L’accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore in ordine alla sospensione del rapporto lavorativo non può comportare l’esenzione della parte datoriale dall’obbligo di rispettare il minimale contributivo previsto dall’articolo 29, comma 1, del Dl 244/1995

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 11 maggio 2018, n. 11424.

La massima estrapolata:

L’accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore in ordine alla sospensione del rapporto lavorativo non può comportare l’esenzione della parte datoriale dall’obbligo di rispettare il minimale contributivo previsto dall’articolo 29, comma 1, del Dl 244/1995; a tal fine occorre comunque che la sospensione sia comunicata preventivamente agli enti previdenziali per consentire gli opportuni controlli.

Ordinanza 11 maggio 2018, n. 11424

Data udienza 15 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 15174-2012 proposto da:
(OMISSIS) S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della (OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS) giusta delega in atti;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1146/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/02/2012 R.G.N. 969/2009.

RILEVATO

1. che, con sentenza in data 3 febbraio 2012, la Corte di Appello di Milano ha rigettato il gravame principale, avverso la sentenza di primo grado, di rigetto dell’opposizione a cartella esattoriale con la quale era stato richiesto il pagamento di contributi omessi, e somme aggiuntive, per la commisurazione della base imponibile dei contributi dovuti dal datore di lavoro, svolgente attivita’ edile, su un numero di ore settimanali inferiori a quello stabilito dal CCNL;
2. che, in accoglimento del gravame incidentale svolto dall’INPS, la Corte di merito ha rideterminato in Euro 227.040,00 i contributi omessi, oltre sanzioni civili calcolate secondo il regime sanzionatorio dell’evasione;
3. che, avverso tale sentenza, (OMISSIS) societa’ cooperativa a r.l. ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, al quale l’INPS ha opposto difese, con controricorso.

CONSIDERATO

4. che, con i primi tre motivi, la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 7 dicembre 1989, n. 389, articolo 1 e del Decreto Legge 23 giugno 1995, n. 24, articolo 29, nonche’ l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (primo motivo); violazione e falsa applicazione del Decreto Legge 30 ottobre 1984, n. 299, articolo 5, comma 5, e assume che nessuna norma estende al socio di cooperativa le specifiche regole previste per il lavoro in regime di part-time, per cui un tale tipo di contratto e’ ravvisabile nel settore di cui ci si occupa anche quando l’accordo non e’ stato stipulato per iscritto (secondo motivo); con il terzo motivo la ricorrente ripropone l’eccezione di incostituzionalita’ del Decreto Legge 23 giugno 1995, n. 244, articolo 29, per disparita’ di trattamento tra le imprese edili e quelle degli altri comparti produttivi, precisando al riguardo che con tale disposizione, volta a contrastare l’evasione contributiva, si e’ introdotto nel settore edile il principio di una retribuzione imponibile virtuale, ma in funzione della quantita’ della prestazione e non gia’ della sua esigenza di adeguatezza ai parametri costituzionali, per cui verrebbe ad essere scardinato il principio della contribuzione previdenziale a percentuale, cioe’ di una contribuzione proporzionale alla retribuzione di fatto erogata o quantomeno dovuta in relazione al lavoro svolto;
5. che sui predetti motivi, in fattispecie identica a quella in esame, questa Corte si e’ gia’ pronunciata, con delibazione di infondatezza, con la sentenza 2 settembre 2016, n. 17531, alla cui piu’ ampia motivazione si rinvia anche per i precedenti di legittimita’ richiamati, riaffermandosi ora il principio per cui il cosiddetto minimo retributivo imponibile, secondo cui l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali, non puo’ essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali piu’ rappresentative su base nazionale, e’ applicabile anche alle societa’ cooperative, i cui soci sono equiparati ai lavoratori subordinati ai fini previdenziali, sia nel caso in cui il datore di lavoro paghi di meno la prestazione lavorativa a pieno orario, sia nel caso di prestazione a orario ridotto, rispondendo tale parificazione alla finalita’ costituzionale di assicurare comunque un minimo di contribuzione dei datori di lavoro al sistema della previdenza sociale;
6. che anche le obiezioni di incostituzionalita’, ora sollevate, hanno gia’ trovato risposta, nel richiamato precedente di questa Corte, n. 17531 del 2016, ribadendo che il sistema di previdenza, improntato ad esigenze di socialita’, non e’ fondato necessariamente su una rigida sinallagmaticita’ tra contributi e prestazioni, e che una disciplina che prescinde dalle ore di lavoro in concreto prestate trova anche la sua ragione nelle finalita’ di soddisfare esigenze pubblicistiche di solidarieta’ e di mutualita’;
7. che, del pari, il precedente di legittimita’ del 2016 al quale viene ora data continuita’, anche sulla pretesa inapplicabilita’ della normativa in materia di minimali contributivi nell’ipotesi di rapporti di lavoro in regime part-time, ha condivisibilmente ribadito che la cooperativa, proprio perche’ equiparata ai fini contributivi ai privati datori di lavoro, avrebbe dovuto, come questi ultimi, osservare gli oneri prescritti per poter accedere alla disciplina contributiva in questione, richiamando il principio affermato dalle le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 5 luglio 2004, n. 12269), nel senso che: “al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non puo’ applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dal Decreto Legge n. 726 del 1984, articolo 5, comma 5, convertito in L. n. 863 del 1984, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi, e cosi’ anche la disciplina di cui al Decreto Legge n. 338 del 1989, articolo 1, convertito in L. n. 389 del 1989, tenuto conto, da un lato, che il sistema contributivo regolato dal predetto Decreto Legge n. 726 del 1984, articolo 5, comma 5, e’ applicabile, giusta il tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi ed e’ condizionato, in particolare, dall’osservanza dei prescritti requisiti formali, e considerato, dall’altro, che risulterebbe privo di razionalita’ un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l’osservanza del principio del minimale, con l’applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e nel contempo esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il contratto di lavoro part time, mostrano, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere a tale contratto particolare per il perseguimento di finalita’ non istituzionali, agevolando cosi’ di fatto forme di lavoro irregolare”;
8. che e’ infondato anche il quarto motivo – con il quale la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 1998, articolo 13, per avere la Corte di merito pronunciato sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro in giudizio avente ad oggetto opposizione ad iscrizione a ruolo – in base al rilievo per cui nel giudizio di opposizione a ruolo, nulla impedisce al giudice di condannare il debitore al pagamento di una somma inferiore a quella iscritta a ruolo (cfr. Cass. 23 febbraio 2015, n.3486);
9. che risulta, infine, infondato, anche il quinto motivo, con il quale la parte ricorrente si duole della violazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, articolo 116, comma 8, lettera b) e dell’articolo 1147 c.c., invocando l’applicazione, nella specie, del regime sanzionatorio dell’omissione contributiva;
10.che la vicenda non puo’ che essere inquadrata nell’ambito dell’evasione contributiva, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui, giusta il disposto della L. n. 388 del 2000, articolo 116, comma 8, lettera b) cit., tale ipotesi ricorre allorche’ il datore di lavoro ometta di denunciare all’INPS rapporti di lavoro in essere e relative retribuzioni corrisposte, dovendo ravvisarsi la piu’ lieve ipotesi dell’omissione solo qualora l’ammontare dei contributi di cui sia stato omesso o ritardato il pagamento sia rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie (cfr., fra le ultime, Cass. 18 gennaio 2018, n. 1167 e i precedenti ivi richiamati);
11.che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.

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