In materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 10 maggio 2018, n. 11261.

La massima estrapolata:

In materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai’ sensi dell’articolo 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

Sentenza 10 maggio 2018, n. 11261

Data udienza 24 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 16359-2016 proposto da:
(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNIONE EREDI (OMISSIS), in persona degli amministratori Dott. (OMISSIS) e Rag. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2825/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 23/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 15-11-2013 il Tribunale di Padova, decidendo sulla domanda proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali delegati dalla comunione ereditaria sui beni del defunto (OMISSIS), dichiaro’ risolto al dicembre 2010, per grave inadempimento di (OMISSIS) srl, il contratto d’affitto di ramo d’azienda stipulato il 1-1-1991 tra (OMISSIS) e (OMISSIS) srl; grave inadempimento consistito nel mancato pagamento dei canoni di affitto da novembre 2006 sino a dicembre 2010; di conseguenza, condanno’ la (OMISSIS) srl a restituire immediatamente ai partecipanti alla detta comunione ereditaria (la moglie (OMISSIS) ed i figli (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) tutti i beni del ramo d’azienda oggetto del predetto contratto nonche’ a pagare l’indennita’ di occupazione per il periodo successivo al dicembre 2010 sino all’effettivo rilascio, oltre alle spese di lite ed al pagamento di Euro 36.000,00 ex articolo 96 c.p.c., comma 3.
Con sentenza 23-12-2015 la Corte d’Appello di Venezia, decidendo sull’appello proposto dalla (OMISSIS), ha riformato la detta decisione solo in relazione alla condanna ex articolo 96 c.p.c., confermandola nel resto; in particolare la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede:
– in rito, ha ritenuto infondata la sollevata eccezione di difetto di legittimazione processuale di (OMISSIS) e (OMISSIS) per non essere stato loro attribuito il corrispondente potere sostanziale, con conseguente impossibilita’ per gli stessi di conferire il mandato alle liti.
Al riguardo ha evidenziato che (OMISSIS) e (OMISSIS) erano legittimati in forza di Delib. 25 ottobre 2010 della comunione ereditaria, pienamente efficace; delibera con cui l’assemblea della comunione ereditaria aveva deciso a maggioranza sia di dare incarico ai difensori per promuovere il presente giudizio sia di delegare (OMISSIS) a sottoscrivere, in nome e per conto di tutti i partecipanti alla comunione, le procure alle liti in favore dei detti difensori; detta delibera, invero, pur impugnata da (OMISSIS), era comunque da ritenersi efficace medio tempore in mancanza di sospensiva e, comunque il giudizio di impugnazione si era concluso con sentenza 8-6-15 del Tribunale di Padova di rigetto della domanda di annullamento.
In ogni caso, e in modo dirimente per quanto concernente il pagamento dell’indennita’ di occupazione, ha rilevato che (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto coeredi partecipanti alla comunione ereditaria, potevano agire in proprio per far valere l’intero credito, senza necessita’ di integrare il contradditorio nei confronti di tutti gli altri coeredi; ed invero i crediti del de cuius non si ripartivano pro quota tra gli eredi ma entravano a far parte della comunione ereditaria.
– nel merito, ha confermato la sussistenza della gravita’ e non scarsa importanza dell’inadempimento, perdurante dal novembre 2006 sino alla disdetta del 2010; al riguardo, nello specifico, ha condiviso la valutazione del primo Giudice in ordine all’inammissibilita’, per indeterminatezza, della capitolazione articolata in fase istruttoria dalla (OMISSIS) relativamente alla prova del dedotto “patto di non esigibilita’” dei canoni (c.d. “pactum de non petendo”), e cioe’ dell’accordo secondo cui la detta societa’ avrebbe potuto versare i canoni dovuti per l’affitto nei tempi in cui fosse stata in grado di provvedervi e compatibilmente con le sue esigenze economiche: patto invocato al fine di contestare la sussistenza del rilevante debito per arretrati, e quindi la gravita’ dell’inadempimento.
Avverso detta sentenza la (OMISSIS) srl propone ricorso per Cassazione, – affidato a tre motivi, illustrato anche da successiva memoria ex articolo 378 c.p.c..
La Comunione Eredi (OMISSIS) resiste con controricorso, anch’esso illustrato da successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denunzia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, “violazione e/o falsa applicazione delle norme relative alla legittimazione processuale in difetto dell’attribuzione del potere di rappresentanza sostanziale”; al riguardo evidenzia che con la su menzionata Delib. 25 ottobre 2010 l’assemblea dei coeredi aveva attribuito il potere di amministrare i beni della comunione congiuntamente a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); di conseguenza, essendo il potere rappresentativo sostanziale attribuito a tutti e tre in via necessariamente congiuntiva, (OMISSIS) e (OMISSIS) da soli (e cioe’ senza (OMISSIS)) non potevano ritenersi titolari anche della legittimazione processuale, e cioe’ del potere di conferire ai procuratori il mandato alle liti; anche la disdetta, intimata da (OMISSIS) e (OMISSIS), era stata inviata in difetto di prova dei poteri di rappresentanza; la volonta’ di agire manifestata dall’assemblea dei coeredi del 25-10-2010 escludeva, inoltre, anche la concorrente legittimazione di (OMISSIS) e (OMISSIS) ad agire in proprio per far valere i diritti della comunione.
Il motivo e’ inammissibile.
Anche a prescindere da eventuali profili di inammissibilita’ per assoluta mancanza di indicazione delle norme che si assumono violate (Cass. 635/2015: 25044/2013; 4233/2012), la censura e’ inammissibile perche’ nuova ed implicante nuovi accertamenti di fatto.
Come desumibile, invero, dalla sentenza impugnata (v. pagg. 5, 10,11 e 12) la doglianza in appello concerneva si’ il difetto di legittimazione processuale di (OMISSIS) e (OMISSIS) per non essere stato agli stessi attribuito il potere sostanziale, ma tale difetto era stato eccepito non sul presupposto, evidenziato solo nell’odierno ricorso, della assenza (nella attribuzione dell’amministrazione congiunta dei beni) di (OMISSIS), bensi’ sul diverso presupposto dell’annullabilita’ della Delib. 25 ottobre 2010; su tale censura, peraltro, la Corte d’Appello ha affermato che la detta delibera, benche’ impugnata, era comunque idonea a conferire a (OMISSIS) il potere di promuovere il giudizio di risoluzione del contratto di affitto (e restituzione dei beni e pagamento canoni) e sottoscrivere le procure alle lite; siffatta ratio decidendi non e’ stata impugnata, sicche’ il motivo, anche per questa ragione, e’ da ritenersi inammissibile.
Analoga inammissibilita’ concerne la pretesa carenza del potere di disdetta del contratto, fondato sulla medesima delibera.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo1454 c.c. in ordine all’intervenuta risoluzione del contratto di affitto di ramo d’azienda del 1-1-1991 per grave inadempimento di (OMISSIS) srl, si duole innanzitutto che la Corte, nonostante la verosimiglianza del “patto di non esigibilita’” intervenuto successivamente alla stipula del contratto di affitto d’azienda, non abbia ammesso ex articolo 2723 c.c. la prova di detto patto; con lo stesso motivo la ricorrente si duole inoltre, che la Corte, nonostante la (OMISSIS) avesse documentato il pagamento di Euro 106.734,65 a titolo di canoni dal dicembre 2006 al marzo 2009, abbia ritenuto comunque grave l’inadempimento e pronunziato la risoluzione del contratto.
Il motivo e’ inammissibile.
La censura, invero, relativamente alla verosimiglianza o meno del “patto di non esigibilita’” e della richiesta di ammissione ex articolo 2723 c.c., non coglie la ratio decidendi, avendo invero la Corte confermato il giudizio del Tribunale sull’inammissibilita’ della prova per testi per la condivisa genericita’ ed indeterminatezza della capitolazione, senza in alcun modo entrare nel merito della verosimiglianza del patto e della disciplina di cui all’articolo 2722 c.c..
La censura e’ inammissibile anche in ordine al profilo della gravita’ o meno dell’inadempimento, risolvendosi in una richiesta di diversa valutazione di merito ovvero di accoglimento di istanze probatorie respinte, non consentita in sede di legittimita’.
Per condiviso principio di questa Corte, invero, “in materia di responsabilita’ contrattuale, la valutazione della gravita’ dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai’ sensi dell’articolo 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione e’ rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cass. 640172015; Cass. 14974/2006).
La Corte territoriale, nel caso di specie, ha motivato la sua decisione, rilevando la genericita’ delle contestazioni sulla quantificazione del debito per canoni arretrati e ribadendo la gravita’ dell’inadempimento in quanto i pagamenti, in base alla stessa prospettazione della (OMISSIS), erano stati “parziali” e comunque “effettuati con modi e tempi assolutamente imprevedibili ed irregolari”.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia omessa, insufficiente e contradditoria motivazione della sentenza di secondo grado nella parte in cui la stessa ha confermato la condanna di (OMISSIS) srI alla restituzione immediata dei beni aziendali oggetto del contratto di affitto del 1-1-1991 nonche’ alla corresponsione di una indennita’ per l’asserita illegittima occupazione di fatto dell’azienda.
Il motivo, peraltro inammissibile in quanto non conforme ai canoni dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis vigente (Cass. 8053/2014; Cass. 21152/2014), configura questioni dipendenti dalla pretesa fondatezza dei motivi che precedono, ed e’ quindi da ritenersi assorbito.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, poiche’ il ricorso e’ stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed e’ stato rigettato, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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