’, anche ai ricorsi proposti per contestare provvedimenti adottati nella fase dell’esecuzione penale e nei procedimenti incidentali sulla liberta’ personale. Per i primi l’articolo 666 c.p.p., comma 6, mantenuto invariato anche dopo la riforma, prescrive “Il giudice decide con ordinanza. Questa e’ comunicata o notificata senza ritardo alle parti e ai difensori, che possono proporre ricorso per cassazione. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni sulle impugnazioni e quelle sul procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte di cassazione”, mentre l’articolo 311 c.p.p. prevede che la Corte di cassazione decida, osservando le forme previste dall’articolo 127 c.p.p.. La medesima affermazione di principio, che prevede uniformita’ di disciplina quanto ai soggetti legittimati ed alle modalita’ di proposizione del ricorso per cassazione, anche quando esperito per contestare provvedimenti giudiziali diversi dalla sentenza, mantiene immutata la sua validita’ anche dopo la riforma, nel cui ambito il ruolo assegnato all’articolo 613 c.p.p. e’ pero’ mutato. Da norma ricognitiva, dettata per il giudizio di legittimita’, della facolta’ riconosciuta piu’ in generale all’imputato all’articolo 571 c.p.p. di impugnare personalmente il provvedimento sfavorevole (Sez. U, n. 19 del 21/6/2000, Adragna, rv. 21636; Sez. U, n. 34535 del 27/6/2001, Petrantoni, rv. 219613; sez. 4, n. 121 del 14/12/2015, dep. 07/01/2016, De Nicola, rv. 265461; sez. 4, n. 3630 del 14/01/2016, Romano, rv. 265597) e’ divenuta disposizione derogatoria rispetto a quest’ultima, perche’ impone l’obbligo di sottoscrizione del ricorso, delle memorie e dei motivi nuovi soltanto da parte del difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione ed equipara l’imputato alle altre parti private nell’esenzione dalla facolta’ di ricorrere personalmente e nella necessita’ di conferire apposito mandato a legale abilitato.
E poiche’ nella sua formulazione non contiene previsioni differenti, dedicate ai procedimenti penali diversi da quello ordinario di cognizione, deve riconoscersi la sua applicabilita’ al ricorso per cassazione anche se proposto dall’interessato detenuto in espiazione di pena ed in merito ai benefici penitenziari. Al riguardo, nonostante l’urgenza di approntare in tempi ristretti l’atto d’impugnazione per proporlo tempestivamente nel rispetto del termine perentorio, la cui inosservanza e’ sanzionata a pena d’inammissibilita’, e l’intuibile difficolta’ di provvedervi per chi sia ristretto in carcere e debba subire limitazioni alla liberta’ di movimento e comunicazione con l’esterno, non si ravvisano argomenti, ne’ testuali, ne’ sistematici, per poter riconoscere una regolamentazione diversa da quella prevista in via generalizzata dal nuovo testo dell’articolo 613 c.p.p..
3.2La conclusione raggiunta, ad avviso del Collegio, non solleva problemi di armonizzazione con i precetti costituzionali, ne’ con quelli convenzionali.
3.2.1 La “ratio” ispiratrice della norma, individuabile nella razionalizzazione dell’intervento decisorio nella fase di legittimita’ e nella sua concentrazione ai casi che piu’ propriamente richiedano l’interpretazione nomofilattica della legge, cui e’ preposta la sola Corte di cassazione nell’ambito dell’ordinamento giudiziario, non e’ condizionata dalla natura del procedimento penale, poiche’ il rimedio e’ identico ed i poteri cognitivi della Corte non mutano, -salva qualche limitazione al catalogo dei motivi, talvolta circoscritti alla sola violazione di legge, oggetto di previsione espressa e testuale, contenuta nella legislazione speciale, ad esempio sulle misure di prevenzione, oppure nell’articolo 569 c.p.p. per il ricorso immediato per cassazione-, a prescindere dalla materia penale oggetto della pronuncia impugnata. Il legislatore, non irragionevolmente rispetto al fine perseguito, ha scelto di realizzarlo mediante l’introduzione di criteri di limitazione della legittimazione ad impugnare per cassazione in funzione dei requisiti soggettivi di preparazione, conoscenza giuridica ed esperienza professionale.
3.2.2 Ne’ si ravvisano profili di contrasto con il diritto di difesa e di azione in giudizio di cui all’articolo 24 Cost.: il diritto di accesso ai rimedi giurisdizionali non e’ assoluto, ne’ incomprimibile, ma puo’ essere differenziato per le fasi del processo e per le sue varie tipologie (Sez. U, n. 31461 del 27/06/2006, Passamani, non massimata sul punto; sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, rv. 257072) sino anche a subire restrizioni in considerazione delle caratteristiche specifiche delle impugnazioni e di esigenze di razionalita’ ed efficienza del sistema processuale e di contenimento entro limiti ragionevoli della durata del processo, per la cui regolamentazione e per la conformazione dei singoli istituti il legislatore fruisce di ampia discrezionalita’ col solo vincolo della non manifesta irragionevolezza delle scelte compiute (C. cost. n. 50/2010; n. 2217/2008; n. 379/2005; ord. n. 7/1997). Sulla base dei medesimi principi la giurisprudenza di questa Corte esclude sia ammessa l’autodifesa nel processo penale (sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, Mucci, rv. 268744; sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, rv. 256085; sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, Stara, rv. 239237).
E per quanto il sistema processuale penale all’articolo 569 c.p.p. ed all’articolo 111 Cost., comma 7, preveda il sindacato di legittimita’ sui provvedimenti che incidono sulla liberta’ personale e su tutte le sentenze emesse nei gradi di merito da giudici ordinari o speciali, tanto non equivale a riconoscere limitazioni all’adozione di scelte di politica legislativa, che deflazionino le sopravvenienze dei procedimenti e rendano piu’ efficiente il giudizio di legittimita’ mediante una piu’ restrittiva disciplina dei soggetti legittimati.
3.2.3 Non si ravvisano difficolta’ nemmeno sul piano della compatibilita’ convenzionale della nuova formulazione dell’articolo 613 c.p.p.. L’articolo 6, § 3, lettera c), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle liberta’ fondamentali ed anche il Patto internazionale relativo ai diritti civili o politici, all’articolo 14, comma 3, lettera d), stabiliscono il diritto dell’accusato di “difendersi da se’ o avere l’assistenza di un difensore di propria scelta”, riconoscendogli dunque anche la possibilita’ di autodifesa esclusiva senza l’assistenza di alcun difensore. Nell’interpretazione offerta, sia dalla Corte costituzionale (sent. n. 188 del 1980), che dalla Corte di cassazione (sez. 1, n. 7786/2008 citata; sez. 3, n. 19964 del 29/03/2007, Stara, rv. 236734; sez. 5, n. 2333 del 15/12/1988, dep. 15/02/1989, Grecchi, rv. 180523), le richiamate previsioni non assumono un significato cogente, ma piuttosto programmatico e di principio nell’assenza di precetti dettagliati che impongano modalita’ specifiche per il suo esercizio da osservarsi da parte della legislazione interna. Secondo la Consulta, “la Commissione stessa ha avuto occasione di affermare che il diritto all’autodifesa non e’ assoluto, ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare disposizioni concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali (ric. 722/60)” e che nei giudizi dinanzi ai giudici di ultima istanza “nulla si oppone ad una diversa disciplina purche’ emanata allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (ric. 727/60 e 722/60)”. Sulle medesime posizioni si registrano pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale ha interpretato la disposizione dell’articolo 6, § 3 lettera c), della Convenzione come norma di principio, che rimette agli Stati contraenti la scelta degli strumenti e delle modalita’ per consentire il diritto di autodifesa in modo tale da armonizzarsi con i caratteri propri del giusto processo (Corte EDU, sez. 3, 27/04/2006, Sannino c. Italia, § 48).
Ne’ si puo’ prospettare la violazione dell’articolo 2 del protocollo n. 7 della Convenzione EDU sotto il profilo della violazione della garanzia del doppio grado di giurisdizione: la giurisprudenza della predetta Corte sovranazionale riconosce agli Stati membri un ampio margine di determinare in via discrezionale le modalita’ di esercizio del diritto in questione (Corte EDU, sez. 4, 20/10/2015, Di Silvio c. Italia, § 50), sempre che gli istituti previsti siano in grado di garantire concretezza ed effettivita’ del rimedio. Al riguardo la condizione di detenuto ristretto in carcere non e’ in assoluto di ostacolo al mantenimento ed alla presa di contatto con un difensore cassazionista, che possa rappresentarlo e redigere per suo conto il ricorso in modo certamente piu’ appropriato e consapevole di quanto potrebbe fare lo stesso diretto interessato. Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto: “La riforma dell’articolo 571 c.p.p., comma 1, e dell’articolo 613 c.p.p., apportata dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, l’articolo 1, commi 54 e 63, entrata in vigore il 3 agosto 2017, laddove non consente all’imputato di proporre personalmente il ricorso per cassazione senza il patrocinio di un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, ha valore generale e si applica a tutti i procedimenti penali, anche a quelli di esecuzione e nei confronti di tutti gli interessati, anche ai condannati ristretti in espiazione di pena detentiva”.
La correttezza delle scelte esegetiche cosi’ esposte ha trovato autorevole avallo nella recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8914 del 21/12/2017, Aiello, non ancora massimata.
3.2.4 La considerazione del caso specifico in base ai principi suesposti induce a ritenere inammissibile ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera a), il ricorso, perche’ proposto personalmente da soggetto non legittimato avverso un provvedimento gia’ emesso nel vigore della nuova disciplina dettata dall’articolo 613 c.p.p..
Tale rilievo, per effetto della modifica apportata all’articolo 610 c.p.p., con l’inserimento del nuovo comma 5 bis, operato dalla L. n. 103 del 2017, abilita altresi’ questa Corte a pronunciare l’inammissibilita’ “de plano”.
Segue di diritto la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in Euro 2.000,00 ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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