In tema di omicidio doloso, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalita’ tra la condotta lesiva posta in essere dall’agente e l’evento morte.

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 16 maggio 2018, n. 21715.

La massima estrapolata:

In tema di omicidio doloso, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalita’ tra la condotta lesiva posta in essere dall’agente e l’evento morte.
Sulla base del principio richiamato, è stato affermato, con riferimento al caso in esame, che, una volta accertata la responsabilita’ dell’imputato per aver sparato due colpi di fucile in danno della vittima, ferendolo ad una spalla e rendendo necessario un intervento chirurgico con successiva morte della vittima, il comportamento dei sanitari non avrebbe potuto escludere, comunque, la responsabilita’ penale dell’imputato a titolo di omicidio doloso.

Sentenza 16 maggio 2018, n. 21715

Data udienza 19 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARCANO Domenico – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

Dott. MANCUSO Luigi F. – rel. Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/03/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MANCUSO LUIGI FABRIZIO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. ANIELLO ROBERTO.
Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilita’ del ricorso.
L’avvocato (OMISSIS) conclude chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso e deposita conclusioni e nota spese.
L’avvocato (OMISSIS) si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31 ottobre 2014, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava (OMISSIS) colpevole: a) dell’omicidio di (OMISSIS), commesso il (OMISSIS) sparando contro costui – al quale addebitava la responsabilita’ di rumori molesti e con il quale era da tempo in lite per questo – due colpi di fucile che ferivano lo (OMISSIS) ad una spalla e rendevano necessario un intervento chirurgico; la morte era avvenuta il (OMISSIS) in ospedale per insufficienza cardiorespiratoria, complicata da edema polmonare acuto secondario al verificarsi di un’embolia polmonare massiva in relazione alla formazione di un trombo parietale al livello dell’arteria polmonare; b) dell’omissione di denuncia di trasferimento di alcune armi, fatto accertato il (OMISSIS). Le sanzioni principali venivano determinate in anni sedici di reclusione per l’omicidio e in Euro 100,00 di ammenda per l’altro reato. L’imputato veniva condannato altresi’ al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite.
2. In parziale riforma della predetta sentenza, su gravame dell’imputato, rigettato per il resto, la Corte di assise di appello di Napoli, con sentenza del 14 marzo 2016, riconosceva le circostanze attenuanti generiche e rideterminava la pena principale per l’omicidio in anni quattrodici di reclusione.
3. L’avv. (OMISSIS), in difesa del (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, datato 4 aprile 2016, affidato a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge e difetto assoluto di motivazione in relazione all’articolo 530 c.p.p.. Il giudice di appello ha errato nel non affermare che, a causa della condotta colposa dei sanitari nell’effettuare le cure mediche successivamente al ferimento, si interruppe il nesso causale fra l’attivita’ dell’imputato e la morte dell’imputato.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e difetto assoluto di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 2. La condotta dell’imputato fu provocata dal comportamento della vittima, che lo aveva ripetutamente disturbato con rumori molesti provocando l’accumulo della tensione sfociata poi nell’aggressione mediante fucile.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione degli articoli 62 bis e 133 c.p.. Il giudice di appello avrebbe dovuto muovere da una pena piu’ mite ed applicare le riconosciute circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo, riguardante l’ipotizzata sussistenza di responsabilita’ dei sanitari che curarono la vittima dopo il ferimento, e’ manifestamente infondato.
1.1. La giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito che, in tema di omicidio doloso, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalita’ tra la condotta lesiva posta in essere dall’agente e l’evento morte (Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015 – dep. 10/09/2015, Ferrito e altri, Rv. 264534; Sez. 5, n. 39389 del 03/07/2012 – dep. 05/10/2012, Martena, Rv. 254320; Sez. 5, n. 17394 del 22/03/2005 – dep. 06/05/2005, D’Iginio, Rv. 231634).
1.2. Sulla base del principio richiamato, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che, una volta accertata la responsabilita’ dell’imputato per aver sparato due colpi di fucile contro (OMISSIS), ferendolo ad una spalla e rendendo necessario un intervento chirurgico con successiva morte della vittima, il comportamento dei sanitari non avrebbe potuto escludere, comunque, la responsabilita’ penale del (OMISSIS) a titolo di omicidio doloso.
2. Il secondo motivo, riguardante l’attenuante della provocazione, e’ manifestamente infondato. La sentenza di appello, dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimita’, ha escluso la citata attenuante, ponendo in evidenza con chiarezza e precisione articolati ragionamenti privi di illogicita’ manifesta, dai quali emerge senza alcuna contraddizione che l’imputato fu mosso dall’intento di infliggere allo (OMISSIS), presunto offensore, un castigo espressione di rancore, vendetta, malanimo, sicche’ la condotta omicida travalico’ i limiti di una semplice reazione all’atto ingiusto altrui. Vi fu mera occasionalita’, non di nesso di causalita’ fra offesa e reazione. L’esistenza di contrasti risalenti nel tempo fra l’omicida e la vittima e’ attestata, nota il giudice di appello, da varie reciproche denunce presentate dai predetti alla polizia giudiziaria, per una conflittualita’ riconducibile a banali contrasti nel rapporto di vicinato.
3. Il terzo motivo, riguardante la dosimetria della pena anche con riferimento alla estensione della diminuzione concretamente operata per le concesse circostanze attenuanti generiche, e’ manifestamente infondato. Le valutazioni su detti punti non sono frutto di errore giuridico, risultano sorrette da motivazione esente da manifesta illogicita’ e, pertanto, sono insindacabili in sede di legittimita’ (Sez. 6 n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419). Il giudice di appello, in particolare, ha dato conto di aver fatto riferimento ai criteri dettati dall’articolo 133 c.p..
4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perche’ le deduzioni difensive si risolvono in generiche contestazioni di natura fattuale, tendenti ad ottenere, sui profili evidenziati, un riesame nel merito, precluso in sede di indagine di legittimita’ stante la correttezza giuridica e logica del discorso giustificativo della decisione. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro duemila alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione dell’impugnazione. Il ricorrente va condannato, inoltre, alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese del presente giudizio, che si reputa giusto liquidare, in considerazione dell’attivita’ svolta, nella misura indicata nel seguente dispositivo, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese in favore della parte civile liquidate in 3.500,00 Euro, oltre il 15% per spese generali, I.V.A. e C.P.A..

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