La fattibilita’ di un piano in continuita’ aziendale

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10752

La massima estrapolata

La fattibilita’ di un piano in continuita’ aziendale, per come attestata, deve esporre una intrinseca connessione tra la prosecuzione dell’attivita’ d’impresa e il miglior soddisfacimento dei creditori, relazione del tutto pregiudicata quando sia stata omessa la enunciazione di quegli atti pregressi che, se affrontati in una diversa procedura liquidatoria, avrebbero implicato, ancora per i creditori, un preferibile soddisfacimento, cioe’ un trattamento migliore ed alla stregua della cui scoperta la stessa procedura, per quanto ammessa, non sia proseguita, per effetto di revoca; in tale ipotesi, come avvenuto, la fattibilita’ del piano, mal attestata, ha imposto la chiusura anticipata del concordato preventivo, in quanto retto su asseverazione che ha reso inattendibile il piano costruito su di essa; in questo senso la prestazione del professionista, non ha fatto conseguire ai creditori quel risultato minimo esigibile dallo stesso promittente imprenditore, e cioe’ un permanente e reiterabile vaglio positivo di ammissibilita’ della proposta.

Ordinanza 4 maggio 2018, n. 10752

Data udienza 27 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elettera dom. in Roma, presso e nello studio del secondo, in (OMISSIS), come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) s.p.a., in persona del cur.fall. p.t., rappr. e dif. dall’avv. (OMISSIS), elettera dom. in Roma, presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), come da procura in calce all’atto;
– controricorrente-
per la cassazione del decreto Trib. Rimini 13.7.2015, n. 9813/2015, in R.G. 4447/2014;
viste le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:
1. (OMISSIS) impugna il decreto Trib. Rimini 13.7.2015, n. 9813/2015, in R.G. 4447/2014, reiettivo della propria opposizione allo stato passivo del FALLIMENTO (OMISSIS) s.p.a., nel quale il giudice delegato aveva escluso che la prestazione di attestatore del concordato preventivo della societa’, prima ammesso e poi revocato, potesse connettersi ad un credito opponibile alla massa, stante il difetto di utilita’ dell’opera e la sua inadeguatezza;
2. l’infondatezza del reclamo era ritenuta dal tribunale, dopo aver premesso che il professionista aveva ricevuto un acconto sul compenso di 30.000 Euro, in quanto: a) nessun credito competeva al professionista imputabile di inadempimento rispetto all’obbligazione assunta “da parametrarsi in riferimento al modello legale di concordato”; b) non era meritevole di tutela (tanto meno con la prededuzione) la prestazione del professionista “claudicante e destinata a condurre la proposta alla revoca o alla mancanza di omologazione a causa della scoperta di atti in frode o a causa di carenze nell’attestazione”; c) l’utilita’ della prestazione non poteva rinvenirsi nella mera retrodatazione del periodo sospetto, mero “paracadute” a tutela della par condicio ma non “fine ultimo” della proposta di concordato; d) nella specie, erano stati scoperti atti pregiudizievoli alla massa ed oggetto di possibili azioni revocatorie per circa 11 milioni di Euro, per effetto di operazioni taciute ai creditori nel piano e presenti in contabilita’, conseguendone – stante la revoca e poi il fallimento contestuale – la non utilita’ dell’attivita’ del professionista; e) la stessa continuita’ aziendale risultava mal attestata L. Fall., ex articolo 186-bis, comma 2, poiche’ imperniata su una mera “speranza di ripresa del mercato immobiliare”, negli 8 anni del tempo ipotizzato per la liquidazione ed il soddisfacimento dei creditori;
3. il ricorso e’ su otto motivi, ad esso resiste la curatela con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:
4. con il primo motivo si deduce la violazione di legge per avere negato il tribunale l’ammissione del credito del professionista invocando il criterio della utilita’ della prestazione nonostante la previsione normativa che ne prevede la tutela se in funzione dell’accesso al concordato, poi avvenuto con l’ammissione;
5. con il secondo motivo si contesta che rientrasse tra i doveri di attestazione anche la verifica delle operazioni negoziali pregresse – datio in solutum e compensazioni – poste in essere dagli amministratori, spettando invece ogni indagine sulle cause della crisi e sulle condotte anche frodatorie del debitore solo alle competenze del commissario giudiziale;
6. il terzo motivo censura il preteso inadempimento del (OMISSIS), imputato di colpa grave per la mancata informativa ai creditori ed il giudizio errato sulla fattibilita’ del piano;
7. il quarto motivo censura il decreto ove ha collegato l’omessa informativa sulle operazioni pregresse all’insuccesso del piano, con negativo giudizio sulla fattibilita’ giuridica, mentre il quinto motivo riferisce al tribunale una valutazione che gli sarebbe preclusa, afferendo alla comparazione di convenienza, tanto piu’ che il concordato aveva di fatto assunto natura liquidatoria e le azioni recuperatorie ben potevano essere esercitate anche in sede di concordato;
8. con il sesto motivo viene dedotta l’erroneita’ del decreto ove ha assunto il giudizio di negativita’ dell’andamento del piano rispetto alla formazione di perdite, con sua compromissione anche qualitativa, data la prevalente composizione liquidatoria e la opinabilita’ delle stime del commissario;
9. con il settimo motivo si contesta il vizio di motivazione quanto ai criteri di liquidazione del patrimonio immobiliare e delle societa’ partecipate, seguiti dal commissario e riflessi inadeguatamente nella decisione impugnata;
10. con l’ottavo motivo si deduce l’erroneita’ della determinazione giudiziale del compenso, riconosciuto nella sola misura dell’acconto gia’ percepito;
11. i primi due motivi, da riunire nella trattazione perche’ connessi, sono infondati; il giudizio di funzionalita’ all’accesso alla procedura concorsuale, alla base del riconoscimento della prededuzione della relativa prestazione ai sensi della L. Fall., articolo 111, comma 2, solo in parte entra nella fattispecie, a fronte della piu’ radicale eccezione di inadempimento elevata dagli organi della procedura nei confronti del professionista attestatore e del conseguente diniego del credito, prima ancora che della sua qualita’ preferenziale; si puo’ tuttavia muovere proprio da Cass. 6031/2014, indicata dal ricorrente, per sottolineare che nella diversa vicenda qualificatoria della prededuzione del credito del professionista questa Corte ha ricostruito il collegamento fra prestazione e prededuzione all’insegna di un doppio principio: che “l’accesso alla procedura di concordato preventivo costituisca di per se’ un vantaggio per i creditori appare evidente dagli effetti della consecuzione delle procedure, tra cui la cristallizzazione della massa (L. Fall., articolo 55) e la retrodatazione del periodo sospetto ai fini dell’esperimento della revocatoria fallimentare.” e che vi sia un “significato (accolto dalla giurisprudenza di questa Corte) dell’enunciato “in funzione”, che richiama il concetto di “servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali” (L. Fall., articolo 67, lettera g), dovendosi, quindi, intendere l’enunciato “strumentale a” come sinonimo di “funzionale”” e tuttavia precisando che “la funzionalita’… e’ presunta nell’ammissione alla procedura di concordato mentre restano irrilevanti le vicende successive della procedura medesima, una volta aperta”; la contestazione originaria della domanda di credito appare dunque in astratto idonea a paralizzarne ancora piu’ a monte l’ammissione al passivo in se’ ove sia negato che lo svolgimento dell’attivita’ professionale, per come avvenuto, fosse diligente in relazione ai doveri esigibili, nel caso concreto, in capo al prestatore; assumono pertanto rilevanza le circostanze di prova che, se dimostrate o non superate, spezzano il predetto nesso, posto che la curatela ha opposto la solo provvisoria instaurazione del concordato, invero revocato, la sua retrocessione di fase proprio a seguito degli errori nella prestazione del professionista, l’assenza di utilita’ per la massa dei creditori nella specifica proposta per come asseverata ed in relazione all’esito maturato dopo i controlli anche sull’attestazione; nella fattispecie il professionista, asseverando il piano a corredo della proposta alfine presentata per lo scioglimento della riserva L. Fall., ex articolo 161, comma 6, era tenuto ad attestare la veridicita’ dei dati aziendali e la fattibilita’ del piano (L. Fall., articolo 161, comma 3) ed altresi’, inscindibilmente, che la prosecuzione dell’attivita’ economica ivi prevista era funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (L. Fall., ex articolo 186-bis, comma 2, lettera b), trattandosi di concordato con continuita’ aziendale; al medesimo professionista risulta contestata ogni utilita’ concorsuale per i creditori, avendo il ricorrente omesso di enunciare una serie di atti pregiudizievoli per la massa (oggetto di esperibili azioni revocatorie), nonostante la loro evidenza in contabilita’ e la cui scoperta, conseguente solo all’attivazione del procedimento L. Fall., ex articolo 173, aveva poi condotto alla revoca dell’ammissione e alla dichiarazione di fallimento;
12. osserva preliminarmente il Collegio che proprio i principi sopra richiamati, per la prospettazione di una “presunzione” di funzionalita’, e sia pur dettati per il diverso tema della prededuzione del credito (cioe’ dopo aver implicitamente riconosciuto l’esistenza di esso, qui invece negata), permettono di chiarire che, come avvenuto nella vicenda, l’innesco di primi effetti concorsuali per la massa dei creditori era derivato non dall’ammissione del debitore al concordato, bensi’ – anteriormente – dalla mera domanda, il cui svolgimento L. Fall., ex articolo 161, comma 6 produce gia’, nel concorso del requisito della pubblicazione, un regime di rilevante protezione sul piano del divieto delle azioni esecutive e cautelari, della cristallizzazione del passivo, della retrodatazione del periodo sospetto per il successivo fallimento (consecutivita’ qui non dubitata), della neutralizzazione delle ipoteche giudiziali nei 90 giorni anteriori (ai sensi della L. Fall., articoli 168, 169, 69-bis); se dunque tali effetti non possono dirsi di per se’ diretta conseguenza della pur avvenuta “ammissione”, cionondimeno l’ammissione al passivo del credito dell’attestatore puo’ disporsi ove la relativa prestazione, eseguita dopo la domanda del debitore, sia inerente almeno al consolidamento di quegli effetti, allorche’ l’attivita’ che ha determinato il sorgere del credito si manifesti necessaria per la corretta conclusione della procedura, e dunque quando essi si incorporano in una stabilizzazione del processo concorsuale avviato d’iniziativa del debitore e che quella prestazione abbia presupposto; per questo profilo, il tribunale ha correlato il deficit di prestazione da parte del professionista alla omessa indicazione di rilevanti atti di disposizione patrimoniale pregiudizievoli per i creditori, ben evincibili dalla contabilita’ ma non enunciati, incompatibili con la stessa prospettiva della continuita’ aziendale, nonche’ astrattamente revocabili nel (solo) successivo fallimento; tale contestazione ha inficiato ogni predicato di diligenza dell’attestatore; sul punto, va ricordato che al tribunale “e’ permesso il sindacato sulla veridicita’ dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso, sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica, al fine di consentire ai creditori di valutare, sulla base di dati reali, la convenienza della proposta e la stessa fattibilita’ del piano” sicche’ “quando nel corso della procedura emerge che siffatta condizione mancava al momento del deposito della proposta, il tribunale puo’ revocare L. Fall., ex articolo 173, comma 3, l’ammissione al concordato” (Cass. 7975/2017); parimenti gia’ Cass. s.u. 1521/2013 aveva statuito la necessita’ che “i creditori ricevano una puntuale informazione circa ÃÆ’Æ‘ÃâEuro ‘ÃÆ’‚ÃâEurošÃ‚¬ dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l’appunto deputati a provvedere dapprima il professionista attestatore (rispetto al quale il citato Decreto Legge n. 83, oltre a sottolinearne la necessaria indipendenza, ha introdotto pesanti sanzioni nel caso di falsita’ nelle attestazioni o nelle relazioni), in funzione dell’ammissibilita’ al concordato (L. Fall., articolo 161)”;
13. ritiene la Corte che il cennato profilo di inadempimento corrisponda ad una corretta ricostruzione dei doveri dell’attestatore; invero, l’asseverazione della contabilita’, nei suoi dati di sintesi finale, non puo’ ridursi alla mera riproduzione dei saldi di partita o delle macrovoci riassuntive delle poste dei bilanci ovvero della movimentazione finanziaria ed economica di sintesi dell’impresa, essendo l’attestazione richiesta dalla L. Fall., articolo 161, comma 3 (e penalmente protetta dalla L. Fall., articolo 236-bis), gia’ per la sua prima parte, completa e veritiera se permette la decifrabilita’ dell’andamento economico-finanziario che ha permesso all’impresa di contabilizzare i risultati delle proprie scritture, non potendo dunque prescindere da una chiara evidenziazione – anche alla stregua di “informazioni rilevanti” – dei fattori (uscite e ricavi, impegni), cioe’ delle operazioni, condizionanti causalmente il dato finale; parimenti, la fattibilita’, strettamente correlata al tipo di piano e proposta, nella specie doveva essere commisurata all’ulteriore clausola generale di cui alla L. Fall., articolo 186-bis, comma 2 che impone per la continuita’ aziendale di attestarne la funzionalita’ al miglior soddisfacimento dei creditori; nella vicenda, la gravita’ dell’inadempimento e’ stata riconoscibilmente ascritta alla omissione di tutti quegli atti che, se oggetto d’informazione preventiva e analitica in capo ai creditori, avrebbero loro offerto completezza cognitiva sul diverso scenario del rientro delle utilita’ patrimoniali (uscite per 11 milioni), ove se ne fosse predicata l’assoggettabilita’ a revocatoria nella diversa prospettiva, almeno da comparare, di una procedura liquidatoria (dunque esattamente in un contesto alternativo di migliore soddisfacimento per i creditori); ed al contempo, la medesima informazione appariva essenziale anche per giudicare ed apprezzare la realizzabilita’ in capo alla societa’ di una continuazione d’impresa nonostante siffatti atti pregiudizievoli, apparendo evidente che il concordato di cui alla L. Fall., articolo 186-bis appare imperniato sulla prosecuzione gestoria riferibile ancora al debitore, la cui affidabilita’ – tanto piu’ in un piano che il tribunale descrive per lo svolgersi in ben 8 anni – implica piena conoscenza di tutto il quadro operazionale con cui l’impresa e’ stata condotta all’ingresso nella concorsualita’, assetto del tutto omesso;
14. il terzo motivo e’ per un profilo inammissibile e per altro infondato; il ricorrente muove dall’assunto che l’attivita’ di attestazione richiestagli sia di per se’ prestazione di speciale difficolta’, cio’ ai sensi della scriminante soggettiva di cui all’articolo 2236 c.c., per cui il professionista risulterebbe responsabile solo per dolo o colpa grave; la censura, per tale limite di astrazione, e’ inammissibile, poiche’ il motivo omette di riportare quali fossero in concreto “i problemi tecnici di speciale difficolta’” che era stato chiamato ad affrontare e sui quali l’incarico verteva, carenza di specificita’ e di allegazione che preclude una diversa disamina, gia’ per questa via, della regola civilistica applicata dal tribunale che ha ritenuto l’inadempimento ed “un contenuto…del tutto inadeguato” della prestazione; va poi aggiunto che il curatore, subentrando nella posizione contrattuale del debitore, ha peraltro nella specie non solo allegato il fatto del conferimento dell’incarico invocandone l’inadempimento, dunque in conformita’ al principio – vigente in tema di responsabilita’ professionale – per cui “resta a carico dell’obbligato l’onere di provare l’esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’ non vale come criterio di ripartizione dell’onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando, al (professionista) la prova della particolare difficolta’ della prestazione, in conformita’ con il principio di generale “favor” per il creditore danneggiato cui l’ordinamento e’ informato.” (Cass. 22222/2016); lo stesso curatore ha anche indicato specificamente i profili della diligenza non tenuta dal professionista, deducendo ed indicando le omissioni connotative dell’opposto inadempimento;
15. sul punto, va sottolineato che anche all’attestatore deve applicarsi, come per il piu’ ampio genus degli imprenditori (articoli 2082 e 2083 c.c. per l’esercizio professionale dell’attivita’ economica) e dei professionisti intellettuali (articolo 2229 c.c. e articolo 33 Cost., comma 5), l’articolo 1176 c.c., comma 2, secondo il quale “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attivita’ professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attivita’ esercitata”, dunque in aggiunta rispetto a quella generica e comune di cui al comma 1 della disposizione, che gia’ impone a qualunque debitore di “adempiere l’obbligazione” dovendo “usare la diligenza del buon padre di famiglia”; la diligenza esigibile presuppone pertanto l’addizione di un ulteriore elemento, qualificante la prestazione, cioe’ la perizia, consistente nella conoscenza e attuazione delle regole e dei mezzi tecnici propri di una determinata arte o professione, da cui la collettivita’ si attende e puo’ esigere una nozione di attivita’ professionale diretta espressione di un catalogo di regole attinenti in modo specifico una determinata professione e, conseguentemente, concorrenti ad integrare la “diligenza media” attinente alla singola vicenda; dunque, quello che l’articolo 2236 c.c. sanziona secondo un parametro meno rigoroso, appare l’errore tecnico, almeno nelle ipotesi in cui la perizia richiesta dalla prestazione sia superiore al livello medio corrente nell’attivita’ professionale esercitata dal debitore; se invero l’articolo 2236 c.c. appare norma specificativa dell’articolo 1176 c.c., comma 2, cio’ conduce ad affermare che la perizia esigibile dal professionista e’ solo quella media, egli non potendo essere responsabile nel caso in cui la perizia richiestagli sia superiore alla media; tale circostanza di ingaggio non solo non e’ stata provata, ma nemmeno allegata dal ricorrente;
16. nella specie, questi, sbrigativamente invocando principi redatti dal CNDEC (peraltro successivi all’epoca del proprio operato, in realta’ mere linee guida, con limitata ipotizzabile valenza al fine di elidere il dolo e in ogni caso anch’essi in piu’ punti indicatori della necessita’ di una ricostruzione completa dei dati storico-economici e finanziari e delle analisi condotte sulla crisi, come condizione per affrontare il piano di risanamento), reclama di non essere tenuto ad alcuna narrazione dei fatti anteriori al ricorso e senza dunque doveri di informazione sulla crisi e le sue cause, potendosi limitare alla illustrazione dei dati finali assunti dall’assetto dell’impresa, e competendo semmai al commissario, che e’ un pubblico ufficiale, disvelare le frodi dopo averle scoperte da una ricerca a ritroso; tale ricostruzione dei doveri professionali assunti dall’attestatore e’ errata; il tema della diligenza assume come termini di riferimento quella qualificata dell’attestatore mediante svolgimento impegnato ed attento, accurato e competente, aggiornato anche dell’evoluzione interpretativa circa i suoi doveri di prestazione, che si sia trovato nella medesima situazione di fatto; la combinazione della L. Fall., articolo 161, comma 3, articolo 186-bis, comma 2, lettera b) ha riguardo ad un professionista non comune, specialista della materia, specificamente ingaggiato per (e dunque attrezzato a) esplicare regole tecniche funzionali, nell’attestazione, a tutelare in modo efficace l’interesse del committente, secondo una misura di diligenza notevole e proporzionata e l’interesse procedimentale all’abbreviazione del percorso istruttorio, raccogliendo l’attestatore (con profili di doverosita’ per la sua indipendenza) elementi la cui riassunzione qualificata e solenne (nell’atto di attestare) accelera la progressivita’ e la stabilita’ dell’accesso al concorso, nell’interesse dei creditori; ne’ la circostanza per cui al tribunale sia consentito il controllo sul suo operato (Cass. 7959/2017, 2130/2014) slega quest’ultimo dai doveri anche pubblicistici di accuratezza e completezza asseverativa, facendo essi parte di una prestazione imposta dalla legge come condizione di esaurimento della domanda di concordato; puo’ dunque dirsi, ancora negata “al decreto di ammissione al concordato preventivo qualsivoglia definitiva incidenza sul rango del credito di cui si tratta” (Cass. 13537/2017), essendo – in caso di successivo fallimento – quest’ultima la sede di verifica della pretesa, che proprio la peculiare diligenza normativamente descritta nell’attestazione (che ha ad oggetto veridicita’ dei dati aziendali, fattibilita’ del piano, funzionalita’ della continuazione d’impresa al miglior soddisfacimento dei creditori) costituisce al contempo limite esterno di valutazione dell’esattezza dell’adempimento e contenuto interno della prestazione, cioe’ il suo reale oggetto; nella specie, l’inadempimento e’ stato duplice, poiche’ riferito per un verso alla totale omissione degli atti la cui conoscenza era indispensabile per una ordinaria comparazione con la alternativa procedura liquidatoria oltre che alla intelligibilita’ del dato finale conseguito dai valori patrimoniali esposti con la domanda completata e, per altro verso, alla realizzazione del concordato in continuita’ aziendale, in realta’ volto ad una liquidazione del patrimonio in 8 anni e fondato su mera speranza di ripresa del mercato immobiliare;
17. puo’ invero dirsi che la fattibilita’ di un piano in continuita’ aziendale, per come attestata, deve esporre una intrinseca connessione tra la prosecuzione dell’attivita’ d’impresa e il miglior soddisfacimento dei creditori, relazione del tutto pregiudicata quando sia stata omessa la enunciazione di quegli atti pregressi che, se affrontati in una diversa procedura liquidatoria, avrebbero implicato, ancora per i creditori, un preferibile soddisfacimento, cioe’ un trattamento migliore ed alla stregua della cui scoperta la stessa procedura, per quanto ammessa, non sia proseguita, per effetto di revoca; in tale ipotesi, come avvenuto, la fattibilita’ del piano, mal attestata, ha imposto la chiusura anticipata del concordato preventivo, in quanto retto su asseverazione che ha reso inattendibile il piano costruito su di essa; in questo senso la prestazione del professionista, per quanto qui di interesse, non ha fatto conseguire ai creditori quel risultato minimo esigibile dallo stesso promittente imprenditore, e cioe’ un permanente e reiterabile vaglio positivo di ammissibilita’ della proposta (Cass. s.u. 1321/2013); anche dunque senza affrontare il tema della distinzione tra obbligazione di mezzi ed obbligazione di risultato e pur dato atto dell’evoluzione interpretativa sul punto nella giurisprudenza di legittimita’ sulla responsabilita’ professionale (affermata, per le professioni giuridiche, in Cass. 10289/2015 sull’ininfluenza della condivisione del cliente sulle scelte difensive; con l’obbligo di indirizzamento del cliente a scelte conformi a legge, per Cass. 20379/2013) si puo’ osservare che se e’ vero che il risultato ultimo perseguito dal creditore non risulta incluso nella prestazione per la aleatorieta’ del suo raggiungimento, dipendendo non solo da volonta’ ed impegno del debitore ma anche da condizioni estranee al suo controllo, cionondimeno ogni obbligazione e’ finalizzata ad un risultato; appare cioe’ priva di razionalita’ economica, e assente di causa concreta, una obbligazione in cui sia dedotto un comportamento fine a se stesso, cioe’ privo di una utilita’ destinata al creditore, dovendo pertanto ammettersi che il normale raggiungimento di risultati oggettivamente apprezzabili che, concorrendo altri fattori, possono condurre a quelli finali attesi dal debitore, va valutato tra gli elementi dedotti nel rapporto professionale e come tali scrutinabili ex post alla stregua di profili di inadempimento; cosi’ per Cass. 18612/2013 “il professionista puo’ essere chiamato a rispondere anche per semplice negligenza, ex articolo 1176 c.c., comma 2, e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’articolo 2236 c.c., allorche’ l’incertezza riguardi non gia’ gli elementi di fatto in base ai quali va calcolato il termine, ma il termine stesso, a causa dell’incertezza della norma giuridica da applicare al caso concreto. Parimenti, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla questione relativa all’applicabilita’ del termine di prescrizione in caso di mancata proposizione della querela non esime il professionista dall’obbligo di diligenza richiesto dall’articolo 1176 c.c..”; nella vicenda di causa non sussisteva, all’epoca dell’attestazione, alcuna incertezza giuridica circa la indispensabilita’, per i creditori, di conoscere un quadro chiaro ed esaustivo delle opportunita’ alternative alla continuita’ aziendale, per giudicare sul loro interesse cosi’ come prospettato come meglio conseguibile dal debitore per via della prosecuzione dell’attivita’ economica rispetto alla procedura di liquidazione; e tale dato informativo minimo, da offrire in comparazione, non solo non e’ stato minimamente illustrato, ma risulta rivendicato, nella sua totale omissione, come estraneo ai doveri di prestazione professionale, dunque, conclusivamente, senza alcun dubbio di imputabilita’ anche soggettiva al professionista;
18. il quarto, il quinto e il sesto motivo – riuniti in trattazione perche’ collegati – sono inammissibili sotto molteplici aspetti posto che, in primo luogo, il presente giudizio non e’ deputato a verificare i requisiti che hanno condotto il tribunale a decretare la revoca del concordato, ne’ a rivederne la qualificazione siccome concordato in continuita’ aziendale, ma fortemente condizionato da gestione liquidatoria, entrambi da assumere come “meri fatti”; in secondo luogo, si osserva che la fattibilita’ giuridica di un piano di concordato in continuita’ aziendale esige che la realizzabilita’ del relativo progetto si imponga non solo quale mera attuabilita’ in se’ ma con la connotazione peculiare che contraddistingue il rapporto virtuoso fra prosecuzione dell’attivita’ economica e miglior soddisfacimento dei creditori, restando percio’ esclusa quando questa qualita’ non sia attestata o, benche’ oggetto di attestazione, risulti contraddetta da successiva scoperta, come nella specie, di fattori economici (gia’ descritti e) ostativi alla predetta verificazione; in cio’, il decreto corrisponde a quanto gia’ statuito da questa Corte ove si e’ specificato che “la causa concreta – e’ da intendersi “come obiettivo specifico perseguito dal procedimento”, donde essa non ha un contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita – codesta – nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori. La nozione non tollera margini di ambiguita’. E’ abbastanza evidente che l’esplicito riferimento alla causa concreta, evocando il richiamo di una prospettiva funzionale, suppone un controllo sul contenuto della proposta finalizzato a stabilirne l’idoneita’ ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante il previsto soddisfacimento dei crediti rappresentati. Cio’ significa che la verifica di fattibilita’, proprio in quanto correlata al controllo della causa concreta del concordato, comprende necessariamente anche un giudizio di idoneita’, che va svolto rispetto all’assetto di interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato persegue. Difatti non puo’ esser predicato il primo concetto (il “controllo circa l’effettiva realizzabilita’ della causa concreta”) se non attraverso l’estensione al di la’ del mero riscontro di legalita’ degli atti in cui la procedura si articola, e al di la’ di quanto attestato da un generico riferimento all’attuabilita’ del programma. Da questo punto di vista non e’ esatto porre a base del giudizio una summa divisio tra controllo di fattibilita’ giuridica astratta (sempre consentito) e un controllo di fattibilita’ economica (sempre vietato…. mentre il sindacato del giudice sulla fattibilita’ giuridica, intesa come verifica della non incompatibilita’ del piano con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilita’ economica, intesa come realizzabilita’ nei fatti del medesimo, puo’ essere svolto nei limiti nella verifica della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalita’ indicate dal proponente per superare la crisi. Tanto vuol dire non solo che non e’ vero che il controllo di fattibilita’ economica, per usare l’espressione fin qui impiegata, sia in se’ vietato (v. Cass. n. 11497-14 e, da ultimo, Cass. n. 26329-16). Vuol dire anche che, nella prospettiva funzionale, e’ sempre sindacabile la proposta concordataria ove totalmente implausibile. E’ difatti riservata ai creditori solo la valutazione di convenienza di una proposta plausibile, rispetto all’alternativa fallimentare, oltre che, ovviamente, la specifica realizzabilita’ della singola percentuale di soddisfazione per ciascuno di essi…. quando si discorra di concordato in continuita’ aziendale supponente, come nella specie, un piano industriale pluriennale inteso a generare specifici flussi di cassa. In tal caso la rigorosa verifica della fattibilita’ “in concreto” presuppone un’analisi inscindibile dei profili giuridici ed economici, volta che il piano con continuita’ deve essere idoneo a dimostrare la sostenibilita’ finanziaria della continuita’ stessa. Tanto che esso deve contenere l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attivita’, delle risorse necessarie e delle relative modalita’ di copertura (L. Fall., articolo 186-bis). E’ da puntualizzare che se e’ vero che il concordato con continuita’ aziendale non si atteggia, nel sistema, come un istituto diverso e “nuovo”, ma come semplice modalita’ del concordato stesso, e’ pero’ anche logico che, per le caratteristiche che lo distinguono e per le particolari norme di favore attraverso le quali e’ agevolata la continuazione dell’impresa in crisi, esso debba esser circondato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese a evitare il rischio di un aggravamento del dissesto a danno dei creditori. Invero la prosecuzione dell’attivita’ deve essere comunque “funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori” (ancora articolo 186-bis). In definitiva, il piano concordatario che, come atto programmatico, il debitore e’ libero di formulare, condizionando l’esercizio e la realizzazione dei diritti di terzi, paralizzati dal divieto di azioni esecutive per la durata della procedura (L. Fall., articolo 168) ed esposti a una falcidia in certo qual modo aggravata dal concorso di creditori aventi diritto alla prededuzione o al pagamento anticipato (articoli 161 e 182-quinquies), suppone sempre un vaglio rigoroso, da parte del giudice, su tutti i presupposti e gli atti preparatori e strumentali condizionanti. Esplicitamente, d’altronde, l’articolo 186-bis, u.c., attribuisce al giudice il compito di verificare, ai sensi della L. Fall., articolo 173, che l’esercizio dell’impresa, per come ipotizzato nel piano, non risulti infine manifestamente dannoso per i creditori. Cosicche’ l’alea che ne circonda l’esecuzione, e che e’ rimessa all’accettazione dei creditori, non si estende alla valutazione di esistenza effettiva dei presupposti della soluzione concordataria per come indicata nel piano e di inesistenza delle condizioni di manifesta dannosita’.” (Cass. 9061/2017);
19. in terzo luogo, il ricorrente ha omesso di riportare dove, quando e come la supposta esperibilita’ delle azioni revocatorie sarebbe stata dedotta come motivo d’impugnazione avanti al giudice di merito, cio’ costituendo autonoma ragione d’inammissibilita’, per questa parte, della censura; che e’ peraltro, ancora sul punto, inammissibile anche perche’ quelle azioni, del tutto pacificamente, non erano state esposte nel piano, mancando pertanto ogni possibilita’ di rilevarne, anche solo indirettamente, la sicura attribuzione’ ai creditori, e per essi agli organi del concordato preventivo, senza considerare i costi restitutori che il loro ipotetico successo avrebbe scaricato come nuovi debiti, nonche’ l’incidenza dei tempi giudiziali sul cronoprogramma del piano; in ogni caso, ed infine, ripetendo che l’oggetto del giudizio e’ ora la sussistenza del credito del professionista e non la dichiarazione di inammissibilita’ del concordato da questi attestato, la relativa asseverazione e’ stata riconosciuta dal tribunale gravemente inadeguata, oltre che per gli atti di disposizione nemmeno esposti, per aver validato un progetto di attivita’ economica che, negli stessi 8 anni del piano, avrebbe generato e piuttosto perdite per 11 milioni di euro, assorbendo risorse senza creare utili e cosi’ garantire la continuita’ aziendale, sulla base di un apprezzamento di merito insuscettibile di rivisitazione in questa sede nella motivazione data (Cass. s.u. 8053/2014);
20. il settimo motivo e’ inammissibile, posto che il giudizio di carenza dell’attestazione, per quanto sinteticamente riprodotto dal tribunale, si impernia sulla sostanziale destinazione liquidatoria rinvenuta nel piano, nelle perdite che l’attivita’ d’impresa avrebbe generato e dunque nell’implicito assorbimento dei criteri di stima rispetto al tenore reale riconosciuto nel concordato proposto, poggiante “essenzialmente sulla speranza di ripresa del mercato immobiliare”, giudicato rinvio non adeguato alla completezza della prestazione, infatti ritenuta non suscettibile di fondare l’ammissione al passivo del credito oltre la misura gia’ pagata (con l’acconto di 30 mila Euro); l’ottavo motivo, anche per l’insindacabilita’ dell’apprezzamento – del tutto negativo – della prestazione svolta, risulta conseguentemente assorbito;
21. il ricorso va dunque rigettato; ne consegue la condanna del ricorrente alle spese secondo la regola della soccombenza, determinata in relazione al complessivo non accoglimento di alcuna sua censura e liquidazione come meglio da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimita’, liquidate in euro 7.300 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge.
Doppio contributo ex Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *