I riscontri esterni della chiamata in correita’ ben possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatorie

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 12 giugno 2018, n. 26922.

La massima estrapolata:

I riscontri esterni della chiamata in correita’ ben possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatorie che debbono pero’ caratterizzarsi: a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione; b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza; c) per la loro specificita’, nel senso che la c.d. “convergenza del molteplice” deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui contestate, fermo restando che non puo’ pretendersi una completa sovrapponibilita’ degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, dovendosi invece privilegiare l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della quaestio facti oggetto dell’accertamento giudiziale.

Sentenza 12 giugno 2018, n. 26922

Data udienza 28 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 24/07/2017 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARCO VANNUCCI;
sentite le conclusioni del PG Dr. CENICCOLA ELISABETTA che conclude per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che conclude per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 24 luglio 2017 ex articolo 309 c.p.p., il Tribunale di Catania ha confermato la decisione, assunta dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale il 8 luglio 2017, di assoggettamento di (OMISSIS) a custodia cautelare in carcere perche’ gravemente indiziato di avere commesso, in concorso con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), il (OMISSIS), il delitto di omicidio, pluriaggravato, di (OMISSIS) (articoli 110 e 575 c.p., articolo 577 c.p., nn. 2) e 3) e articolo 61 c.p., nn. 5) e 11).
1.1 A fondamento della prognosi di segno positivo in ordine alla commissione di tale reato da parte di (OMISSIS) l’ordinanza, anche mediante richiamo del contenuto del provvedimento di prima istanza, evidenzia che: la chiamata in correita’ di (OMISSIS), quale compartecipe all’esecuzione dell’omicidio, da parte del collaboratore di giustizia (OMISSIS) (che, senza essere sospettato di nulla, aveva spontaneamente dichiarato di avere, su mandato di (OMISSIS), sua amante del tempo, dapprima tentato, unitamente a (OMISSIS), di uccidere (OMISSIS), all’epoca dei fatti convivente con (OMISSIS), e, dappoi, ucciso tale persona con il concorso materiale di (OMISSIS) e di (OMISSIS), cugino dello stesso (OMISSIS)) trova riscontro nel contenuto della chiamata in correita’ dello stesso (OMISSIS) da parte di (OMISSIS) che, in sede di interrogatorio successivo all’esecuzione dell’ordinanza dell’8 luglio 2017, ha sostanzialmente confermato quanto narrato da (OMISSIS); inoltre, a conferma dell’affermazione di (OMISSIS), secondo cui il decesso di (OMISSIS) non sarebbe conseguenza di fatto di terzi (tale persona venne trasportata, in corna, presso l’ospedale di Catania e li’, dopo tentativi di rianimazione anche mediante farmaci, ne venne constatato il decesso per infarto), vi e’ anche il contenuto di conversazione captata nel corso della quale (OMISSIS), preoccupato per una imminente cattura, ha dichiarato ad un proprio conoscente di avere commesso un omicidio unitamente ad altre due persone; dopo tale accadimento, (OMISSIS) ha effettuato una narrazione dei fatti delittuosi dai contenuti sostanzialmente sovrapponibili a quelli caratterizzanti la narrazione di (OMISSIS); in particolare, il fatto che la morte di (OMISSIS) sia stata dai medici dell’ospedale attribuita ad infarto non vale a smentire l’accusa di omicidio, dal momento che tale persona non venne in ospedale sottoposta ad alcun accertamento clinico idoneo ad accertare la reale causa del decesso; inoltre, secondo la narrazione di (OMISSIS), a (OMISSIS) sarebbe stato in un primo momento iniettato una sostanza tossica diversa da un vero e proprio veleno e cio’ spiega l’assenza di segni evidenti di avvelenamento, tali da insospettire il medico del pronto soccorso; una volta, poi, affermato, da (OMISSIS) e (OMISSIS), che dopo l’iniezione di tale sostanza, (OMISSIS) si era risvegliato ed era stato portato in cucina ed ivi soffocato da (OMISSIS), e’ irrilevante che (OMISSIS) non abbia precisato che il proprio complice ebbe ad utilizzare per il soffocamento anche una pezza trovata sul tavolo della cucina, dal momento che il tempo trascorso spiega “il mancato ricordo di particolari privi di significativita’”; se e’ vero che nel corso della conversazione captata prima del suo arresto (OMISSIS) ha affermato di avere commesso un omicidio con il concorso di altre due persone, mentre della commissione del delitto sono accusate quattro persone, e’ altrettanto vero che tale discordanza ha una sua spiegazione logica, “avendo l’interlocutore alluso agli esecutori materiali, coloro che avevano eseguito il delitto, a differenza della donna che non vi aveva partecipato attivamente”; inoltre, “il riferimento all’omicidio commesso sedici anni prima anziche’ quindici e’, d’altra parte, compatibile con il calcolo degli anni trascorsi dal 2002 al 2017, sedici appunto”; infine il contenuto delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) costituisce riscontro esterno individualizzante del contenuto delle dichiarazioni in precedenza rese da (OMISSIS), con l’ulteriore precisazione che il contenuto delle conversazioni captate il 15 giugno 2017 all’interno della caserma dei carabinieri fra (OMISSIS), la di lui convivente e (OMISSIS). costituiva fatto che, in una valutazione complessiva degli elementi indizianti, e’ idoneo “a confermare le indicazioni soggettive del (OMISSIS)”.
1.2 La custodia cautelare in carcere e’ stata ritenuta unica misura idonea ad evitare che l’indagato abbia a commettere ulteriori, gravi, delitti contro la persona, in quanto: “le modalita’ della condotta delittuosa, connotata da proditorieta’ e inquietante freddezza, palesano un pericolo di reiterazione di analoghe fattispecie delittuose elevatissimo, assolutamente concreto ed attuale, dimostrando la personalita’ violenta e spregiudicata del (OMISSIS), tale da indurlo a un delitto cosi’ grave su incarico di altri e per ragioni a lui del tutto estranee”; non vi sono elementi di segno positivo che consentano di superare la presunzione, relativa, di adeguatezza della custodia cautelare in carcere sancita dall’articolo 275 c.p.p., comma 3, essendo il rispetto di misure cautelari personali meno afflittive “legato all’autocontrollo dell’indagato che ha dimostrato spregio assoluto per la vita altrui”.
2. Per la cassazione di tale ordinanza (OMISSIS) ha proposto ricorso (atto sottoscritto dal difensore, avvocato (OMISSIS)) contenente due motivi di impugnazione.
2.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce che l’ordinanza impugnata avrebbe violato il precetto contenuto nell’articolo 275 c.p.p., comma 3, non avendo attribuito alcuna rilevanza, in contrasto con l’interpretazione della norma fornita dalla giurisprudenza di legittimita’, al tempo (quindici anni) trascorso fra fatto contestato e pronuncia cautelare di prima istanza, anche perche’ in tale arco temporale esso ricorrente, che svolge attivita’ imprenditoriale nel settore dell’edilizia, non sarebbe stato mai neppure accusato della commissione di delitti contro la persona; risultando invece a suo carico solo precedenti, dell’anno 2009, per reati contro il patrimonio.
2.2 La motivazione dell’ordinanza e’ con il secondo motivo dal ricorrente criticata in ragione della sua contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ quanto alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza di esso ricorrente nella commissione dell’omicidio, non sussistendo riscontri esterni individualizzanti al contenuto delle dichiarazioni rispettivamente rese dal (coindagato) collaboratore di giustizia (OMISSIS) e dal coindagato (OMISSIS), dal momento che: costoro hanno dichiarato che (OMISSIS) sarebbe stato da loro e da esso ricorrente ucciso mediante, dapprima, iniezione di sostanza tossica (un disinfettante acquistato in negozio di vendita di concimi e piante) e, dappoi, mediante soffocamento (occlusione delle vie respiratorie mediante violenta pressione sulle stesse); alla luce del contenuto dei documenti acquisiti al procedimento e delle dichiarazioni rispettivamente rese dal fratello e dal nipote di (OMISSIS) risulta invece che costui era ancora in vita al momento del suo ricovero, che la sua morte avvenne per infarto fulminante e che sulla sua persona non vennero riscontrati segni esterni di previo soffocamento ovvero avvelenamento da sostanza tossica; (OMISSIS) ha affermato di avere chiesto ad un suo amico ginecologo consiglio per l’acquisto di sostanza venefica destinata all’uccisione di un cane; tale persona ha invece affermato di non ricordare tale colloquio; il contenuto delle conversazioni captate il 15 giugno 2017 non dimostrerebbe in alcun modo il coinvolgimento di esso ricorrente nel fatto oggetto di provvisoria contestazione; (OMISSIS) ha poi affermato che alla commissione del contestato omicidio, in un giorno del mese di “(OMISSIS)”, avrebbero partecipato quattro persone (lui, (OMISSIS), (OMISSIS) ed esso ricorrente), che (OMISSIS) sarebbe stato coinvolto da esso ricorrente, che (OMISSIS) sarebbe stato soffocato da (OMISSIS) mediante occlusione con una mano della bocca e del naso; (OMISSIS) ha invece asserito che il fatto sarebbe stato commesso da tre persone, che lui sarebbe stato coinvolto da (OMISSIS), che (OMISSIS) sarebbe stato soffocato da esso (OMISSIS) mediante occlusione con una pezza della bocca e del naso; il coinvolgimento di (OMISSIS) quale mandante dell’omicidio (secondo quanto affermato da (OMISSIS)) troverebbe smentita nel contenuto delle captate conversazioni indicate nel ricorso.
3. Il 29 gennaio 2018 il ricorrente ha depositato memoria relativa alle cause della morte di (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorrente ha allegato quattro copie di atti e documenti alla memoria da esso depositata il 29 gennaio 2018.
In funzione della decisione sul ricorso non verranno pero’ presi in alcuna considerazione: il verbale contenente dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da (OMISSIS) il 12 settembre 2017, risultando l’atto formato dopo l’emissione dell’ordinanza in questa sede impugnata; la consulenza medico legale di parte, non avendo il ricorrente dedotto che tale documento, non recante data di formazione ovvero di deposito in cancelleria, sia stato portato all’attenzione del giudice del riesame cautelare mediante deposito dello stesso prima della decisione sull’istanza di riesame.
2. Il secondo motivo di impugnazione, recante critica alla parte di motivazione relativa alla sussistenza di prognosi di colpevolezza del ricorrente, e’ da esaminare con priorita’ logica rispetto al primo, di censura alla parte di motivazione dedicata alla indicazione delle esigenze cautelari.
Alla luce del rispettivo contenuto dell’ordinanza di prima istanza e di quella emessa in sede di reclamo cautelare, risulta che: nella notte fra il (OMISSIS), (OMISSIS) (nipote di (OMISSIS)) venne svegliato da (OMISSIS) che gli riferi’ che lo zio non rispondeva alle sue sollecitazioni; giunto a casa dello zio, (OMISSIS) constato’ che lo stesso giaceva immoto sul proprio letto; (OMISSIS) e (OMISSIS) trasportarono quindi in automobile l’esanime (OMISSIS) presso l’Ospedale (OMISSIS); l’uomo era in stato di corna; presso l’ospedale vennero effettuati vani tentativi di rianimazione; il decesso di (OMISSIS) venne accertato nelle prime ore del (OMISSIS) come conseguenza di “shock cardiaco”; il cadavere di (OMISSIS) venne quindi riportato in casa ove il medico di sua fiducia indico’ come causa del decesso un “infarto fulminante”.
L’ordinanza impugnata, richiamando il contenuto dell’ordinanza emessa dal giudice di prima istanza, afferma che la sostanza dei riscontri esterni dei contenuti della chiamata in correita’ di (OMISSIS) da parte del cugino (OMISSIS), collaboratore di giustizia, e’ costituita dai contenuti della narrazione dei fatti svolta da (OMISSIS) che, nel corso dell’interrogatorio del 14 luglio 2017, ha confessato di avere ucciso (OMISSIS) e che a tale fatto avevano partecipato (OMISSIS) e (OMISSIS).
In particolare, le due narrazioni del medesimo fatto sono ritenute, salve alcune discordanze particolari, dall’ordinanza correttamente imputate al tempo trascorso fra fatto e narrazioni dello stesso (si contesta al ricorrente di avere commesso l’omicidio di (OMISSIS) il (OMISSIS); la narrazione dei fatti da parte di (OMISSIS) avvenne il 3 marzo 2016; (OMISSIS) ha reso il 14 luglio 2017 le proprie dichiarazioni, dal contenuto confessorio e, ad un tempo, accusatorio di (OMISSIS)), sostanzialmente convergenti quanto alle azioni nei confronti di (OMISSIS) rispettivamente riferite alle persone di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Premesso che non risulta vera l’affermazione del ricorrente, secondo cui (OMISSIS) avrebbe affermato che l’omicidio sarebbe stato commesso in un giorno del mese di “(OMISSIS)”, risultando dalla trascrizione delle dichiarazioni da lui rese il 3 marzo 2016 che tale indagato dichiaro’ che in tale periodo (OMISSIS) gli chiese nuovamente di uccidere (OMISSIS), vanamente il ricorrente afferma la sussistenza di differenze sostanziali fra le due narrazioni, dal momento che, le dichiarazioni rispettivamente fatte da ciascuna di tali persone convergono nel senso che: dopo che (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) vennero da (OMISSIS) fatti entrare, nel cuore della notte, nell’abitazione in cui (OMISSIS) conviveva con la donna, i tre si diressero verso la stanza ove (OMISSIS) dormiva; (OMISSIS) tenne l’uomo per i piedi mentre (OMISSIS) inietto’ nel suo gluteo una sostanza tossica; (OMISSIS) si sveglio’ credendo ad una rapina; i tre uomini lo portarono quindi nella cucina e in quel luogo, mentre (OMISSIS) teneva ferma la vittima, (OMISSIS) con forza occluse le vie respiratorie di (OMISSIS) fino a fargli perdere conoscenza; lo stesso, inanime, venne rimesso nel proprio letto.
Sotto altro, concorrente, profilo, l’ordinanza medesima non e’ sindacabile in sede di legittimita’ allorche’ afferma che non vale a smentire l’accusa (provvisoria) di omicidio il fatto che la morte di (OMISSIS) sia stata dai medici addetti al pronto soccorso dell’ospedale attribuita a “shock cardiaco”, dal momento che tale persona, giunta in stato di coma presso il nosocomio, venne ivi solo sottoposta a tentativi di rianimazione; senza, dunque, alcun accertamento clinico approfondito idoneo ad accertare la reale causa del decesso, non avendo (OMISSIS) riferito alcunche’ di anomalo e non risultando dall’esame esterno del corpo della vittima segni che potessero determinare approfondimenti diagnostici.
L’ordinanza impugnata ha dunque fatto corretta applicazione dei principi interpretativi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui i riscontri esterni della chiamata in correita’ (nella specie, quella fatta in primo luogo da (OMISSIS)) ben possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatorie (nel caso concreto, quelle fatte, dopo piu’ di un anno, da (OMISSIS)) che debbono pero’ caratterizzarsi: a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione; b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza; c) per la loro specificita’, nel senso che la c.d. “convergenza del molteplice” deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui contestate, fermo restando che non puo’ pretendersi una completa sovrapponibilita’ degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, dovendosi invece privilegiare l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della quaestio facti oggetto dell’accertamento giudiziale (in questo senso, cfr. Cass. Sez. 2, n. 13473 del 4 marzo 2008, Lucchese, Rv. 239744; Cass. Sez. 5, n. 9001 del 15 giugno 2000, Madonia, Rv. 217729; Cass. Sez. 2, n. 3616 del 17 dicembre 1999, dep. 2000, Calascibetta, Rv. 215558; Cass. Sez. 2, n. 7437 del 30 aprile 1999, Cataldo, Riv. 213845).
In conclusione, l’ordinanza impugnata e’ immune dalle censure, per lo piu’ sostanziantesi in una diversa ricostruzione dei fatti, alla stessa rivolte dal ricorrente, avendo il giudice di merito accertato, con congrua e logica motivazione in risposta agli argomenti utilizzati dal ricorrente nel corso del procedimento di riesame cautelare, come tale insindacabile in questa sede, che, con alto grado di probabilita’: la morte di (OMISSIS) fu conseguenza del coma in lui indotto dall’azione combinata del liquido tossico iniettatogli (non e’ dato sapere in quale quantita’) e dell’occlusione forzata delle sue vie respiratorie; (OMISSIS) concorse con (OMISSIS) e (OMISSIS) nella fase esecutiva dell’omicidio.
3. Il secondo motivo di censura e’ fondato.
L’ordinanza impugnata afferma: essere esistente il pericolo, concreto ed attuale, che l’odierno ricorrente abbia a commettere altri gravi delitti contro la persona (articolo 274 c.p.p., lettera c); non essere sussistenti elementi di fatto di segno contrario al superamento della presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere rispetto al delitto di omicidio pluriaggravato (provvisoriamente) contestato allo stesso ricorrente, stabilita dall’articolo 275 c.p.p., comma 3.
Tali asserzioni sono essenzialmente fondate sulle modalita’ di partecipazione del ricorrente nella commissione dell’omicidio, ritenute dal giudice del riesame del merito cautelare rivelatrici di personalita’ “violenta e spregiudicata del (OMISSIS), tale da indurlo a un delitto cosi’ grave su incarico di altri e per ragioni a lui del tutto estranee”.
Al riguardo, si rimarca che il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede (nella specie, omicidio pluriaggravato) deve essere concreto ed attuale (articolo 274 c.p.p., lettera c).
L’articolo 275 c.p.p., comma 3, dispone che e’ dal giudice del merito applicata la custodia cautelare in carcere a chi e’ accusato della commissione del delitto di omicidio, “salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
Soprattutto dopo la modificazione, recata dalla L. n. 47 del 2015, dell’articolo del codice di rito da ultimo citato, la giurisprudenza di legittimita’ e’ costante nell’affermare il principio secondo cui il tempo intercorso fra la” contestata, commissione di uno dei delitti specificamente indicati dall’articolo 275 c.p.p., comma 3, e quello di emissione del provvedimento cautelare assume peculiare rilievo in funzione del superamento della, doppia, presunzione, relativa, di esistenza di esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere all’accusa di commissione di uno di tali delitti, sancita dalla disposizione di legge processuale teste’ citata; nel senso che ove la distanza temporale fra fatto e provvedimento sia particolarmente consistente senza che sia dato riscontrare specifiche condotte dell’accusato sintomatiche di perdurante pericolosita’, il giudice del merito cautelare non puo’ trascurare tale elemento di fatto, dovendo al contrario indicare specificamente i motivi da cui desumere tanto la sussistenza di attualita’ dell’affermata esigenza cautelare, quanto l’adeguatezza della custodia in carcere in funzione del soddisfacimento della stessa esigenza (in questo senso, cfr., fra le altre, Cass. Sez. 6, n. 53028 del 6 novembre 2017, Battaglia, Rv. 271576; Cass. Sez. 6, n. 29807 del 4 maggio 2017, Nocerino, Rv. 270738; Cass. Sez. 5, n. 52628 del 23 settembre 2016, Gallo, Rv. 268727; Cass. Sez. 4, n. 20987 del 27 gennaio 2016, C., Rv. 266962).
Tale regola di interpretazione della norma deve essere in questa sede confermata.
In tale ottica, si osserva che nel caso di specie: nei confronti del ricorrente pendono indagini preliminari per concorso nella commissione dell’omicidio, pluriaggravato, di (OMISSIS) asseritamente commesso il (OMISSIS); l’ordinanza impugnata non spiega in alcun modo per quale ragione il tempo trascorso (quasi quindici anni) fra il giorno della commissione di tale, contestato, delitto e quello ((OMISSIS)) di emissione dell’ordinanza cautelare da parte del giudice di prima istanza non sia rilevante in funzione del superamento della presunzione, relativa, di esistenza tanto dell’esigenza di evitare il pericolo, concreto ed attuale, che l’odierno ricorrente possa commettere altri gravi delitti contro la persona, quanto dell’adeguatezza della custodia in carcere al soddisfacimento di tale, specifica, esigenza cautelare.
In altre parole, il tempo trascorso fra fatto e atto giudiziale che lo stesso fatto (nel caso di specie, provvisoriamente) accerti costituisce, ove lo stesso sia di rilevante consistenza e non sia segnato da condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosita’, elementb da cui desumere il superamento della presunzione iuris tantum in discorso: di qui la necessita’ di una motivazione specifica sul punto.
La mancanza di tale motivazione costituisce dunque vizio caratterizzante l’ordinanza impugnata; come tale determinante l’annullamento della stessa, con conseguente rinvio al Tribunale di Catania che, in sede di (nuovo) riesame dell’ordinanza emessa l’8 luglio 2017 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale nei confronti dell’odierno ricorrente, dovra’ attenersi al seguente principio di diritto:
“Quando si procede per il delitto di omicidio (articolo 575 c.p.p.), in relazione al quale l’articolo 275 c.p.p., comma 3, pone una presunzione, relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari (nel caso concreto, del pericolo di commissione di delitto contro la persona) e di adeguatezza della custodia in carcere in funzione del soddisfacimento delle stesse esigenze, il tempo intercorso fra fatto contestato ed emissione del provvedimento dispositivo della custodia in carcere assume rilevanza, ai fini del superamento della presunzione, quando questo sia di notevole consistenza (nel caso concreto, quasi quindici anni); con la conseguente necessita’ che l’ordinanza cautelare debba recare specifica motivazione in ordine alla rilevanza del tempo trascorso, indicando specifici elementi di fatto idonei a dimostrare tanto l’attualita’ delle esigenze cautelari individuate dal giudice di prima istanza che l’adeguatezza della custodia in carcere in funzione del soddisfacimento delle stesse esigenze”.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale del riesame di Catania.
Visto l’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter, dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa, a cura della cancelleria, al direttore dell’istituto penitenziario.

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