Legittima la misura della revoca della patente.

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 13 luglio 2018, n. 32239.

La massima estrapolata

Legittima la misura della revoca della patente.
L’articolo 222 C.d.S., al comma 2 bis, prevede, dopo l’entrata in vigore della legge 23/3/2016 (cui sono successivi i fatti di cui all’imputazione”, che “alla condanna, ovvero all’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 c.p.p., per i reati di cui agli articoli 589-bis e 590-bis c.p. consegue la revoca della patente di guida”.
Si tratta di sanzione accessoria che viene applicata ex lege e che prescinde dall’essere stata o meno inserita nel patto di cui all’articolo 444 cod. proc. pen..

Sentenza 13 luglio 2018, n. 32239

Data udienza 20 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 08/03/2017 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO PEZZELLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ANIELLO ROBERTO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
E’ presente l’avvocato (OMISSIS) del foro di MESSINA in difesa delle parti civili: (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); l’avvocato deposita conclusioni scritte unitamente alla nota spese alle quali si riporta, chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Messina, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente (OMISSIS), sull’appello proposto dallo stesso, con sentenza dell’8/3/2017 confermava la sentenza emessa in data 13/6/2014 dal GM del Tribunale di Messina che lo aveva condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante di cui all’articolo 589 c.p., comma 2, alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi quattro di reclusione, con condanna al risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in separata sede ed alle spese sostenute dalla parte civile, per il reato:
– p. e p. dall’articolo 589 c.p., perche’:
– in violazione dell’articolo 32 Cost., secondo cui: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettivita’”;
– in violazione dell’articolo 2087 c.c., secondo cui “L’imprenditore e’ tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarita’ del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrita’ fisica e la personalita’ morale dei prestatori di lavoro;
– della L. n. 833 del 1978, articolo 1, comma 1: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettivita’ mediante il servizio sanitario nazionale;
– del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 7 secondo cui il datore a lavoro, in caso di affidamento dei lavori all’interno dell’azienda, ovvero dell’unita’ produttiva, ad imprese appaltatrici o ai lavoratori autonomi: a) verifica, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneita’ tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazioni ai lavori da affidare in appalto o contratto d opera; b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attivita’. Nell’ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro: a) Cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti lavorativa oggetto dell’appalto. b) Coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
– in violazione del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 26 secondo cui il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unita’ produttiva della stessa, nonche’ nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima: a) Verifica, con le modalita’ previste dl decreto di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g), l’idoneita’ tecnico professionale delle imprese appaltatrice o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o mediante contralto d’opera o di somministrazione. b) Fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attivita’.
Nell’ipotesi di cui al comma 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori: a) Cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attivita’ lavorativa oggetto dell’appalto. b) Coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva ed in violazione della posizione di garanzia assunta nella qualita’ di datore di lavoro nei confronti di (OMISSIS), lavoratore autonomo, affidava al predetto l’incarico di eseguire lavori di manutenzione dell’immobile di sua proprieta’ sito in (OMISSIS), aventi ad oggetto, fra le altre cose anche la sostituzione della ringhiera esterna del balcone di pertinenza, senza verificare la sussistenza dei requisiti che lo stesso doveva presentare per lo svolgimento dell’incarico, e senza premunirsi di adottate precauzioni idonee a salvaguardare l’incolumita’ dello stesso, tenuto conto dello stato della ringhiera, parzialmente logorata dalla ruggine nei suoi lati estremi, dell’altezza del balcone dal suolo e degli obblighi gravanti dalla sua posizione di committente di lavori in economia. Violazioni che determinavano che al momento dell’intervento dell’operatore sulla ringhiera, consistito nell’asportazione del corrimano, sia venuto definitivamente meno l’aggancio indicato nel punto corrente inferiore della ringhiera (cfr. all.to 9 foto n. 5 e 12 della CTU allegata in atti) proiettandosi questa verso l’esterno e determinando la caduta del (OMISSIS), che, a seguito dell’impatto con il suolo e delle ferite riportate trauma cranico e sfondamento della cassa toracica – decedeva nell’immediatezza.
Fatto avvenuto a (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS) deducendo i due motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 1.
Con un primo motivo si lamenta violazione di legge deducendo che la sentenza della Corte d’Appello di Messina sarebbe errata e presenterebbe evidenti vizi giuridici legati alla non corretta applicazione delle norme che regolano l’estensione al committente che non abbia verificato le capacita’ tecniche del lavoratore autonomo della posizione di garanzia e del principio di tutela del lavoratore subordinato.
In realta’, secondo la tesi proposta in ricorso, sia il giudice di primo grado che la Corte di merito avrebbero errato nella omessa considerazione della valutazione “relativa” delle modalita’ di esecuzione e della consistenza dei lavori da svolgere; cio’ che rileva, nello specifico, non sarebbe il generale principio di cautela e verifica, quanto la necessita’ di poter ritenere integrata una maggiore o minore cautela o piu’ stringente attivita’ di verifica della idoneita’ tecnica del lavoro autonomo, dotato cioe’ di una sua sfera di autonomia tecnica, entro la quale puo’ deve pretendere una non ingerenza del committente.
La posizione di garanzia, in altri termini, al fine di essere estesa al lavoratore autonomo tale da considerarlo subordinato, non lo sarebbe in ogni caso, ma solo se, differentemente dal caso di specie, essa abbia ad oggetto la committenza di un lavoro palesemente “pericoloso”, con mezzi tecnici dotati dal committente che si ingerisce nelle modalita’ concrete di realizzazione, quale reale direttore dei lavori.
In realta’, secondo la tesi proposta in ricorso, al soggetto committente, rispetto ad un lavoratore autonomo, non compete un generale principio di tutela e, soprattutto, sarebbe attribuibile un obbligo d’informazione sullo stato dei luoghi ove dovranno essere svolti detti lavori, oggetto del contratto di lavoro autonomo, ma non certo di formazione. A tale obbligo il ricorrente avrebbe ottemperato con il disposto sopralluogo, nell’ambito del quale il (OMISSIS) ebbe ad acquisire la conoscenza sia del contenuto dell’impegno da svolgere sia dello stato dei luoghi. Egli da quel momento, insomma, sapeva che la commissione del lavoro era la mera manutenzione della ringhiera, il rafforzamento a mezzo di staffe, non certo la sicura sostituzione del mancorrente.
In questo senso – prosegue il ricorrente – la testimonianza della dott.ssa (OMISSIS) sarebbe stata precisa, coerente e riscontrata in quanto anche (OMISSIS) ha affermato che oggetto della prestazione di (OMISSIS) era la manutenzione della ringhiera e non la sua sostituzione, e che tale lavoro prevedeva l’uso del fiex, portato da (OMISSIS), non fornito da (OMISSIS).
La sentenza sarebbe, dunque, errata laddove, nemmeno in grado d’appello, si e’ spinta ad esaminare le caratteristiche di riconoscibilita’ del lavoro commissionato. Solo se si fosse giunto a dare prova dell’oggetto reale del contratto, si sarebbe potuto giungere all’affermazione della responsabilita’.
Ad avviso del ricorrente, il tema dominante e centrale e’: lavori in quota si o no- Si sostiene che, diversamente da quanto ingiustificatamente affermato, il lavoro avrebbe dovuto essere compiuto all’interno del balcone, al di la’ della ringhiera che non avrebbe dovuto essere toccata, sostituita. E tutto cio’ sarebbe stato pienamente conoscibile in quanto l’oggetto del contratto era perfettamente noto sia a (OMISSIS) che ad (OMISSIS), in quanto era stato regolarmente pattuito tra le parti davanti a testimoni che hanno confermato il contenuto della modalita’ di esecuzione, scelto dal lavoratore autonomo.
Il tema della attendibilita’ della teste (OMISSIS) – si lamenta – e’ stato trattato senza logica e coerenza.
Sarebbe assolutamente priva di prova la possibile ingerenza nell’adempimento tecnico mentre la modifica della modalita’ di adempimento del contratto, certamente era avvenuta nel corso della mattinata.
Per questi motivi si chiede che l’impugnata sentenza possa essere annullata senza rinvio.
Con un secondo motivo ci si duole dell’assoluta carenza di motivazione della sentenza impugnata. Il tema centrale, secondo il ricorrente, sarebbe la conoscibilita’ delle modifiche alla realizzazione apportate arbitrariamente da (OMISSIS): e soprattutto, il contenuto preciso del patto contrattuale. Nessuno potrebbe negare si legge in ricorso – che vi sia stato un incontro sui luoghi e che in quell’occasione (OMISSIS) abbia commissionato un lavoretto che non prevedeva alcun pericolo di lavoro in quota. La sentenza entrerebbe in assoluta contraddizione, venendo minato alla radice il requisito della logica motivazione: secondo quanto rinvenuto, (OMISSIS) aveva con se una sbarra di circa due metri ed anche due barre grezze di un metro e di novanta centimetri.
La tesi che l’accordo prevedesse solo il rafforzamento delle barre laterali sarebbe del tutto confermata, non comprendendosi, altrimenti, perche’ l’operaio avesse sia l’una che le altre; sarebbe, quindi, da ascrivere alla sua autonoma scelta quello che sarebbe stato compiuto. Quindi, in questo caso, sarebbe pienamente confermata la sua libera ed autonoma scelta che escluderebbe qualsiasi coinvolgimento del (OMISSIS), e la sua conoscenza delle modalita’ esecutive.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
In data 19/6/2018 e’ stata poi depositata memoria difensiva con cui il difensore ricorrente ha ulteriormente articolato i motivi di ricorso, insistendone per l’accogli mento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I proposti motivi sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si e’ nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni gia’ devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione. Ed e’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), alla inammissibilita’ della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimita’ ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilita’ delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita’ delle doglianze che, cosi’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
3. Questa Corte di legittimita’ ha, in piu’ occasioni, ribadito che e’ titolare di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore il committente che affida lavori edili in economia ad un lavoratore autonomo di non verificata professionalita’ (Sez. 4, n. 35534 del 14/5/2015, Gallone, Rv. 264405 nella cui motivazione la Corte ha precisato che l’unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dall’articolo 32 Cost., articolo 2087 cod. civ. e L. n. 833 del 1978, articolo 1, comma 1, impone l’utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell’impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro; conf. Sez. 4, n. 42465 del 9/07/2010, Angiulli, Rv. 248918). E, ancora di recente, in un caso con molte similitudini con quello che ci occupa, e’ stato ribadito che il committente ha l’obbligo di verificare l’idoneita’ tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosita’ dei lavori affidati (cosi’ Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in relazione alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato, nella quale e’ stata ritenuta la responsabilita’ per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
4. Orbene, se questi sono i principi giuridici di riferimento, la Corte territoriale mostra di operarne un buon governo, dando atto, con motivazione logica e congrua, che pertanto si sottrae ai denunciati vizi di legittimita’, del compendio probatorio che ha ritenuto portare all’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato.
Dalle indagini condotte nell’immediatezza si appurava, secondo l’impostazione gia’ recepita dal giudice di primo grado che la Corte territoriale fa propria, che il (OMISSIS) fosse precipitato a causa del cedimento della ringhiera del balcone dell’abitazione del (OMISSIS) dove egli si era recato, assieme ad (OMISSIS), per eseguire una serie di piccoli lavoretti commissionatigli dal padrone di casa.
Tale ricostruzione degli avvenimenti – si ricorda nella sentenza impugnata – trovava conferma nella consulenza tecnica eseguita di li’ a breve sui luoghi medesimi, i quali erano stati, frattanto, sottoposti a sequestro.
Nel dettaglio, il perito incaricato attestava come il (OMISSIS), dopo aver provveduto ad asportare il corrimano della ringhiera, nel riaccostarsi alla stessa, ormai indebolita, fosse precipitato al suolo a causa di un cedimento del manufatto.
Il giudice di prime cure, nel condannare l’imputato, aveva anzitutto tratto la prova che il (OMISSIS) si trovasse presso l’abitazione del (OMISSIS), al fine di ivi eseguire dei lavori, dalle testimonianze dell’ (OMISSIS) e di (OMISSIS). Quest’ultima, in particolare, aveva riferito come, proprio quella mattina, si fosse affacciata al balcone della propria abitazione ed avesse visto la vittima intenta ad operare sulla ringhiera dell’appartamento dell’imputato con una smerigliatrice.
Gia’ il giudice di prime cure – ricorda la Corte territoriale – aveva ritenuto inverosimile la tesi offerta dalla testimone (OMISSIS) e dall’imputato in sede di esame, secondo la quale il (OMISSIS) non sarebbe stato incaricato di sostituire la ringhiera ma, soltanto, di metterla in sicurezza attraverso l’innesto sulla stessa di ulteriori elementi di rinforzo e sostegno.
Dal suo canto, la Corte territoriale ha a sua volta argomentatamente confutato il profilo di doglianza – oggi riproposto tout court – secondo cui la vittima avrebbe dovuto semplicemente limitarsi alla messa in sicurezza della ringhiera tramite l’applicazione sulla stessa di due nuove sbarre in ferro.
Tale affermazione – secondo i giudici di appello – appare, infatti, contraddetta sia dal fatto che il medesimo si fosse preoccupato di portare con se’ un flex, poi effettivamente utilizzato – sia dal rinvenimento sul luogo dell’incidente di strumentazione evidentemente rivolta alla sostituzione del mancorrente superiore. Ha precisato infatti il teste (OMISSIS) di avere rinvenuto sui luoghi, durante l’espletamento delle operazioni di sequestro, oltre ad “un’asta di ferro di colore rosso, di lunghezza di circa 2 metri facente parte della ringhiera preesistente “, “un’asta in ferro grezzo di lunghezza di circa 2 metri, un’asta in ferro grezzo di lunghezza di circa un metro, un’asta in ferro grezzo di lunghezza di circa 90 cm”. La (OMISSIS), a sua volta, ha ricordato che il giorno dell’incidente la sua attenzione venne attratta da un rumore forte, proveniente dall’esterno, e che, uscita sul suo balcone adiacente quello del (OMISSIS), ella noto’ che tale rumore fosse prodotto dal (OMISSIS), intento ad adoperare “questo strumento che serve a segare qualcosa perche’ faceva scintille”.
Tale ricostruzione – evidenzia ancora la sentenza impugnata – risulta corroborata dalle parole dell’ (OMISSIS), il quale si era recato in compagnia del (OMISSIS) presso la dimora dell’imputato per ivi dedicarsi all’opera di sostituzione dello zoccoletto del battiscopa. Costui ha invero affermato di aver sentito il rumore di un flex provenire dal balcone esterno presso il quale stava lavorando la vittima; inoltre, richiesto in merito alla attivita’ che il (OMISSIS) avrebbe dovuto svolgere, pur precisando di non conoscerne in dettaglio i particolari, ha affermato che: “doveva verniciare la ringhiera, non so cosa doveva fare, la doveva sverniciare e verniciare, la doveva cambiare qualche pezzo, io non lo so di preciso cosa doveva fare”.
Orbene, il riferimento agli elementi probatori appena elencati consente, secondo la logica motivazione della Corte territoriale, di affermare che oggetto dell’accordo sottostante il contratto di prestazione d’opera concluso tra le parti fosse, oltre l’innesto sulla ringhiera di elementi di supporto, alla cui esecuzione risultavano devolute le due barre in ferro piu’ corte trovate tra gli attrezzi da lavoro, anche un intervento di piu’ ampia portata, consistente nella sostituzione del passamano superiore, operazione il cui espletamento, avrebbe ragionevolmente importato un ulteriore indebolimento alla tenuta dell’intero manufatto.
A tale operazione risultava infatti destinata la terza barra portata dal (OMISSIS).
Tale conclusione – si legge ancora in sentenza – risulta poi avvalorata dalla circostanza che il (OMISSIS), presente al momento dell’incidente, non abbia manifestato alcuna rimostranza verso l’attivita’ posta in essere dalla vittima, la quale si e’ adoperata per distaccare il mancorrente superiore sia dalla staffe ad esso collegate sia dal muro su cui il medesimo risultava innestato. Il prolungato rumore della smerigliatrice, laddove l’imputato non fosse stato a conoscenza delle intenzioni del lavoratore, avrebbe, invero, dovuto quantomeno insospettirlo e portarlo ad accertarsi delle operazioni dal (OMISSIS) poste in essere, nonche’ a bloccarlo dai procedere alla loro esecuzione.
5. La Corte territoriale, infine, ha gia’ argomentatamente confutato anche l’assunto difensivo, anch’esso oggi riproposto, secondo cui il (OMISSIS) possa avere improvvisamente avvertito la imprescindibilita’ di un intervento piu’ radicale rispetto a quello affidatogli e, senza sentire l’esigenza di avvertire il committente che peraltro, e’ pacifico che si trovasse in casa – della necessita di un piu’ radicale, e piu’ costoso, intervento, abbia deciso di agire di testa sua.
Viene evidenziato, in proposito, che le tracce di ammaloramento del mancorrente superiore – ben visibili nelle fotografie in atti – non potevano essere sfuggite al (OMISSIS), che per sua stessa ammissione aveva provveduto ad un’accurata ispezione della ringhiera; sicche’ pare del tutto condivisibile l’assunto dei giudici del gravame del merito secondo cui appare arduo sostenere che di cio’ si sia avveduto il solo (OMISSIS) nell’eseguire i lavori, giungendo alla risoluzione di sostituire, senza avvisare il committente, il manufatto.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere e’ inammissibile perche’ trasformerebbe questa Corte di legittimita’ nell’ennesimo giudice del fatto.
6. Il (OMISSIS), dunque, si e’ reso responsabile sia di non avere accertato, prima di commissionare al (OMISSIS) un lavoro di tal genere, che costui avesse le necessarie competenze tecniche per eseguirlo, sia, di non aver provveduto a predispone le dovute misure atte a tutelare il lavoratore dal possibile verificarsi di situazioni di pericolo.
Come ricorda la Corte messinese il contratto concluso tra le parti e’, senz’altro, un contratto avente ad oggetto la esecuzione di lavori edili in economia, assimilabile, sul piano della disciplina, al contratto di appalto, e per il quale trova applicazione il Decreto Legislativo n. 81 del 2008; la posizione che il (OMISSIS) ha assunto nei confronti del (OMISSIS) e’, quindi, quella di committente ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26.
Peraltro, e’ pacifico che, in materia di infortuni sul lavoro, ai fini della configurabilita’ di una responsabilita’ del committente per “culpa in eligendo” nella verifica dell’idoneita’ tecnico – professionale dell’impresa affidataria di lavori, non e’ necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, essendo sufficiente che nella fase di progettazione dell’opera, intervengano accordi per una mera prestazione d’opera, atteso il carattere negoziale degli stessi (Sez. 3, n. 10014 del 06/12/2016 dep. il 2017, Lentini, Rv. 269342).
I lavori commissionati dal (OMISSIS) al (OMISSIS), in quanto aventi ad oggetto non la semplice manutenzione della ringhiera ma una sua sostituzione, debbono essere qualificati quali lavori in quota ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 107.
Come si legge nella sentenza impugnata, infatti, e’ stato accertato, in sede di consulenza tecnica a firma dell’Ing. (OMISSIS), come tra il piano di calpestio, ossia il ballatoio, luogo di intervento della vittima, ed il suolo, punto terminale della sua caduta, vi fosse un’altezza pari a circa 5,10 metri.
Pertanto, sarebbe stato onere del (OMISSIS), conformemente a quanto sancito dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 26, comma 1, lettera a), nn. 1 e 2 appurare, in primo luogo, se il (OMISSIS) avesse effettivamente le competenze tecniche per eseguire le opere convenute. E invece emerso come il (OMISSIS) fosse semplicemente noto nella zona, per voce di popolo, come un abile “tuttofare”, esperto ed ingegnoso nell’eseguire piccoli lavoretti di manutenzione (la sentenza impugnata, sul punto, richiama la deposizione di (OMISSIS): “lo conoscevamo come persona che aveva fatto… ora era in pensione e per sentito dire faceva questi lavoretti di manutenzione a diversi…”). Sarebbe stato, inoltre, compito dell’odierno ricorrente fornire al lavoratore “dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui e’ destinato ad operare” e, in aggiunta, predispone le opportune misure di protezione e prevenzione dei rischi cui lo stesso sarebbe stato esposto in ragione della attivita’ lavorativa da svolgere.
In termini concreti, il (OMISSIS) avrebbe dovuto rendere edotto il (OMISSIS) dei rischi in cui il medesimo avrebbe potuto incorrere sia provvedendo alla rimozione del corrimano superiore della ringhiera, sia ad operare sulla stessa – il cui stato di deterioramento era, tra l’altro, evidente – con una smerigliatrice e ad una notevole altezza dal suolo.
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che si liquidano in complessivi Euro 3500,00 oltre spese generali al 15%, IVA e CPA..

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