In tema di rilevanza dell’amministrazione di fatto della societa’

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 13 giugno 2018, n. 27163.

Le massime estrapolate:

In tema di rilevanza dell’amministrazione di fatto della societa’ per l’attribuzione al soggetto attivo dei reati “propri” fallimentari- prende le mosse dall’articolo 2639 c.c., dettato in materia di reati societari, che equipara al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile anche colui “che esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.
La configurazione nell’articolo 2639 c.c. della nozione di amministratore di fatto come colui che esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, sia pur dettata in materia di reati societari, e’ suscettibile di applicazione anche in riferimento ai reati fallimentari che riguardano le figure degli amministratori della societa’.
Pertanto i destinatari delle norme di cui agli articoli 216 e 223 L.F. devono essere individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non gia’ rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta.
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’articolo 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; certamente, significativita’ e continuita’ non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono pur sempre l’esercizio di un’apprezzabile attivita’ gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Pertanto la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione.
Per l’individuazione dell’imputato quale amministratore di fatto nell’esperienza concreta giurisprudenziale e’ stato fatto ricorso a indici sintomatici come: il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attivita’ di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attivita’ gestoria in modo non episodico o occasionale.
Ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma e’ necessaria una significativa e continua attivita’ gestoria, svolta cioe’ in modo non episodico od occasionale

Sentenza 13 giugno 2018, n. 27163

Data udienza 8 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto – rel. Consigliere

Dott. MORELLI Francesca – Consigliere

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/12/2016 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. PERELLI SIMONE, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), in sostituzione degli avv.ti (OMISSIS), del Foro di Sciacca, in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), del Foro di Sciacca, in difesa di (OMISSIS), che si riporta ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo con sentenza del 7/12/2016 ha confermato la sentenza del Tribunale di Sciacca del 17/12/2014, appellata dagli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), che li aveva ritenuti responsabili del reato di cui al capo A) di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in concorso ex articolo 81 cpv c.p., L. Fall., articoli 99, 110 e 112, articolo 216, comma 1, n. 1 e n. 2, e articolo 219 e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, li aveva percio’ condannati rispettivamente, alla pena di anni 4 e anni 3 e mesi 6 di reclusione, di cui anni 3 condonati, con le pene accessorie di legge.
L’imputazione di cui al capo A) riguardava in concorso fra loro (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS) e (OMISSIS) (titolare dell’omonima ditta individuale, amministratore di fatto di (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l., nel frattempo deceduto) e (OMISSIS) (giudicato separatamente con sentenza di applicazione della pena ormai irrevocabile), il primo quale socio amministratore della societa’ fallita (OMISSIS) s.r.l., dichiarata fallita il (OMISSIS), e socio di (OMISSIS) s.r.l. e la seconda quale socia di (OMISSIS) s.r.l. e gestrice di fatto di (OMISSIS) s.r.l..
L’accusa contestava la realizzazione di un complesso programma delittuoso, posto in essere attraverso una serie di operazioni distrattive di beni aziendali e la distruzione, occultamento e falsificazione parziale delle scritture contabili al fine di procurarsi ingiusto profitto e arrecare pregiudizio ai creditori, e comunque la tenuta delle scritture in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari di (OMISSIS) s.r.l.
Fra l’altro, venivano imputate le seguenti condotte:
– non approvazione di bilanci;
– mancato aggiornamento di libri e scritture contabili;
– indicazione fittizia di un aumento di capitale in misura molto superiore all’effettivo conferimento;
– restituzione ai soci di capitale vincolato;
– alimentazione fittizia del conto cassa;
– indicazione in contabilita’ di un conto anticipi insussistente e annotazione di operazione attive e passive su tale conto;
– apertura di un conto corrente mai scritturato in contabilita’;
– duplicazione di fatture;
– distrazione di somme attraverso falsificazione di fatture pagate da clienti; prelievi indebiti di somme pagati da clienti;
– distrazione di beni mobili con finte fatture di vendita;
– distrazione della differenza fra il valore fatturato da (OMISSIS) a (OMISSIS) per un impianto e vari immobili e il valore stimato dal tecnico incaricato in sede fallimentare;
– distrazione in totale di Euro 967.972, corrispondenti, tra l’altro, ad assegni incassati dai soci e non dalla societa’, al netto delle somme conferite e mai annotate.
Il tutto con le aggravanti del danno di particolare gravita’ e della pluralita’ dei fatti previsti dalla norma incriminatrice.
2. Secondo la sentenza, (OMISSIS), piu’ specificamente, e’ stato ritenuto destinatario di pagamenti di somme non dovute per Euro 19.050,00= di due vaglia cambiari e di e 7.500,00=.
(OMISSIS) aveva invece percepito indebitamente importi per Euro 28.670,00=, a cui andava aggiunto il valore dell’impianto di calcestruzzi originariamente appartenete a (OMISSIS) e sottratto alla confisca di prevenzione di cui al decreto 23/7/1996 del Tribunale di Agrigento attraverso la sua sostituzione con i rottami di quello comprato il 3/12/2002 dalla ditta ISAF e quindi simulatamente venduto da (OMISSIS) a (OMISSIS) s.r.l. per sottrarlo alla massa fallimentare.
Del pari simulate e in frode alla massa creditoria era stata ritenuta una serie di vendite di beni strumentali a (OMISSIS) s.r.l..
Le scritture contabili (libro inventari e libro giornale) erano state tenute in modo incompleto; erano state annotate fatture di vendita fittizie e registrate fatture per importi inferiori a quello effettivo; era stato utilizzato un conto corrente non annotato nella contabilita’.
(OMISSIS) era stato chiamato a rispondere quale amministratore di diritto di (OMISSIS) e beneficiario e autore di varie operazioni distrattive.
(OMISSIS) era stata invece individuata quale amministratore di fatto della societa’ fallita per avere concordato con (OMISSIS) la spartizione dei beni sociali; per aver dichiarato al curatore fallimentare che l’impianto era stato venduto alla (OMISSIS) s.r.l.; per il rinvenimento presso l’abitazione del (OMISSIS) di lettere a lui dirette, provenienti dai (OMISSIS) e dalla stessa (OMISSIS), che lo accusavano di essersi impossessato di tutti i beni i beni e di somme di pertinenza della fallita nonche’ di una cartellina, intitolata “Conteggi fatti da (OMISSIS)” inerente la spartizione dei beni aziendali.
3. Ha proposto ricorso l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia dell’imputata (OMISSIS), svolgendo un motivo unico, molto articolato, per dedurre inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 27 Cost. e articoli 40 e 42 c.p. e per lamentare insussistenza di prove circa la qualifica di amministratore di fatto e/o di partecipazione attiva attribuita alla (OMISSIS).
3.1. La Corte territoriale aveva ritenuto una partecipazione attiva di (OMISSIS) nell’amministrazione della societa’ in difetto di una apprezzabile attivita’ di gestione, in termini occasionali e non episodici, in assenza di patto sociale e di un comportamento tale da ingenerare nei terzi il convincimento di una azione come socia.
La (OMISSIS) non era autrice di scelte gestionali, non impartiva disposizioni ai dipendenti, non assumeva e licenziava personale, non gestiva direttamente o indirettamente alcun settore, non aveva contatti con terzi, clienti e fornitori.
3.2. Quanto all’elemento dei cosiddetti “conteggi fatti da (OMISSIS)” si trattava di una cartelletta contenente conteggi fatti al computer, privi di elementi che li riconducesse alla persona dell’imputata.
Il suo unico ruolo, come dipendente della societa’, era la stesura delle “prime note ” di contabilita’, per brevissimo tempo, essendo fra l’altro in gravidanza.
3.3. Quanto alla lettera del 17/2/2007, con cui sarebbero state contestate a (OMISSIS) una serie di inadempienze agli accordi di spartizione, si trattava di una nota di (OMISSIS), non riconducibile a (OMISSIS), se non per quattro righe da lei vergate per accusare il (OMISSIS) di imbrogli e minacciarlo di azioni giudiziarie per far giustizia per il padre e quella “povera vittima” di suo fratello.
3.4. L’asserita falsa fattura di vendita dell’impianto dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS), esibita al curatore fallimentare, non poteva integrare una responsabilita’ penale e tantomeno dimostrare la sua qualita’ di socia di fatto.
3.5. Quanto all’asserito gruppo familiare attivo dagli anni ‘80, l’accusa era del tutto inconsistente, se mossa ad una persona nata nel 1981.
La Corte territoriale se aveva esaminato puntigliosamente le attivita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), originari soci della LC Costruzioni, ritrovatisi in commistione di interessi in (OMISSIS), non aveva invece fornito dati concreti per delineare la responsabilita’ di (OMISSIS), ritenuta accertata sulla base di una proprieta’ transitiva del tutto scollegata dal quadro probatorio tracciato dalla stessa accusa, che evidenziava il ruolo gestorio predominante ed assorbente di (OMISSIS), genero di (OMISSIS), condannato per associazione mafiosa e soggetto dotato di forte capacita’ intimidatoria.
3.6. Inoltre la ricorrente osserva che il Pubblico Ministero puo’ precisare o integrare i capi di accusa nel corso dell’istruzione dibattimentale, se emerge la diversita’ del fatto rispetto alla descrizione contenuta nel capo di imputazione (articolo 516 c.p.p.), oppure un reato connesso o una circostanza aggravante (articolo 517 c.p.p.) ovvero ancora un fatto non enunciato nel decreto di citazione a giudizio (articolo 518 c.p.p.).
La contestazione suppletiva ex articolo 517 c.p.p. richiede che l’oggetto della contestazione sia emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, mentre non e’ consentito ricorrere all’istituto allorche’ si tratta di fatti gia’ noti all’esito dell’attivita’ investigativa svolta.
La violazione di tale regola comporta la nullita’ della sentenza ex articolo 522 c.p.p..
Nel corso del processo il Pubblico Ministero aveva rivisto il capo di imputazione, chiarendo dopo l’esame degli imputati le condotte concretamente contestate a (OMISSIS).
4. Ha proposto altresi’ ricorso l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), svolgendo unitariamente un motivo molto articolato.
4.1. In primo luogo il ricorrente deduce inosservanza o errata applicazione dell’articolo 27 Cost. e articoli 40 e 42 c.p..
La responsabilita’ per bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione non puo’ essere fatta gravare sul mero amministratore legale, la c.d. “testa di legno”, per le azioni compiute dall’amministratore di fatto, di cui non risponde per colpa e omissione di vigilanza; occorreva invece che l’amministratore di diritto avesse percepito i segnali di rischio, apprezzandoli come tali e astenendosi dall’intervenire.
4.2. In secondo luogo, il ricorrente ripercorre le attivita’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS), delineandone la caratura mafiosa e distinguendo tali figure da quella di (OMISSIS), che, pur loro formalmente affiancato in attivita’ imprenditoriali, non era mai stato coinvolto in indagine per reati associativi, al pari, tantomeno, di (OMISSIS), vero e proprio “vaso di coccio”..
Il ricorrente insiste nel delineare il ruolo dominante del (OMISSIS), socio di maggioranza e vero dominus della (OMISSIS), nel cui confronto i due fratelli (OMISSIS) erano soggiogati e intimiditi.
Il ricorrente sottolinea gli sforzi della famiglia (OMISSIS) per racimolare risorse da offrire alla massa fallimentare.
Il ricorrente rievoca il ruolo predominante ed egemone del (OMISSIS), richiamando cenni del contenuto di alcune deposizioni testimoniali e ricorda che la firma di (OMISSIS) era stata ripetutamente usurpata, come accertatp giudizialmente quanto al fatto di (OMISSIS).
L’unico responsabile della bancarotta societaria era l’amministratore di fatto (OMISSIS), autore di ogni scelta gestionale e socio tiranno, mentre (OMISSIS) aveva svolto un ruolo gregario, con posizione sostanzialmente assente, inesistente, emarginato, mentre non vi era alcuna prova di sue concrete azioni.
4.3. Infine il ricorrente osserva che il Pubblico Ministero puo’ precisare o integrare i capi di accusa nel corso dell’istruzione dibattimentale se emerge la diversita’ del fatto rispetto alla descrizione contenuta nel capo di imputazione (articolo 516 c.p.p.), se emerga un reato connesso o una circostanza aggravante (articolo 517 c.p.p.) ovvero ancora un fatto non enunciato nel decreto di citazione a giudizio articolo 518 c.p.p.).
La contestazione suppletiva ex articolo 517 c.p.p. richiede che l’oggetto della contestazione sia emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, mentre non e’ consentito ricorrere all’istituto, allorche’ si tratti di fatti gia’ noti all’esito dell’attivita’ investigativa svolta..
La violazione di tale regola comporta la nullita’ della sentenza ex articolo 522 c.p.p..
4.4. Non vi era alcuna evidenza dell’estensione al (OMISSIS) per Euro 38.500,00= della distrazione operata dal (OMISSIS) per Euro 500.000,00=.
Non vi era alcuna prova della falsita’ delle fatture relative alla distrazione dei beni mobili della societa’ fallita: risultava solamente l’esperimento positivo della revocatoria fallimentare, trattandosi di cessioni avvenute nel biennio anteriore al fallimento.
Quanto all’impianto di contrada (OMISSIS), l’accusa era incorsa in errore macroscopico, confondendo il valore dell’impianto con quello delle opere edili e murarie e di modificazione del fondo.
Anche per gli immobili, un conto era realizzare opere edili, altro era venderle e commerciarle; la stima non teneva conto dell’assenza e della staticita’ del mercato immobiliare di una piccola cittadina.
Indimostrata era la distrazione di Euro 967.972,00=.
Le omissioni nella tenuta dei registri e scritture contabili erano imputabili al (OMISSIS) che aveva impedito materialmente ogni operazione, in quanto solo detentore dei documenti e abilitato ad accedere agli uffici.
La testimonianza del Luogotenente (OMISSIS) circa l’identificazione dell’impianto non era certa ed era stata basata su di una ricognizione fotografica in bianco e nero.
Il teste (OMISSIS) non brillava per chiarezza e aveva riconosciuto che nel 2000 l’impianto della (OMISSIS) era gia’ obsoleto all’atto della confisca.
Il teste (OMISSIS) non era stato in grado di riconoscere l’impianto.
La deposizione del teste (OMISSIS) alimentava dubbi e incertezze intorno alle sorti dell’impianto di (OMISSIS).
Mancava quindi ogni elemento certo circa la provenienza illecita dell’impianto prima di (OMISSIS) e poi di (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ricorso nell’interesse di (OMISSIS).
1. Dal punto di vista logico appare preliminare l’esame dell’ultimo profilo del motivo di ricorso proposto da (OMISSIS).
1.1. Essa si duole del difetto di corrispondenza fra accusa e sentenza, con la conseguente nullita’ della sentenza ex articolo 522 c.p.p., sostenendo che la contestazione suppletiva ex articolo 517 c.p.p., a cui era ricorso il Pubblico Ministero, revisionando il capo di imputazione dopo l’esame degli imputati e modificando le condotte contestate alla (OMISSIS), richiede che l’oggetto della contestazione sia emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, mentre non e’ consentito ricorrere all’istituto allorche’ si tratta di fatti gia’ noti al Pubblico Ministero all’esito dell’attivita’ investigativa svolta.
1.2. La tesi sostenuta dalla ricorrente e’ in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, a cui si e’ puntualmente conformata la Corte palermitana.
Secondo le Sezioni Unite, in tema di nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione di cui all’articolo 516 c.p.p. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’articolo 517 c.p.p. possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti gia’ acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (Sez. U, n. 4 del 28/10/1998 – dep. 1999, Barbagallo, Rv. 212757; Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, Zani, Rv. 264903; Sez. 6, n. 44980 del 22/09/2009, Nasso, Rv. 245284; Sez. 2, n. 3192 del 08/01/2009, Caltabiano, Rv. 242672; Sez. 5, n. 49017 del 21/09/2004, Obertino ed altro, Rv. 231271).
A supporto di tale orientamento e’ stato osservato che il Pubblico Ministero, potendo provvedere alle contestazioni c.d. “suppletive” nel corso dell’istruzione dibattimentale, a maggior ragione potrebbe esercitare tale potere prima che essa abbia inizio, non sacrificandosi in alcun modo il diritto di difesa dell’imputato (articolo 24 Cost., comma 2), tanto piu’ che a seguito della contestazione suppletiva l’imputato puo’ chiedere ed ottenere un termine a difesa (articolo 519). La contestazione effettuata nella fase iniziale del dibattimento, a seguito di nuova o diversa valutazione da parte del pubblico ministero dei dati acquisiti nelle indagini preliminari, rende piu’ completo ed adeguato l’oggetto del rapporto processuale, senza con cio’ violare il diritto di difesa dell’imputato.
Inoltre il canone ermeneutico fondamentale secondo il quale, nell’applicare la legge, non si puo’ ad essa attribuire altro senso se non quello fatto palese “dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e “dalla intenzione del legislatore” (articolo 12 preleggi) esclude che si possa riconoscere al dato letterale della locuzione, che compare in entrambi gli articoli 516 e 517 (“… nel corso dell’istruzione dibattimentale…”), la portata di criterio guida nella interpretazione delle due norme.
Inoltre la direttiva n. 78, di cui all’articolo 2 della Legge Delega per il vigente codice di rito (L. 16 febbraio 1987, n. 81), prevedendo appunto il potere del pubblico ministero di procedere nel dibattimento alla modifica dell’imputazione non pone specifici limiti temporali all’esercizio di detto potere nell’ambito di tale fase processuale, ne’ consente di fare distinzioni quanto alla fonte degli elementi dai quali la contestazione suppletiva trae origine.
La direttiva e le conseguenti disposizioni del codice di rito si fondano sul fatto che la modifica dell’imputazione o la contestazione di una circostanza aggravante, come pure di un reato concorrente, non possono che considerarsi come eventualita’ fisiologiche in un sistema processuale che si ispira al rito accusatorio incentrato nel dibattimento, ma che non consente, come piu’ volte ricordato dalla Corte Costituzionale, dispersione degli elementi utili per un “giusto processo”.
La censura si pone in contrasto con il richiamato orientamento giurisprudenziale del tutto consolidato ed appare quindi manifestamente infondata.
2. (OMISSIS) e’ stata ritenuta responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale in qualita’ di amministratore di fatto della (OMISSIS) s.r.l. (sentenza di primo grado, pag.47-50; sentenza di secondo grado, pag.29-30) e quindi nella ravvisata qualita’ di autrice del reato proprio fallimentare, e non gia’ quale mero soggetto extraneus concorrente con l’amministratore della societa’.
La motivazione al proposito adottata dal Tribunale di Sciacca e avallata e dalla Corte palermitana per giustificare in capo a (OMISSIS) la veste di amministratore di fatto di (OMISSIS) s.r.l. e’ viziata da importanti incongruenze logiche e in alcuni passaggi del tutto apparente.
3. La giurisprudenza di questa Corte – in tema di rilevanza dell’amministrazione di fatto della societa’ per l’attribuzione al soggetto attivo dei reati “propri” fallimentari- prende le mosse dall’articolo 2639 c.c., dettato in materia di reati societari, che equipara al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile anche colui “che esercita in modo continuativo e significativo ì poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.
La configurazione nell’articolo 2639 c.c. della nozione di amministratore di fatto come colui che esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, sia pur dettata in materia di reati societari, e’ suscettibile di applicazione anche in riferimento ai reati fallimentari che riguardano le figure degli amministratori della societa’ (Sez. 5, n. 39535 del 20/06/2012, Antonucci, Rv. 253363; Sez. 5, n.547 del 05/12/2016, dep.2017, Fusaro, in motivazione).
Pertanto i destinatari delle norme di cui agli articoli 216 e 223 L.F. devono essere individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non gia’ rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, Semeraro, dep. 2015, Rv. 262630).
La nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’articolo 2639 c.c., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; certamente, significativita’ e continuita’ non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono pur sempre l’esercizio di un’apprezzabile attivita’ gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. Pertanto la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attivita’ della societa’, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attivita’, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimita’, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016 – dep. 2017, Faruolo, Rv. 269101).
Per l’individuazione dell’imputato quale amministratore di fatto nell’esperienza concreta giurisprudenziale e’ stato fatto ricorso a indici sintomatici come: il conferimento di deleghe in suo favore in fondamentali settori dell’attivita’ di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto e la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attivita’ gestoria in modo non episodico o occasionale. (Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, Ottobrini Rv. 26827).
Beninteso, ai fini della attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione, ma e’ necessaria una significativa e continua attivita’ gestoria, svolta cioe’ in modo non episodico od occasionale (Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, dep. 2015, Berni, Rv. 264009).
4. E’ bene premettere, in linea generale, che le considerazioni circa un gruppo familiare attivo dagli anni ‘80, appaiono del tutto inconsistenti, nel loro riferimento a (OMISSIS), ossa ad una persona nata nel (OMISSIS), piuttosto che al padre (OMISSIS), alla stregua dei piu’ elementari principi logici.
Effettivamente la Corte territoriale ha esaminato puntigliosamente le attivita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), originari soci della (OMISSIS) e quindi strettamente cointeressati in (OMISSIS), ma non ha fornito dati concreti per delineare la responsabilita’ gestoria di (OMISSIS), accertata sulla base di una proprieta’ transitiva endo-familiare non adeguatamente collegata al quadro probatorio, tra l’altro, che evidenziava il ruolo gestorio predominante ed assorbente di (OMISSIS), genero di (OMISSIS), condannato per associazione mafiosa e soggetto dotato di forte capacita’ intimidatoria.
5. La Corte territoriale ha attribuito una partecipazione attiva nell’amministrazione della societa’ fallita a (OMISSIS), non socia di (OMISSIS) s.r.l. e inquadrata come lavoratrice dipendente, senza indicare specifiche e non occasionali attivita’ di gestione e soprattutto senza far leva su specifiche condotte aventi rilevanza esterna, idonee a ingenerare nei terzi il convincimento di una azione come gestrice della societa’, e per vero neppure come socia.
La sentenza impugnata non adduce da parte di (OMISSIS) ne’ scelte gestionali, ne’ disposizioni ai dipendenti, ne’ assunzioni e licenziamenti di personale, ne’ gestione diretta o indiretta di alcun settore, ne’, infine, contatti di rilevanza negoziale con terzi, clienti e fornitori.
6. I Giudici del merito hanno dato piuttosto rilievo ai cosiddetti “conteggi fatti da (OMISSIS)”, ossia ad una cartellina, recante quella intestazione e contenente conteggi eseguiti al computer, inerente la spartizione dei beni sociali fra la famiglia (OMISSIS) e (OMISSIS) e in particolare del fabbricato realizzato con i finanziamenti di cui alla L. n. 488 del 1992 in contrada (OMISSIS).
Quanto al fatto che tali documenti fossero privi di elementi che li riconducesse alla persona dell’imputata (tale ovviamente non potendo essere il titolo della cartellina apposto dal suo detentore, il coimputato (OMISSIS)), come osservato dall’imputata con l’atto di appello, la Corte territoriale ha obiettato che pur in mancanza di segni grafici ad essa riferibili la riconducibilita’ alla predetta imputata dei conteggi si inseriva “nel contesto in modo coerente con le emergenze probatorie prima descritte e che hanno riguardo ad un ruolo attivo svolto dalla predetta imputata nelle operazioni di divisione di fatto della societa’ fallita”.
Tale risposta realizza in modo evidente una motivazione del tutto apparente per la sua estrema genericita’, sprovvista di un concreto significato, e che tuttalpiu’ richiama altre emergenze probatorie, peraltro puntualmente sottoposte a critica e scrutinio.
La pregnanza della risposta della doppia conforme pronuncia di merito non aumenta neppur se si procede ad integrare il contenuto della pronuncia di appello con quello della pronuncia di primo grado, che alla pagina 49 si limita, del tutto apoditticamente, a negare credibilita’ al disconoscimento opposto da (OMISSIS) (si ripete, ad un documento anonimo, tuttalpiu’ attribuitole dal coimputato (OMISSIS), coimputato, controinteressato e reale dominus delle attivita’ distrattive), sostenendo, tautologicamente e con grave petizione di principio, che il diniego dell’imputata era un mero espediente per evitare l’attribuzione della qualifica di amministratrice di fatto e della penale responsabilita’ per i reati fallimentari.
In altri termini: (OMISSIS) e’ amministratrice di fatto perche’ ha redatto i conteggi contenuti nella cartellina e ha redatto i conteggi contenuti nella cartellina perche’ e’ amministratrice di fatto. Il vizio logico di circolarita’ ovvero di petizione di principio e’ evidente.
Per vero, inoltre, le circostanze rappresentate in sentenza dimostrerebbero semmai condotte denotanti l’azione concorsuale dell’imputata in qualita’ di socia di fatto o rappresentante di un gruppo di soci di fatto, interessata alla spartizione distrattiva dei beni e non l’attivita’ di gestione amministrativa della societa’ che vi ha colto la sentenza impugnata.
7. La ricorrente osserva che la lettera del 17/2/2007, con cui erano state contestate a (OMISSIS) una serie di inadempienze agli accordi di spartizione, era una nota di (OMISSIS), non riconducibile a (OMISSIS), se non per quattro righe da lei vergate per accusare il (OMISSIS) di imbrogli e minacciarlo di azioni giudiziarie per far giustizia per il padre e quella “povera vittima” di suo fratello.
Comunque, anche volendo attribuire a (OMISSIS) l’accusa mossa unitamente ai famigliari al (OMISSIS) di “essersi impossessato di tutti i beni e parecchie somme di denaro di pertinenza della fallita”, non si comprende assolutamente il salto logico che ha condotto i Giudici del merito a ravvisarvi, piuttosto che le recriminazioni di una socia o un gruppo di soci di fatto delusi e irritati, un atto gestorio della societa’.
8. Vi e’ poi l’episodio del (OMISSIS) dell’esibizione, insieme al fratello (OMISSIS), al curatore fallimentare della fattura del 30/11/2014 di vendita dell’impianto di calcestruzzo (OMISSIS) dalla (OMISSIS) alla (OMISSIS), ritenuta falsa.
Secondo i Giudici del merito, il simulato trasferimento dell’impianto, gia’ sottratto alla confisca di prevenzione irrogata nei confronti di (OMISSIS), perpetrato attraverso lo scambio con quello, della medesima marca, ridotto a rottami, acquistato il 3/12/2002 dalla Ditta (OMISSIS), mirava ulteriormente a depauperare il capitale aziendale della (OMISSIS), distraendo tale manufatto.
La tesi argomentata dal Tribunale di Sciacca a pagina 35-36 della sentenza di primo grado, e tacitamente avallata dalla Corte palermitana non appare corretta, laddove configura un fatto distrattivo nella sottrazione alla garanzia dei creditori di un bene di provenienza delittuosa (nel caso di furto aggravato ai danni dello Stato e non di riciclaggio, come ritenuto dagli stessi Giudici di primo grado), ossia l’impianto acquisito al patrimonio dello Stato in virtu’ di confisca di prevenzione, gia’ appartenuto a (OMISSIS).
Se la ricostruzione compiuta dai Giudici del merito e’ corretta, ossia se l’impianto confiscato a (OMISSIS) era stato artificiosamente sostituito con quello ormai cadente della stessa ditta acquistato ad hoc) (OMISSIS) deteneva l’impianto confiscato, quindi ceduto, con operazione distrattiva a (OMISSIS) s.r.l.; non si vede come i creditori sociali potessero soddisfarsi su di un bene effettivamente appartenente allo Stato e non gia’ alla fallita.
La sentenza di questa Sezione 5, n. 45332 del 09/10/2009, Rapisarda, Rv. 245156, addotta a sostegno dell’assunto dal Tribunale di Sciacca, afferma effettivamente che in tema di reati fallimentari, il reato di bancarotta fraudolenta non e’ escluso dal fatto che i beni distratti o dissipati appartenenti alla societa’, poi dichiarata fallita, siano di provenienza delittuosa, in quanto, a tal fine, deve aversi riguardo alla consistenza obiettiva del patrimonio, prescindendo dai modi della sua formazione, con la conseguenza che detti beni, una volta entrati nel patrimonio della societa’, diventano cespiti sui quali i creditori possono soddisfare le loro ragioni.
Tale pronuncia si riferisce pero’ all’ipotesi in cui i beni, sia pur a seguito di fatti delittuosi, appartengano effettivamente alla societa’ fallita e quindi l’affermazione non e’ suscettibile di estensione all’ipotesi di acquisto a non domino di beni altrui, in difetto del necessario requisito della buona fede (articolo 1153 c.c.) da parte di soggetti in ipotesi addirittura concorrenti nel reato.
Resta il fatto, in ogni caso, che la condotta addebitata a (OMISSIS) e’ stata posta in essere in qualita’ di socia e, se si vuole, di amministratrice di fatto di (OMISSIS), rivendicando in forza della fattura di acquisto la titolarita’ del bene a favore di tale societa’ che lo aveva apparentemente acquistato oppure, in ipotesi, che lo aveva conseguito in virtu’ di una fatto distrattivo.
Non si comprende pero’ come possa essere ravvisato in tale comportamento un atto gestorio della societa’ venditrice (OMISSIS), per di piu’ posto in essere dopo il fallimento di tale societa’ dichiarato dal Tribunale di Sciacca il 19/1/2006.
Ovviamente, il rilievo prescinde dalla possibilita’ di configurare nella complessiva condotta della (OMISSIS) e dei soci di (OMISSIS) gli estremi di un concorso esterno nel delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva posto in essere dagli amministratori di (OMISSIS).
Non diversa puo’ essere la valutazione dell’elemento di fatto, valorizzato nella sentenza di primo grado e non richiamato nella sentenza di appello, ossia che (OMISSIS) aveva dichiarato al Curatore fallimentare che la societa’ si era divisa e che gli impianti erano stati spartiti (pag.47 sentenza di primo grado), poiche’ si tratta ancora una volta di una mera dichiarazione, di scienza, posta in essere dopo la dichiarazione di fallimento.
E’ appena il caso di aggiungere la totale irrilevanza, per genericita’, inconcludenza e valutativita’, dell’ulteriore elemento di fatto valorizzato nella sentenza di primo grado (pag.48) e non richiamato nella sentenza di appello, secondo cui la moglie di (OMISSIS), (OMISSIS), riteneva (OMISSIS) animata da spirito di comando e responsabile degli attriti, via via maturati con il marito.
9. In conseguenza, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata, affetta dagli esposti vizi di motivazione e di violazione di legge, deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo esame.
Ricorso nell’interesse di (OMISSIS).
10. Con il terzo profilo del suo articolato e invero promiscuo motivo di ricorso ricorrente svolge considerazioni del tutto analoghe a quelle proposte con l’ultimo motivo di ricorso dalla sorella (OMISSIS), in ordine ai poteri spettanti al Pubblico Ministero per precisare o integrare i capi di accusa nel corso dell’istruzione dibattimentale e sostiene, egli pure, che la contestazione suppletiva ex articolo 517 c.p.p. richiede, a pena di nullita’ della sentenza ex articolo 522 c.p.p. che l’oggetto della contestazione sia emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, mentre non e’ consentito ricorrere all’istituto, allorche’ si tratti di fatti gia’ noti all’esito dell’attivita’ investigativa svolta.
Valgono al proposito le considerazioni esposte supra al § 1, in ordine al corrispondente motivo della difesa di (OMISSIS).
11. Con il primo profilo del motivo il ricorrente deduce inosservanza o errata applicazione dell’articolo 27 Cost. e articoli 40 e 42 c.p..
Il ricorrente osserva che la responsabilita’ per bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione non puo’ essere fatta gravare sul mero amministratore legale, la cosiddetta “testa di legno”, per le azioni compiute dall’amministratore di fatto, delle quali non risponde per colpa e omissione di vigilanza; viceversa l’amministratore di diritto risponde penalmente per i fatti di distrazione ove abbia percepito i segnali di rischio, apprezzandoli come tali e astenendosi dall’intervenire.
11.1. La sentenza impugnata, dopo aver ricordato che (OMISSIS) era stato amministratore unico di diritto di (OMISSIS) dalla fondazione nel 1999 sino al fallimento e dopo aver rimarcato che il suo atto di appello non aveva investito il tema della effettiva sussistenza delle condotte distrattive, ha sorvolato sul rilievo, compiuto dalla sentenza di primo grado che egli, personalmente, era risultato beneficiario di assegni circolari e bancari e vaglia cambiari per Euro 19.050,00=.
La Corte palermitana ha ritenuto irrilevante il ruolo gregario eventualmente ascrivibile a (OMISSIS) rispetto al coimputato (OMISSIS), amministratore di fatto, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale.
Secondo tale filone, nell’ipotesi di concorso ex articolo 40 cpv. c.p. (omissione di impedimento dell’evento in dipendenza dall’obbligo di vigilanza) dell’amministratore di diritto negli illeciti commessi dall’amministratore di fatto, l’amministratore di diritto risponde per le condotte criminose poste in essere dall’amministratore di fatto purche’ egli sia genericamente consapevole della violazione da parte di costui delle norme incriminatrici, senza che sia necessaria la consapevolezza dei singoli episodi delittuosi, fermo restando che essa non puo’ presumersi in base al semplice dato di avere il soggetto acconsentito a ricoprire formalmente la carica (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, Arienti ed altri, Rv. 222389; Sez. 5, n. 3328 del 05/02/1998, Riccieri, Rv. 209949; Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Fasola, Rv. 262767).
E’ stato anche aggiunto che il dolo dell’amministratore formale nel reato commesso dall’amministratore di fatto, puo’ configurarsi anche come eventuale ed essere integrato dall’omesso controllo sulla tenuta delle scritture che dimostra la rinuncia a porre in essere quelle attivita’ idonee a prevenire il pericolo di distrazioni e, di conseguenza, l’accettazione del rischio che esse possano verificarsi. (Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010 Succi Rv. 247251).
E’ altrettanto ferma nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione che mentre in tema di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben puo’ ritenersi la responsabilita’ del soggetto investito solo formalmente dell’amministrazione dell’impresa fallita (cosiddetto “testa di legno”), atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto puo’ dirsi con riguardo all’ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non puo’, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilita’ dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto. (Sez. 5, n. 28007 del 04/06/2004 Squillante,Rv. 228 713).
11.2. Nel caso in esame, tuttavia, il ricorrente, secondo la ricostruzione operata dalle conformi sentenze di merito, non era affatto una mera “testa di legno”, ossia un amministratore fittizio, ovvero un fantoccio collocato nella carica per mera apparenza, ma aveva esercitato i poteri che gli competevano, sia pure in ruolo gregario e progressivamente emarginato dall’egemonia sviluppata da (OMISSIS).
La sentenza di primo grado, avallata da quella di appello, ha messo in evidenza che la societa’ nasceva da una confluenza di interessi delle famiglie (OMISSIS) – (OMISSIS) e (OMISSIS); che i (OMISSIS) avevano goduto di importanti vantaggi attraverso le ingenti attivita’ commissionate a (OMISSIS) per effetto dei contributi richiesti dal (OMISSIS) ex L. n. 488 del 1912; che la soggezione psicologica dell’imputato al (OMISSIS) non si basava su minacce formulate ma solo sulla sua condizione di genero del mafioso (OMISSIS), peraltro socio del padre (OMISSIS) e padre del comproprietario del terreno su cui, senza titoli giuridici, si era insediata la (OMISSIS); che (OMISSIS) era al possesso personale di parte della palazzina gia’ adibita ad uso ufficio in contrada (OMISSIS) e in corso di riattamento a civile abitazione, nel cui garage erano conservati mobili di sua personale proprieta’; era stato beneficiario di distrazioni pecuniaria per Euro 19.050,00=; che (OMISSIS) era stato personalmente coinvolto nella simulazione di vendita di beni strumentali a (OMISSIS) con le fatture 47,48 e 49 del 31/12/2004, da lui quietanzate; che (OMISSIS) aveva emesso assegni a favore dei familiari, ossia il padre (OMISSIS) e la sorella (OMISSIS); che (OMISSIS) aveva preso parte alla distrazione dell’impianto di calcestruzzo trasferito alla (OMISSIS).
Siffatte circostanze sono del tutto incompatibili con un ruolo di mero fantoccio rivendicato da (OMISSIS), tuttalpiu’ subalterno rispetto al (OMISSIS), ma attivo e operativo nella gestione della societa’ e negli stessi fatti distrattivi.
12. La Corte non puo’ esimersi dal rilevare che il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS), dopo le prime quattro pagine, dedicate al primo profilo di censura del motivo, dalla 5 alla 24 pagina consiste nella riedizione, mediante integrale “copia e incolla” della pagine da 3 a 20 dell’atto di appello, neppure “riformattate” e neppur coordinate con la numerazione e il testo alle prime 4 pagine, con l’unico accorgimento della sostituzione nell’ultima pagina del riferimento alla Corte di Cassazione in luogo della Corte di appello e della data.
Tale circostanza, anche a prescindere dall’incedere meramente argomentativo, esclude che il ricorso possa assolvere in parte qua alla propria funzione critica rispetto al provvedimento impugnato, che presuppone il carattere cronologicamente successivo dell’atto di impugnazione volto a confrontarsi ex post con la motivazione dell’atto impugnato, connotato che non puo’ essere riconosciuto ad un atto conforme alla difesa svolta nel grado precedente.
13. Con il secondo profilo del motivo, peraltro meramente reiterativo dell’atto di appello e inammissibilmente non correlato al tenore della sentenza impugnata, il ricorrente ripercorre le attivita’ di (OMISSIS) e di (OMISSIS), delineandone la caratura mafiosa e distinguendo tali figure da quella di (OMISSIS), che, pur loro formalmente affiancato in attivita’ imprenditoriali, non era mai stato coinvolto in indagine per reati associativi, al pari, tantomeno, di (OMISSIS), vero e proprio “vaso di coccio”..
Il ricorrente insiste nel delineare il ruolo dominante del (OMISSIS), socio di maggioranza e vero dominus della (OMISSIS), nel cui confronto i due fratelli (OMISSIS) erano soggiogati e intimiditi.
Il ricorrente sottolinea gli sforzi della famiglia (OMISSIS) per racimolare risorse da offrire alla massa fallimentare.
Il ricorrente rievoca il ruolo predominante ed egemone del (OMISSIS), richiamando cenni del contenuto di alcune deposizioni testimoniali e ricorda che la firma di (OMISSIS) era stata ripetutamente usurpata, come accertato giudizialmente quanto al fatto di (OMISSIS).
L’unico responsabile della bancarotta societaria era l’amministratore di fatto (OMISSIS), autore di ogni scelta gestionale e socio tiranno, mentre (OMISSIS) aveva svolto un ruolo gregario, con posizione sostanzialmente assente, inesistente, emarginato, mentre non vi era alcuna prova di sue concrete azioni.
Le recriminazioni del ricorrente circa la ricostruzione del suo ruolo accolta in sentenza risultano del tutto generiche, prive di puntuale correlazione con specifiche evidenze probatorie e mirano a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto motivatamente ricostruito dal Giudice del merito.
Cosi’ argomentando, infatti il ricorrente mira a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto storico motivatamente ricostruito dal Giudice del merito, senza transitare, come impone l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), attraverso la dimostrazione di vizi logici intrinseci della motivazione (mancanza, contraddittorieta’, illogicita’ manifesta) o denunciarne in modo puntuale e specifico la contraddittorieta’ estrinseca con “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.
14. Il ricorrente sostiene che non vi era alcuna evidenza dell’estensione al (OMISSIS) per Euro 38.500,00= della distrazione operata dal (OMISSIS) per Euro 500.000,00=; che non vi era alcuna prova della falsita’ delle fatture relative alla distrazione dei beni mobili della societa’ fallita: risultava solamente l’esperimento positivo della revocatoria fallimentare, trattandosi di cessioni avvenute nel biennio anteriore al fallimento.
Quanto all’impianto di contrada (OMISSIS), secondo il ricorrente, l’accusa era incorsa in errore macroscopico, confondendo il valore dell’impianto con quello delle opere edili e murarie e di modificazione del fondo.
Anche per gli immobili, un conto era realizzare opere edili, altro era venderle e commerciarle; la stima non teneva conto dell’assenza e della staticita’ del mercato immobiliare di una piccola cittadina.
Indimostrata era la distrazione di Euro 967.972,00=.
Le omissioni nella tenuta dei registri e scritture contabili erano imputabili al (OMISSIS) che aveva impedito materialmente ogni operazione, in quanto solo detentore dei documenti e abilitato ad accedere agli uffici.
La testimonianza del Luogotenente (OMISSIS) circa l’identificazione dell’impianto non era certa ed era stata basata su di una ricognizione fotografica in bianco e nero.
Il teste (OMISSIS) non brillava per chiarezza e aveva riconosciuto che nel 2000 l’impianto della (OMISSIS) era gia’ obsoleto all’atto della confisca.
Il teste (OMISSIS) non era stato in grado di riconoscere l’impianto.
La deposizione del teste (OMISSIS) alimentava dubbi e incertezze intorno alle sorti dell’impianto di (OMISSIS).
Mancava quindi ogni elemento certo circa la provenienza illecita dell’impianto prima di (OMISSIS) e poi di (OMISSIS).
Anche in questo caso il ricorrente si addentra, con imponente sforzo argomentativo, peraltro meramente reiterativo, del tutto generico e privo di concreti riferimenti documentali, nella ricostruzione del fatto, preclusa in sede di legittimita’, senza transitare attraverso la dimostrazione dei tipici vizi logici della motivazione della sentenza impugnata (mancanza, apparenza, contraddittorieta’, manifesta illogicita’) e senza evidenziare in modo specifico gli atti e documenti processuali in ipotesi travisati in modo decisivo e per giunta senza riportare in modo puntuale e completo i contributi dichiarativi invocati a proprio sostegno.
15. Circa la responsabilita’ per bancarotta fraudolenta documentale, solo genericamente contestata, e’ sufficiente il richiamo dell’orientamento del tutto consolidato, secondo il quale l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se e’ investito solo formalmente dell’amministrazione della societa’ fallita (cosiddetta testa di legno), eventualita’ come si e’ visto non ricorrente nella presente fattispecie quanto ad (OMISSIS).
Sussiste infatti il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purche’ sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari. (da ultimo, Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271754).
16. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 2.000,00= in favore della Cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n. 186).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Palermo.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00= in favore della Cassa delle ammende.

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