Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 26 aprile 2018, n. 10137.
Le dimissioni del dipendente non possono da sole impedire l’avvio e la prosecuzione del procedimento disciplinare. Per questo la mancata attivazione di quest’ultimo produce, il diritto del dipendente al “ritorno alla situazione precedente” che però non può essere estesa al periodo di sospensione obbligatoria per custodia cautelare.
Sentenza 26 aprile 2018, n. 10137
Data udienza 10 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. TRIA Lucia – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26021-2012 proposto da:
(OMISSIS), C.F. (OMISSIS) domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), quale successore ex lege dell’INPDAP, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1151/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/10/2012 R.G.N. 782/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2018 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di Appello di Milano ha respinto l’appello di (OMISSIS) avverso la sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato il ricorso proposto nei confronti dell’I.N.P.D.A.P., al quale era subentrato in corso di causa l’I.N.P.S., successore a titolo universale Decreto Legge n. 201 del 2011, ex articolo 21. Il ricorrente, dipendente del Ministero dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca collocato a riposo per raggiunti limiti di eta’ il 31.8.2008, aveva domandato la condanna dell’istituto al pagamento delle differenze sul trattamento di fine servizio, da quantificare tenendo conto del periodo di sospensione cautelare dal servizio (23 novembre 1977/30 settembre 1983) ed includendo nella base di calcolo il compenso percepito nell’anno scolastico 2007/2008 per le ore eccedenti l’orario d’obbligo.
2. La Corte territoriale, premesso che il (OMISSIS) si era dimesso il 10.9.1983 ed era stato riammesso in servizio dal settembre 1987 sino al pensionamento, ha rilevato che il periodo di sospensione cautelare non poteva essere considerato ai fini della quantificazione del trattamento di fine servizio, non essendo applicabile alla fattispecie Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 96, comma 2, che si riferisce alla diversa ipotesi del procedimento disciplinare avviato nei confronti di dipendente in servizio e conclusosi con il proscioglimento dell’incolpato o con la irrogazione di una sanzione di minore gravita’ rispetto alla sospensione sofferta. Ha aggiunto che l’appellante non poteva invocare il principio di diritto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2/2002, che aveva ritenuto il diritto alla restitutio in integrum anche nell’ipotesi di procedimento disciplinare mai attivato, perche’ lo stesso (OMISSIS), dimettendosi, aveva impedito l’avvio del procedimento.
3. Il giudice di appello ha, poi, evidenziato che secondo la giurisprudenza amministrativa ai fini del calcolo del trattamento pensionistico e di fine rapporto il compenso corrisposto per le ore eccedenti l’orario d’obbligo rileva qualora il docente sia stato titolare di una cattedra con orario istituzionalmente superiore a quello contemplato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974, articolo 88, comma 1, il che si verifica solo qualora si tratti di una prestazione ordinariamente e obbligatoriamente di durata superiore rispetto a quella normale. Impregiudicata ogni valutazione sull’applicabilita’ di detto principio anche all’impiego pubblico contrattualizzato, la Corte territoriale ha osservato che l’appellante non aveva dimostrato che le sei ore vacanti nella classe I E concorressero a determinare un insegnamento con orario di cattedra ordinariamente eccedente le 18 ore settimanali e non fossero state prestate per esigenze diverse, ad esempio per sostituire annualmente colleghi assenti.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria ex articolo 378 c.p.c., ai quali ha resistito con tempestivo controricorso l’I.N.P.S..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ed in particolare sulla circostanza della sostenuta impossibilita’ della p.a. di pronunciarsi sulla sanzione disciplinare a causa delle dimissioni del (OMISSIS)”. Rileva il ricorrente che l’amministrazione ben avrebbe potuto respingere le dimissioni, le quali, tra l’altro, non erano state causa dell’omesso avvio del procedimento disciplinare, in realta’ addebitabile all’inerzia del Ministero che, sebbene fosse gia’ scaduto il periodo massimo di sospensione cautelare previsto dalla L. n. 19 del 1990, articolo 9, comma 2, non aveva neppure accertato se nel frattempo fosse intervenuto il giudicato penale.
2. La seconda critica addebita alla sentenza impugnata il vizio motivazionale, perche’ del tutto erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto non provata la stabilita’ della cattedra di 23 ore, sebbene nel cedolino stipendiale del mese di luglio 2008 fosse stato chiaramente indicato che il compenso per le ore eccedenti veniva corrisposto ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 209 del 1987, articolo 6.
Poiche’ detta norma disciplina, da un lato, la sostituzione occasionale e, dall’altro, la prestazione del servizio su cattedre con orario settimanale superiore a 18 ore, non puo’ nutrirsi alcun dubbio sulla stabilita’ dell’incarico, visto che risulta documentalmente provato il conferimento da parte del dirigente scolastico dell’insegnamento nella classe la E per 5 ore ulteriori rispetto alla cattedra ordinaria.
3. Con il terzo motivo e’ denunciata la violazione ed errata applicazione della disciplina dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, perche’ gli effetti della sospensione cautelare dal servizio nell’ipotesi di omesso avvio del procedimento non possono che essere quelli previsti dal richiamato D.P.R., articoli 96 e 97, in caso di proscioglimento o di irrogazione di una sanzione di minore gravita’, quanto alla natura o alla durata, rispetto alla sospensione subita. Il ricorrente invoca i principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per sostenere che la sospensione, che ha natura cautelare, produce effetti solo se alla stessa fa seguito un provvedimento definitivo idoneo a giustificarla.
4. La quarta critica addebita alla sentenza impugnata la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973, articolo 38, e degli articoli 3, 36 e 38 Cost.. Premesso che la base stipendiale rilevante ai fini della determinazione del trattamento di fine servizio e’ costituita dall’ultimo stipendio percepito, il ricorrente evidenzia che il compenso per le ore eccedenti le 18 ore settimanali costituisce parte integrante del trattamento retributivo e va considerato ai fini del calcolo delle competenze di fine rapporto, senza che si possa piu’ distinguere, dopo la contrattualizzazione dell’impiego pubblico ed il conferimento di autonomia ai singoli istituti, fra ore eccedenti assegnate dal dirigente scolastico di anno in anno e ore di pertinenza di cattedra obbligatoriamente o istituzionalmente costituita con orario superiore.
5. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, che per la loro stretta connessione logico-giuridica, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
Risulta dalla sentenza impugnata che (OMISSIS), dipendente del Ministero dell’Istruzione, dell’Universita’ e della Ricerca dal 1 ottobre 1974, si e’ dimesso, con decorrenza da 1 ottobre 1983, dopo essere stato sospeso cautelarmente dal 23.11.1977 al 30.9.1983, ed e’ stato poi riammesso in servizio dal 1 settembre 1987 sino alla data di collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta’.
5.1. Decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, articolo 115, vigente all’epoca dei fatti e poi trasfuso nell’articolo 516 del Testo Unico approvato con Decreto Legislativo n. 297 del 1994, ricalcando l’analoga disposizione dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 132, comma 3, prevede che il personale docente della scuola riammesso in servizio debba assumere nel ruolo “la posizione giuridica ed economica che vi occupava all’atto della cessazione dal rapporto di servizio”.
A sua volta il Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, quanto alle modalita’ di liquidazione dell’indennita’ di buonuscita, stabilisce, agli articoli 3 e 14, che l’indennita’ deve essere commisurata agli anni di servizio effettivo ed all’articolo 4, aggiunge che, ove il dipendente statale venga riassunto, al momento della definitiva cessazione del rapporto ha diritto alla riliquidazione, da effettuarsi in relazione all’ultima base contributiva ed al servizio complessivamente prestato, purche’ di durata superiore a due anni continuativi.
5.2. La disciplina della sospensione cautelare, obbligatoria e facoltativa, e’ dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, articoli 91 e ss., applicabile al personale della scuola per effetto del rinvio contenuto nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974, articolo 107, poi trasfuso nel Testo Unico n. 297 del 1994, articolo 506.
Rilevano in questa sede gli articoli 96 e 97, con i quali il legislatore ha espressamente previsto che: a) se all’esito del procedimento disciplinare non viene irrogata alcuna sanzione o la sanzione inflitta e’ di minore gravita’ rispetto alla destituzione o alla sospensione della qualifica, all’impiegato devono essere corrisposti tutti gli assegni non percepiti, con la sola esclusione dei compensi per servizi di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario (articolo 96, comma 2); b) per la sospensione disposta in dipendenza del procedimento disciplinare l’assoluzione o il proscioglimento per insussistenza del fatto o perche’ l’impiegato non lo ha commesso comporta la revoca della sospensione e fa sorgere il diritto alla restitutio in integrum del dipendente prosciolto dalle accuse (articolo 97, comma 1); c) in caso di proscioglimento o di assoluzione con formule diverse da quelle sopra indicate il diritto alla piena reintegrazione puo’ essere escluso solo qualora venga attivato entro termini perentori il procedimento disciplinare e quest’ultimo si concluda con l’irrogazione della sanzione (articolo 97, commi da 2 a 5).
5.3. Questa Corte e’ stata piu’ volte chiamata a pronunciare sulla natura della sospensione cautelare (fra le piu’ recenti Cass. nn. 5147/2013, 15941/2013, 26287/2013, 13160/2015, 9304/2017) e, in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale, ha evidenziato che la sospensione, in quanto misura cautelare e interinale, “ha il carattere della provvisorieta’ e della rivedibilita’, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potra’ stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti” (Corte Cost. 6.2. 1973 n. 168).
Si e’ sottolineato in relazione alla sospensione facoltativa che la stessa e’ solo finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio della amministrazione di appartenenza, la quale, quindi, e’ tenuta a valutare se nel caso concreto la gravita’ delle condotte per le quali si procede giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato.
Ove l’amministrazione, valutati i contrapposti interessi in gioco, opti per la sospensione, in difetto di una diversa espressa previsione di legge o di contratto, opera il principio generale secondo cui ” quando la mancata prestazione dipenda dall’iniziativa del datore di lavoro grava su quest’ultimo soggetto l’alea conseguente all’accertamento della ragione che ha giustificato la sospensione ” (Corte Cost. n. 168/1973).
La verifica della effettiva sussistenza di ragioni idonee a giustificare l’immediato allontanamento e’ indissolubilmente legata all’esito del procedimento disciplinare, perche’ solo qualora quest’ultimo si concluda validamente con una sanzione di carattere espulsivo potra’ dirsi giustificata la scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto, in attesa dell’accertamento della responsabilita’ penale e disciplinare.
Sulla base di detti principi il diritto alla restitutio in integrum e’ stato riconosciuto, in fattispecie nelle quali venivano in rilevo discipline contrattuali di contenuto non dissimile dalle disposizioni del Decreto del Presidente della Repubblica citato, nell’ipotesi di annullamento della sanzione inflitta (Cass. n. 26287/2013), di mancata conclusione del procedimento disciplinare a causa del decesso del dipendente (Cass. n. 13160/2015), di irrogazione di una sanzione meno afflittiva rispetto alla sospensione cautelare sofferta (Cass. nn. 5147/2013 e 9304/2017).
5.4. Alle medesime conclusioni e’ pervenuta la giurisprudenza amministrativa nel suo massimo consesso (Cons. Stato Ad. Plen. 28.2.2002 n. 2) che, evidenziata la necessita’ di interpretare il Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articoli 96 e 97, alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale sulla natura della sospensione, ha ritenuto che in caso di omissione del procedimento disciplinare, la condanna penale, intervenuta nei confronti dell’impiegato, non e’ suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizio, disposta in corso di procedimento penale e stabilita dall’amministrazione in via discrezionale, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto.
Si e’ anche aggiunto che essendo la sospensione cautelare dal servizio adottata in base ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione (con eccezione della ipotesi della emissione del mandato o ordine di cattura nei confronti del dipendente) non e’ corretto ritenere la non imputabilita’ della interruzione del rapporto sinallagmatico all’Amministrazione medesima posto che e’ la stessa Amministrazione che valuta i presupposti per l’adozione della misura e ne determina i contenuti. Quando poi nella sede propria degli accertamenti definitivi emerga che la sospensione non era giustificata, in tutto o in parte, non puo’ essere addebitabile al dipendente la interruzione del rapporto di servizio ed il mancato adempimento della prestazione dovuta a tenore dell’articolo 1218 c.c., (Cons. Stato Ad.plen. 2.5.2002 n. 4).
5.5. In via conclusiva va ribadito, in continuita’ con la giurisprudenza citata, che, ogniqualvolta il procedimento disciplinare non venga portato a conclusione, pur in mancanza di una espressa previsione normativa o contrattuale, deve essere riconosciuto il diritto del dipendente alla restitutio in integrum che, pero’, non puo’ essere estesa anche ai periodi di sospensione obbligatoria disposta a seguito di custodia cautelare, perche’ in tal caso la perdita della retribuzione si riconnette ad un provvedimento necessitato dallo stato restrittivo della liberta’ personale del dipendente, e non, invece, ad un comportamento volontario ed unilateralmente assunto dal datore di lavoro pubblico, come nell’ipotesi di sospensione facoltativa in pendenza del procedimento penale o disciplinare (Cass. 10.10.2016 n. 20321).
5.6. Detti principi, condivisi dal Collegio, debbono trovare applicazione anche nella fattispecie, perche’ ha errato la Corte territoriale nell’affermarne la inapplicabilita’ nei casi in cui il rapporto sia cessato a seguito delle dimissioni presentate dal dipendente.
Al riguardo occorre innanzitutto evidenziare che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 118, prevede espressamente che “Qualora nel corso del procedimento disciplinare il rapporto d’impiego cessi anche per dimissioni volontarie o per collocamento a riposo a domanda, il procedimento stesso prosegue agli effetti dell’eventuale trattamento di quiescenza e previdenza “. Il successivo articolo 124, nel dettare la disciplina delle dimissioni, stabilisce, al comma 4, che le dimissioni possono essere rifiutate dall’amministrazione “quando sia in corso procedimento disciplinare a carico dell’impiegato” ed al comma 5, precisa che a tal fine il procedimento si intende pendente, anche in assenza di avvenuta contestazione degli addebiti, qualora l’impiegato sia stato sospeso in via cautelare dall’impiego.
Nell’interpretare dette disposizioni la giurisprudenza amministrativa ha condivisibilmente evidenziato che, poiche’ gli effetti prodottisi in virtu’ del provvedimento di sospensione cautelare sono per loro natura provvisori, non si puo’ verificare alcuna “cristallizzazione” della sospensione in conseguenza della cessazione dal servizio nel corso del procedimento penale. All’esito di quest’ultimo occorre comunque individuare un procedimento idoneo a costituire un titolo giuridico che sostituisca il provvedimento di sospensione cautelare, il quale, con la definizione del procedimento penale, e’ privato della sua causa tipica. Tale procedimento non puo’ che essere quello disciplinare, al cui esito – come si e’ detto – e’ strettamente correlata la sorte del periodo di sospensione cautelare. Dalla necessita’ che gli effetti interinalmente prodotti dalla sospensione cautelare trovino un assetto stabile e definitivo discende la conseguenza che, all’esito del procedimento penale, anche qualora il rapporto sia nel frattempo cessato per le dimissioni del dipendente, e’ rimesso all’Amministrazione di valutare se iniziare o meno il procedimento disciplinare (Cons. Stato 11.8.2015 n. 3919 e negli stessi termini Cons. Stato Ad. Plen. 6.3.1997 n. 8).
A conclusioni non dissimili e’ pervenuta questa Corte che, sia pure in relazione all’interpretazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 55 bis, comma 9, non applicabile alla fattispecie ratione temporis, ha ritenuto ammissibile l’avvio del procedimento disciplinare anche dopo le dimissioni presentate dal dipendente ed ha evidenziato che nell’impiego pubblico contrattualizzato, a differenza che nell’impiego privato, l’iniziativa disciplinare “postuma” si giustifica, oltre che per la necessita’ di regolare definitivamente gli effetti della sospensione cautelare, anche per l’interesse dell’amministrazione a vedere accertata la responsabilita’ al fine di impedire che il dipendente possa essere riammesso in servizio, partecipare a successivi concorsi pubblici, o far valere il rapporto di impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della p.a. (Cass. 24.8.2016 n. 17307).
Una volta escluso, sulla base delle disposizioni di legge e dei principi di diritto sopra richiamati, che le dimissioni del dipendente possano da sole impedire l’avvio o la prosecuzione del procedimento disciplinare, la mancata attivazione o definizione di quest’ultimo produce quanto alla restitutio in integrum le medesime conseguenze di cui si e’ detto nei punti che precedono.
5.7. La Corte territoriale, quindi, ha errato nell’interpretazione del quadro normativo, sia perche’ ha richiamato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 83, che si riferisce alla sanzione disciplinare della sospensione dalla qualifica e non alla sospensione cautelare, sia perche’ ha ritenuto che le dimissioni, nell’impedire l’avvio del procedimento, rendessero per cio’ solo definitivi gli effetti della misura provvisoria e cautelare.
6. Sono, invece, inammissibili il secondo ed il quarto motivo di ricorso, proposti avverso il capo della sentenza che ha respinto la domanda volta ad ottenere l’inclusione nella base di calcolo dell’indennita’ di buonuscita del compenso corrisposto in relazione alle ore di insegnamento eccedenti l’orario d’obbligo.
La Corte territoriale, infatti, pur richiamando l’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa (che aveva limitato la computabilita’ ai soli casi di prestazione unica, non frazionabile e obbligatoriamente fissata con orario superiore a quello di 18 ore settimanali), ha ritenuto non necessario pronunciare sull’estensibilita’ del principio anche all’impiego pubblico contrattualizzato, perche’ il ricorrente, sul quale gravava il relativo onere, non aveva dimostrato le ragioni per le quali l’insegnamento eccedente era stato prestato.
Il secondo motivo, che addebita alla sentenza impugnata “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, oltre ad essere formulato senza il necessario rispetto dell’onere di specificazione di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, perche’ non trascrive nel ricorso il contenuto del documento del quale sarebbe stata omessa la valutazione, non considera che la decisione gravata risulta depositata in cancelleria il 1 ottobre 2012 e che per le sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11 agosto 2012 ed in vigore, ex articolo 1 della stessa legge, dal giorno successivo alla pubblicazione) rileva, ai sensi del riformulato articolo 360 c.p.c., n. 5, solo l’omesso esame di un fatto decisivo che e’ stato oggetto di discussione fra le parti.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che ai fini dell’ammissibilita’ della censura il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ” deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.” (Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053).
Nel caso di specie il ricorrente si duole, non dell’omesso esame di un fatto decisivo, da intendersi nei termini sopra indicati, bensi’ della mancata valorizzazione di documenti che, a suo dire, consentivano di ritenere provata la natura dell’incarico e la sua stabilita’ e, quindi censura la valutazione espressa dal giudice di appello sulle risultanze di causa e sollecita inammissibilmente un giudizio di merito non consentito alla Corte di legittimita’.
6.1. Le considerazioni espresse nel quarto motivo sull’interpretazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973, sulla contrattualizzazione dell’impiego pubblico e sulla rilevanza dell’autonomia concessa dalla L. n. 59 del 1997, alle istituzioni scolastiche non colgono la ratio della decisione impugnata ed inoltre fanno leva su circostanze di fatto (disponibilita’ delle ore su organico di diritto e non su organico di fatto) ritenute indimostrate dalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto che il ricorrente non avesse provato le ragioni per le quali il dirigente scolastico gli aveva conferito l’insegnamento di sei ore eccedenti l’orario d’obbligo.
7. In via conclusiva vanno accolti il primo ed il terzo motivo e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimita’, procedera’ ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto che, sulla base delle considerazioni espresse ai punti da 5.1. a 5.7, di seguito si enunciano: a) la sospensione cautelare facoltativa disposta ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, in quanto misura cautelare e interinale, e’ per sua natura correlata alla definizione del procedimento disciplinare e diviene priva di titolo qualora all’esito del processo penale, anche se conclusosi con la condanna dell’imputato, il procedimento disciplinare non venga attivato o sfoci nella irrogazione di una sanzione meno afflittiva rispetto alla sospensione patita dal dipendente; b) in dette ipotesi il dipendente sospeso in via cautelare dal servizio ha diritto alla restitutio in integrum, che, invece, non compete in caso di sospensione obbligatoria conseguente a provvedimento restrittivo della liberta’ personale; c) le dimissioni del dipendente in pendenza di sospensione facoltativa dal servizio non sono idonee a cristallizzare gli effetti della disposta sospensione, sicche’ l’amministrazione e’ comunque tenuta ad attivare o a coltivare il procedimento disciplinare al fine di impedire che la sospensione stessa divenga priva di titolo, con conseguente diritto del dipendente alla restitutio in integrum.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il secondo ed il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.
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