In tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto la causa di non punibilita’ della “particolare tenuita’ del fatto”, prevista dall’articolo 131-bis c.p., e’ applicabile soltanto all’omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilita’

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 11 maggio 2018, n. 20881

La massima estrapolata:

In tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, ma il principio e’ ovviamente estensibile a tutte le fattispecie in cui e’ prevista una soglia di punibilita’, e’ stato osservato che la causa di non punibilita’ della “particolare tenuita’ del fatto”, prevista dall’articolo 131-bis c.p., e’ applicabile soltanto all’omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilita’, in considerazione del fatto che il grado di offensivita’ che da’ luogo a reato e’ gia’ stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale.

Sentenza 11 maggio 2018, n. 20881

Data udienza 10 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/01/2017 della Corte di Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Cuomo Luigi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 gennaio 2017 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 4 marzo 2016 del Tribunale di Arezzo, ha condannato (OMISSIS), nella qualita’ di legale rappresentante della (OMISSIS), alla pena, sospesa, di mesi uno di reclusione ed Euro 300 di multa per il reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p., e Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463, articolo 2, comma 1-bis, conv. in L. 11 novembre 1983, n. 638, come modificato dal Decreto Legislativo 24 marzo 1994, n. 211, articolo 1, in relazione all’omesso versamento delle ritenute previdenziali per l’annualita’ 2010 per un ammontare di Euro 32.458,34.
2. Avverso il predetto provvedimento e’ stato proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione con tre articolati motivi di impugnazione.
2.1. In particolare, col primo motivo e’ stata dedotta l’inammissibilita’ dell’atto di appello del Pubblico Ministero, del tutto non rispondente ai requisiti di specificita’ siccome intesi dallo stesso giudice di legittimita’. In particolare, non erano indicati i punti che si intendevano criticare sotto il profilo della tenuta logico-giuridica, tant’e’ che era stato specificato che il reato non richiedeva il dolo specifico, laddove mai il Tribunale di Arezzo ne aveva trattato; del pari non si desumeva alcuna indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto tali da sorreggere la richiesta di riforma, mentre non si presentava idonea un’impugnazione che si limitava ad offrire una generica ed astratta rivalutazione della sentenza in senso alternativo e diverso. In specie, secondo il ricorrente, la censura si era risolta in una mera richiesta di condanna dell’imputato, senza alcun riferimento tra i principi giurisprudenziali e i passaggi della sentenza, e di rivalutazione del materiale probatorio in senso sfavorevole all’imputato.
2.2. Col secondo motivo, quanto all’affermata sussistenza dell’elemento psicologico, esso andava invero escluso stante l’esito dell’istruttoria in ordine alle ragioni che avevano condotto alla crisi aziendale, anche a seguito della mancata riscossione di crediti, ed al ricorso al credito bancario, laddove la scelta di proseguire nell’attivita’ aziendale corrispondeva alla volonta’ di reperire le risorse liquide per assolvere agli oneri datoriali, cosi’ non accettando il rischio di non adempiere alla contribuzione previdenziale. In realta’ il ricorrente aveva assolto all’onere di provare che il mancato assolvimento degli oneri era dovuto a cause a lui non imputabili, mentre il provvedimento impugnato aveva omesso di valutare gli argomenti difensivi addotti altresi’ con apposita memoria.
2.3. Col terzo motivo infine il ricorrente ha osservato che avrebbe dovuto essere applicata la speciale causa di non punibilita’ di cui all’articolo 131-bis c.p..
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso e’ infondato.
4.1.1. Per quanto riguarda il primo motivo di censura, il Tribunale di Arezzo ha giustificato a suo tempo l’assoluzione dell’odierno ricorrente, quanto all’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali relative all’anno 2010 (quanto alle ritenute relative all’anno 2011, il relativo ammontare e’ invece inferiore alla soglia di penale rilevanza ed in tal senso non vi e’ piu’ questione in questo giudizio, attesa la non contestata declaratoria in proposito resa a suo tempo dallo stesso Giudice aretino), assumendo che, fermo il mancato versamento delle somme dovute, lo stesso imputato aveva preferito pagare gli stipendi ai dipendenti vista la disastrosa situazione economica in cui versava la societa’, infine fallita il (OMISSIS). In considerazione di cio’, l’assenza di liquidita’ faceva venire meno ogni tipo di dolo, in quanto non si poteva chiedere all’agente “di compiere qualcosa di cui ne era oggettivamente impossibilitato”.
4.1.2. A fronte di tale decisione, il Pubblico ministero territoriale ha proposto appello alla Corte fiorentina. Nell’impugnazione, e premettendo di non condividere la sentenza del Tribunale, ha anzitutto osservato che il reato contestato non richiedeva il dolo specifico, essendo sufficienti coscienza e volonta’ dell’omesso versamento, mentre era irrilevante la crisi aziendale, cosi’ come la destinazione delle risorse finanziarie a fare fronte ad altri debiti.
Nel richiamare la giurisprudenza di legittimita’ formatasi sul punto (quanto alla sufficienza del dolo generico, all’irrilevanza dell’insolvenza nonche’ agli obblighi del datore di lavoro nei confronti dell’erario in relazione al versamento di quella parte di retribuzione rappresentata dalle ritenute previdenziali), l’appellante ha cosi’ concluso osservando che mancava qualsiasi presupposto per invocare l’impossibilita’ di adempiere, dovendo la punibilita’ della condotta essere individuata proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute all’Istituto previdenziale, mentre non poteva ipotizzarsi l’impossibilita’ di versamento per fatti sopravvenuti.
Cio’ premesso, l’appellante ha cosi’ sostenuto che il primo Giudice non aveva fatto corretta applicazione dei principi indicati, limitandosi a ritenere giustificata l’omissione in ragione del tracollo finanziario, e quindi assolvendo l’imputato che aveva preferito pagare gli stipendi.
In esito a tale impugnazione, la Corte distrettuale adita ha accolto il gravame, condannando il (OMISSIS) col provvedimento infine impugnato in questa sede di legittimita’.
4.1.3. L’odierno ricorrente ha riproposto la questione dell’inammissibilita’ dell’appello, sostenendo che il provvedimento impugnato avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilita’ del gravame per aspecificita’ dei motivi.
4.1.4. Il motivo e’ infondato.
In primo luogo va osservato che, pacifici essendo i fatti di causa, era stata sollevata solamente una questione di diritto.
In proposito l’appellante si era posto in una posizione di critica dialettica rispetto alla motivazione addotta dal primo Giudice, ricordando la giurisprudenza gia’ pronunciatasi e censurando la ratio decidendi, che al contrario aveva collegato l’assoluzione dal reato all’impossibilita’ di pagare l’Erario, e cio’ a fronte del tracollo finanziario e del pagamento degli stipendi al personale dipendente.
In proposito, quanto ai profili di ammissibilita’ dell’appello, e’ stato recentemente chiarito che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificita’, a carico dell’impugnante, e’ direttamente proporzionale alla specificita’ con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822). L’onere di specificita’ dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, e’ quindi direttamente proporzionale alla specificita’ delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti.
Ne’ puo’ appunto essere sottaciuto che, in specie, si tratta appunto di questione di diritto, nell’ambito della quale la dovuta specificita’ assume una minore pregnanza, essendo necessario enunciare con chiarezza il principio di diritto posto a fondamento della richiesta.
4.1.5. In specie, il Tribunale, con la propria sintetica decisione, aveva assunto l’impossibilita’ di adempimento, stante l’illiquidita’ aziendale ed in considerazione della scelta di pagare i dipendenti.
L’appellante, a sua volta, si e’ confrontato con tale motivazione, ne ha contestato il fondamento allegando la giurisprudenza che sul punto ha sostenuto posizioni differenti, e ribadendo che non poteva sussistere siffatta impossibilita’ di adempiere nella situazione data, attesi gli obblighi esistenti in capo al sostituto d’imposta e contestando la punibilita’ della condotta, consistente proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute all’Istituto previdenziale.
Alle ragioni allegate alla decisione del Tribunale, pertanto, sono state opposte, e argomentate con riferimenti giurisprudenziali, le ragioni che invece militavano nel senso della condanna dell’imputato.
Laddove infine il riferimento all’elemento soggettivo era stato operato al fine di confermare la sufficienza del solo dolo generico di coscienza e volonta’ dell’omissione, e della consapevole scelta di omettere il pagamento dei contributi dovuti (cfr. sul punto, ex plurimis, Sez. 3, n. 3663 del 08/01/2014, De Michele, Rv. 259097).
In definitiva, quindi, l’appello del Pubblico Ministero si e’ in realta’ confrontato con le ragioni contrarie dispiegate nella sentenza del Tribunale aretino, allegando e giustificando i motivi di censura e la richiesta di riforma della decisione.
4.2. In relazione poi al secondo motivo di ricorso, ed al fine di escludere la colpevolezza, e’ stata invocata la crisi di liquidita’ del soggetto attivo, assumendo che l’omesso pagamento del debito previdenziale e la scelta di privilegiare il pagamento degli stipendi non facevano desumere l’esistenza del dolo.
L’assunto non e’ fondato.
In particolare, e’ stato invero precisato (cosi’, riassuntivamente ed anche per gli ulteriori riferimenti, Sez. 3, n. 18501 del 17/07/2014, dep. 2015, Rubino, non mass.) che e’ necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilita’ al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto. Occorre cioe’ la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni (Ndr: testo originale non comprensibile), pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e ad allo stesso non imputabili. Mentre in ogni caso, ai fini della sussistenza del reato, non e’ richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volonta’ di violare il precetto, il dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceita’, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
4.2.1. E’ noto altresi’, in proposito e sempre in linea generale, che la forza maggiore esclude la suitas della condotta, e’ la vis cui resisti non potest, a causa della quale l’uomo non agit sed agitur.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica e’ dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilita’ dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi gia’ in condizioni di illegittimita’, e non puo’ quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.
In tal modo e’ stato sempre escluso, quando la specifica questione e’ stata posta, che le difficolta’ economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
Nei reati omissivi integra pertanto la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilita’, non la semplice difficolta’ di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Si’ che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perche’ non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non puo’ pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidita’; c) non si puo’ invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato concausato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimita’; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante puo’ essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volonta’ e che sfuggono al suo dominio finalistico.
4.2.2. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, nonche’ dalle stesse emergenze processuali e dalle convinzioni espresse dal ricorrente, quest’ultimo opero’ la scelta di pagare i dipendenti ed anche alcuni fornitori, omettendo di versare all’Istituto previdenziale quanto gia’ avrebbe dovuto essere accantonato in suo favore; allo stesso tempo il ricorrente da un lato comunque continuo’ a pagare i dipendenti ed in ogni caso scelse i creditori da soddisfare, e dall’altro evito’ ad esempio di chiedere il fallimento, cosi’ contribuendo a procrastinare nel tempo la realizzazione della par condicio creditorum. Tra l’altro la crisi aziendale, secondo le stesse allegazioni del ricorrente, si era gia’ manifestata nel 2009, ossia nell’annualita’ precedente a quella in contestazione in giudizio.
Al riguardo, e conclusivamente, l’odierno ricorrente allega quindi che la crisi, ed anzi lo stato di decozione (cfr. pag. 12 ricorso), era insorta ancor prima ed era coeva ai fatti. A maggior ragione, pertanto, la scelta di privilegiare il pagamento ai dipendenti ma anche ad altri creditori a propria pretesa discrezione imprenditoriale, e di non operare diversamente, si colloca al di fuori del perimetro della forza maggiore ed integra sicuramente l’elemento soggettivo del reato. Si’ che, in proposito, le valutazioni della Corte fiorentina vanno esenti da censura.
4.2.3. D’altronde, le ulteriori vicissitudini lamentate, in relazione alla diminuzione delle commesse, al mancato recupero dei crediti maturati ovvero all’impossibile accesso al credito bancario, appaiono legate all’ineludibile rischio d’impresa. Tant’e’ che la stessa difesa dell’odierno ricorrente ha comunque definito “imprudente” la scelta di pagare i dipendenti, allorche’ per vero la crisi di liquidita’ era gia’ risalente.
4.3. In relazione poi al terzo profilo di censura, la norma di cui all’articolo 131-bis c.p. prevede che la punibilita’ e’ esclusa quando, per le modalita’ della condotta e per l’esiguita’ del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, l’offesa e’ di particolare tenuita’ e il comportamento risulta non abituale.
In proposito, la Corte distrettuale ha all’evidenza ritenuto implicitamente di valutare in senso negativo la richiesta dell’imputato di applicare detta speciale causa di non punibilita’.
Vero e’, infatti, che l’assenza dei presupposti per l’applicabilita’ della causa di non punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto puo’ essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033; Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016, Scopazzo, Rv. 268499). In ogni caso, peraltro, gia’ in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, ma il principio e’ ovviamente estensibile a tutte le fattispecie in cui e’ prevista una soglia di punibilita’, e’ stato osservato che la causa di non punibilita’ della “particolare tenuita’ del fatto”, prevista dall’articolo 131-bis c.p., e’ applicabile soltanto all’omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilita’, in considerazione del fatto che il grado di offensivita’ che da’ luogo a reato e’ gia’ stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di rilevanza penale (Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015, dep. 2016, Reggiani Viani, Rv. 266570; Sez. 3, n. 40774 del 05/05/2015, Falconieri, Rv. 265079).
In specie, non vi e’ contestazione in ordine al fatto che l’omesso versamento penalmente rilevante e’ di Euro 32.458,34, ossia un ammontare piu’ di tre volte superiore al limite fissato dal legislatore al momento della fissazione della soglia di punibilita’, e comunque consistente in un ammontare di oltre 20.000 Euro superiore a detta soglia. Da un lato, quindi, tali valori assoluti sono stati ritenuti integrare una fattispecie non particolarmente tenue sul piano oggettivo (cfr. Sez. 3 n. 13218 cit., dove tra l’altro il superamento della soglia era percentualmente pari a meno del 10 per cento dell’imposta evasa), ed in ogni caso la particolare tenuita’ va esclusa anche e proprio in ragione del superamento assai rilevante di quel limite che lo stesso legislatore ha recentemente posto come adeguato limite di offensivita’.
Cio’ posto, vi e’ quindi manifesta insussistenza dei requisiti, si’ che gia’ in astratto, ed a prescindere da qualsivoglia eventuale omissione nelle fasi di merito, va verificata l’inesistenza delle condizioni di applicabilita’ dell’istituto, in tal modo evitando di procedere ad ulteriori attivita’ processuali del tutto inutili.
5. In definitiva, quindi, tutti i motivi di impugnazione non appaiono meritevoli di accoglimento, per cui va rilevata l’infondatezza del ricorso.
Ne consegue altresi’ la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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