Il divieto di controllo occulto sull’attivita’ lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 11 giugno 2018, n. 15094.

La massima estrapolata:

Il divieto di controllo occulto sull’attivita’ lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti.
Ove il controllo demandato all’agenzia investigativa non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell’orario di lavoro, esso e’ legittimo, come nel caso di verifica sull’attivita’ extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi L. n. 104 del 1992, ex articolo 33.

Ordinanza 11 giugno 2018, n. 15094

Data udienza 27 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 24377/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), che la rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1454/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/04/2016 R.G.N. 5170/2014.
RILEVATO
che la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 20.4.2016, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto il ricorso proposto in primo grado da (OMISSIS) volto ad impugnare il licenziamento disciplinare in tronco intimato in data 25 marzo 2009 da (OMISSIS) Spa;
che la Corte territoriale ha ritenuto utilizzabili le relazioni investigative acquisite, “posto che la prestazione lavorativa del (OMISSIS) consisteva nell’attivita’ esterna di ispezione dei cantieri e dunque si svolgeva prevalentemente al di fuori dei locali aziendali” per cui nessun divieto poteva configurarsi “per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro”;
che, accertata “la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo affidati al ricorrente e la inveritiera attestazione della positiva esecuzione di controlli mai eseguiti”, la Corte di Appello ha considerato che “i predetti comportamenti consistiti nell’aver rappresentato alla propria azienda un’attivita’ lavorativa in realta’ non svolta determinano la violazione del dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa, nonche’ la lesione dell’obbligo di fedelta’ e in ultima analisi ledono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro”;
che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) con 3 motivi, cui ha resistito (OMISSIS) Spa con controricorso, illustrato da memoria;
CONSIDERATO
che i motivi di ricorso denunciano: 1) violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ della L. n. 300 del 1970, articoli 2 e 4, per avere la Corte distrettuale ritenuto utilizzabili le relazioni investigative, nonostante le stesse fossero finalizzate ad “avere notizie esaustive circa il corretto adempimento delle prestazioni lavorative”, peraltro in assenza di un giustificato sospetto circa la realizzazione di condotte illecite del lavoratore; 2) violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, articolo 5, nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c., sostenendo che l’azienda non avrebbe assolto l’onere di provare “tanto il mancato svolgimento dell’attivita’ lavorativa che la falsita’ dei rapporti di lavoro”; 3) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articoli 116 e 421 c.p.c., nonche’ “omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti”, sia “sulla valutazione come prova della relazione investigativa”, sia “sulla interpretazione di fatto delle circostanze dedotte”;
che il primo motivo, nella parte in cui lamenta la falsa applicazione delle disposizioni statutarie richiamate, e’ fondato;
che in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, articoli 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della liberta’ e dignita’ del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioe’ per scopi di tutela del patrimonio aziendale (articolo 2) e di vigilanza dell’attivita’ lavorativa (articolo 3), va premesso che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, ne’, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli articoli 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica;
che tuttavia cio’ non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, ne’ l’adempimento, ne’ l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attivita’ lavorativa, che e’ sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003);
che tale fermo principio e’ stato sempre ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attivita’ lavorativa vera e propria, riservata, dall’articolo 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; piu’ di recente Cass. n. 15867 del 2017, con la giurisprudenza conforme ivi citata); ne’ a cio’ ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 16196 del 2009; per la legittimita’ del controllo datoriale a mezzo di agenzia investigativa in caso di mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate v. Cass. n. 18821 del 2008);
che il divieto di controllo occulto sull’attivita’ lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attivita’ retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000);
che, simmetricamente, ove il controllo demandato all’agenzia investigativa non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell’orario di lavoro, esso e’ legittimo, come nel caso di verifica sull’attivita’ extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro (Cass. n. 12810 del 2017) ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi L. n. 104 del 1992, ex articolo 33 (v. Cass. n. 4984 del 2014);
che dunque risulta errata in diritto l’affermazione della Corte territoriale secondo cui “nessun divieto puo’ configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro”, senza alcun riferimento ad attivita’ concorrenziali del (OMISSIS) o altrimenti fraudolente, avendo poi accertato la legittimita’ del licenziamento secondo quanto dalla medesima Corte romana statuito – proprio per comportamenti che “determinano la violazione del dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa”;
che, alla stregua delle suddette considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri due motivi successivi in ordine logico-giuridico, e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformera’ a quanto innanzi statuito, regolando altresi’ le spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese; dichiara assorbiti gli altri motivi.

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