Ai fini della conversione della pena in sanzioni pecuniarie non è necessaria una indagine sulla situazione economica del soggetto.

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 21 maggio 2018, n. 22458.

La massima estrapolata:

Ai fini della conversione della pena in sanzioni pecuniarie non è necessaria una indagine sulla situazione economica del soggetto.
In tema di decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, non è necessario, ai fini della quantificazione della pena sostituita, l’espletamento di specifiche e mirate attività di verifica sulle condizioni economiche del reo, specie quando il ragguaglio sia effettuato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge. Al pubblico ministero incombe, in proposito, solo un onere di allegazione di dati che consentano al giudice di esercitare la facoltà che la legge gli attribuisce di stabilire il criterio di ragguaglio, ma gli elementi valutativi cui la legge si riferisce, tuttavia, ben possono ricavarsi da circostanze obiettivamente apprezzabili comunque rappresentate nel fascicolo processuale, della preventiva considerazione delle quali il pubblico ministero può anche dare atto nella richiesta di decreto penale. Diversamente, si perverrebbe alla inaccettabile conclusione che, in presenza di qualsiasi reato rispetto al quale la pena sia astrattamente convertibile in pena pecuniaria, si debbano svolgere specifici accertamenti sulle capacità economiche del reo e del suo nucleo familiare, vanificando così l’intento del legislatore di favorire il ricorso al decreto penale. Il giudice, in definitiva, non può imporre al pubblico ministero tali accertamenti (nella specie, dichiarando inammissibile il ricorso del pubblico ministero, basato sull’abnormità della restituzione degli atti da parte del giudice, la Corte ha escluso che questi avesse imposto alcun accertamento sulle capacità economiche a carico del pubblico ministero, essendosi solo limitato a ritenere non congrua la pena).

Sentenza 21 maggio 2018, n. 22458

Data udienza 29 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – rel. Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PISA;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso il decreto del 16/10/2017 del GIP TRIBUNALE di PISA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
lette le conclusioni del PG che chiede il rigetto.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, con ordinanza in data 16/10/2017 ha disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale nei confronti di (OMISSIS), imputato del reato di cui all’articolo 81 c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31, e articolo 44, lettera b), perche’ la conversione della pena, in ragione di Euro 75,00 per ciascun giorno di arresto, non era stata effettuata tenendo conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare previa indagine patrimoniale, come stabilito dall’articolo 459 c.p.p., comma 1 bis, con la conseguenza che al giudice non ne era stata consentita la necessaria valutazione di congruita’.
2. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pisa, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p..
Deduce, con un unico motivo di ricorso, l’abnormita’ del provvedimento impugnato in ragione del fatto che, nel respingere la richiesta, il giudice avrebbe sostanzialmente imposto al Pubblico Ministero l’effettuazione di indagini patrimoniali che la legge non prevede se non in casi specifici.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
3. Nella sua requisitoria scritta il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile per le ragioni di seguito specificate.
2. Il provvedimento impugnato non puo’ ritenersi abnorme, dovendosi, a tale proposito, tenere presente della recente decisione delle Sezioni Unite penali di questa Corte (sentenza del 18/1/2018, ricorrente Mohamed, non ancora depositata) nella quale tale condizione e’ stata esclusa riguardo al provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari restituisca gli atti, pervenuti con richiesta di decreto penale di condanna, affinche’ il pubblico ministero valuti la possibilita’ di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuita’ del fatto.
3. Cio’ premesso, deve ritenersi che a conclusioni analoghe deve pervenirsi anche con riferimento alla fattispecie in esame, escludendo quindi che esuli dai poteri del giudice per le indagini preliminari la valutazione di congruita’, ai sensi dell’articolo 459 c.p., comma 2 bis, della pena richiesta dal Pubblico Ministero.
Vanno tuttavia effettuate alcune ulteriori considerazioni sul tema trattato.
4. L’articolo 459 c.p.p., comma 1, consente al Pubblico Ministero la richiesta di decreto penale quando ritiene che si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva.
Il comma 1 bis, del medesimo articolo, introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 53, stabilisce ora che “nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l’ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero al quale puo’ essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al periodo precedente il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non puo’ essere inferiore alla somma di Euro 75 di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva e non puo’ superare di tre volte tale ammontare. Alla pena pecuniaria irrogata in sostituzione della pena detentiva si applica l’articolo 133 ter c.p.”.
Tale disposizione deroga a quanto disposto dall’articolo 135 c.p., in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, disponendo che il computo vada effettuato calcolando 250,00 Euro o frazione di 250,00 Euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva ed e’ finalizzata, come si ricava dai lavori parlamentari, alla riduzione del numero dei detenuti presso le strutture carcerarie ed all’incameramento di maggiori somme sebbene non quantificabili.
La dottrina, poi, ha individuato un ulteriore intento del legislatore nella necessita’ di diminuire il numero delle opposizioni al decreto penale di condanna, che si ritengono motivate sopratutto dalla gravosita’ della pena pecuniaria sostitutiva applicata, sebbene si sia fatto anche notare come le esigenze di contenimento del carico processuale incidano in misura significativa sulle determinazione della pena che denota una tendenza al ribasso, definita ormai “cronica”.
La modifica apportata alla norma codicistica, tuttavia, come correttamente osservato dal Pubblico Ministero ricorrente, non costituisce affatto una novita’, dal momento che la L. n. 689 del 1981, articolo 53, comma 2, come modificato dalla L. 12 giugno 2003, n. 134, articolo 4, comma 1, dispone che “la sostituzione della pena detentiva ha luogo secondo i criteri indicati dall’articolo 57. Per determinare l’ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale puo’ essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non puo’ essere inferiore alla somma indicata dall’articolo 135 del codice penale e non puo’ superare di dieci volte tale ammontare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l’articolo 133-ter del codice penale”.
Ancor piu’ in generale puo’, inoltre, osservarsi che anche l’articolo 133 c.p., prevede che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale per la determinazione della pena, deve tenere conto “delle condizioni di vita individuale e familiare” del reo, suggerendo, quindi, una valutazione onnicomprensiva dello status del prevenuto, non esclusa, dunque, quella di carattere economico, mentre il successivo articolo 133 bis, si riferisce alle valutazione delle condizioni economiche del reo agli effetti della pena pecuniaria attraverso una valutazione del tutto simile a quella richiesta dalla L. n. 689 del 1981, articolo 53.
Il riferimento alla condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare e’ stata collegata, con riferimento alla L. n. 689 del 1981, alla volonta’ del legislatore di consentire al giudice di disporre del piu’ ampio numero di elementi valutativi al fine di determinare una pena effettiva ed efficacemente dissuasiva.
Si e’ altresi’ richiamato l’articolo 187 c.p.p., il quale, nell’individuare l’oggetto della prova, individua non solo i fatti che si riferiscono all’imputazione e alla punibilita’, ma anche quelli che riguardano la determinazione della pena o della misura di sicurezza.
5. Va ulteriormente considerato che, come correttamente osservato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, la soluzione della questione in esame implica anche un confronto tra il contenuto dell’articolo 459 c.p.p., e quello del successivo articolo 460. laddove, nel secondo comma, stabilisce che “con il decreto di condanna il giudice applica la pena nella misura richiesta dal pubblico ministero indicando l’entita’ dell’eventuale diminuzione della pena stessa al di sotto del minimo edittale; ordina la confisca, nei casi previsti dall’articolo 240 c.p., comma 2, o la restituzione delle cose sequestrate; concede la sospensione condizionale della pena. Nei casi previsti dagli articoli 196 e 197 c.p., dichiara altresi’ la responsabilita’ della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria”.
Tali disposizioni, si osserva nella requisitoria, risultano solo apparentemente in contrasto laddove l’articolo 459, al comma 1-bis, consente al giudice di determinare la pena sostituita, mentre l’articolo 460, comma 2, lo vincola ad applicare la pena nella misura richiesta dal Pubblico Ministero, poiche’ una lettura coordinata delle stesse consente di ritenere che la “misura della pena” che vincola il giudice quando emette il decreto penale e’ quella detentiva indicata dal Pubblico Ministero richiedente, utilizzata come moltiplicatore per il ragguaglio, che il giudice, appunto, “applica”, mentre la pena “irrogata” cui si riferisce l’articolo 459, comma 1 bis, e’ quella sostituita all’esito del calcolo, con la conseguenza che il giudice resta libero di rideterminare discrezionalmente il tasso giornaliero che, moltiplicato per i giorni di pena detentiva indicati dal Pubblico Ministero, individua l’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva.
6. Tale soluzione interpretativa e’ condivisa dal Collegio, perche’ fondata su una coerente lettura delle richiamate disposizioni che ne esclude ogni apparente contrasto.
7. Non sembra tuttavia assolutamente necessario, ai fini della quantificazione della pena sostituita, l’espletamento di specifiche e mirate attivita’ di verifica, come sembra ipotizzare il provvedimento impugnato, a maggior ragione quando, come nel caso in esame, il ragguaglio sia effettuato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge, ove un problema di eventuale incongruita’ della pena verrebbe a porsi solo nel caso in cui sussistano elementi indicativi di capacita’ economiche maggiori rispetto a quelle ritenute dal Pubblico Ministero richiedente, considerato anche che, come si e’ detto, la deroga apportata dalla norma in esame all’articolo 135 c.p.p., e’ senz’altro piu’ favorevole all’imputato.
E’ evidente che, in capo al Pubblico Ministero, incombe un onere di allegazione di dati che consentano al giudice di esercitare la facolta’ che, come si e’ detto, la legge gli attribuisce, ma gli elementi valutativi cui la legge si riferisce, tuttavia, ben possono ricavarsi da circostanze obiettivamente apprezzabili comunque rappresentate nel fascicolo processuale, della preventiva considerazione delle quali il Pubblico Ministero puo’ anche dare atto nella richiesta di decreto penale.
Diversamente, dovrebbe pervenirsi alla inaccettabile conclusione che, in presenza di qualsiasi reato rispetto al quale la pena detentiva sia astrattamente convertibile in pena pecuniaria, debbano svolgersi specifici accertamenti sulle capacita’ economiche del reo e del suo nucleo familiare, vanificando cosi’ l’intento del legislatore di cui si e’ detto in precedenza.
Ad una simile conclusione, peraltro, non si e’ mai pervenuti con riferimento alla omologa disposizione di cui alla L. n. 689 del 1981, articolo 53, comma 2, pur facendosi riferimento al necessario apprezzamento sulla equita’ e adeguatezza della pena sostituita.
8. Si tratta, in definitiva, di una valutazione che puo’ essere espressa anche in termini non specifici attraverso la considerazione globale degli elementi a disposizione ed, anzi, si e’ espressamente osservato, in una occasione, che la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, pur assumendo indubbiamente caratteri di flessibilita’, non necessita di particolare motivazione, qualora essa sia contenuta in misura prossima al minimo, tenendo peraltro conto che nei procedimenti di non particolare complessita’ (e procedendosi, nel caso di specie, con il rito abbreviato), non e’ certamente agevole che dagli atti risultino le precise condizioni economiche del ricorrente, pervenendosi alla conclusione che, in assenza di un accertamento approfondito, in contrasto con i principi di speditezza del procedimento penale, vanno applicati i principi del favor rei e del favor libertatis (cosi’ Sez. 4, n. 17046 del 11/4/2006, Antoniucci, non massimata).
In ogni caso, l’articolo 460 c.p.p., comma 2, stabilisce che, nel caso in cui la richiesta del Pubblico Ministero non sia accolta, il giudice ha come unica alternativa quella della restituzione degli atti ai sensi dell’articolo 459 c.p.p., comma 3, se non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 c.p.p., senza alcuna possibilita’, pero’, di imporre accertamenti, cosa che, tuttavia, nel caso in esame non e’ avvenuta, essendosi il giudice limitato a rilevare l’assenza di indagini sulle capacita’ economiche dell’imputato e ritenendo che tale evenienza fosse impeditiva della necessaria valutazione di congruita’, per poi disporre semplicemente la restituzione degli atti come la legge gli consente.
9. Il provvedimento impugnato si fonda, pertanto, su un apprezzamento di merito consentito al giudice e, come si e’ detto in precedenza, non affetto da abnormita’ e, per tale ragione, non suscettibile di altre censure in questa sede di legittimita’ (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 23829 del 12/5/2016, P.M. in proc. C, Rv. 267272 ed altre prec. conf.), con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.

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