In tema di reati tributari, il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e’ ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 1 ottobre 2018, n. 43181.

Le massime estrapolate:

In tema di reati tributari, il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e’ ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non e’ stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima.
Il principio di diritto tributario, per il quale incombe sull’Erario l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, non puo’ essere automaticamente trasposto in sede penale, attesa l’autonomia fra i relativi procedimenti

Sentenza 1 ottobre 2018, n. 43181

Data udienza 17 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matt – rel. Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/06/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO MATTEO SOCCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CANEVELLI PAOLO, che ha concluso chiedendo: “Inammissibilita’ del ricorso”;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso per: “Accoglimento del ricorso”.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Ancona con sentenza del 20 giugno 2016 in parziale riforma della decisione del Tribunale di Ancona del 6 maggio 2014 ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) relativamente al periodo d’imposta del 2007, perche’ il relativo reato e’ estinto per prescrizione, ed ha rideterminato la pena per le residue condotte in mesi 11 di reclusione, relativamente ai reati di cui all’articolo 81 c.p. e al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2; periodi di imposta 2008 e 2009.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Violazione di legge (articolo 27 Cost., in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2).
Il ricorrente e’ stato ritenuto responsabile per aver contabilizzato nel periodo di imposta del 2008 una fattura di Euro 76.712,30 e nel 2009 una fattura per Euro 63.322,22, oltre IVA; fatture ritenute per operazioni inesistenti. Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, richiede la dimostrazione che il contribuente si sia avvalso di fatture avente ad oggetto operazioni inesistenti. L’onere probatorio e’ a carico della pubblica accusa, per il principio di cui all’articolo 27 Cost.. Nel caso in oggetto, la pubblica accusa non ha fornito prova sulla inesistenza delle operazioni fatturate, ne’ i giudici di merito hanno mai valutato la presenza di operazioni inesistenti. Il ricorrente si e’ servito, per i suoi acquisti di natura commerciale, da (OMISSIS), agente di commercio regolarmente iscritto. Nessun atto, relativo alle accuse nei confronti di (OMISSIS), e’ stato mai inserito nel fascicolo del dibattimento del processo contro il ricorrente. La teste (OMISSIS), funzionaria dell’Agenzia delle entrate, si e’ limitata a riferire che ha riscontrato solo l’irregolarita’ di un pagamento di Euro 6.000,00; non e’ certa, pero’, l’annualita’ di riferimento. Neanche (OMISSIS), appartenente alla Guardia di Finanza, ha saputo riferire sulle indagini svolte nei confronti del ricorrente o sulla inesistenza delle operazioni di cui alle fatture in contestazione. Neanche la documentazione in atti dimostra l’inesistenza delle operazioni. Sussistono solo delle presunzioni, di natura fiscale e non penale.
2.2. Mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione; motivazione in contrasto, peraltro, con le risultanze istruttorie.
La Corte di appello ha ritenuto la responsabilita’ del ricorrente, solo ed esclusivamente, per non avere l’imputato dimostrato di aver regolarizzato i pagamenti degli importi indicati nelle fatture. La Corte di appello non ha pero’ minimamente tenuto in considerazione i verbali delle testimonianze di (OMISSIS) e (OMISSIS). (OMISSIS) ha dichiarato che il ricorrente si era avvalso di fatturazioni per operazioni inesistenti solo per Euro 6.000,00 mentre (OMISSIS), della Guardia di Finanza, ha dichiarato di aver accertato che effettivamente (OMISSIS) (l’emittente delle fatture) si era servito di mezzi di trasporto per consegnare dei capi di abbigliamento, al ricorrente. La motivazione, conseguentemente, e’ in contrasto con le suddette deposizioni testimoniali.
2.3. Violazione di legge, (articoli 132 e 133 c.p.) relativamente al trattamento sanzionatorio, superiore al minimo edittale.
Correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto sussistente l’ipotesi di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 3. Tuttavia la pena e’ stata determinata in misura superiore al minimo edittale, anche relativamente agli aumenti per l’articolo 81 c.p.. Nessuna congrua motivazione sussiste relativamente all’applicazione di una pena superiore al minimo edittale di circa il 40%.
Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, e per genericita’ degli stessi; inoltre il motivo sul trattamento sanzionatorio non risulta proposto in sede di appello.
La sentenza impugnata (e la decisione di primo grado, in doppia conforme) contiene adeguata motivazione, non manifestamente illogica e non contraddittoria rilevando come dalla verifica fiscale, ai fini dell’Iva, delle imposte sui redditi e degli altri tributi, eseguita nei confronti di (OMISSIS), e’ risultato che in favore del ricorrente erano state emesse fatture di vendita, per un importo complessivo superiore ad Euro 300.000,00 e, “a tale riscontro documentale l’imputato, in assenza di documentazione di supporto circa l’effettivita’ delle singole transazioni, assume di averle regolate versando ogni volta il dovuto in contanti. L’assunto, gia’ di per se’ dotato di scarsissima credibilita’ – e pienamente valutabile a riprova della contestata inesistenza delle operazioni – si connota di ulteriori inverosimiglianza nel momento in cui l’imputato non riesce a fornire alcuna dimostrazione di come quella ingentissima somma si sia procurata e come e dove l’abbia, medio tempore, custodita. E cio’ si badi, non costituisce affatto inversione dell’onere della prova, poiche’ l’effettivita’ della operazione non puo’ certo dirsi dimostrata in conseguenza della sua sussistenza cartacea, peraltro solo parziale in quanto riferita alla mera contabilizzazione fiscale e senza alcun atto certo di pagamento/quietanza”.
Del resto, questa Corte Suprema di Cassazione ha sempre ritenuto che: ” In tema di reati tributari, il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e’ ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non e’ stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima. (In motivazione, la Corte ha precisato che il principio di diritto tributario, per il quale incombe sull’Erario l’onere di provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento della detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore, non puo’ essere automaticamente trasposto in sede penale, attesa l’autonomia fra i relativi procedimenti)” (Sez. 3, n. 19012 del 11/02/2015 – dep. 07/05/2015, Spinelli e altro, Rv. 26374501).
Il ricorso sul punto e’ articolato in fatto, e sostanzialmente ritiene un travisamento delle testimonianze di (OMISSIS) e di (OMISSIS), senza allegazione (o trascrizione integrale) delle dichiarazioni, e senza aver denunciato in appello il travisamento: “Il ricorso per Cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilita’, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, in quanto necessarie ai fini della verifica della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione” (Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010 – dep. 26/08/2010, Scuto ed altri, Rv. 24814101; vedi anche Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011 – dep. 14/03/2012, S., Rv. 25234901).
La mancata allegazione dei verbali delle dichiarazioni testimoniali, non consente a questa Corte di legittimita’ di valutarne la rilevanza e soprattutto la decisivita’, che del resto non viene nemmeno prospettata nel ricorso per cassazione, che si limita ad una generica critica di omessa considerazione, ma non rappresenta i motivi per cui la stessa dovrebbe ritenersi prova decisiva.
4. Il motivo sul vizio di motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio, superiore al minimo edittale, oltre ad essere generico, non risulta sia stato proposto in appello, come rilevato espressamente dalla sentenza impugnata, e quindi lo stesso e’ inammissibile in sede di legittimita’: “Non possono essere dedotte con il ricorso per Cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perche’ non devolute alla sua cognizione” (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017 – dep. 21/03/2017, Bolognese, Rv. 26974501).
Conseguentemente nessun vizio motivazionale, sul punto, sussiste.
Alla dichiarazione di inammissibilita’ consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex articolo 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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